Il Giardino
Ora che ho freddo, dove sei? Spalancato il cancello un po’ arrugginito e ormai posseduto dall’edera, quel giardino si apre di fronte alla mia vista, e ho l’impressione di esservi stato più volte in precedenza. Avanzo, non nascondo di essere sospettoso, il fatto che ogni sospiro ventoso sembri riassumere il mio cuore, non è certo rassicurante. Cerco nei larici in lontananza la risposta a quella domanda, chiedo loro di mostrarmi l’errore dei congiurati, quel tragico piccolo errore che mi permetterà di scoprirli e di condannarli ad un esilio inappellabile e condiviso da tutti.
Uno spirito ventoso porta via con sé il lenzuolo che copriva
il sole. Ecco adesso il maledetto astro in tutto il suo splendore, d’improvviso
mi abbaglia, cogliendomi in pieno nel mio momento di disattenzione. Sono
totalmente perso in questo freddo giardino, probabilmente riflesso di morte,
sicuramente progettato dal mio Desiderio.
Il sole lava via ogni occultante membrana, in particolare
quella di totale smarrimento che mi stava coprendo gli occhi. La visione che mi
si prospetta davanti scotta e sotterra la mia mente nelle profondità dei suoi
dubbi. Graziosi tavolini bianchi e sedie proiettano la loro immagine liberty su
tutto il prato. Sotto un garzioso gazebo esseri umani sorseggiano bevande con
cannucce e ombrellini. Il luogo è pervaso dalla tranquilla malinconia ordinata
di un pomeriggio estivo inglese, l’aria è carica di lacrime quanto lo sono gli
occhi dell’anziana signora che adesso si alza da un tavolino. Noto una ringhiera.
Prima di potermi avvicinare sono già affacciato, e fisso una città che si
estende sotto la collina, sono in un luogo d’evasione di fuga.
Sono nuovamente trasicnato. Stavolta a sedere davanti a un
tavolino.
“ Il suo gelato” mi dice una cameriera vestita di bianco, in
testa un’orchidea. Non ricordo di averlo ordinato, ma suona così giusto e
familiare.
“ Ha scelto il gusto Orchidea, in assoluto il migliore che
abbiamo, i miei complimenti” aggiunge sorridendo. Emana una freschezza che solo
un fiore è capace di esprimere. Sembra lei stessa un’orchidea, i suoi seni sono
petali profumati.
Un’anziana signora vestita di bianco mi sorride, un grazioso
cappellino al ripara dal sole cocente, ha posato la borsetta sul tavolo, cerca
qualcosa. Mentre fruga sembra essere molto attenta e misurata nei gesti, ho
proprio l’impressione che stia cercando qualcosa di molto delicato. Un sorriso
stupito si disegna sul suo volto mentre estrae una splendida orchidea dalla
borsetta, compagno forse del sorriso agghiacciato che muove i miei muscoli
facciali.
La signora sorride nuovamente nella mia direzione, e non
sembra guardarmi. Voltandomi, capisco a cosa era dovuta la sua espressione
compiaciuta: un’altra signora, più giovane, ha appena finito di assestare una
graziosa orchidea tra i capelli ramati della propria figlioletta. Entrambe
sorridono.
Una destabilizzante idea si insinua nel mio pensiero e
inizia a dialogare amabilmente con le mie riflessioni. Al mio congenito stupore
si aggiunge il fatto, quindi, che tutte le persone che siedono sotto il gazebo
portano un’orchidea.
Un venditore di fiori si ferma al mio tavolo, ovviamente
recando orchidee, di diversa forma e rarità. Faccio appena in tempo a fargli
cenno di andarsene, che dietro di lui appari tu. Dopo una caduta tanto lunga,
ogni altro pozzo mi sembrerà un salto da nulla. Senza chiedermi il permesso ti
siedi di fronte a me. Sei vestito di nero, piuttosto fiero nel portamento. Di
fronte a te, non direi mai che sei l’unica pecora nera in quel caffè di anziane
signore vestite di bianco, mi appare invece molto più plausibile l’ipotesi che
quelle persone vestono di bianco per permetterti di apparire più proibito di
quanto tu già non sia. Sembra che tutto in quel giardino sia stato disposto in
tua funzione, ho l’impressione che con il solo sguardo tu sia capace di
incendiare tutti i larici in lontananza. Ma non appartieni al mondo demoniaco,
assolutamente no. Sei l’unico angelo in mezzo a tante arpie bianche. Non porti
orchidee.
“ Ti facevo più lontano” ti dico, squadrandoti. Impressionante
come l’immagine di noi due seduti allo stesso tavolino possa essere dolce e
idilliaca, pur in tutta la sua stranezza.
“ Non immaginavo che avessi così tanto freddo” rispondi tu.
Sorridi, e in questo tuo gesto leggo tutta la tua premura, che credevo relegata
nei miei sogni.
“ Qui però fa caldo..” osservo io. Mi smebra la cos apiù
logica da dire. Forse tu sai dove siamo.
“ Sì, abbastanza.. ti piace?” mi chiedi tu. Cosa posso
risponderti? Non so quanto mi possa piacere essere pervaso da questa sensazione
di conoscenza totale ma non riconosciuta. La congiura sta per avere compimento
sotto i miei occhi.
“ Sai dove siamo?” ti chiedo a mia volta. “ insomma… tu
neanche dovresti essere qui!” la mia pazienza a volte è un po’ come il gelato
alla vaniglia d’estate, a Parigi: si scioglie troppo velocemente e puoi solo
sperare di gustarlo per tempo.
“ Non lo so. Credo che sia casa tua, ma non ricordo dove… né
come… è un po’ come sostare in un angolo di Paradiso nel quale il diavolo sta
per giungere con l’esercito al completo. So dov’ero, ma non so dove siamo”.
La tua risposta mi da la conferma che siamo nel più perfetto
giardino della mia anima.