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Autore: Ryta Holmes    16/05/2006    3 recensioni
E se il Prescelto fosse Neville Longbottom? Se Voldemort avesse scelto lui come suo pari per portare a termine la Profezia? Tra passato e presente la storia, gli amori, i dolori e le fatiche dell'altro Prescelto.
Genere: Romantico, Triste, Malinconico, Drammatico, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Neville Paciock
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Desclaimer: tutti i personaggi presenti in questa storia non mi appartengono, ma sono di J. K. Rowling; tutto ciò che è scritto è frutto della mia immaginazione (aggiungerei molto malata) e non ha alcuni riferimento a fatti o persone esistenti nella realtà.

L'altro prescelto

La landa sperduta e isolata per centinaia di chilometri era pregna dell'odore del sangue, misto al terriccio bagnato ormai smosso e a quegli odori tipici di ogni battaglia.

Il rombo improvviso e spaventoso che era risuonato sinistro per qualche istante, si era spento lentamente, seguito da quel bagliore verde e accecante che troppo spesso negli ultimi tempi si era potuto vedere.

Ma che forse, con un po' di fortuna non avrebbe più avuto modo di mostrarsi.

Il corpo smilzo e fasciato da una toga nera e strappata in alcuni punti di Lord Voldemort, cadde riverso al suolo lasciando riecheggiare nella landa un lieve tonfo sordo.

Il viso contratto in una smorfia che poteva apparire di rabbia, ma che ad una più accurata analisi mostrava la sorpresa per quell'attacco inaspettato che ne aveva decretato inesorabilmente la fine.

Così il Signore Oscuro era giunto al termine della sua vita, sconfitto dall'arma che più amava usare contro i suoi nemici. Da un'Avada Kedavra, scagliata dal suo rivale, dal prescelto che lui stesso aveva insignito come tale.

Mentre la pioggia continuava a scendere silenziosa, riportando la pace in quel luogo fino a poco prima sconvolto da un'ultima terribile battaglia, un altro corpo crollava per la fatica e le ferite.

Quello dell'uomo che aveva finalmente dato una conclusione alla terribile epoca della Grande Guerra, che durava ormai da più di trent'anni.

 

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Trovarsi in mezzo a tanto gente, così all'improvviso, era stata per lui un'esperienza a dir poco sconvolgente. Eppure sapeva a cosa andava incontro, i suoi genitori l'avevano preparato per tutto quel tempo a ciò che sarebbe stata la sua vita da quel momento in poi.

Ma un conto era spiegarlo a parole e un altro viverlo in prima persona.

Lui che aveva vissuto fino all'età di undici anni, recluso in quella grande abitazione situata in un paesino sperduto nel cuore dell'Inghilterra, si era così trovato nel bel mezzo della stazione di King's Cross a Londra, a far attenzione a non finire travolto dalla folla nervosa e affrettata che si muoveva da ogni parte, incurante di un ragazzino impacciato e del suo voluminoso carrello.

"Neville! Muoviti o perderemo il treno!"

La voce squillante di sua madre richiamò la sua attenzione. Si trovava poco distante da lui ed era accompagnata dal marito, che però si guardava intorno con aria sospettosa.

La signora Longbottom raggiunse con un passo piuttosto affrettato il figlio in evidente stato confusionale e gli posò una rassicurante mano sulla spalla aiutandolo a muoversi e a raggiungere il capofamiglia.

Neville si lasciò guidare dalla madre senza opporsi, guardandosi ancora con circospezione e non riuscendo a comprendere perché mai tutta quella gente avesse tanta fretta. Lui non aveva idea di cosa fosse la fretta. Avendo sempre vissuto rinchiuso in casa aveva sempre avuto la sensazione che tutto il mondo girasse lentamente, come la sua vita familiare. Ma evidentemente doveva essersi sbagliato e di grosso anche. Chissà se anche i maghi erano così o quella era solo una prerogativa dei Muggle.

"Siamo in tempo?" la signora Longbottom parlò ancora in direzione del marito, ma questa volta il suo tono era stato preoccupato. Il suo viso tondo e solitamente vivace e sorridente, era solcato da una profonda ruga sulla fronte. E ormai Neville sapeva bene il suo significato: sua madre era molto ansiosa se non addirittura spaventata per qualcosa. E il suo stato era plausibile, visto che era la prima volta che uscivano allo scoperto dopo tanti anni.

"Alice, sta' tranquilla. Abbiamo ancora dieci minuti buoni, prima che parta." la rassicurò Frank Longbottom, lanciandole uno sguardo incoraggiante. Indicò poi una colonna portante tra i binari 9 e 10. "E poi siamo arrivati, vedi? Il binario 9¾ è proprio oltre quella barriera... non dirmi che l'hai scordato." scherzò l'uomo facendo scintillare gli occhi scuri di ironia.

Alice sorrise bonaria, osservando quello che a Neville parve solo un muro di mattoni. Ancora non riusciva molto a comprendere cosa fosse mai un binario 9¾, visto che lui non era mai entrato prima d'ora in una stazione... e poi perché credeva che le numerazioni fossero più... precise?

Seguì con lo sguardo suo padre, che gli si era avvicinato e si era piegato per arrivare alla sua altezza, dopo avergli posato le mani sulle spalle. "Allora Neville. Una volta superata la barriera ti troverai davanti l'Espresso per Hogwarts. Dopo che ci divideremo, scegliti un posto e buona fortuna. Vedrai che ti piacerà."

Anche sua madre gli si accostò. Quella ruga ancora in bella mostra sulla sua fronte. "Noi saremo nei vagoni di testa, perciò, per qualsiasi cosa non esitare e raggiungerci, ok?"

Neville non fece in tempo a rispondere, perché Frank si alzò in piedi sovrastando il resto della famiglia con la sua altezza. A differenza della moglie che era leggermente più grassottella, costituzione che al momento sembrava avesse ereditato anche il figlio, l'uomo aveva un corpo solido e robusto. Negli anni in cui avevano vissuto da soli, non aveva mai smesso di fare esercizio fisico e in parte aveva coinvolto anche il figlio, nonostante quest'ultimo non fosse mai stato molto disposto a seguirlo. Il signor Longbottom si era passato una mano tra i capelli neri come l'ebano, sospirando con quieta disperazione.

"Alice, ormai è grande abbastanza! E' arrivato il momento che se la veda da solo... non può fare affidamento sempre su di noi."

La donna annuì nervosamente non troppo convinta dalle parole del marito. Ma per lei Neville sarebbe rimasto sempre il suo bambino, sarebbe stato difficile farle cambiare idea e tranquillizzarla così di punto in bianco.

Neville sorrise rassicurante alla madre. Per quanto avesse una paura tremenda di fare l'ingresso in quel mondo che fino ad allora gli era stato a forza precluso, era in parte eccitato e incuriosito dall'idea.

Durante quegli anni aveva sentito tante cose raccontate dai suoi genitori e ora voleva vederle e scoprirle con i suoi occhi.

Prese un profondo respiro cercando il coraggio da qualche parte. "Mamma tranquilla. Io vado."

Alice lo abbracciò ancora una volta e Frank gli batté una mano sulla spalla, mostrandogli un'espressione orgogliosa. Suo padre riponeva grandi speranze in lui. Sapeva che lui non era un bambino come tutti gli altri; fin da piccolo gli era sempre stato detto che lui era speciale, perché avrebbe portato a termine una guerra che andava avanti da molti anni.

Ora, lui non aveva la minima idea di come avrebbe potuto realizzare una cosa tanto grande, ma sapientemente pensò che una volta cresciuto e fatto esperienza tra i maghi, lo avrebbe scoperto.

Mentre percorreva la barriera correndo, come gli aveva consigliato di fare il padre ed entrava ufficialmente nel mondo magico - anche se con un ritardo di undici anni – pensava a quel futuro oscuro e incerto che lo attendeva, ancora incosciente del ruolo che avrebbe determinato nel destino di tutti.

 

 

"Stupido baule! Ma visto che siamo tra i maghi, non potevano creare dei bagagli più piccoli? Così non dovevamo fare tutta questa faticaccia! Ah, ma dovrò cercare qualcosa per risolvere il problema, figurati se in qualche libro non c'è scritto!"

Neville osservò per diversi minuti una bambina che doveva avere la sua stessa età, ma che aveva avviato un'accesa discussione con il suo pesante baule.

La ragazzina aveva dei folti capelli crespi e quando apriva la bocca, mostrava gli incisivi più grandi rispetto al normale. La prima cosa che venne in mente a Neville, fu che la trovava buffa.

Senza farglielo notare – sua madre era stata sempre molto intransigente su questo: con le donne doveva sempre essere gentile – si avvicinò superando alcuni scompartimenti già pieni di quel treno scarlatto e raggiungendo quello in cui cercava di entrare la bambina.

"Non ce la fai?" la domanda uscì spontanea e quando lei si voltò, trovò davanti a sé un ragazzino che indicava il suo antipatico baule.

"Tu che dici...?" la voce le uscì sforzata, perché aveva immediatamente ripresto a spingere il bagaglio dentro il suo scomparto.

Neville si era subito avvicinato per darle una mano. "Aspetta." Diventando praticamente rosso porpora per lo sforzo, riuscì a disincastrarlo da come era stato posto e a trascinarlo dentro, fin sotto i sedili. Poi fece altrettanto col suo, impiegandoci più o meno lo stesso tempo e gli stessi sforzi... oltre al doloroso colpo sul ginocchio che si era dato per sollevarlo.

Quando alla fine optò per calciarlo sotto i cuscini, procurandosi anche un fastidioso dolore all'alluce, si sedette con un sospiro stanco.

Solo a quel punto notò che la bambina lo stava osservando con aria divertita. "Ti ringrazio, sai? Sei stato molto gentile. A dire la verità credevo che non sarebbe venuto nessuno ad aiutarmi e invece sono stata fortunata, davvero."

Neville arcuò entrambe le sopracciglia riflettendo sul fatto che quella bambina parlasse davvero troppo.

"D-di niente..." mormorò perplesso, sedendosi più composto.

Il treno fischiò e prese a muoversi prima lentamente per poi aumentare la sua corsa. Lui lanciò un'occhiata al finestrino, prima di rivolgersi ancora alla nuova conosciuta.

"Ah, comunque il mio nome è Neville. Longbottom."

Porse la mano che la sconosciuta prese immediatamente, stringendola forte e sbatacchiandola. "Oh, molto piacere! Io sono Hermione Granger. Sei anche tu un Muggleborn? Perché io non sapevo niente dell'esistenza dei maghi! Ma ho letto che la scuola in cui andremo è la migliore, pensa! I miei genitori sono rimasti allibiti quando mi è arrivata la lettera, e poi..."

Il ragazzo si rilassò sul sedile, annuendo attonito a quel fiume di parole. Non sapeva quanto lungo fosse il viaggio, ma aveva paura che per tutta la sua durata, quella nuova conosciuta non avrebbe mai smesso di parlare.

 

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Dapprima un ticchettio piuttosto lontano si fece strada nella sua mente. Era vago e confuso e non riusciva a capire da dove venisse. Quando però il rumore si fece più costante e fastidioso, la sua mente cercò di capire la sua provenienza. Fu così che si rese conto di essere ancora vivo e lentamente aprì gli occhi ormai conscio di aver ripreso i sensi.

La luce non gli ferì gli occhi; proveniva da un lato molto distante da dove era disteso e sopra di lui un telone rosso scuro impediva alla poca illuminazione di entrare in quel luogo.

Intorno a lui tutto era buio e silenzioso, tranne che per quel ticchettio e per un rumore sordo che proveniva da fuori. Quando prese un grosso respiro il profumo della pioggia gli riempì le narici, dando risposta a quella domanda non proferita.

"Neville..."

Un sussurro, appena pronunciato gli avvisò l'arrivo di qualcuno. Voltò lentamente il capo da un lato non permettendosi altro movimento, visto che assieme alla coscienza era tornato anche il dolore per le numerose ferite che si era procurato.

Gli occhi scuri si posarono su una figura minuta che si accostò velocemente, sedendosi sul suo lettino.

Riconobbe in quella capigliatura rossa e in quegli occhi color del miele la sua amica Ginny Weasley. Aveva delle pesanti occhiaie sotto gli occhi e il volto che un tempo era stato gioviale e perfetto, era segnato da alcune rughe. Sembrava molto stanca e sicuramente la sua mente era rivolta a qualche preoccupazione. Sorrideva però, anche se non più di quel sorriso allegro... la sua espressione era più profonda, grave e Neville riuscì a scorgere anche una piccola nota di amarezza in quel gesto.

Provò a muoversi nonostante la fatica, ma Ginny riuscì a fermarlo per le spalle. "No no, stai buono! Adesso risposa Neville. Ormai è finita. E' finito tutto."

Restarono a fissarsi negli occhi per alcuni lunghi istanti. E ora che guardava bene, notò qualcos'altro nell'espressione di Ginny. Sollievo.

Di colpo le immagini di quello scontro gli tornarono in mente; la landa desolata, l'Avada Kedavra, Voldemort senza vita... tutta la confusione si trasformò in una serie di sequenze nitide riportando a galla ciò che era accaduto.

La sua reazione fu quella di rilassarsi sui cuscini continuando a scrutare lo sguardo della donna. Socchiuse gli occhi quando Ginny gli accarezzò dolcemente la fronte.

"Adesso riposa... te lo sei meritato."

Quelle carezze gentili ebbero l'effetto di cullarlo e ancora una volta perse i sensi.

E' finito tutto... la guerra è finita...

 

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"Credo sia il caso di aumentare il passo. Non vorrei fare tardi, sai?"

Neville annuì in silenzio alle parole di Hermione, seguendola lungo la via assolata che portava al villaggio di Hogsmeade. Non che non avesse voglia di arrivare il prima possibile, ma la temperatura mite di quel mese primaverile e la vegetazione ormai rigogliosa lo invogliava di più a godersi quella passeggiata mattutina, prima di chiudersi in casa per gran parte del giorno.

Quelle visite ad Hogsmeade erano molto frequenti, ormai. Il preside Albus Dumbledore aveva permesso ai ragazzi di scendere al villaggio per vedere le proprie famiglie, molto più spesso. La maggior parte degli studenti che frequentavano ancora Hogwarts infatti, faceva parte delle famiglie della resistenza che combattevano per l'ormai famoso Ordine della Fenice e che avevano fatto della scuola e del villaggio la loro base operativa. Ma Neville era convinto che in parte il vecchio preside, preferisse lasciare ai suoi compagni in quella guerra, la possibilità di vivere quanto più era loro concesso assieme ai propri cari.

La Grande Guerra mieteva molte vittime, sempre con più costanza e anche se in mezzo a quei posti sperduti e lontani sembrava di vivere in un mondo completamente diverso, le notizie delle stragi compiute dagli accoliti di Lord Voldemort e il dolore straziante per le perdite giungevano spietati fino a quei lidi.

Lui, Neville, era colui il quale era destinato a porre fine a quella lotta che sembrava fosse diventata eterna.

Ma non conosceva né il modo, né le capacità con cui avrebbe potuto compiere un gesto tanto grande. Dopotutto non era che un bambino di soli dodici anni, con alle spalle appena un anno e mezzo di scuola in quella grande accademia di Magia. Non aveva particolari doti o grandi interessi. Anzi, a dirla tutta delle volte era anche un po' sotto la media rispetto ai suoi compagni.

Superava sempre per il rotto della cuffia le innumerevoli prove a cui durante l'anno erano sottoposti. Senza contare che trovava lo studio e gli allenamenti fisici estremamente pesanti.

Ripensandoci adesso si chiedeva spesso come mai quella sera, quando si trovò per la prima volta in quel posto, la Porta dei Degni, non lo avesse scartato.

Era da quell'entrata custodita da un oscuro incantesimo che si giudicava chi fosse 'Meritevole' o meno di entrare a far parte della scuola.

In realtà quella soluzione era nata come misura di difesa. Molti figli dei più crudeli Death Eater avevano in passato avuto accesso alla scuola senza alcun problema e in seguito ne avevano minato le basi, creando non pochi problemi.

Così il Preside aveva deciso di precludere Hogwarts a chi non fosse ritenuto valido a frequentarla e a permettere a quegli studenti scartati – che erano in sostanza i malvagi di cuore e spirito, secondo l'iscrizione incisa in cima alla Porta – di frequentare un'altra scuola magica gestita da tutt'altra amministrazione.

Ma Neville era passato, nonostante tutto, perciò anche se non sembrava, era comunque adatto a frequentare quella scuola.

"Ragazzi, ve la prendete comoda?"

Una voce maschile particolarmente allegra, aveva interrotto Neville dai suoi pensieri. Si era voltato assieme ad Hermione, riconoscendone il suo padrone che trottava con passo rapido lungo la strada selciata. Ronald Weasley rivolgeva ai due ragazzi un sorrisetto divertito, mentre camminava assieme al suo amico di sempre Harry Potter.

"Mica tanto." replicò prontamente Hermione, fermandosi e spostando il peso del corpo su un piede. Come sempre, quando si trattava di parlare con quei due, la piccola maga assumeva la sua solita aria sprezzante e petulante. Non che non li sopportasse, ma Harry e Ron avevano un modo di fare e di comportarsi che non sempre a lei andava a genio.

"Insomma, dovremmo essere lì per le dodici e mancano poco meno di tre quarti d'ora! Sarebbe il caso di arrivare un po' prima per vedere se le vostre mamme hanno bisogno di aiuto."

A quelle parole sia Harry che Ron avevano sbuffato sonoramente. Avevano raggiunto lei e Neville e si erano fermati per qualche istante, nonostante avessero l'aria di chi va di fretta.

Anche Neville aveva avuto l'impulso di fare altrettanto, ma solo il grande rapporto di amicizia che aveva con la ragazza, glielo aveva impedito. Hermione alla fine era un po' come lui.

Per un modo o per un altro nessuno dei due era stato in grado di farsi dei veri amici. Sì, c'erano Harry e Ron, ma i due maghi erano già amici per la pelle tra di loro. Si conoscevano da molto prima che iniziasse la scuola ed era difficile potersi inserire in quel duetto già così ben avviato.

La piccola Granger invece, c'era sempre. Pronta ad aiutarlo quando aveva difficoltà con i compiti – anche se continuava a lamentare per tutto il tempo la sua poca propensione allo studio – e ad essergli di conforto nei momenti di scoraggiamento, era diventata una figura essenziale della sua vita.

Questo era un fattore determinante. Hermione sapeva. Come anche Harry, Ron e qualcun altro più vicino a lui erano a conoscenza del fatto che lui fosse il prescelto.

All'infuori di quella cerchia ristretta, nessun altro conosceva quel segreto. Persino Voldemort sapeva del prescelto, ma non era al corrente del fatto che fosse ancora vivo e al sicuro ad Hogwarts.

Dei Longbottom si erano perse le tracce molti anni prima, quando si erano nascosti in una tenuta celata da un Incanto Fidelius. E quando per Neville era giunto il momento di entrare a scuola, il trasferimento era stato fatto con estrema tranquillità, in modo da non dare nell'occhio.

E con la protezione data alla struttura, favorita anche dalla selezione che faceva la Porta dei Degni, il loro ritorno nel mondo magico era passato totalmente inosservato.

E Lord Voldemort non sembrava preoccuparsene più di tanto. L'orrore e la distruzione che seminava lo rendevano abbastanza sicuro di sé per non temere uno sconosciuto senza abilità che avrebbe dovuto annientarlo.

"Fate come volete, ragazzi. Noi andiamo a farci un giro, prima di pranzo. Poi non ci sarà più tempo, se no." Harry aveva deciso di chiudere la questione e imitando un saluto militare, si era congedato assieme all'amico riprendendo quella corsetta.

Neville evitò di informare Hermione che non gli sarebbe dispiaciuto seguirli, ma pensò che avrebbe potuto farlo, una volta raggiunto Hogsmeade.

"Tsk! Scansafatiche." commentò la riccia, prima di riprendere a camminare.

Il ragazzo preferì ancora una volta stare in silenzio. Non era il tipo che sprecava molte parole – come invece era Hermione – perciò decideva di parlare, solo quando lo riteneva opportuno.

Non avevano fatto che pochi passi, però, quando un'altra vocina, molto più alta e tenue, aveva interrotto il loro cammino.

Una figuretta dalla chioma rosso fuoco stava correndo ad una velocità improponibile, agitando di tanto in tanto le braccia. "Ehi! Aspettatemi!"

Ginny Weasley li aveva sorpassati salutandoli frettolosamente, prima di continuare nel disperato tentativo di raggiungere il fratello più grande e il suo amico.

"Andava di fretta..." constatò Longbottom, leggermente stupito.

Hermione sospirò scuotendo la testa. "Già... povera Ginny."

L'espressione dell'amico si era fatta ancora più confusa. "Povera?" chiese non riuscendo a collegare quell'appellativo al fatto che Ginny inseguisse i due ragazzi.

Evidentemente però, doveva saperlo, perché la strega lo guardò con aria saccente e schioccò la lingua. "Ma insomma, a voi uomini bisogna proprio spiegarvi tutto, eh."

"Solo i vostri assurdi misteri." replicò aspro lui. Per quanta pazienza avesse, delle volte non riusciva proprio a sopportare l'amica.

Hermione fece finta di niente; scosse la testa e allargò le braccia, soffermandosi ad osservare per alcuni istanti il cielo azzurro, chiazzato qua e là da qualche nuvola bianca.

"Neville, Ginny è cotta di Harry."

Il tassello mancante si posizionò nel punto esatto in cui mancava una spiegazione logica. Non era difficile capire il motivo per cui Hermione fosse in pena per la piccola rossa e forse anche perché era stata così diretta nella replica.

Harry e Ron si conoscevano da anni, erano sempre cresciuti assieme e Ginevra aveva sempre voluto un posto in quel duo ben consolidato.

Della numerosa famiglia Weasley, Ron e Ginny erano i figli più piccoli e la loro differenza di età si esauriva ad appena un anno. Per questo motivo la piccola aveva sempre voluto seguire il fratello in ogni circostanza.

E ora, se Hermione ci aveva visto giusto, era anche cotta di Harry, cosa che sicuramente peggiorava di molto la situazione.

"Uhm... beh sì, hai ragione. Credi che Harry se ne accorgerà mai?"

Lo sbuffo sarcastico della ragazza era stato chiaro. "Figuriamoci. Per ora la considererà una palla al piede... proprio come suo fratello." il suo tono era stato duro. Di certo quello che sapeva della rossa Weasley non migliorava l'opinione che lei aveva dei due compagni.

Neville sospirò. Preferì non approfondire la discussione, non tanto perché non sapesse cosa dire all'amica, quanto perché sapeva che in fondo – ma molto in fondo - la Granger avesse iniziato a considerare come amici i due giovani maghi. E lei, che di amici aveva praticamente solo lui, non doveva essere molto scontenta della cosa.

"Ragazzi, siete in anticipo!"

Ben presto le casupole di Hogsmeade si erano fatte sempre più vicine, fino a che la porta d'ingresso della nuova casa Longbottom non si era aperta, rivelando la figura di Alice.

Neville abbracciò sua madre, dopo che questa ebbe salutato Hermione e che furono entrati nell'abitazione.

"Volevamo darle una mano! Insomma, saremo in tanti e magari avrete bisogno di aiuto..."

"Ma non c'era bisogno... siamo già in tre..." la donna apparve vagamente in imbarazzo dall'ostinazione della ragazzina, perciò alla fine si decise ad un sospiro.

"E sia, se vuoi resta con noi. Darai una mano a governare la tavola." le diede una pacchetta sulla spalla, incitandola verso il corridoio. "Va' a lavarti le mani!"

Neville osservò sorridendo sotto i baffi la scenetta. Hermione riusciva a mettere soggezione in sua madre con una facilità incredibile.

"Mamma... io andrei con i ragazzi, se per te va bene."

Capitava molto spesso ormai, che in quei giorni di visita i suoi genitori, assieme a quelli di Ron, Harry e di altri compagni, si riunissero per pranzare tutti assieme. Era diventata quasi una consuetudine dopo tutte quelle settimane.

Alice squadrò il ragazzo per qualche istante, prima di sorridere e di avvicinarsi. "Com'è andata questa settimana?"

Il figlio scrollò le spalle, sbuffando. "Al solito..."

"Sei pentito? Avresti voluto tornare alla tua vecchia vita?"

"Mamma, me lo chiedi ogni volta!" si lamentò il ragazzo, lasciandosi accarezzare la testa. L'apprensione di Alice non si sarebbe mai esaurita, di questo Neville ne era convinto.

"E continuerò a farlo, perché mi preoccupo per te!"

"Mamma no!" fece una pausa, in cui incrociò lo sguardo tanto simile al suo di sua madre. "No." continuò con un tono di voce più sereno. "Questa è la mia vita ormai... e non voglio cambiarla."

Alice sorrise nervosamente. "D'accordo... d'accordo. Ora va' dai tuoi amici. Vi aspettiamo più tardi." mormorò tutto d'un fiato.

Il ragazzo le sorrise incoraggiante. "Tranquilla, davvero. Io sono felice."

La donna parve più rassicurata, perciò si congedò dal figlio adducendo la scusa di avere ancora parecchio lavoro da sbrigare. Neville la osservò mentre si allontanava, ma prima di aprire la porta e raggiungere i suoi amici, scorse suo padre che lo guardava dall'altra parte della stanza, fermo sull'uscio che dava sulla sala da pranzo.

E se ne rese conto subito. Da quando aveva memoria, non aveva mai visto suo padre, guardarlo in quel modo. Era veramente orgoglioso di lui.

 

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Quando Neville aprì gli occhi, si trovò davanti un soffitto tutto bianco. Il telone rosso scuro non c'era più da diversi giorni ormai, perché l'ospedale provvisorio che era stato allestito nelle vicinanze del campo di battaglia, era stato smantellato e tutti i degenti erano stati trasferiti al St. Mungo. Al Nuovo St. Mungo per l'esattezza.

Il primo, quello famoso nascosto dietro una vecchia fabbrica, era stato raso al suolo dai Death Eater qualche anno prima.

Neville ricordava ancora bene tutta la vicenda. Era stato quello il giorno in cui si era ritrovato per la prima volta a combattere una battaglia che al suo termine era stata considerata come una delle più grandi sconfitte dell'Ordine della Fenice.

Comunque il New St. Mungo, era stato edificato in un luogo segretissimo, sconosciuto persino ai degenti stessi. Nemmeno lui sapeva dove si trovava e non aveva mai voluto informarsene, vista l'avversione che aveva per quel posto. Erano legate a quella struttura, tutte le esperienze più dolorose della sua vita, dopotutto...

"Signor Longbottom."

Si voltò accogliendo l'arrivo della Guaritrice stringendo le labbra. Era una donna sulla quarantina, bionda e forse ancora attraente dietro quelle pesanti occhiaie che le scurivano il volto e lo invecchiavano di molto. Aveva un'aria familiare... forse era stata una sua vecchia compagna ai tempi della scuola.

Quel periodo era così lontano e confuso nella sua mente che gli sembrava fossero passati secoli da quando aveva frequentato Hogwarts.

"Come si sente, oggi?" domandò la donna, dando uno sguardo alla cartellina appesa ai piedi del letto e poi dirigendosi verso un macchinario che monitorava Neville.

"Come ieri, sempre stanco..." mormorò sospirando lui. Si passò una mano sulla fronte, seguendo i movimenti della Medimaga. Non ricordava il suo nome - glielo aveva mormorato quando era ancora semi-cosciente - e forse era il caso di evitare di fare gaffe.

Quel pensiero gli riportò alla mente il fatto che nei primi giorni non era stata lei l'incaricata ad assisterlo, ma Ginny;

non che si potesse lamentare... insomma, avrebbero potuto anche assegnargli un uomo, però la causa che sapeva ci fosse dietro quell'abbandono lo intristiva.

"Ha notizie del signor Potter?" chiese mal celando un nota di speranza nella voce, che puntualmente non riusciva ad evitare.

La Guaritrice non parve sorpresa da quella domanda. Accennò un sorriso che non illuminò i suoi occhi azzurri. Una fitta nel petto di Neville gli ricordò quando male avesse fatto quella guerra. "I medici sono ottimisti. Ha perso l'uso del braccio, ma non appena avrà la forza per scendere dal letto inizierà la riabilitazione per riprendere a camminare."

"Sì, sì... questo lo so... ma reagisce bene? Ha ripreso a parlare?"

La donna rilasciò un lungo sospiro. "Dice qualcosa... ma il colpo alla testa è stato molto forte. Però ieri sera ha fatto capire di aver riconosciuto Ginny. Avrebbe dovuto vederla, ha fatto uno sforzo tremendo per non scoppiare a piangere: è la prima buona notizia che riceve, dopo la morte di suo fratello..."

I suoi occhi si erano velati di lacrime. Neville sorrise incoraggiante a quella Guaritrice che sfidava il segreto professionale per informarlo delle condizioni del suo amico e posò delicatamente la mano su quella della strega, abbandonata sul letto.

"Grazie."

La Medimago scosse le spalle, tirando su col naso per riprendersi. Lasciò andare la mano di Neville e poi tornò alla cartellina, su cui segnò i nuovi dati.

"Si ricordi che rischio molto a riferirle queste cose, faccia finta di niente." si passò una mano sugli occhi, cancellando definitivamente le tracce di pianto dal viso. Abbozzò poi un sorriso verso l'uomo. "Comunque le ferite che ha riportato si stanno rimarginando... e per quanto ne dica mi sembra che le forze le stiano ritornando. Credo che in poco tempo potrà uscire da qui, signor Longbottom."

Quelle parole erano arrivate come una manna dal cielo. Un senso di sollievo gli liberò il petto e sembrò che le parole della strega lo avessero convinto a tal punto da fargli cambiare idea.

Solo un po' di pazienza e poi sarebbe stato fuori da lì. Era ad un passo dal poter finalmente vivere una vita normale.

Se solo le persone che amava fossero state al suo fianco...

 

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Le urla e gli strepiti gli risuonavano nelle orecchie stordendolo. Neville si voltò a destra e poi a sinistra, in cerca di un nemico da abbattere o di un compagno da aiutare.

Intorno a lui ormai non c'era più nulla di integro. Mura diroccate e colonne crollate facevano da scenario, assieme al gran caos che lo circondava e ai numerosi focolai che sembravano non volersi spegnere fino a che non avessero inghiottito tutto.

Tossì quando inalò l'aria intrisa di fumo e di calcinacci che quasi lo soffocarono. Era nauseante restare là dentro, i Death Eater avevano fatto piazza pulita di ogni cosa e avevano mandato tutto in frantumi.

Quando ormai si era convinto ad uscire fuori da lì, un lamento catturò la sua attenzione. Corse in fretta verso un cumulo di macerie, sentendo il cuore battere forte. Una persona ancora in vita.

Usò la bacchetta per sollevare quelli che una volta erano i muri del grande e famoso ospedale del St. Mungo, ma quando la voce si spense prese ad usare anche le mani, con foga.

Ignorò il sangue che usciva dai profondi tagli che si era procurato sulle dita, lo stava già facendo da parecchio con quello terribile che gli deturpava la guancia fin sopra lo zigomo, non sarebbe stato difficile.

Col fiato grosso e l'aria sconvolta sollevò finalmente l'ultima pietra che mostrò il corpo di un uomo.

"Ehi... ehi! Sveglia! Avanti!"

Biascicò parole sconnesse, con un tono più alto nella voce, mentre scuoteva quella vittima. Gli ci volle qualche minuto per rendersi conto che la vita non fluiva più in quel corpo e che non era riuscito a salvarlo.

Si lasciò sfuggire un grido di rabbia, quando lo lasciò con un ultimo scossone. Strinse i denti fin quasi a farsi male, mentre la frustrazione aumentava.

"No..."

Non c'era riuscito. Un'altra vita strappata per colpa di quegli assassini.

Urlò di rabbia, rialzandosi in piedi. Non avrebbe mai immaginato che la frustrazione e l'angoscia potessero essere così opprimenti. Era solo la sua prima battaglia... quando mai si sarebbe abituato a tutta quella desolazione?

Quando avrebbe smesso di versare lacrime di impotenza per tutto quello?

E lui avrebbe dovuto porre fine a tutto? Lui che a malapena era in grado di difendersi?

Senza prendersi la premura di asciugare le lacrime, prese a correre fuori da quello che rimaneva dell'edificio. Doveva combattere... non poteva permettersi di singhiozzare senza fare niente. Era lui il Prescelto, lui doveva salvare tutti quanti.

E non lo sarebbe mai diventato se fosse rimasto lì fermo a piangersi addosso.

Uscì allo scoperto, ritrovandosi ben presto nel cuore dello scontro. Era difficile distinguere i compagni dai nemici, ma si scagliò comunque nella mischia determinato a reagire.

Intraprese immediatamente una lotta contro un incappucciato che gli si era parato davanti senza preavviso e fu con non poca difficoltà che riuscì a liberarsene, schiantandolo contro un palo della luce. Per quanto fossero anni che allenava per affrontare quella guerra, mai come in quel momento si rese conto di quanto fosse difficile e diverso.

Quella era la realtà, non un combattimento di simulazione assieme ai suoi compagni.

"Neville, fai attenzione!"

Ron richiamò la sua attenzione, costringendolo a voltarsi di colpo. Fu un colpo di fortuna, perché se non avesse visto in tempo quel fascio di luce verde, per lui sarebbe stata la fine.

"Cazzo..." rotolò su un fianco, imprecando. Cercò di riprendere fiato, rialzandosi in piedi e fronteggiando il nemico che aveva cercato di colpirlo. "Diffindo!"

Ancora un'altra imprecazione quando il colpo prese solo di striscio l'avversario. Questi infatti, ritrovandosi con un lieve quanto inutile taglio sulla spalla, reagì colpendolo a sua volta con una maledizione. Neville non riuscì ad mancare totalmente l'incantesimo, che finì col rendergli un braccio quasi del tutto inerme.

Sicuramente sarebbe morto se la rabbia, non gli avesse permesso un'azione così veloce che il Death Eater non si aspettò; con un ultimo sforzo gli lanciò un Bombarda che gli fece esplodere la rotula del ginocchio, mandandolo al tappeto in un lago di sangue e di dolore.

Avrebbe certamente concluso la sua opera schiantandolo, se una voce non gli avesse impedito di portare a termine ciò per cui si era prefissato. Non l'aveva mai sentita prima d'ora, ma il tono e il timbro non gli diedero modo di sbagliarsi.

"Neville..? Ma allora ci conosciamo."

Restò ad osservare come fulminato gli occhi rossi e maligni dell'essere di fronte a lui. Immediatamente tutto quello che aveva intorno, perse interesse, mentre il terrore puro si faceva strada nel cuore.

Lord Voldemort gli stava davanti, leggermente sorpreso per quella presenza inaspettata, ma soprattutto divertito dalla strana coincidenza.

Erano anni che non presenziava ad un attacco. E quello era il primo a cui partecipava il Prescelto.

Neville restò impietrito per alcuni lunghi minuti, fissando il Signore Oscuro, sconvolto. L'aveva riconosciuto; la tranquillità di cui aveva goduto per anni si era infranta. Ora doveva vedersela da solo.

Serrò con forza la bacchetta, avvertendo l'angosciante sensazione di avere il cervello completamente vuoto. Quale incantesimo avrebbe potuto usare per contrastarlo? Con quali forze avrebbe combattuto contro colui che terrorizzava il pianeta da anni?

Lui non era pronto...

"Ma quale curioso sincronismo... a quanto pare non ti eri poi dileguato nel nulla, eh?" Voldemort aveva un tono di voce pungente; sapeva di stare giocando con un incapace e questo lo divertiva parecchio.

"S...Stupeficium!" esclamò senza pensare, puntandogli contro la bacchetta.

L'Oscuro si lasciò andare ad una risata un attimo dopo aver rimandato lontano il misero attacco del ragazzo. "E tu saresti il Prescelto?" domandò ironico, puntandogli a sua volta contro l'arma. "Crucio."

Non ricordava di aver mai provato tanto dolore in vita sua. Fu come se il suo corpo si rivoltasse come un calzino, mentre nello stesso momento si rattrappiva. Giurò di aver implorato che finisse, ma non seppe se quei pensieri si fossero tramutati o meno in parole.

Seppe solo che qualche istante dopo, che a lui parve infinito, la tortura cessò e il suono di una voce familiare lo aveva scosso dal suo stato.

"Lascialo andare!"

Cercò di trovare le forze per incontrare il volto di suo padre che accorreva in suo aiuto. Il braccio colpito precedentemente sembrava morto, riverso contro il terreno e tutto il corpo era scosso da fremiti per il dolore.

Papà...

"Ma bene... la famiglia al completo. Tu sei Longbottom, vero? Siete stati furbi a nascondervi, molto astuti." l'essere annuì lentamente, ma il suo tono era evidentemente mirato a prenderli in giro. Sogghignò infatti, accendendo, se possibile ancora più di cattiveria i suoi occhi sanguigni. "Ma vi siete solo illusi, se questo è il risultato." indicò Neville che cercava ancora goffamente di alzarsi.

Quelle parole erano state troppo per Frank, che si era scagliato subito dopo contro l'Oscuro, urlando di rabbia.

"Non ci riuscirai." aveva sentenziato Voldemort senza scomporsi. Era scomparso giusto in tempo per evitare l'incantesimo lanciato dall'uomo, per poi riapparire poco più indietro. Il sorriso tronfio ancora fisso sul suo volto.

Neville non aveva mai visto suo padre così infuriato... e lo era per lui.

Frank era sempre stato orgoglioso di suo figlio, sempre e comunque. Non aveva mai creduto a chi non gli dava speranza che sarebbe migliorato e anzi aveva sempre avuto fiducia nelle sue capacità. Perché sapeva che un giorno sarebbe arrivato a porre fine a quella inutile guerra.

"Siete solo degli sciocchi, solo degli-" le parole di scherno di Voldemort si spensero all'improvviso, con la sua scomparsa.

Quello che vide Neville fu solo un fascio di luce verde, superare il punto in cui l'oscuro era scomparso e arrivare direttamente contro il petto di Frank. Negli istanti lenti e inesorabili in cui registrò cosa stesse per accadere, riuscì a volgere il collo vero il punto in cui era provenuta l'Avada Kedavra.

E fu con orrore che scoprì la mano dell'assassino di suo padre.

"Harry...."

A pochi metri, fisso, con l'aria sconvolta e la bacchetta ancora puntata verso di loro, stava Harry Potter.

"E questi sarebbero i salvatori del mondo magico?!" la domanda inesorabile e maligna giunse dalle labbra di Lord Voldemort, che riapparso poco lontano, era scoppiato a ridere in maniera agghiacciante, piacevolmente rallegrato dalla scena a cui aveva assistito.

Harry iniziò a scuotere la testa nervosamente e ad arretrare. "N-no... no, no... non l'ho fatto apposta... no..."

Il cuore di Neville batteva furiosamente nel petto, mentre i suoi occhi si spostavano sfuggenti dall'amico a suo padre, riverso senza vita per terra.

Papà....

"Papà!!" gridò non riuscendo a capacitarsene. Senza pensare a nient'altro che a quello che vedeva, il viso stravolto, intraprese una dolorosa corsa verso di lui. Ma non si rese conto che l'Oscuro, soddisfatto di quanto era accaduto, si era allontanato, permettendo alla battaglia di spostarsi anche lì dove fino a poco prima nessuno aveva osato avvicinarsi.

Fu così che non notò chi aveva pensato bene di approfittare della disattenzione per attaccare; si ritrovò improvvisamente a perdere la vista, avvertendo un forte dolore dietro la nuca. Tutto quello che ricordò, fu il terreno duro che si avvicinava e quel che restava di suo padre, giacere poco lontano senza che fosse riuscito a raggiungerlo.

 

 

"Dov'è?! Dov'è?!?!"

Le porte di legno di quella piccola infermeria di Hogsmeade, si aprivano di scatto senza bisogno che Neville le toccasse.

Ogni corridoio o stanza vuota che trovava, era un incentivo a riprendere la sua ricerca sempre più rabbioso. Doveva trovarlo... voleva prenderlo e fargli del male... voleva che provasse lo stesso dolore che stava provando lui in quel momento.

"Neville, per favore, fermati!"

Dietro di sé le voci sconvolte dei suoi amici lo seguivano senza lui le sentisse realmente. Da quando aveva ripreso i sensi, aveva avuto un solo obiettivo e nessuna intenzione di fermarsi.

Quando finalmente scorse una familiare capigliatura scarmigliata, aumentò il passo fino a raggiungere Harry Potter.

"Cos'hai fatto?! Come hai potuto?!"

Gli strepiti e la furia non gli fecero notare l'aria sconvolta che aleggiava sul viso del compagno. Harry era semplicemente disperato, aveva ancora negli occhi, tenuti fissi e allargati in un'espressione spaventata, l'immagine del signor Longbottom che veniva colpito a tradimento dalla sua maledizione.

Non reagì, né parlò, quando Neville lo prese per il collo, mandandolo a sbattere contro il muro freddo.

Il giovane mostrò i denti con rabbia, mentre con lo sguardo carico di odio, lo scrutava quasi a voler leggere nella mente i motivi per cui avesse commesso un simile atto.

"Maledetto... maledetto!!" colpì il ragazzo con un pugno ben assestato, che gli fece anche cozzare la testa contro la parete.

Avrebbe continuato la sua opera, se diverse mani non lo avessero acchiappato per le spalle, cercando di allontanarlo.

"Neville, ti prego!"

"Non l'ha fatto apposta! E' stato un incidente!"

"Tuo padre si trovava sulla traiettoria, lui non-"

"Quindi è stata colpa di mio padre?!" abbaiò lui, rosso in volto. Si scrollò le spalle così violentemente, che riuscì a divincolarsi, fronteggiando tutte le persone che avevano cercato di fermarlo.

C'era Hermione davanti a tutti e un po' più indietro riconobbe Ron e Ginny, che si affrettò poco dopo a raggiungere Harry e a soccorrerlo. Il giovane aveva l'aria più sconvolta di prima, ma non accennava ancora a reagire.

"Noi non volevamo dire questo!" replicò Hermione risentita. Aveva l'aria afflitta, un grosso taglio sul sopracciglio e le guance solcate da lacrime che si erano asciugate lasciando scie salate.

"Neville, è stato un incidente, credici, l'abbiamo visto."

Ma il ragazzo sembrava non voler sentire ragioni. "Era mio padre, maledizione!! Ed è morto, lo vuoi capire?! Ed è tutta colpa sua se è successo!"

"Neville, no-"

Il verso strozzato che uscì dalla sua gola per richiamarlo, non sortì alcun effetto. Neville se ne andò cozzando contro di lei e Ron e si allontanò a passo spedito, senza aggiungere altro e con aria funerea in volto.

Non vide le lacrime che la ragazza riprese a versare. Né si premurò di controllare in che condizioni fosse Potter.

Ormai per lui non esisteva più.

 

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Ancora un'altra cucchiaiata di quella robaccia e avrebbe davvero dato di stomaco. Al diavolo l'ospedale e i suoi cibi sani!

Erano quelli i pasti che lo avrebbero rimesso in forse?

Scostò il vassoio posato sul carrellino allontanandolo completamente dal letto, non risparmiandosi una smorfia più che disgustata. Non avrebbe ingerito più simili schifezze... meglio la fame a quel punto.

Aveva fatto per rubare una caramella dal comodino, quando una voce proveniente dal corridoio l'aveva distratto.

"Non correre, Speranza!"

Non solo il timbro molto familiare di voce, quanto il nome che era stato pronunciato, catturò completamente la sua attenzione, donandogli improvvisamente un'aria felicemente sorpresa.

Qualche passetto veloce sul pavimento e sulla soglia comparve una figuretta riccia dall'aria vivace. Gli occhi brillavano, mentre spalancava la bocca, allegramente.

"Papà!!"

Mentre la piccola riprendeva a correre verso di lui, ebbe il tempo di mettersi seduto e di allargare le braccia. "Ehi!" nonostante la debolezza, riuscì a prenderla per le spalle, quando aveva iniziato goffamente ad arrampicarsi sul letto. "Il mio piccolo truciolo!"

Speranza Longbottom si accucciò contro il petto del padre, stringendo per quanto possibile con le manine, il suo pigiama grigio.

"Mi sei mancato tanto papà..."

Era stato sentendo un moto di commozione che aveva baciato la testolina ricciuta come quella di sua madre.

Il suo piccolo truciolo... Merlino solo sapeva quanto le era mancata in quei giorni.

"Uff... quella bambina riesce sempre a sfiancarmi... qualche giorno farai svenire la nonna, tu." l'ammonizione arrivò da Alice, giunta finalmente sull'uscio della camera con il fiato corto.

Neville sollevò lo sguardo, sorridendo a sua madre, mentre continuava ad accarezzare la nuca della figlia che si beava della sua vicinanza dopo il lungo periodo di lontananza.

"Scommetto che non è stata ferma un attimo, dov'eravate nascoste." ipotizzò scherzoso l'uomo, accogliendo un bacio sulla fronte di Alice, che si era avvicinata subito dopo.

La trovò più invecchiata del solito. Eppure erano solo poche settimane che non si vedevano. Ma le rughe profonde che si erano aggiunte a quella famosa sulla fronte denotavano quanto fosse stanca e affaticata.

La guerra non aveva risparmiato nessuno, men che meno Alice Longbottom che aveva avuto a che fare con le sue conseguenze già molti anni prima.

Il sorriso pacioso che le illuminò il volto però, distolse l'attenzione da quell'abbrutimento. "Puoi scommetterci! Per tutto il tempo ha cercato un modo per venir via e tornare da te! Non sapevo più come fare a fermarla!"

"Non è vero! Volevo solo fargli vedere che ero forte!" si lamentò subito la piccola, piccata. Mentre tratteneva a stento una risata, Neville notò le guance rosee di Speranza imporporarsi di imbarazzo.

Era sempre stata così, la sua bambina. Determinata, intelligente e coraggiosa; ma capace di intenerire chiunque con la sua dolcezza.

Come lo era sua madre del resto.

Neville lo aveva detto scherzosamente il giorno stesso in cui era nata tra il caos generale, ma anche se ormai Speranza avesse solo cinque anni, nessuno avrebbe potuto non rendersi conto di quanto assomigliasse ad Hermione.

E lui le amava entrambe, considerandole i tesori più preziosi che avesse al mondo. Solo con loro due aveva vissuto i momenti più sereni e felici della sua vita ed erano stati gli unici incentivi a non arrendersi nemmeno quando la situazione si era fatta insopportabile.

Accarezzò il visetto della bambina, rivolgendole uno sguardo dolce. Era per lei che aveva riportato la pace... era per quella piccola vita che portava il nome di ciò che mai aveva perso in tutti quegli anni perché erano sempre state lei e sua moglie a ricordarglielo, se adesso aveva davanti il futuro tanto agognato.

E non avrebbe deluso chi si era sacrificato per permetterlo.

 

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Il rumore del sacco si univa a quello del respiro affannoso nella piccola palestra. Quel locale era poco frequentato: di solito i membri dell'ordine si allenavano in un posto molto più grande e attrezzato, adatto alla dura preparazione ai combattimenti.

Ma quel posto era considerato da tutti un rifugio dallo stress quotidiano, dove potersi sfogare ogni qualvolta gli oneri e i corsi diventavano opprimenti e la vita sembrava solo un enorme ammasso di merda.

Proprio come appariva a Neville in quel momento.

Tirava pugni e calci contro il sacco lasciando che dondolasse pesantemente dal gancio e cigolasse un poco quando i colpi assestati erano più forti.

Sferrò un calcio che però andò a vuoto quando l'attrezzo si spostò in avanti per via del peso e l'aria si riempì di una sua imprecazione.

Non aveva mai avuto i riflessi perfetti come quelli di molti suoi compagni. Anzi, lui non aveva mai avuto niente di perfetto, a pensarci bene. Tutti erano bravi in qualcosa, chi più chi meno era conosciuto per qualche sua caratteristica o abilità. Ma lui no.

Lui che doveva salvare il mondo era una mezza sega. E tutti lo sapevano e non avevano mai mancato di farglielo capire esplicitamente o in modo implicito.

Solo suo padre aveva sempre creduto in lui. E infatti aveva ancora negli occhi la fine che aveva fatto.

"Non puoi continuare così."

Il monito aveva sempre lo stesso tono che Hermione usava quando voleva iniziare una ramanzina. E lui non era dell'umore adatto per ascoltare le sue inutili paternali. Sarebbe stato il caso di smetterla se non avesse voluto beccarsi qualche parola cattiva; questa volta la sua santa pazienza se ne andava in sciopero.

Continuò imperterrito a tirare contro il sacco, cercando di non degnarla di uno sguardo.

"Neville..."

"Non sei tu a decidere." era stata la replica fredda. Ecco, stava iniziando. Per quando odiasse ferirla adesso non sarebbe riuscito a farne a meno. Con la coda dell'occhio notò che dalla piccola entrata, aveva fatto alcuni passi per avvicinarsi a lui.

"Beh, ma sono qui per consigliarti! Non puoi andare avanti in questo modo, devi perdonare Harry e-"

"Non otterrai nulla, per me Potter è morto."

"Ma Neville-"

"Niente 'Ma Neville'!" esclamò interrompendola ancora una volta. L'ennesimo colpo al sacco, lo fece cigolare più del dovuto. "Ha ucciso mio padre e questo basta."

"Non l'ha fatto di proposito! Hai visto tu stesso che Voldemort è sparito proprio mentre Harry tentava di attaccarlo!" il tono della ragazza si era fatto improvvisamente più nervoso. La disperazione si era mischiata alla rabbia, intensificando le emozioni.

"Importa il risultato." asserì serafico, continuando a dedicarsi ai suoi esercizi.

"E qual è il risultato?! Che stai solo sprecando tempo!! Stai qui a piangerti addosso, quando dovresti reagire!"

"Non ne ho voglia."

"Ma tu sei il Prescelto!"

"Un cazzo!!" l'urlo che cacciò fuori il giovane, risuonò sinistro tra le quattro mura invecchiate, tanto che la strega sussultò quasi spaventata.

Neville aveva lasciato ciondolare il sacco e ormai si era rivolto completamente a lei, rosso in volto e con l'aria bellicosa.

"Sono stufo di questa storia, io non sono niente, lo volete capire?! Avete sbagliato persona, perché diavolo continuate ad assillare me?!?!"

Se l'effetto voluto era quello di spaventarla e convincerla a lasciarlo in pace, sortì forse quello esattamente opposto. Hermione lo fissò determinata, le braccia rigide lungo i fianchi e la fronte corrugata.

"Smettila di fare la vittima!"

"Non metterla in questi termini, Hermione, lo sai benissimo che è la pura verità!" replicò completamente furioso lui. "Non sono riuscito nemmeno a sfiorarlo, come diavolo posso-"

"Nessuno è riuscito a colpirlo, Neville!"

"E allora come posso farlo io!!" un altro urlo, più forte di prima, ma dal tono esasperato zittì la ragazza, che si limitò a trattenere il fiato e forse qualche parola di replica, serrando con forza le labbra. Il giovane notò un velo di lacrime nei suoi occhi, ma non se ne curò.

"Se nessuno è riuscito nell'impresa, come può riuscirci uno come me." attenuò la voce, che però si fece grave. "Io non sono il Prescelto, probabilmente Voldemort si è sbagliato... non doveva scegliere me, ma Potter."

Hermione sembrò sentirsi ferita più da quelle parole di sconfitta, che dal modo con cui le si era rivolto. Non asciugò le lacrime che le solcarono il viso, ma continuò a fissare con ostinazione il suo compagno.

"Non dire così.... non puoi."

"E perché non dovrei pensarlo?" fu la domanda amara. "Credo sia lecito, dopo quello che è successo."

La ragazza scosse la testa, serrando per un istante gli occhi in modo che la vista fosse meno appannata. "Tu sei il Prescelto, Neville. E per quanto tu dica di no, sei destinato a uccidere Voldemort!"

Lui aveva cercato di aprire la bocca per parlare, ma lo aveva preceduto. "Ma evidentemente non è ancora arrivato il momento."

Neville rilassò le spalle, piegando il capo verso il pavimento. Si lasciò scappare un sospiro abbattuto, mentre sentì sempre più pressante l'angoscia dentro di sé.

Quanto avrebbe voluto essere qualcun altro... quanto avrebbe desiderato essere ovunque e non avere nessun obbligo, nessuna responsabilità. Essere solo Neville e non il Prescelto.

Solo quando aveva sentito il tocco caldo della mano di Hermione sulla sua guancia, aveva riaperto gli occhi, incrociandoli con quelli di lei. E una piccola scintilla, una fiamma di calore si era insinuata in quel gelo, rassicurandolo. Per lei era sempre stato solo Neville. E quello sguardo volevo solo ricordarglielo.

"Arriverà. Vedrai che arriverà, Neville."

"Non so se riuscirò ad aspettare tanto..." ammise atono, continuando a fissare i suoi occhi scuri come a voler leggere nella sua anima.

"E allora lo faremo assieme."

Per un attimo le accarezzò la tempia, con dolcezza, quasi avesse paura di farle del male; poi però, chinò lo sguardo lasciandosi andare ad un altro sospiro.

Lei era la luce in quella vita completamente nera, eppure era riuscito a trattarla bruscamente. Si era accollata dei gravi problemi, frequentandolo, eppure lei andava avanti, cadeva e si rialzava tornando sempre a sorridere.

Proprio come faceva in quel momento. Gli sorrideva, incoraggiandolo con quel muto gesto a seguirla e ad andare avanti assieme a lei.

Si chinò a baciarla delicatamente, preoccupato che lei si scostasse, ma quando ricevette la sua risposta, la strinse forte, approfondendo quel contatto con bisogno.

Merlino, quanto amava quella ragazza. Era stata parte di sé per tanti anni, l'aveva considerata preziosa e importante, fino a che non aveva capito di averla sempre amata. E di essere ricambiato, nonostante tutto. Nonostante la profezia, nonostante quello che era o che non era. Al di là di tutto, l'amore era l'unica cosa che restava. La più importante.

Ed era stato nel momento in cui si era allontanato dalle sue labbra per riprendere fiato, che aveva detto quella parola senza alcuna remora.

"Sposami."

Hermione era rimasta per un attimo sorpresa e senza respiro, ma poi era rimasta ad ascoltarlo in silenzio, ancora aggrappata a lui.

"Se vuoi aspettare con me, allora sposami... e viviamo un po' di felicità assieme, nel frattempo."

Il suo tono era stato inquieto, come per timore di ciò che le stesse chiedendo. Aveva davvero paura perché quella richiesta così inaspettata avrebbe certamente portato a dubbi e pensieri: suo padre era morto da così poco tempo e loro vivevano una situazione così precaria...

Ma dopotutto perché non avere un po' di felicità in mezzo a tanta disperazione?

Hermione gli aveva accarezzato di nuovo la guancia e in risposta lo aveva baciato. Il giovane avvertì il sapore salato delle sue lacrime che aveva lasciato andare per la commozione.

"Ma certo, che ti sposo... sì..."

E con quella semplice risposta, l'ansia di Neville si sciolse per qualche breve istante, per lasciare spazio a un po' di serenità.

Era così che avrebbe voluto sentirsi ogni volta che avrebbe avuto a che fare con le difficoltà della vita. E così sarebbe riuscito a non scordarlo più.

 

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Il tacchetto della stampella era l'unico rumore che si avvertiva attraverso i corridoi.

Erano solo le due del pomeriggio e gran parte dei degenti riposavano silenziosamente nei loro letti. I Guaritori erano più tranquilli del solito, quel giorno; evidentemente la fine della guerra aveva portato una certa calma anche in quel posto di dolore.

L'unico che sembrava ignorare quella sana pausa pomeridiana era Neville. Zoppicava lentamente con quella gruccia, le spalle coperte da una vestaglia che frusciava ondeggiando ad ogni passo malfermo e il pigiama tutto storto e stropicciato.

La fatica per l'avventura fuori dal letto in cui era stato costretto per tutti quei giorni, era evidente, ma niente sembrava distoglierlo dal suo intento.

Si fermò di botto, nascondendosi dietro una porta e per questo trattenendo un'imprecazione per il dolore che si era provocato, a causa dello scatto repentino.

Aveva sentito un vociare proveniente dall'estremità del corridoio e non voleva farsi notare. Dopotutto non gli era stato dato alcun permesso di lasciare il letto e non scherzava se diceva di essere ormai conosciuto da tutti.

Per tanti anni aveva avuto la fortuna di passare inosservato, anche quando Voldemort lo aveva riconosciuto, ma la storia del Prescelto alla fine era uscita fuori.

E non poteva certo dimenticare il giorno in cui accadde... era sicuro di non aver provato mai tanto dolore in vita sua...

Si sporse leggermente, lasciando che due infermiere gli passassero a poca distanza, svoltando per un'altra via; poi, con un ultimo sforzo, raggiunse la stanza a cui puntava.

Sapeva chi avrebbe trovato lì. Aprì la porta con calma, affacciandosi con il capo e controllando la situazione all'interno. La camera era spoglia e bianca come la sua e al centro, il lettino anonimo ospitava un Harry Potter, apparentemente addormentato.

Neville sospirò. Forse l'idea di andare a cercarlo a quell'ora non era stata poi così buona.

Un attimo prima che decidesse di richiudere la porta e di tornare nella sua stanza, gli occhi verdi di Harry si spalancarono, dando cenno di essersi accorti della sua presenza.

Neville restò alcuni istanti ad osservare il viso dell'amico, smagrito e pallido per via della degenza e con una strana espressione a far da padrona; non c'era più l'aria allegra e determinata a troneggiare, ma una spenta e confusa, peggiorata dal velo di dolore che tutte quelle ferite gli causavano giornalmente.

Strinse le labbra, cercando di ignorare il pesante rimorso che lo attanagliava e si costrinse a sorridere.

"Se ti ho svegliato, chiedo scusa.... ma tanto lo avrei fatto comunque." asserì con tono scherzoso, accorciando la distanza fino al giaciglio, con un po' di difficoltà.

Harry ricambiò il sorriso, inclinando leggermente il capo da un lato. Non disse nulla per evitare di sforzarsi, ma diede in ogni caso segno di aver capito.

"Che male, accidenti..." si lamentò Neville, sedendosi pesantemente sulla sedia che costeggiava il letto. L'amico lo seguì con lo sguardo, mentre cercava di dire qualcosa.

"Hom... sthaai..." fu più un verso strozzato, ma Neville riuscì comunque a comprenderlo. Non aveva mai avuto difficoltà, fin dalla prima volta che Harry lo aveva riconosciuto non appena si era risvegliato.

Danni al centro del linguaggio, a quello motorio... è un miracolo che sia ancora vivo...

Scosse ancora il capo, al ricordo dell'analisi del Guaritore. Era stata colpa sua in fondo... come tutto il resto. Ma Potter non sarebbe stato contento di saperlo, visto cosa era arrivato a fare, riducendosi in quello stato.

"Acciaccato, Harry. Voldemort è stato tremendo anche con me, sai?"

Il moro annuì con calma, continuando a sorridere. Aveva capito che il tono usato dall'amico voleva solo alleggerire l'atmosfera.

"Sssso... he signifiha..." ammise sospirando. Spostò lo sguardo sul lenzuolo con aria stanca, socchiudendo appena gli occhi. "Ho... sahutho... d Ron."

Neville reagì immediatamente, serrando le labbra e riducendole ad una linea sottile. Aveva saputo di Ron... allora era stato messo al corrente...

Cercò di calmare l'agitazione, deglutendo a forza. Era normale che lo sapesse, Ron era morto nel periodo in cui lui era stato in coma e da quando si era risvegliato era trascorso un po' di tempo... forse era stata Ginny a riferirglielo.

"Nevhil...." sollevò lo sguardo combattuto di scatto, richiamato da quella voce che nonostante lo sforzo, appariva calma e serena. Gli occhi verdi di Harry non erano disperati, non c'era traccia di tristezza o di angoscia come quella che provava lui; dietro il velo di malinconia che ormai riconosceva in tutti quelli che lo circondavano, vide uno sguardo tranquillo, forse rassegnato alla realtà e rivolto verso ciò che era rimasto e che lo aspettava.

L'uomo si rilassò sulla sedia, sospirando. "E' morto da eroe, Harry. Si è scontrato contro Voldemort dicendo che avrebbe dovuto sfogarsi per quello che ti ha fatto."

Un sorriso illuminò il volto spento dell'altro. Per un attimo il suo sguardo si perse nel vuoto, forse alla ricerca di qualche ricordo di quel grande amico che era stato Ronald Weasley.

"Ssssapheva a hosa... andava...."

"...incontro, già." lo precedette per lui Neville. Gli batté amichevolmente una spalle, accomodandosi poi meglio sulla sedia. "Sapeva cosa faceva e che non ce l'avrebbe mai fatta. Ma era incazzato nero e non voleva restarsene buono. E' stato un grande amico." aggiunse lanciandogli uno sguardo eloquente.

"Lo sssso..."

Dopo quella risposta, il silenzio regnò nella stanza per diverso tempo, come se non ci fosse bisogno di altre parole. Non ne sentivano più il motivo ormai, la semplice presenza e quei gesti muti ma carichi di significato erano sufficienti a confermare il ritorno a quella vecchia amicizia andata perduta.

Nessuno aveva mai chiesto scusa o rimproverato l'altro e nessuno aveva desiderato niente di simile, perché erano bastate le loro azioni per dissolvere il rancore e il rimorso che per anni gli avevano allontanati.

 

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"Neville, Neville!!"

Un richiamo lontano risuonò nella sua mente appannata. Proveniva da lontano o da pochi metri... che gli importava...?

Adesso non voleva sentire nessuno.

Voleva solo che lo lasciassero in pace. Doveva riprendersi, no? Il danno fisico c'era stato comunque.

E in ogni caso non aveva nessuna voglia di combattere. Magari avrebbe potuto non farlo più...

"Neville!!" la voce si fece più vicina e si aggiunse anche una strana sensazione di disturbo. Qualcuno lo stava scuotendo.

Sollevò lentamente lo sguardo appannato, puntandolo in quello agitato di Ron. Aveva le pupille dilatate e il volto contratto; persino le orecchie fiammeggiavano.

"Sveglia, Neville!" ancora un richiamo. Ron lo aveva preso per le spalle e lo agitava con veemenza. "Dobbiamo correre! Harry è andato da Voldemort, da solo! Quell'incosciente..."

"Non mi importa." scostò gli occhi di lato, fissandoli sul muro della sua stanza. Si rese conto da solo di quanto tetro e scostante fu il tono con cui lo zittì.

"Sì che ti importa, invece! Non puoi abbandonarlo in questo momento!"

Strizzò gli occhi, scrollando le spalle in modo da sfuggire alla presa dell'amico. "Cosa ne sai tu!" esclamò alzandosi in piedi. Barcollò leggermente, per via della debolezza, ma ignorò la sgradevole sensazione e si rivolse al compagno con aria seccata.

"Perché diavolo devo stargli appresso per le cazzate che fa?! Non è un bambino, è perfettamente consapevole di come agisce!"

"Idiota, è proprio per questo che devi aiutarlo!" replicò furioso Ron. Aveva i pugni rigidi lungo i fianchi, ma tremavano come se lui stesso li trattenesse con forza perché non gli arrivassero in faccia.

L'ombra di confusione per quella battuta, attraversò solo per un attimo il suo viso, ma fu ben visibile agli occhi del rosso.

Prese un respiro per cercare di calmarsi, nonostante la rabbia e l'agitazione e quando parlò la sua voce fremé appena per il nervoso.

"Harry è andato da Voldemort con l'intenzione di sviarlo." fece una pausa, nel quale incrociò gli occhi di Neville con risolutezza. "Vuole fargli credere di essere lui, il Prescelto."

"Cosa?!"

"Lo sai bene che quel bastardo non conosce tutta la profezia! Harry ti ha visto in quelle condizioni e non ne ha potuto più!"

Il moro scosse la testa con dei brevi scatti e arretrò di un passo, allibito. Cosa diavolo si era messo in testa?

"E'... è impazzito."

"No che non lo è! Non l'ho mai visto così determinato, Neville! Mi ha detto che vuole cercare di prendere tempo perché tu ti possa riprendere! E adesso morirà se non facciamo qualcosa! Io non..."

"Andiamo."

L'attimo di disperazione che aveva aggredito Ron, aveva lasciato posto ad un assenso sollevato, quando Neville lo aveva interrotto, battendogli una mano sulla spalla.

Si era voltato per recuperare dalla scrivania su cui era stata gettata, la cintura di ordinanza con le armi e poi era corso verso la porta, stringendo i denti con forza.

Non poteva credere che Potter fosse arrivato a tanto. Eppure doveva odiarlo per come lo aveva trattato per tutti quegli anni, non andare incontro a morte certa per lui.

Ancora un'altra vita che si spegneva per aiutarlo, ancora un altra persona a cui teneva che buttava al vento sogni e aspirazioni per quella maledetta profezia!

Doveva impedirlo, non poteva morire anche lui...

Erano una decina di Auror. Lui, Ron e alcuni loro compagni tra quelli più forti e che non avevano avuto paura di quella missione tanto pericolosa.

Harry aveva sfidato Voldemort a pochi metri da Londra, aveva attirato l'attenzione su di sé, gridando ai quattro venti improperi contro il Signore Oscuro e asserendo di essere l'unico vero Prescelto.

E quando Neville e gli altri erano arrivati, lo scontro era quasi giunto al termine.

Potter giaceva per terra, completamente ricoperto di sangue. Non si muoveva, ma tossiva in maniera inquietante, serrando per quanto poteva gli occhi. Il suo corpo accucciato rabbrividiva, forse per le innumerevoli Cruciatus a cui era stato sottoposto. E quando non tossiva, mugolava.

A pochi metri da lui, la bacchetta puntata contro e il volto esaltato, Lord Voldemort rideva nel suo solito modo agghiacciante.

"Allora, Prescelto. Ne hai abbastanza? Sei ancora così contento di essere uscito allo scoperto?" le domande non erano state rivolte con convinzione verso il ragazzo ed era chiaro che lo stesse solo prendendo in giro. Neville si chiese se lo avesse mai preso sul serio da quando gli si era presentato davanti con quell'affermazione.

"C'è una barriera, cazzo!" sentì Ron imprecare, mentre calciava e dava pugni contro un muro invisibile che impediva a tutti di avvicinarsi.

Si voltò giusto in tempo per accorgersi dei fedeli sottoposti dell'Oscuro, farsi avanti per evitare di disturbarlo. "State attenti!!" urlò, sguainando bacchetta e spada e andando incontro al primo Death Eater che voleva colpirlo.

Si stupì di se stesso, quando riuscì ad eliminare il nemico con una velocità ed una facilità che mai prima aveva avuto e del modo con cui aveva fatto piazza pulita intorno a sé senza troppi sforzi.

Sentiva una forza nuova e la magia scorrere più vigorosa dentro il suo corpo e nonostante battagliasse contro i suoi nemici, la mente era lucida e calma, libera da ogni pensiero e dai timori che fin da quando aveva iniziato a combattere quella guerra in prima linea, non lo avevano mai abbandonato.

Sapeva da dove provenisse quella forza, era come se lei fosse diventata una parte di sé. E quando socchiuse gli occhi per un attimo, disimpegnato dagli avversari, di colpo la soluzione si fece ben chiara nella sua coscienza.

Cercò con lo sguardo Ron, richiamandolo poi con un lungo fischio. "Cercate di coprirmi le spalle!" gridò rivolgendosi completamente verso la barriera.

La toccò con il palmo della mano su cui spiccava una strana cicatrice dalla forma runica e chiuse nuovamente le palpebre, concentrandosi per pronunciare un vecchio incantesimo.

Non credeva di conoscerlo, ma sapeva chi è che lo aveva studiato, tempo fa.

Ma dai, stai ancora studiando?

E' importante, Neville! Potrebbe servirci in caso di pericolo!

Se lo dici tu...

Io dico che dovresti impararlo, invece...

Lentamente la barriera prese forma, illuminandosi di un azzurro intenso, mentre intorno al posto si sollevava una strana brezza. La voce di Neville si fece più chiara e quando le sue parole divennero esclamazioni, qualcosa nella protezione iniziò ad incrinarsi.

Per attimo un urlo di dolore, sfuggito dalle labbra tumide di Harry, lo fece tentennare, ma continuò imperterrito quella nenia fino a che non si udì un rumore stridente, come di vetri in frantumi... e lo sbarramento cessò di esistere.

Tornò a guardare il campo dove il suo compagno stava per essere giustiziato e senza perdere altro tempo, scagliò un incantesimo contro l'arma di Voldemort che puntava inesorabilmente la sua vittima.

L'Oscuro ebbe giusto il tempo di scansarlo, per poi voltarsi dubbioso verso chi aveva osato tanto. Sul suo volto scarno si dipinse un ghigno malvagio, mentre osservava la figura di Neville, avanzare senza titubanza verso di loro.

"Ma bene! Abbiamo due Prescelti, qui, come mai?" domandò pungente la creatura, scuotendo appena il capo.

"Puoi anche smetterla di scherzare, Voldemort. Sai bene di chi è che devi aver paura." la sua replica fu volutamente provocatoria.

E l'avversario infatti, scoppiò in una risata tetra. "Paura? Andiamo Longbottom, sappiamo bene invece, chi di noi ha sempre temuto l'altro. Tu per me sei sempre stato solo un inutile fardello. Non ho mai avuto paura di quella sciocca profezia e non avrò mai timore verso un incapace come te."

"Le cose sono cambiate." asserì lui, livido. Osservava il suo nemico senza distogliere lo sguardo da quello sanguigno di lui; la fronte corrugata e le palpebre leggermente semi-chiuse lasciavano trapelare solo in parte l'odio smisurato e il disprezzo che aveva per quell'essere.

Voldemort rise ancora, imperterrito. "Ah sì? E cosa ti spinge, adesso? Non è sempre la vendetta, mio caro Neville?" lo canzonò con cattiveria. "Come cinque anni fa, così l'ultima volta. E' sempre la vendetta che ti spinge contro di me. Come vedi i sentimenti non cambiano e nemmeno le circostanze." assottigliò lo sguardo, che si fece più maligno e minaccioso. "Tu non puoi niente, contro di me."

Nello stesso istante in cui aveva finito di parlare, era scomparso senza lasciare traccia di sé. Ma Neville non si scompose, qualcosa nella sua testa scattò come avrebbe dovuto e lui si voltò da un lato, scagliando un incantesimo di taglio.

Fu con un sogghigno che accolse la ferita seppur quasi del tutto innocua, del suo avversario.

Il Lord Oscuro, lanciò un'occhiata sorpresa verso il braccio che era stato colpito e poi rivolse la stessa espressione al suo avversario.

"Le cose sono cambiate." ripeté Neville, marcando bene la voce.

Ora era diverso, era come se avesse la forza magica di due persone invece che di una e sentiva che quella runa marchiata a fuoco sulla mano, lo avrebbe aiutato a compiere quello per cui era nato.

Vide Voldemort, digrignare i denti improvvisamente più nervoso. Neville si stava preparando già alla battaglia che forse avrebbe concluso tutto, ma alcuni strepiti poco distanti, richiamarono non solo la sua attenzione, ma anche quella del nemico.

I suoi compagni erano usciti vittoriosi dalla lotta che si era tenuta fuori dalla barriera e quasi tutti i Death Eater erano stati decimati, mentre quelli ancora in vita, invocavano l'aiuto del loro Signore.

Il Lord rivolse uno sguardo carico di rabbia verso Neville, prima di sparire portandosi dietro i suoi sottoposti.

"Preparati, Longbottom. Ti mostrerò lo sbaglio che hai commesso, sfidandomi."

Neville non reagì, ma continuò a fissarlo senza battere ciglio fino a che non era svanito. L'inquietudine per quelle parole si era fatta pressante nel cuore, ma adesso sentiva una nuova sicurezza dentro di sé e sapeva che ora poteva riuscire in quell'impresa che per una vita intera gli era sembrata impossibile.

Si permise appena un istante per tirare un sospiro di sollievo, poi corse incontro a Harry, che giaceva esanime sul terreno in una pozza di sangue.

"Ehi, Potter! Non fare cazzate, ora!" esclamò, cercandogli il polso. Per un attimo pensò fosse già troppo tardi, ma poi lo sentì. Un battito. Flebile e unico, ma c'era. Non voleva toccarlo per paura di peggiorare la situazione, perciò si tastò la divisa, in cerca della Passaporta speciale di cui erano dotati, per poter essere trasportati d'urgenza in ospedale.

"Ti sto avvisando! Guai a te se muori, adesso! Non puoi andartene senza che ti rinfacci che ho scoperto, hai capito?!" non sapeva se il compagno avesse perso i sensi o lo stesse sentendo, ma non gli importava. Doveva salvarlo a tutti costi. Ron gli fu vicino subito dopo e assieme raggiunsero il St. Mungo, dove vennero immediatamente accolti da uno stuolo di Guaritori che presero in cura Harry.

Neville lo vide sparire dietro le doppie porte della sala rianimazione, trattenendo il respiro. Doveva farcela. Almeno lui doveva sopravvivere.

Perché nonostante il rancore che gli aveva mostrato per tutto quel tempo, Harry era rimasto a combattere sempre al suo fianco, fino a rischiare la morte per poterlo aiutare.

E perché per lui, a dispetto di tutto ciò che era accaduto, era ancora un amico.

 

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Le punte di alcuni abeti in lontananza, ondeggiavano aggraziati, mossi da quella piacevole brezza primaverile.

Neville si era incantato a guardarli dal balcone della sua casa ad Hogsmeade e aveva lentamente perso la cognizione del tempo.

Era piacevole stare lì davanti, a godersi l'aria fresca di Maggio dopo tanti giorni rinchiuso dentro quel maledetto ospedale. Era diventato quasi un supplizio, quando era stato avvisato che sarebbe potuto uscire per concludere la degenza nella sua abitazione.

E durante quei giorni di tranquillità era rimasto per parecchio tempo lì, sul balcone ad osservare in silenzio e con la mente del tutto sgombra, la natura e la vita del villaggio.

Poco più in là c'era, imponente e rassicurante come sempre, Hogwarts. Non era mai cambiata in tanti anni. Solo una piccola breccia sulla torre più alta, testimoniava un rischio di attacco che fortunatamente era stato sedato con facilità e senza produrre altri danni.

Ma quella era storia vecchia... ormai se ne ricordavano solo coloro che a quel tempo frequentavano ancora la scuola e adesso quella torre era diventata il rifugio romantico di qualche coppietta che poteva ammirare il cielo stellato di notte, quando la torre di Astronomia era già occupata.

"Neville..." si voltò, riconoscendo la voce della madre. Le sorrise abbandonando la finestra e avvicinandosi a lei, zoppicando appena assieme al bastone che lo aiutava a sorreggersi.

Ormai era quasi guarito del tutto e non aveva più bisogno di stare a letto, però l'unico accorgimento che gli era stato imposto era quel sostegno. Neville lo aveva accettato di buon grado, visto che ogni volta che appoggiava per terra la gamba ferita, avvertiva sempre un dolore lancinante.

"Sei pronto? Siamo tutti giù che ti aspettiamo." spiegò, mentre si lasciava baciare il capo dal figlio. Alice ricambiò quel gesto di affetto, abbracciandolo da un lato e accompagnandolo fuori la stanza e giù per le scale.

"Hai avuto difficoltà nell'indossare l'uniforme?" domandò ancora, quando il silenzio si prolungò.

Neville scosse la testa. "Non più di tanto. Questa qui è per le cerimonie, perciò non ci sono tutte quelle fibbie fastidiose!" scherzò, stringendo poi i denti per il dolore. Fare le scale in quelle condizioni era la cosa che più odiava.

"E' tra mezz'ora, vero?" chiese cercando di pensare ad altro che non a quelle fitte.

Alice annuì guardandogli la gamba preoccupata. "Sì, ma arriviamo prima, così evitiamo che ci sia troppa gente. Saremo già seduti, quando si riempirà la collina."

"Meglio così..." fu la risposta affannata del figlio. Ma quanti gradini c'erano ancora da fare?

Finalmente, con un po' di fatica, raggiunsero l'ingresso e si trovarono in vista del resto del gruppo.

Ginny spingeva la carrozzina di Harry leggermente in difficoltà. D'altronde il ventre era già abbastanza gonfio e dover muovere quell'aggeggio sulla brecciolina era di quanto più scomodo immaginasse.

Fortunatamente i Potter arrivarono giusto in tempo per soccorrere la loro futura nuora e il capofamiglia non si lasciò sfuggire qualche battutina sarcastica contro il figlio.

"Ma guardatelo, che uomo! Riesci a camminare adesso, perché fai sforzare così la tua donna!"

"James!" lo rimproverò severo sua moglie Lily.

Harry e Ginny si scambiarono uno sguardo, prima di ridacchiare. "Andiamo, signor Potter. Harry non ce la farà mai a raggiungere la collina da solo!" cercò di spiegare la rossa, accarezzando la spalla del fidanzato.

"E se ci arrivassi con la scopa?"

"Harry, non dire stupidaggini anche tu, per piacere!" il rimprovero partì severo da sua madre, subito dopo.

Alice e Neville si avvicinarono, sorridendo per quel quadretto così piacevole.

"Ahhh, povera la nostra Lily!" si intromise la signora Longbottom con aria scherzosa. "Ci chiediamo tutti, come abbia fatto a non impazzire con gli uomini che si ritrova in casa!"

"Lasciamo perdere, Alice! Qualche giorno sparirò e voglio vedere cosa faranno, senza di me!" si lamentò, spostando il peso del corpo da un piede all'altro e posando una mano sul fianco.

I più giovani per poco non scoppiarono a ridere, quando James Potter, si cacciò una mano in bocca probabilmente per ingoiare qualche battutina poco gentile verso la moglie.

"Harry, ma smetteranno prima o poi di punzecchiarsi?" domandò Neville, quando si furono allontanati per precauzione dai loro genitori. Nel frattempo avevano iniziato a salire per la collina e a loro si erano aggiunti diversi compagni. Ginny non spingeva più la carrozzina, ma camminava al fianco del suo fidanzato, tenendogli stretta la mano ancora sana.

Neville dall'altro lato lanciava uno sguardo divertito alle sue spalle e poi osservava l'amico con aria allegra.

Potter fece schioccare la lingua. "Uhm... non credo..." mormorò chinando il capo comicamente sconfitto. Negli ultimi tempi era molto migliorato con le parole e adesso riusciva a parlare quasi del tutto correttamente, nonostante fosse ancora visibile lo sforzo.

Ginny rise divertita, nascondendosi dietro una mano. La maternità le aveva dato una nuova luce sul volto, che adesso appariva decisamente più sereno di prima.

"Sono divertenti, però. Nonostante tutto si amano comunque. Dovresti esserne contento." rifletté, accarezzandogli con il pollice il dorso della mano che stringeva.

"Oh sì.. ccerto! Ma p-prova thu, a sssenthirli tutto il ghiorno!" replicò sbuffando, ma non celando un sorrisino.

La ragazza fece roteare gli occhi. "Ah beh, perché noi siamo meglio, vero?"

A quelle parole Neville non si fece pregare e scoppiò in una risata genuina. "Ti ha fregato, Potter!" esclamò dandogli una pacca sulla spalla.

Continuarono a beccarsi e a scherzare, fino a che non raggiunsero il lago di Hogwarts, nei pressi del quale si sarebbe tenuta la cerimonia in ricordo dei caduti nella Grande Guerra.

Si era voluto attendere diverse settimane, prima di organizzarla perché tutti potessero parteciparvi e perché gli animi fossero più leggeri e rivolti verso il futuro.

Quando arrivarono, furono scortati verso le prime file, riservate agli Auror e a tutti coloro che avevano combattuto in prima linea, oltre che alle loro famiglie.

Proprio come aveva detto Alice, riuscirono ad evitare che molta gente li vedesse e si facesse incontro. Neville soprattutto, ne fu grato, perché aveva sempre mal sopportato quella grande importanza che gli era stata data per una cosa che gli aveva sempre procurato dolore.

Adesso aveva una vita serena davanti e non voleva che sconosciuti riconoscenti lo assillassero con i lori ringraziamenti. Aveva salvato il mondo, sì. Ma prima che per gli altri, lo aveva fatto per se stesso e per chi amava. Il resto era venuto per conseguenza.

Non avrebbe mai ammesso a nessuno quello che pensava, ma in ogni caso ormai non aveva nessuna importanza.

Quello che era stato, era passato. Adesso c'era altro a cui pensare.

La cerimonia fu davvero toccante e sentita. Un uomo che Neville conosceva solo di vista, pronunciò un lungo discorso di commemorazione, ma furono soprattutto le parole della professoressa McGonagall che lesse un discorso lasciato da Dumbledore prima che morisse, che toccarono il cuore di tutti, causando diverse reazioni di commozione.

Neville restò in silenzio per tutto il tempo, lasciando che alcune lacrime scivolassero dagli occhi senza vergogna. Fissò il muro bianco in cui erano stati scolpiti i nomi di tutti coloro erano caduti per colpa di quella guerra terribile e che era stato sistemato davanti a loro. Gran parte li conosceva, erano nomi di suoi amici, compagni di battaglie, altri di persone che pur non combattendo, avevano sacrificato la loro vita perché loro potessero andare avanti. C'era chi si era occupato di quei contatti segreti che avevano scongiurato molte guerre con le creature magiche, chi aveva rischiato infiltrandosi tra le fila del nemico, chi era stato tradito da coloro che erano stati creduti compagni ma che alla fine si erano dimostrati avversari e molti altri nomi che riempivano quella lunga lastra di marmo. Tra tutti, quasi fossero stato impressi in maniera diversa, scorse quelli delle persone che aveva amato e che amava e restò ad osservarli per tutto il tempo, come se davanti a quelle lettere ci fossero davvero loro che lo guardavano con gratitudine.

Perché ora potevano tutti riposare in pace.

"E' stata meravigliosa... non sono riuscita a non piangere per tutto il tempo!" constatò la signora Longbottom, asciugandosi gli occhi ancora umidi, quando era tutto finito.

Erano rimasti in disparte e senza muoversi dai loro posti, quando tutti si erano alzati per andare via ed evitare così la bolgia.

Alice aveva singhiozzato per tutto il tempo, biascicando di tanto in tanto qualche parola che era suonata come un 'Frank' e Lily le era stata accanto con aria rammaricata, tenendole stretta la mano per confortarla.

Adesso però sorrideva e si accostò al figlio prendendolo a braccetto. "Tuo padre è sempre stato orgoglioso di te. E sai che lo è anche da lassù." parole che lui già sapeva, ma che accolse con piacere, mentre sorrideva a sua madre con aria grata e la abbracciava.

"E sai che lo è anche di te, vero?" le fece scherzando dolcemente. "Finalmente niente più apprensioni! Sarebbe contento di vederti così, ora!"

Alice annuì tra le lacrime che erano ancora scese imperterrite. Le asciugò frettolosamente, dando poi un bacio sulla tempia al figlio.

"Ehi Neville..." il ragazzo si voltò per incrociare lo sguardo di Ginny. Aveva l'aria un po' confusa, mentre si accarezzava il ventre come ormai aveva preso a fare da un po' di settimane.

Lasciò che sua madre raggiungesse le sue amiche e si accostò alla rossa, sorridendole rassicurante. "Dimmi tutto."

Ginevra parve leggermente combattuta. Chinò il capo, quasi avesse improvvisamente perso il coraggio, ma poi preso un forte respiro, incrociò gli occhi del giovane.

"Non mi sono sbagliata, vero? C'è anche lei su quel muro."

Neville annuì senza tentennamenti. "Sì."

"Ma... sì, insomma, lei è..."

Il ragazzo la interruppe posandole delicatamente una mano sulla spalla. In volto ancora quell'espressione rassicurante.

"Non preoccuparti. Tanto, devo comunque andare a trovarla."

Ginny inclinò il capo da un lato, rammaricata, ma lui scosse il capo.

"Tranquilla, Ginny. Ormai sono pronto anche a questo."

 

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"Hermione, noooo!"

Neville gridò con tutte le sue forze, quando l'incantesimo scagliato contro di loro colpì il fianco di sua moglie.

Ma perché diavolo non potevano avere mai un attimo di pace?!

Erano solo andati a Diagon Alley, per la miseria! Hermione lo aveva stressato per giorni, chiedendogli di accompagnarlo in una libreria alla ricerca di un tomo di cui aveva bisogno. Un pomeriggio, sarebbe bastato, solo uno!

E invece non c'era limite alla sfortuna...

Si accostò velocemente alla donna, inginocchiandosi, quando lei si accasciò barcollando.

"Sto bene... non preoccuparti, Neville."

"Dovevi fare attenzione! Sono anni che non combatti, è pericoloso per te!"

"Non posso starmene ferma, c'è l'inferno qui!"

E non aveva tutti i torti. In un attimo la tranquillità della via magica era svanita, lasciando il posto al terrore e alla furia della guerra. I Death Eater aveva attaccato a sorpresa, senza che le Sentinelle, cioè quella squadra speciale che si infiltrava tra i nemici e raccoglieva informazioni, ne sapessero nulla.

Molti attacchi erano stati scongiurati proprio grazie a questi maghi sprezzanti del pericolo, che avevano spesso sacrificato la propria vita per salvare quella degli altri.

Neville sbuffò, cercando di rimetterla in piedi e di trascinarla verso il vicolo più vicino. "E infatti ti sei fatta colpire! Resta qui ora, per favore." le intimò, guardandola minaccioso.

Quindi senza lasciar correre i minuti, tornò in mezzo alla strada, cercando di lottare contro i loro nemici.

Intraprese uno scontro con uno di loro e quasi ci rimise le penne, quando questi gli pietrificò una gamba facendogli perdere l'equilibrio, e puntandolo per ucciderlo con un'Avada Kedavra.

Grazie a Merlino un colpo di fortuna nella disgrazia, gli permise di liberarsi dalla Pastoia, quando questa svanì da sola. Ignorando il pensiero che fosse stata quell'incosciente di Hermione, impose un incantesimo di taglio sull'avversario che si schiantò al suolo col petto squarciato.

Si rialzò in piedi, guardandosi intorno e lanciando altri colpi verso alcuni incappucciati. Si rese subito conto che c'era qualcosa di strano; era uno scontro diverso dagli altri e anzi pareva che i Death Eater, più che per uccidere, cercassero solo di prendere tempo.

Impensierito dal suo sesto senso, prese a muoversi lungo la via, cercando di evitare i fasci di luce vaganti e di fermare coloro che gli si opponevano.

C'era qualcosa... se lo sentiva... e se fosse andato avanti, lo avrebbe scoperto.

Percorsi faticosamente altri pochi metri, si trovò davanti la libreria in cui Hermione sarebbe voluta andare. Lì i combattimenti era più radi e stranamente solo in quel punto gli incappucciati avevano compiuto più stragi. Non aveva compiuto più di un passo, che dal negozio era partita una grande esplosione.

La forza dell'onda d'urto, lo aveva sospinto all'indietro fino a farlo scontrare contro il muro di un palazzo quasi del tutto diroccato. Riprese fiato, pulendosi la faccia dai detriti e dalla polvere che per colpa del sudore e del sangue gli si erano attaccati addosso.

E dalla nube si accorse di ciò che stava comparendo. Lord Voldemort camminava lentamente, l'aria tronfia sul volto perfido e in mano un grosso tomo dalla rilegatura rovinata. Doveva essere molto vecchio e consunto, ma altrettanto prezioso, visto il modo con cui il Signore Oscuro lo teneva in mano.

"E' il libro che cercavo!" dalle sue spalle, la voce di Hermione, giunse diretta fino alle sue orecchie. Si voltò giusto in tempo per lanciarle uno sguardo di rimprovero.

Si era avvicinata troppo! Era pericoloso per lei!

Tornò velocemente a controllare davanti a sé e strinse le labbra, quando notò che Voldemort si era accorto di lui e lo stava fissando sorridendo maligno.

Cercò di vincere la paura e si costrinse a non indietreggiare, come aveva pensato in un primo momento. Doveva affrontarlo, prima o poi, senza nessuno che lo aiutasse. Non poteva avere così tanta paura di scontrarsi con quell'essere ogni volta che lo trovava in uno scontro.

Serrò la presa sulla bacchetta e fece invece un passo in avanti. "Cosa hai preso?" domandò, la voce che tremò appena quando uscirono le prime sillabe.

"Qualcosa di molto interessante, giovane Longbottom. Mi aiuterà a togliere di mezzo te e i tuoi sciocchi amici." spiegò serafico l'altro, avanzando verso di lui.

Fin da quando lo aveva riconosciuto, aveva sempre amato provocarlo e spaventarlo quando presenziava gli attacchi dei Death Eater. E questo aveva solo aumentato l'odio di Neville verso di lui, oltre che le critiche di chi gli stava vicino.

Nonostante gli anni, non era mai riuscito a fare nulla. Lui ancora aspettava, come gli aveva detto Hermione, ma non era ancora accaduto nulla, nessun segno che potesse fargli sentire di essere pronto.

Perché non era cambiato niente, era solo lo stesso incapace di cinque anni prima, quando suo padre era morto ingiustamente.

Ma lui doveva provarci comunque. E soprattutto temeva cosa ci fosse scritto in quel libro che il suo avversario custodiva tanto gelosamente tra le braccia scarne.

Con quell'espressione battagliera, di uno pronto a tutto, si scagliò intraprendendo una corsetta e lanciando uno Schiantesimo.

Come sempre Voldemort rise per quel gesto inutile. "Ci provi ancora, stupido incapace? Pensi ancora di potermi fermare?" puntò l'arma contro il ragazzo e lo fece sbalzare all'indietro.

Il contatto col suolo fu più doloroso del previsto, per via dei detriti appuntiti e sbrecciati che si ritrovò sotto quando cadde.

Per un attimo trattenne il respiro, ma poi cacciò un urlo di dolore per via della Cruciatus che gli era stata subito imposta. Sentiva le scariche trafiggerlo senza lasciargli tregua e invano erano risultati i tentativi di opporsi e rialzarsi in piedi.

Quando pensò che l'Oscuro si fosse stancato di quella tortura, sentì la voce di Hermione esclamare qualcosa con tono esasperato.

"Lascialo andare! Lascialo!"

Voldemort rise, guardandola come se fosse insignificante. "E perché dovrei?"

Hermione strinse i pugni lungo i fianchi e piegò leggermente il busto in avanti. "Perché pronuncerò l'incantesimo su di lui, se continui!"

L'essere restò in silenzio per alcuni istanti, studiandola con più attenzione con i suoi occhi rossi. "Non puoi farlo. Ti manca la cosa principale."

Neville nel frattempo era riuscito a rialzarsi e si sosteneva su un ginocchio. Rivolse gli occhi angosciati verso sua moglie, e restò colpito dal sorriso di sicurezza che sfoderò.

"So anche come procurarmela, tranquillo." non sapeva cosa stesse dicendo, ma temeva comunque per quelle parole che non trovava per niente rassicuranti.

L'esclamazione di scherno del nemico non tardò ad arrivare. "Sei ridicola, proprio come tutti quanti. Vero, caro il mio Neville? Solo un bel gruppetto di stupidi! E a quanto pare non c'è limite per questa mancanza." asserì convinto.

"Non puoi fare nulla, il modo con cui si compie sta scritto qui dentro e fortunatamente sono arrivato in tempo per toglierlo dalle vostre mani incoscienti!"

A Neville lentamente tutto stata apparendo più chiaro. Erano mesi che sua moglie compiva delle ricerche sulla trasmigrazione della forza. Ma non aveva mai saputo altro, così impegnato com'era con la guerra e frenato dalla segretezza che Hermione imponeva anche a lui che era suo marito.

E ora forse la soluzione poteva essere in quel libro. E se Voldemort lo avesse saputo, probabilmente il pericolo sarebbe stato maggiore. Cosa si nascondeva dietro quell'incantesimo? Avrebbe potuto renderlo ancora più forte?

Improvvisamente però, Hermione prese a pronunciare alcune parole in una lingua che a Neville parve runico. Era ancora ferma nella stessa posizione e guardava l'Oscuro quasi sfidandolo. E quegli gli rivolgeva la stessa aria sicura di sé, che dimostrava quanto poco temesse quelle poche parole.

"Non serve a nulla." scosse la testa, parlando come se si stesse rivolgendo a qualcuno troppo stupido, da essere compatito.

Neville si alzò completamente in piedi e si spostò in avanti, ma un richiamo nella sua mente lo distolse da qualsiasi intento. Si voltò confuso verso Hermione che gli rivolse appena un'occhiata, prima di tornare a fissare il nemico, continuando imperterrita quella sequela.

Improvvisamente però, avvertì qualcosa di strano dentro di sé. Una strana sensazione di calore proveniente dal centro del suo petto iniziò lentamente a propagarsi diventando sempre più intensa.

Lanciò uno sguardo a Voldemort e si stupì nel constatare che anche quegli sembrava a disagio.

Cosa stava accadendo? Cosa nascondeva Hermione?

"Maledetta! Ti manca l'ultima Runa! Non puoi conoscerla!" esclamò furibondo il Lord Oscuro, agitando l'indice contro di lei. Cercò di colpirla con un incantesimo, ma Hermione impose entrambe le mani aperte contro di lui e subito un'ondata gli fece indietreggiare il braccio, lasciando che la maledizione formatasi sulla punta vagasse in aria e si disperdesse.

"Hermione, che stai facendo?!"

La donna non rispose, ma continuò a pronunciare in runico l'incantesimo, mentre il vento li circondava in modo che nessuno dei Death Eater si avvicinasse.

Neville guardava impotente, senza riuscire a muoversi. Quella strana formula stava reagendo anche su di lui, ma non riusciva a capire come....

Poi, un lampo gli illuminò la mente. Cercò con lo sguardo Voldemort, mentre nella coscienza si faceva strada un pensiero. Possibile che Hermione stesse tentando di....

"Non avrai mai la mia forza!" esclamò furioso l'Oscuro, sparendo nel punto in cui si trovava.

Hermione barcollò, quando perse il contatto visivo sull'essere e iniziò subito a guardarsi intorno. Anche Neville sentì quella fiamma dentro di sé diminuire velocemente, e quando rivolse un'occhiata sconvolta verso la strega, fece appena in tempo ad accorgersi di dove era ricomparso Voldemort. Si lanciò correndo verso di lei, perché evitasse l'Avada Kedavra che l'avrebbe uccisa.

"Noooo!" fu un secondo e insieme capitombolarono di lato, sbattendo sui cocci e sui sassi. Neville però, si rialzò velocemente in piedi e andò contro il Lord, urlando. Non poteva toccare Hermione, lei era preziosa, non avrebbe ucciso anche lei.

Voldemort evitò i suoi incantesimi con facilità, ma non si accorse che nel frattempo la ragazza aveva gridato alcune parole in latino arcaico, prima di esclamare nella loro lingua.

L'attimo dopo, l'Oscuro esclamò di dolore, avvertendo una bruciatura sulla mano che teneva il tomo... che lasciò inavvertitamente cadere.

"Tocca il libro, Neville!!"

Quelle parole riecheggiarono nella testa del giovane più volte, mentre continuava quell'avanzata verso il suo nemico. E con un ultimo sforzo, si lanciò a volo d'angelo con il braccio teso, come quando da ragazzo cercava invano di afferrare il Boccino d'Oro a Quidditch.

Batté un colpo con il palmo della mano sulla copertina e improvvisamente avvertì anche lui la pelle bruciare. Ebbe il tempo di mugolare, prima di essere scaraventato violentemente all'indietro da un Lord Voldemort più che furioso.

"Cosa pensate di fare?! Voi non siete niente, sapete solo farmi perdere la pazienza!!" ruggì livido di rabbia.

Hermione si affrettò verso il marito, che giaceva senza fiato per terra e tossiva per la polvere inghiottita.

"Neville! Neville, la mano!"

Lo sorresse per le spalle, prendendogli l'arto e posandolo contro il suo allo stesso modo.

"Ahia..." biascicò, socchiudendo per un attimo gli occhi, mentre anche su di lei appariva quel marchio. Quando li riaprì, rivolse un'occhiata rassicurante al compagno e si sforzò di sorridere. "Ora siamo legati, ora-"

Ma non finì di spiegare, perché l'Oscuro, l'aveva afferrata tramite un incantesimo e fatta levitare in aria.

A nulla era valso richiamare la donna, quando Neville si era sollevato di colpo in piedi e aveva cercato con la magia di aiutarla.

"Non puoi fare nulla per lei! Adesso morirà!"

Nel momento in cui aveva cercato di colpirlo, Voldemort era di nuovo scomparso, confondendolo.

Neville strinse i denti, fin quasi a farsi male, mentre cercava contemporaneamente di trovare l'essere e di controllare Hermione che si agitava per aria.

"Dove sei, dove diavolo sei?!" gridò, girando su se stesso. La battaglia infuriava più lontano, per via di quella barriera di vento che ancora non si era sedata.

Non vide arrivare il colpo del mattone contro di lui. Avvertì un dolore lancinante alla tempia e subito dopo il sangue gli coprì la vista. Barcollò pericolosamente, ma cercò in tutti i modi di restare in piedi. Hermione sopra di lui lo richiamò spaventata e poi iniziò a cercare dove fosse Voldemort.

Di lui, si sentì solo la sua risata. "E' tutto inutile! Ci vuole il contatto fisico della tua vittima, sporca Muggleborn!"

"Maledetto, lascialo!!" la donna si agitò con ancora più foga, mentre Neville veniva ripetutamente colpito dai resti di Diagon Alley che sfrecciavano ad una velocità impossibile da frenare con la magia.

Il mago cercava inutilmente di fermarli, nonostante i pezzi più appuntiti gli avessero lacerato le carni con violenza, togliendoli sempre di più le forze.

"E' la sua fine. E tu ne sarai l'unica testimone." pronunciò inesorabile la voce dell'Oscuro. "Guardalo, ragazzina. Sta morendo e tu non puoi fare nulla."

Hermione ansimava, rivolgendo lo sguardo scioccato per terra. Le pupille dilatate e i capelli più sconvolti del solito che cadevano scomposti da tutte le parti. Si teneva la gola da cui era mantenuta e per cui aveva il respiro difficoltoso. Era rimasta in silenzio per alcuni istanti ad osservare la persona che amava, soffrire terribilmente... fino a che non aveva ripreso a parlare.

Si era guardata solo un attimo la mano per leggere la runa che era stata impressa a fuoco sul palmo e poi aveva ricominciato a pronunciare la formula in quella lingua antica. Ma non cercava più il Lord, adesso fissava il suo Neville con insistenza, senza muovere le palpebre.

"Non mi vedi, sciocca Muggleborn. E' tutta fatica sprecata." cercò di convincerla divertito l'essere, ma la giovane continuò senza dare segno di averlo sentito.

Neville avvertì tra i gemiti la voce monotona con cui sua moglie stava recitando in runico. E di nuovo quella fiamma nel petto.

Si lasciò colpire la spalla da un mattone rosso, senza che potesse fare nulla, ma quando un secondo macigno si sospinse magicamente contro di lui, un colpo diretto e veloce dalla sua bacchetta, lo spezzò in due parti precise che si schiantarono per terra ai suoi due lati.

Poi un altro ancora e un terzo. Quasi senza sforzo, si liberò di quella tortura, gridando poi un incantesimo di Protezione che credeva di aver dimenticato, che propagò un'onda d'urto intorno a sé, fermando tutto.

Non capì cosa accadde esattamente nei minuti successivi, ma quelle parole che aveva pronunciato, seguirono a catena una grande esplosione di magia che continuò per tutta Diagon Alley, facendo cessare ogni combattimento.

Auror e Death Eater si fermarono, ripiegando improvvisamente e chiudendo la battaglia e Lord Voldemort svanì dopo una risata che lo aveva schernito per aver osato tanto con quell'incanto.

Quello che gli rimase ben impresso in mente, fu invece il tonfo sordo del corpo di Hermione, che cadeva al suolo.

Sconvolto e in uno stato confusionale, si trascinò sanguinante verso di lei, che giaceva immobile.

"Hermione...?" la richiamò spaventato, cingendole le spalle con un braccio e per questo imprecando per il dolore.

"Hermione!!" esclamò ancora, angosciato.

Trattenne il respiro quando tastando il collo, sentì il suo battito regolare, farsi sempre più debole.

Non era possibile... stava morendo.

"No... no..." mormorò tra i singhiozzi, caricandola sulle spalle e attivando la Passaporta. "Non puoi morire... no..."

Doveva urgentemente portarla al St. Mungo. Non poteva morire... era la sua ragione di vita...

 

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Si è sacrificata.... ti ha donato la sua magia e la sua forza perché tu potessi sopravvivere, Neville.... è stata coraggiosa e ti amava alla follia... lo ha fatto per te...

Socchiuse gli occhi mentre alla mente gli ritornavano le parole di un Albus Dumbledore sentitamente rammaricato per lui. E in quel momento, come allora, pianse lacrime amare per quella confessione che lo aveva gettato nella disperazione.

Hermione si è sacrificata. Ti ha donato la sua magia.

Quante volte lo aveva sentito ripetere? Tutti gli erano stati vicino, tutti avevano cercato di rendergli più accettabile quella realtà.

Ma lui questo lo aveva accettato. Lei gli aveva donato se stessa. Ed era quanto di più prezioso avesse. Lo aveva sempre fatto, dal matrimonio alla nascita di loro figlia e fino a quel giorno.

Quello che non aveva accettato era stato il perderla. E per questo aveva sperato, ogni giorno, fino all'ultimo che lei riaprisse gli occhi, ancora una volta.

Tornò a guardare il letto del reparto di Lungo degenza del New St. Mungo in cui giaceva ormai da mesi. Dormiva, come amava dire lui.

Ma in realtà era in coma, costretta a non risvegliarsi più, perché semplicemente non aveva la forza per farlo.

I Muggle l'avrebbero certamente chiamata 'morte cerebrale'... ma lui odiava tutti quei termini tecnici.

Per lui Hermione si era addormentata perché non aveva più forze. E non si era più risvegliata.

Le accarezzò il dorso della mano, ancora caldo, mentre osservava il suo petto alzarsi e abbassarsi regolarmente, come se non avesse niente. L'unico accenno che poteva far capire che il suo non era un sonno normale era un sottile cerchietto intorno al capo, che le permetteva ancora di vivere.

"Hai vissuto abbastanza, per il mio egoismo..." mormorò con voce fioca, risalendo con le dita, sulla spalla e poi sul viso sereno.

Inclinò il capo da un lato, osservandola con dolcezza. Era bella, per quanto chiunque le avrebbe dato tanti difetti, per lui era la donna più bella che avesse mai visto al mondo. E niente gli avrebbe fatto cambiare idea.

Con lentezza, accarezzò delicatamente i suoi ricci crespi che aveva sempre odiato e alla mente gli tornarono le sue lagne su quella capigliatura.

Le dita sostarono sul cerchietto per alcuni istanti. Solo un po' di esitazione e poi Neville lo sfilò dal capo.

Socchiuse per un secondo gli occhi, sedendosi sulla sedia e lasciando che le lacrime facessero il proprio corso.

Era finita...

"Papà!"

La vocina squillante di Speranza, catturò la sua attenzione e i suoi occhi di colpo. Sorrise alla piccola che si avvicinava titubante, tenendo le braccia intrecciate dietro la schiena.

"Papà, cosa fai?" domandò incuriosita, sbirciando oltre il letto.

Neville si asciugò le tracce di pianto e prese in braccio la figlia. "Saluto la mamma." spiegò con tono dolce, accarezzandole la testolina riccia.

Speranza restò con lo sguardo fisso sul viso della madre. "Ma allora non si sveglia?"

"No, piccola. Per questo siamo venuti. Dobbiamo salutarla perché mamma ha deciso di continuare a dormire."

"Uhm..." la bambina sembrò pensarci un po' su. Rivolse gli occhietti scuri sul soffitto, prima di riportarli sul padre. "Allora era proprio stanca..." constatò quasi sorpresa.

Neville annuì, guardandola. "Già. Avanti, adesso dalle un bacio così la lasciamo riposare." la fece accostare al letto e piegarsi per salutare la madre un'ultima volta. Lui poi, fece altrettanto, quando lasciò per terra la piccola.

Quando tornò ritto, prese la mano della bambina, ma lei la tirò per richiamarlo. "Ma quindi non si risveglia più?" chiese, aggrottando la piccola fronte.

Il padre scosse lentamente la testa, mentre un'ombra di rammarico gli attraversò il volto. "No, truciolo. Non ce la fa."

Speranza chinò il capo, buttando in fuori il labbro. "Mi dispiace però...." mormorò con una vocina sottile, sfregandosi un occhio che si era riempito di lacrime.

Neville la prese ancora in braccio, e nonostante la fatica, prese a camminare con lei, fuori dalla stanza. "Su su, non essere triste! La mamma è contenta ugualmente, sai? Perché sa che ora possiamo vivere felici!"

Le baciò la fronte dolcemente, mentre asciugò con i polpastrelli il suo visetto che annuiva.

"Abbiamo un futuro davanti a noi adesso."

"E che cos'è?"

Neville ridacchiò, richiudendosi la porta alle spalle. "Una cosa molto bella, mio bel truciolo! E adesso è tutto nostro!"

FINE

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Ed ecco il lavoretto che mi ha impegnata per un po', costrigendomi a non aggiornare le altre storie ^^'' (ora partono le minacce, lo sento)

Sono contenta del risultato però e spero che questo piccolo racconto possa piacere anche a chi lo legge! ^^

Mando un bacio e un grazie a tutti quanti con la promessa che mi farà viva mooolto presto! ^.-

Ciauuuu

Ryta Holmes

   
 
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