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Autore: LivingTheDream    16/09/2011    3 recensioni
"Svanirà tutto, divorato poco a poco da quel fuoco inarrestabile, che intanto si divide in altre serpi incandescenti. Una di quelle si volta, fermandosi davanti a te, e ti fissa, ti studia, ti brama con i suoi occhi inesistenti.
E continui a rimanere lì, rannicchiato, ad osservare quella distruzione senza battere ciglio."
Brucia, tutto, senza pietà.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nda: consiglio l'ascolto di questa canzone, durante la lettura. La trama c'entra ben poco, ma penso sia una delle rare volte in cui la melodia è perfetta – davvero, perfetta – per i tempi della storia. È Insanity, by Miki e Kaito. Don't like, don't watch.
Ho il dubbio di non aver reso quello che intendevo - fretta, idee confuse, argomento strano, sapete com'è. Cercasi pareri sinceri, così almeno se c'è qualcosa che non ho fatto capire decentemente, posso sempre rivederla. 
Buona lettura.




Silenzio.

Inizia lo spettacolo.

Poi uno sfrigolio.

Sei immobile.

Da leggero, diventa un crepitio quasi impercettibile.

Le ginocchia al petto.

Fiamme, prima una, poi tante. È fuoco vero e proprio.

Devi andartene da qui.

Lingue incandescenti si alzano dalla cenere spenta del camino.

O non vuoi scappare anche tu?

Si liberano dalla loro prigionia di mattoni, e riflettono nei loro colori ogni sguardo perso nel vuoto, non notato, delle sere seduti nella penombra dello studio del 221b.

Rimani con lo sguardo fisso davanti a te, poi un altro suono, alle tue spalle.

Il cappello sta prendendo fuoco. Brucia, si accartoccia su se stesso, la stoffa sparisce ingoiata dal calore, l'unico altro suono è quello della cenere che lentamente svolazza sul pavimento, sospinta da un vento inesistente.

Le fiamme scendono lente lungo la gamba del tavolo, arrotolandovisi intorno, abbandonando gli inutili resti della loro vittima alle spalle. Scivolano lungo il pavimento ingombro, ben attente a non perdere di vista il loro obiettivo.

Altre braccia infuocate si alzano lungo i lati del camino, veloci, fino a raggiungere ed avvolgere un pacchetto di Bradley quasi integro.

Una vampata di calore ti raggiunge le guance, scaldandole in modo quasi fastidioso, vorresti strofinarle – eppure rimani fermo. Di pietra. Concentrato.

Il fuoco, impalpabile ma non per questo innocuo, si ingrossa – ha gradito il primo piatto – e inizia a disperdersi lungo le pareti, appendendosi a qualsiasi cosa si trovi sulla sua strada.

Nell'angolo, vicino alla porta, nascono nuove fiamme. Lambiscono il legno del bastone da passeggio, vi si attorcigliano, lasciano solo il metallo a tintinnare, incandescente ed intoccabile.

Anche quel nuovo nastro infuocato si unisce agli altri, e, mentre i tuoi occhi riflettono i loro colori, li osservi appropriarsi del divano; li lasci fare quando, per arrivarci, mordono ed ingoiano la cintura nera di una vestaglia a te nota, con forza, con cattiveria. Non li fermi nemmeno quando, salendo, mescolano il loro colore con il delicato vermiglio del resto del tessuto.

L'implacabile rogo si gonfia ancora, mangia voracemente ogni centimetro di tutto quel dolore, senza mostrare pietà alcuna per le tue labbra strette tra i denti fino a farle sanguinare.

Avverti un'altra vampata, dal lato del camino, e nell'aria inizia a farsi sempre più pressante l'odore di annientamento, di massacro. Ti bruciano gli occhi – il fuoco, il caldo, l'odore – ma non lasci sfuggire alcuna lacrima.

Eppure non vorresti assistere a tutto questo.

Le fiamme crescono, alimentate da inchiostro, passioni nascoste, carta, misteri, amicizia, amore. Non erano sazie di oggetti comuni, no, e quindi sono salite fino alla libreria, divorando tutto uno scaffale, e non ti volti proprio per non vedere il fuoco leccarsi le labbra davanti alla firma di John H. Watson su quei diari – anche perché ormai, di tutte quelle parole, solo una firma è rimasta. Anzi, nemmeno quella.

Ormai lo studio è un cerchio di fuoco, e tu ne sei al centro – tu, il tavolino e l'altra poltrona – senza alcuna via di fuga possibile.

Dopotutto l'hai voluto tu.

Rosso, arancione, giallo.

Non dire che non è vero.

Ma anche blu, viola, verde.

Intravedi anche dell'azzurro, degli occhi, in tutto quello strazio.

Il rumore sordo dell'incendio è infernale, rimbomba contro la tua gabbia toracica come se fosse uno sparo dritto nel petto.

Ma non ti muovi.
Lasci che il fuoco continui a fluire, liquido, dalle tue mani.

Ai tuoi piedi si consuma un nuovo sacrificio, il fuoco prende anche qualcosa che non fai in tempo a vedere. Eppure i resti di un violino non sono così difficili da riconoscere.

Le lingue incandescenti stanno ingoiando anche l'archetto, e senti le ginocchia soffocare sotto la stoffa dei pantaloni. Ma non sposti le mani da lì – anzi, non ti sposti tu.

La scrivania è ormai accerchiata, e quasi si fa fatica a tenere lo sguardo puntato su quella parte della stanza. Un cassetto, l'ultimo in basso, si ritrova il ventre squarciato, mentre un astuccio di marocchino rotola sconfitto lungo il pavimento, pronto ad offrirsi per saziare l'incendio, che intanto sta ingollando degli appunti.

Il cerchio ti si stringe intorno.

Le fiamme seguono una linea invisibile ad occhi poco attenti – certamente non i tuoi –, strisciando sul tappeto come un serpente infuocato dagli occhi cremisi, pronto ad attaccare senza pietà. Si arrampicano lungo la gamba della poltrona vuota, quella davanti a te, ed iniziano a divorarne i cuscini, l'imbottitura, il legno, l'anima stessa, con l'intenzione di non lasciare nulla, magari nemmeno le ceneri. Svanirà tutto, divorato poco a poco da quel fuoco inarrestabile, che intanto si divide in altre serpi incandescenti. Una di quelle si volta, fermandosi davanti a te, e ti fissa, ti studia, ti brama con i suoi occhi inesistenti.

E continui a rimanere lì, rannicchiato, ad osservare quella distruzione senza battere ciglio.

Ora che è davanti a te non riesci più ad avere la forza di voltare lo sguardo. Qualsiasi altro punto della stanza ti procurerebbe ancora più dolore, come un coltello che affonda nella carne e ruota, affonda, si sposta, senza decidersi a squarciarti finalmente il cuore.

Tra i colori accesi e dolorosi di quell'assassinio affiorano sorrisi, sguardi, gesti, parole che non hai mai detto, o che avresti voluto dire. Ti tormentano, si avvicinano, danzano in tondo davanti ai tuoi occhi come se avessero deciso di prendersi gioco di te.

Senti il calore salirti lungo le caviglie – le fiamme stanno avvolgendo l'intero tavolino.

Uno di quei nastri bollenti stringe nel suo nodo un foglio, ripiegato su se stesso, su cui spiccano non più così dorate le parole “Il dottor John H. Watson e Mary Morstan sono lieti di invitarla al loro matrim-”.

Sbrana tutto, il fuoco, divora carta e dolore, mentre lentamente i bordi di una fotografia si arricciano, rimpiccioliscono, scompaiono in un soffio.

Il serpente che prima ti fissava, ora striscia lungo il bracciolo della tua poltrona, infilandosi nella manica della tua giacca. Morde, tira, la sfila e la lacera, lasciando squarci irregolari sulla schiena e sulle spalle – eppure non ti muovi.

Rimani immobile.

Ha ragione, quella giacca non è tua. È sua. Deve sparire.

Deve dissolversi tutto come neve al sole, come cenere nel vento, come ricordi nel fuoco.

E nulla finirà fino a quando non rimarrà più nulla. Ogni traccia del suo passaggio nella tua vita deve essere dilaniata – deve ardere, senza scampo – anche a costo di soffrire come se stessero gettando il sale sulle tue ferite aperte, direttamente nel tuo petto squarciato.

Il cappello, da cui non si separava mai – dissolto.
Le Bradley, inconfondibili – divorate.
L'indispensabile bastone – ne è rimasta a malapena l'anima.
La vestaglia, che tante volte gli hai sfilato – cenere.
E poi i taccuini – fatica sprecata – e l'astuccio di marocchino, la poltrona impolverata, quel maledetto invito. Anche la giacca, che ancora profumava di lui.

Tutto questo non ha fatto altro che attirare il tuo dolore incendiario, come se ti stesse provocando bellamente. L'amore ha preso fuoco. L'amore si è scatenato. L'amore ha bruciato tutto. Ed è diventato dolore.

«C'è un'ultima cosa che appartiene a Watson, qui.» sibila una voce.

Il fuoco, gracchiante, la ripete; il legno, crepitante, l'amplifica. Rimbalza nella tua testa incessantemente, non sai nemmeno da dove provenga, ma quel che dice è giusto.

Abbandoni la testa sulla spalliera della poltrona incandescente.

Sei pronto?

Il fuoco ti si attorciglia lungo il fianco.

Ne sei sicuro?

Annuisci, mentre il calore ti invade il petto.

Manca solo quello.

L'ultima cosa che vedi sono gli occhi cremisi della fiammeggiante serpe.

Non puoi lasciarlo lì.

 

Non sentirai dolore. Suvvia, che vuoi che sia, per Sherlock Holmes?
Lascia che brucino anche il tuo cuore, dopo avertelo strappato da un petto che si stava appena abituando a percepire l'ombra di un'emozione. Lascia che le fiamme se ne sazino, voraci, come premio per aver distrutto tutto.

Le senti addentarti. Non le fermi. Potrebbero anche divorarti tutto, avrebbe senso.

Dopotutto, anche tu appartieni a lui.


 

Nda: credo sia giusto precisare che l'idea per questa storia è nata vedendo il video di Joe Jonas, See No More. Infatti, nel video, il protagonista lascia che tutti i ricordi della sua ex-ragazza brucino bellamente, e dato che io scrivo su qualsiasi parola senta, TA-DAH! Idea. Ah, anche per questo, don't like, don't watch.
P.s. Se qualcuno non avesse capito il gioco di parole del titolo - che tra l'altro è una frase presa in prestito dall'aMMorevoleH Jim Moriarty di Sherlock BBC - il tutto sta nel fatto che Sherlock vorrebbe "bruciare John" - ovviamente non in senso letterale, tranquilli XD - ma, per fare questo, deve bruciare anche se stesso, dato che John è parte di lui. Quindi, tradotto "Brucerò [te]."

   
 
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