Prompt:'Violino.'
Aveva
lunghi, sottili
capelli di un
biondo quasi bianco, gli occhi di un grigio insignificante e una pelle
bianchissima che si intonava al suo maglione grigio perla, che comunque
non si sarebbe notato in quel buio quasi totale.
La ragazza si voltò sul posto e si ritrovò davanti a una platea insesistente. Il teatro vuoto faceva molto più rumore che se fosse stato pieno di persone.
L'unica luce flebile che proveniva da un lampioncino davanti a lei, illuminò il vecchio violino che teneva in mano e il suo grigio sguardo spento.
Si guardava i piedi e non osò alzare la testa verso il nulla, davanti a lei. Era scappata da tutto il frastuono che aveva subito in quei giorni; da tutto il dolore.
Il suo cervello disabitato le comandò, per l'ultima volta, di alzare quel violino e avvicinarlo al suo mento.
Lo fissò a lungo, non capì molte cose.
Il suo corpo si abituò al buio e si trovò a suo agio. Alzò l'archetto, lo avvicinò alle corde tese e chiuse gli occhi.
Piano, lentamente, lontano, il tocco produsse un suono: le mancò il respiro.
Spaventata, credette che qualcuno avesse bussato dentro di lei...richiuse gli occhi.
Decise di non pensarci oltre, riappoggiò l'archetto sulle corde e suonò.
Ricordò i sorrisi di sua madre e le mani di suo padre, pezzi d'anima ormai ingialliti dal tempo;
Quando stava annegando da piccola: le sembrarono una musica imponente, le onde che la mandavano giù.
Si ricordò la prima volta che suonò davanti a tutta la scuola; quando incise il suo primo demo, con le mani sudate per l'ansia.
Il sorriso di lui. Lui che sarebbe andato a vivere con lei, in mezzo ai girasoli; che le avrebbe dato un figlio da stringere al petto nelle notti fredde di pioggia.
Suonò la primavera dentro l'inverno gelato e cupo che ora era il suo cuore: sorrise.
Freneticamente raccontò dello sbocciare delle rose; parlò del cielo turchese e degli uccelli che hanno la libertà in seno. La musica risuonò vibrando, nel suo corpo estasiato e pianse: tutto andava per il verso giusto, un'ultima volta.
Per l'ultima volta.
Il teatro si illuminò; i suoi piedi scalzi erano immersi dentro l'acqua cristallina di un fiume, sentiva il profumo dei gelsomini mentre la luna si stava innalzando dietro di lei.
Coriandoli di neve caddero lentamente, all'improvviso. Le sue lacrime si asciugarono lasciando un segno sul suo esile viso.
L'archetto produsse una debole, rassegnata, malinconica, straziante, ultima melodia...
Non osava aprire gli occhi: il gelo innaturale la circondò di nuovo, con scrupolosità maligna.
Allontanò lentamente l'archetto dalle corde. Le girava la testa, sarebbe caduta sul palco: si decise ad aprire gli occhi e capì.
Appoggiò con malinconica dolcezza il violino davanti a lei e si asciugò le lacrime gelate sul viso.
Perchè nessuna cosa sarebbe più tornata come prima; perchè non avrebbe più visto il sorriso della sua anima gemella, così simile ai girasoli, nè il profilo di un bambino che gli assomigliava.
Non c'era più niente di lui se non i ricordi colorati di grigio che i suoi occhi avevano inconsapevolmente bagnato.
Se avrebbe continuato a suonare, avrebbe solamente visto la vita che non poteva vivere più, ormai.
Vivere in quella dimensione lontana dal mondo, che produceva il suo violino, non le avrebbe mai ridato davvero lui. Non poteva continuare a dipendere dall'effimera atmosfera che si creava nella sua testa, così come fa un tossicodipendente.
Rinunciare a suonare avrebbe significato vivere.
La ragazza si voltò sul posto e si ritrovò davanti a una platea insesistente. Il teatro vuoto faceva molto più rumore che se fosse stato pieno di persone.
L'unica luce flebile che proveniva da un lampioncino davanti a lei, illuminò il vecchio violino che teneva in mano e il suo grigio sguardo spento.
Si guardava i piedi e non osò alzare la testa verso il nulla, davanti a lei. Era scappata da tutto il frastuono che aveva subito in quei giorni; da tutto il dolore.
Il suo cervello disabitato le comandò, per l'ultima volta, di alzare quel violino e avvicinarlo al suo mento.
Lo fissò a lungo, non capì molte cose.
Il suo corpo si abituò al buio e si trovò a suo agio. Alzò l'archetto, lo avvicinò alle corde tese e chiuse gli occhi.
Piano, lentamente, lontano, il tocco produsse un suono: le mancò il respiro.
Spaventata, credette che qualcuno avesse bussato dentro di lei...richiuse gli occhi.
Decise di non pensarci oltre, riappoggiò l'archetto sulle corde e suonò.
-
Ricordò
quando pianse, ascoltando un violino suonare per la
prima volta; quanto fosse cambiata la sua visione del mondo, in quel
momento.Ricordò i sorrisi di sua madre e le mani di suo padre, pezzi d'anima ormai ingialliti dal tempo;
Quando stava annegando da piccola: le sembrarono una musica imponente, le onde che la mandavano giù.
Si ricordò la prima volta che suonò davanti a tutta la scuola; quando incise il suo primo demo, con le mani sudate per l'ansia.
Il sorriso di lui. Lui che sarebbe andato a vivere con lei, in mezzo ai girasoli; che le avrebbe dato un figlio da stringere al petto nelle notti fredde di pioggia.
Suonò la primavera dentro l'inverno gelato e cupo che ora era il suo cuore: sorrise.
Freneticamente raccontò dello sbocciare delle rose; parlò del cielo turchese e degli uccelli che hanno la libertà in seno. La musica risuonò vibrando, nel suo corpo estasiato e pianse: tutto andava per il verso giusto, un'ultima volta.
Per l'ultima volta.
Il teatro si illuminò; i suoi piedi scalzi erano immersi dentro l'acqua cristallina di un fiume, sentiva il profumo dei gelsomini mentre la luna si stava innalzando dietro di lei.
Coriandoli di neve caddero lentamente, all'improvviso. Le sue lacrime si asciugarono lasciando un segno sul suo esile viso.
L'archetto produsse una debole, rassegnata, malinconica, straziante, ultima melodia...
Non osava aprire gli occhi: il gelo innaturale la circondò di nuovo, con scrupolosità maligna.
Allontanò lentamente l'archetto dalle corde. Le girava la testa, sarebbe caduta sul palco: si decise ad aprire gli occhi e capì.
Appoggiò con malinconica dolcezza il violino davanti a lei e si asciugò le lacrime gelate sul viso.
Perchè nessuna cosa sarebbe più tornata come prima; perchè non avrebbe più visto il sorriso della sua anima gemella, così simile ai girasoli, nè il profilo di un bambino che gli assomigliava.
Non c'era più niente di lui se non i ricordi colorati di grigio che i suoi occhi avevano inconsapevolmente bagnato.
Se avrebbe continuato a suonare, avrebbe solamente visto la vita che non poteva vivere più, ormai.
Vivere in quella dimensione lontana dal mondo, che produceva il suo violino, non le avrebbe mai ridato davvero lui. Non poteva continuare a dipendere dall'effimera atmosfera che si creava nella sua testa, così come fa un tossicodipendente.
Rinunciare a suonare avrebbe significato vivere.
Il
violinista arriva
realmente alla suprema grandezza quando non è più
lui che suona il violino ma quando l'arco strappa dall'anima sua,
e non dalle corde, le note più imploranti e desolate.
e non dalle corde, le note più imploranti e desolate.
Okay, vi chiedo immensamente
scusa. Non sono molto soddisfatta del finale ma come spesso succede,
''sono stata costretta'' perchè era così che
doveva finire. Almeno per quanto riguarda il disegno dentro la mia
testa. Se mai mi verrà in mente qualcos'altro da scrivere
l'aggiungerò...
Ad ogni modo, grazie in anticipo a tutti coloro che la leggeranno/recensiranno.
Bacio, Nishe.
Ad ogni modo, grazie in anticipo a tutti coloro che la leggeranno/recensiranno.
Bacio, Nishe.