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Autore: lames76    19/09/2011    4 recensioni
Questo racconto è nato quasi per caso, letteralmente fluito fuori dalle mie dita. Non saprei come classificarlo: il protagonista è un dio, con tutti i poteri del caso. Un dio alla greca o simile agli dei che si possono intepretare nei giochi per computer come Blacks & White. Questo dio, improvvisamente, scopre che non esiste solo il popolo che lo ha sempre adorato ma anche altre genti e decide di andare ad incontrarle. Spero vi piaccia. Ultima avvertenza, è arancione perchè, essendo un dio ha poche regole e, soprattutto una moralità tutta sua.
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1 – Un dio crudele



Guardò in basso, quasi distrattamente, osservando l’isola.
Da quanto tempo non lo faceva?
Il villaggio si era espanso anche sul versante orientale, le capanne riempivano ogni parte priva di alberi. Al centro l’enorme totem spiccava sopra tutte le costruzioni, alto e magnifico. Dietro di esso la “Sala del potere” si ergeva anche più alta ed imponente, scintillante sotto i raggi del sole. Era la sola costruzione fatta di pietra ed era costata moltissima fatica e lavoro per edificarla.
Molti erano morti per costruirla ma ne era valsa la pena.
Quella era la sua casa.
La Sala del Potere era il luogo che lui prediligeva.
Tornò a guardarsi attorno quasi distrattamente. A giudicare da come si era espanso il villaggio era da un po’ che non lo osservava da vicino. Guardò meglio la sua parte orientale. A quanto pareva l’attuale capo si era fatto edificare un’imponente dimora di legno, alta e contorta. Abbastanza alta da giungere a metà rispetto alla Sala del Potere.
Borioso, arrogante, insulso insetto, solo perché lui si era momentaneamente distratto credeva di poter fare ciò che voleva?
Forse era giunto il momento di dimostrare nuovamente la propria esistenza.

ChikanKon sedeva sullo scranno osservando il suo villaggio.
Il popolo delle isole di Kon era prosperato sotto la sua guida.
Era certo che senza di lui niente sarebbe stato così perfetto, altro che quello che diceva quel pazzo di ZolonKon. Solo perché era il sacerdote credeva di poter fare tutto ciò che voleva.
Secondo lui le Antiche Storie dicevano che, moltissimo tempo prima, erano solo uno dei tanti piccoli villaggi delle isole. Poi il loro dio si era manifestato dicendo loro che se l’avessero adorato lui li avrebbe resi grandi. Inizialmente erano stati dubbiosi, avevano preso per pazzo il latore del messaggio ma poi avevano assistito ai miracoli. Avevano iniziato a pregare ed ora dominavano l’arcipelago.
I sacerdoti, uno dopo l’altro, avevano continuato a tramandare la storia, avevano fatto erigere la Sala del Potere a costo di sangue e sudore del popolo e dicevano a tutti che se le cose andavano bene era per il volere del dio.
Generazione dopo generazione.
ChikanKon sospirò tornando a guardare il suo villaggio.
Non importava cosa diceva il sacerdote, quello era il SUO villaggio, non il villaggio di una fantomatica entità che lui non aveva mai nemmeno visto.
Per quello aveva deciso che il suo palazzo sarebbe stato imponente. Certo, sull’isola non c’era più pietra per poterne costruire uno di quella materia e si era dovuto accontentare di farlo di legno, come le altre capanne. Per un certo periodo aveva anche pensato di chiedere alla sua gente di smantellare la Sala del Potere per costruirlo ma i tempi non erano ancora maturi. Però, prima o poi, l’avrebbe fatto e tutte le isole avrebbero saputo che era lui il vero dominatore dell’arcipelago.
Un tuono rimbombò in cielo mentre un banco di nubi scure si era portato sopra l’isola.
Si scrollò le spalle, i temporali non erano rari in quella stagione.
Nella sala principale entrò, arrancando appoggiato al bastone, ZolonKon.
ChikanKon odiava quel vecchio. Lo odiava perché era riverito e servito da tutti, senza aver fatto nulla per meritarlo. Lo odiava perché offuscava la sua magnificenza. Ma forse lo odiava perché il vecchio non era per nulla un arrogante, sembrava una persona tranquilla.
«Il dio è adirato», esordì con voce forte e decisa.
Lui finse di non averlo sentito e continuò a guardare fuori della grande finestra che aveva fatto costruire alla destra del suo trono per poter dominare il villaggio.
«Ho letto i segni e devi supplicare», continuò l’anziano con veemenza, «Altrimenti la sua collera si abbatterà su di te!»
ChikanKon si voltò a guardarlo, aveva aggrottato la fronte, «Devo supplicare?»
Era chiaro il piano di quel maledetto vecchio, aveva deciso di sfruttare il temporale per mettere in discussione la sua autorità. Forte del temporale, a cui poteva attribuire una genesi divina, voleva impressionarlo. E voleva farlo di fronte a parte del popolo, per dimostrare che era lui a comandare. Infatti, anche gli altri presenti nella grande sala si fermarono dalle loro attività ed osservarono i due.
«Si, devi supplicare il dio così che fermi la sua ira!», il sacerdote sembrava un po’ troppo insistente. Per un brevissimo istante ChikanKon si chiese perché, visto che solitamente era una persona così tranquilla, ma scacciò dalla sua mente quel pensiero e si alzò in piedi.
«Sentimi bene», si rivolse a tutti i presenti, «Anzi sentitemi bene tutti!», aveva alzato il tono della sua voce, «Sono io che comando in questo villaggio e nessuna stupida tempesta mi farà inginocchiare e men che meno supplicare il totem!»
Il sacerdote era sbiancato in volto, «Tu... tu non puoi dire sul serio... il dio sarà molto adirato...»
I tuoni aumentarono di potenza, stranamente, nonostante le nuvole nere fossero sopra di loro da un po’ non aveva ancora iniziato a piovere.
«E lascialo adirarsi!», urlò ChikanTon.
Il sacerdote puntò un braccio verso di lui e fece per parlare ma lo abbassò e dopo essersi voltato si avviò verso l’uscita della grande sala. Si fermò sull’uscio per guardare il capo villaggio e coloro che erano all’interno.
«ChikanKon tu sei condannato», la sua voce era forte ma preda di una grande tristezza, «E chi resterà qui dentro quando ne sarò uscito perirà con te»
Detto questo si voltò ed uscì dalla sala.
Dei presenti, tre si affrettarono a seguirlo, mentre gli altri rimasero a guardare il capo.
Che andassero pure quei tre, pensò ChikanKon tornando ad accomodarsi sul trono.
Dedicò uno sguardo tranquillo a quelli che erano restati con lui.
Quindici contro tre, vinceva lui nettamente.
Certo quella era solo l’infinitesima parte degli abitanti dell’arcipelago ma quel campione era attendibile.
A ripensarci forse i tempi erano maturi per smantellare quella costruzione.
Fu in quel momento che la folgore colpì la grande capanna.

Perché mi ostino ad essere misericordioso? Avrei dovuto eliminarlo subito.
Però facendo le cose per bene, avvisando tramite quello stupido rito delle ossa il sacerdote e facendolo andare a parlare con lui, ho dato una bella dimostrazione agli abitanti.
Ma è giunto il momento di agire.
ZolonKon si era appena allontanato, seguito da tre altri indigeni.
Lui puntò un dito sopra la capanna del capo villaggio ed un fulmine la colpì in pieno, dando fuoco al legno ed alla paglia che formavano il tetto.
Sentì, molto soffocate visto quanto erano piccole, le urla delle persone all’interno. Come tante formiche impazzite i presenti si lanciarono verso l’uscita. Distrattamente appoggiò la mano davanti ad essa sogghignando sadicamente.

Ecco ci mancava un fulmine, pensò ChikanKon quando il tetto iniziò a bruciare, ora penseranno che sia opera di quel vecchio pazzo.
Il panico dilagò nella sala ma lui si alzò in piedi e parlò con voce forte e decisa, «Popolo calma!», la gente incredibilmente si fermò a guardarlo, era sempre stato bravo a farsi obbedire, «Usciamo da qui, tra poco la pioggia spegnerà il fuoco»
Detto questo scese dallo scranno e si avviò con passo deciso, ma non troppo affrettato, all’uscita. Sentì gli sguardi pieni di ammirazione che gli altri gli rivolgevano. Stava mantenendo la calma davanti ad una cosa che li aveva fatti andare nel panico. Con quel gesto stava guadagnando potere.
Giunse davanti all’uscita e procedette con passo sicuro ed andò a sbattere contro qualcosa.
Si fermò confuso.
Di fronte a sé non c’era nulla, poteva vedere il resto del villaggio all’esterno dell’apertura ma era sicuro di essere andato a sbattere contro qualcosa.
Riprovò ad uscire ma, ancora, scontrò qualcosa che glielo impedì.
Sentì gli sguardi degli altri premere contro la sua schiena, qualcuno aveva anche iniziato a bisbigliare. Allungò le braccia di fronte a se e vide che c’era come una sorta di parete invisibile davanti all’uscita.
La paura iniziò a serpeggiare dentro di lui.
Intanto le fiamme avevano attecchito e non c’era alcuna pioggia a placarle.
ChikanKon si voltò verso la persona più vicina a lui e tuonò, «Tu! Esci dalla finestra!»
L’altro non se lo fece dire due volte, corse verso la grande finestra posta alla destra del suo trono e vi saltò attraverso. Non ebbe neanche il tempo di atterrare perché un fulmine lo colpì in pieno incenerendolo.
Il panico esplose come una bomba.
Tutti i presenti iniziarono a correre a destra ed a sinistra cercando di uscire. Alcuni scontrarono la parete invisibile di fronte all’uscita ed iniziarono a battere i pugni contro di essa urlando e piangendo.
Altri due tentarono di saltare fuori dalla finestra ma furono anch’essi inceneriti.
Intanto il fuoco si era espanso sempre di più, alcune travi iniziarono a crollare sopra di loro schiacciandoli, mentre il fumo bruciava i loro polmoni.
ChikanKon crollò in ginocchio inerme.

Sorrideva compiaciuto.
Scagliò un altro fulmine colpendo l’ennesimo indigeno che stava cercando di saltare fuori dalla capanna incenerendolo sul posto.
Era sempre stato bravo col tiro al bersaglio.
Sogghignò vedendo il capo cadere in ginocchio distrutto.
Ma morire bruciato non era quello che aveva in mente per lui.
Quando la capanna fu sul punto di collassare abbassò la mano ed afferrò ChikanKon sollevandolo in aria.
Lasciò gli altri a perire all’interno.

ZolonKon era inginocchiato di fronte al grande totem a pregare.
Sapeva che il suo dio non era misericordioso, le Antiche Storie parlavano chiaro, ma aveva dato la possibilità a ChikanKon di salvarsi.
Eppure lui l’aveva rifiutata.
Quando la capanna del capo prese fuoco per il fulmine decine di persone uscirono dalle loro dimore per vedere cosa capitava. Alcuni iniziarono ad organizzarsi per spegnere l’incendio.
Poi videro il capo villaggio davanti all’apertura della sua capanna. Sembrava volesse uscire ma non ci riusciva. Era un segno che il loro dio era contro di lui.
Videro ZolonKon inginocchiato a pregare e dopo pochi istanti si unirono a lui, pregando di essere salvati.
In pochi minuti quasi tutto il villaggio era radunato prostrato di fronte al totem.
Anche i più scettici si erano convinti dopo aver visto alcuni tentare di fuggire dalla capanna del capo attraverso la finestra solo per essere inceneriti dai fulmini.
Le urla aumentarono mentre il fuoco sterminava i miscredenti.
Poi, quando la capanna collassò su se stessa videro ChikanKon volare. Era sollevato in aria da una forza invisibile, lui urlava e scalciava ma non sembrava potersi muovere liberamente.
Venne spostato sopra i presenti poi sollevato in aria, sempre più in alto.
Ci fu un ulteriore fortissimo tuono e poi udirono un urlo raccapricciante.
Una pioggia cremisi cadde sugli abitanti più vicini al totem.
In cima, sventrato dalla sua cuspide, stava impalato il corpo di ChikanTon.

Sorrise ancora, facendo sparire con un gesto della mano le nubi e beandosi della vista dell’ormai ex capo villaggio morto.
Ora tutta la gente del villaggio stava pregando e lui si sentiva sempre più forte.
Inviò un leggero impulso al sacerdote e questi, dopo un istante afferrò la sacca delle ossa sacre e la rovesciò a terra di fronte a sé.
Lui le spostò per indicargli quello che voleva dire.

ZolonKon osservò il responso e lesse il messaggio del suo dio.
Raccolse le ossicine rimettendole con sacralità dentro la sacca, poi si sollevò in piedi, cercando di non pensare che era zuppo del sangue di ChikanKon. Si voltò verso la folla sollevando le braccia al cielo.
«Il dio mi ha mandato un messaggio», immediatamente tutti tacquero e rivolsero i loro sguardi al vecchio, sguardi che erano un misto di timore e reverenza, «Sopra le rovine della capanna del capo sarà edificato un altro totem per ricordare a tutti che il nostro dio è potente», le persone annuirono, «Inoltre il nostro possente dio mi ha comunicato che da oggi sarà più vicino a noi, non permetterà più che il dubbio si insinui nei nostri cuori»

Bene ristabilito l’ordine.
Stava per accomodarsi di nuovo sulla sua poltrona quando notò qualcosa vicino alla scogliera occidentale.
Era la parte dell’isola principale che era inaccessibile alla sua gente. Aveva voluto lui così quando aveva plasmato l’isola molto tempo prima. L’aveva fatto quando aveva scoperto che il suo popolo aveva una predilezione per le uova delle tartarughe marine, oltre che per le tartarughe stesse, e questo le stava portando all’estinzione. Visto che non voleva impedire ai suoi di mangiarle aveva dato un posto sicuro alle creature dove fare il nido.
Osservò meglio e vide che si trattava del corpo di un uomo.
Ma era completamente diverso da quelli che conosceva.
Questo aveva l’epidermide bianca, capelli biondi e barba sul viso anch’essa chiara. Sembrava indossare abiti strani, colorati in modo sgargiante e portava armi in metallo ai fianchi. Era decisamente morto ed il suo corpo era stato probabilmente sbattuto sulla spiaggia dalle onde. Diversi pezzi di legno erano vicino a lui, forse i resti della sua imbarcazione.
Uomini dalla pelle bianca!
Fino a quel momento non aveva neppure pensato che potessero esistere, erano qualcosa di incredibile. Fino a quel momento per lui l’uomo era magro, atletico, dotato di pelle scura come la pece e capelli spesso ricci e neri.
Anche lui, quando si era mischiato tra la folla del suo popolo, aveva assunto quell’aspetto. Anche quando decideva di assumere una forma fisica prediligeva quell’aspetto.
Ma questa scoperta cambiava tutto.
Questa pelle chiara era così aliena ma anche così incredibilmente affascinante. Anche la barba chiara e chissà che colore avevano gli occhi prima. Quell’uomo era morto da troppo tempo per poterlo riportare in vita purtroppo, altrimenti avrebbe avuto molte domande da porgli.
Si allontanò dalla zona sovrastando l’isola, spostandosi sempre più in alto fino a che non divenne solo un puntino. Fino a che il suo intero arcipelago, il suo regno, non divenne che una piccola macchia.
Non l’aveva mai fatto. Troppo occupato dall’istruire i suoi, troppo occupato nei suoi affari, non si era mai chiesto se esistessero altre genti.
Vide altri continenti e terre.
Non era ancora abbastanza potente da poterle raggiungere e poter interagire con esse.
Ora però aveva un obiettivo.
E per arrivarci aveva bisogno di più potere.



Note: Eccoci giunti alla fine del primo, corposo capitolo. Spero che abbiate compreso qualcosa di questo dio (ancora senza nome). Spero anche di non avervi shockato troppo :-p A lunedì prossimo!
   
 
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