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Autore: Marrs    19/09/2011    1 recensioni
Nata come una one-shot, mi sono fatta prendere dalla frenesia di proseguire questa storia dal momento che non ne voleva sapere di concludersi così velocemente. Non sono sicura del risultato, ma spero di poter contare sul vostro appoggio.
Cosa fareste voi se, arrivando a scuola, foste interrotti da una visita inaspettata? E se questa visita inaspettata giungesse direttamente dall'America, proprio quando vi eravate messi l'anima in pace e cercavate di dimenticare il suo nome?
Buona lettura!
RIPUBBLICATA IL 19 SETTEMBRE 2011!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Una visita dal passato

Chapter One -
Una colazione poco nutriente

 
Se quel giorno la mia Fata madrina mi avesse raccontato cosa stava per succedere, probabilmente avrei dimenticato di avere un ruolo fondamentale per la riuscita di quella mattinata all’interno del mio liceo e mi sarei girata dall’altra parte senza lasciare il mio soffice cuscino; purtroppo, però, non avevo una Fata madrina, quindi nessuno mi avvertì che il mio passato stava per piombarmi addosso come un macigno e che non avrei fatto in tempo a scansarmi.
Così mi alzai svogliatamente come ogni mattina, maledicendo quegl’ultimi giorni di inizio Giugno che sembravano non voler finire mai; scesi le scale, incontrando lo sguardo di mia madre già pronta a raggiungermi in camera per intimarmi di scendere dal letto.

-Buongiorno, tesoro! Grazie per avermi risparmiato le scale almeno questa mattina, visto che sono piuttosto di fretta.-
Mamma Jennifer era quel tipo di donna sempre indaffarata tra appuntamenti di lavoro e pulizie di una Pasqua che in casa nostra giungeva ogni domenica. Certe volte mi domandavo dove avesse trovato il tempo di crescere me e prendersi cura di mio padre, senza impazzire perlomeno. Forse era per questo che alla fine aveva dovuto fare una scelta: separarsi da mio padre.

-Ciao, mamma. Dove scappi questa volta?- le domandai con voce assonnata, notando il respiro corto con cui aveva pronunciato la solita frase.

-Ho una riunione in ufficio e non posso assolutamente tardare. Dobbiamo discutere del bilancio dell’azienda e, vista la criticità della situazione, impiegheremo sicuramente le due ore che abbiamo a disposizione. Temo che dovrai pranzare da sola al ritorno da scuola, perché dopo devo proprio fermarmi a revisionare il nuovo progetto di quella catena di negozi d’abbigliamento. Puoi sopravvivere senza la mia compagnia per questa volta?- mi chiese con il sorriso colmo di scuse che mi rivolgeva quasi ogni mattina. Naturalmente non le avrei mai fatto pesare il tempo che il lavoro le rubava giornalmente, perché sapevo che si preoccupava soprattutto per il mio futuro ed era ciò che la spingeva a correre come un treno tutti i giorni .

-Tranquilla, mamma! Hai cresciuto una bambina forte e indipendente, quindi credo di potermela cavare da sola per questa volta. A un patto però…- aggiunsi socchiudendo gli occhie chiudendo le mani palmo a palmo mentre le mie dita si sfioravano a ritmo serrato con fare minaccioso.

-Cioè? Spero tu non voglia chiedermi di ricompensarti comprandoti l’ultima versione di Ciccio Bello… Quando eri piccola dicevi addirittura di volerlo sposare!- rispose ridendo apertamente, ma sempre attenta a quale potesse essere la mia richiesta.

-Hai bevuto caffè e simpatia stamattina? Di solito non ti dimentichi così facilmente delle riunioni che hai a poco più di mezzora.- La mia espressione trionfante fece capolino proprio nel momento in cui la sua pelle assumeva un tono biancastro; con tono inacidito mi chiese velocemente quale fosse l’accordo e io le ricordai di quel film che volevamo vedere insieme. Mi promise di passare a noleggiarlo prima di tornare a casa dal lavoro e schizzò via come un lampo, lanciandomi un’ultima occhiataccia. Che donna!
Decisi che era giunto il momento di fare colazione e anche piuttosto in fretta, altrimenti avrei perso l’autobus e non me lo potevo permettere vista l’intimazione fattami riguardo alla puntualità dal preside in persona. Completata la routine mattutina, presi dall’attaccapanni il golfino che mi proteggeva dalla brezza leggera di inizio Giugno, il sacchetto contenente tutto l’occorrente, chiusi la porta alle mie spalle e mi avviai verso la fermata. Passando di fronte alla casa di quello che una volta era il mio migliore amico, notai uno strano particolare: una delle imposte era aperta; doveva essere stato il vento a forzarla, dal momento che lì non abitava più nessuno da un quattordici lunghi mesi. Arrivai in contemporanea con il pullman, riflettendo sul fatto che forse quella giornata sarebbe stata meglio di come me l’aspettassi… Naturalmente dimentico sempre di non riflettere, perché nella mia vita funziona proprio come nei film; qual è la classica frase che ripetono nei polizieschi americani? Ah, sì! “Ha il diritto di rimanere in silenzio. Qualsiasi cosa dica può e sarà usata contro di lei…” e così accadeva anche con me. Maledetta la mia lingua, o forse dovrei dire mente lunga! Comunque durante il viaggio verso scuola quella sensazione non mi abbandonò neanche per un istante e ciò mi diede la giusta forza per arrivare di fronte a quell’edificio in fase di ristrutturazione con il sorriso sulle labbra pronta ad affrontare la mia più grande paura, il palco.
Mentre raggiungevo l’atrio però, poco prima degli scalini, la mia attenzione fu attirato da una folla radunata proprio di fronte all’ingresso verso cui mi dirigevo a grandi passi e non potei fare a meno di provare a scorgere quale fosse l’oggetto di tanto clamore; non riuscendo a vedere nulla, soprattutto grazie al mio scarsissimo metro e sessantacinque, decisi di intrufolarmi tra la massa per poterci capire qualcosa in più, consapevole che si sarebbe trattato di un’impresa titanica. Proprio quando ero giunta a metà della mia stranamente semplice scalata al successo, tra gli sguardi curiosi e altri un po’ preoccupati, sentì una voce familiare richiamare la mia attenzione: Britney, la mia migliore amica. Stava correndo a perdifiato verso di me e forse questo, aggiunto alle strane occhiate degli spettatori di uno show che ancora non sapevo di cosa trattasse, avrebbe dovuto allarmarmi; ma questo avrebbe voluto dire troppo al mio neurone solitario, al quale avevo dato il permesso di farsi una vacanza alle Hawaii proprio per evitare la razionalità che mi avrebbe bloccata trovandomi dei riflettori puntati addosso.

-Chantal, Chantal, Chantal!- ripeté lei convulsamente, mentre le andavo in contro con passi brevi e trascinati.

-Ehi, Brit! Sei così euforica perché sai che ti farò fare quattro risate cadendo dal palco come un pezzo di legno? Ti ringrazio per l’incoraggiamento…- risposi stizzita all’amica a cui avevo confessato di avere una terribile ansia da palcoscenico, ma che ora sembrava quasi euforica.

-No, è che guardando l’orologio e notando che tu fossi ancora qui fuori ho pensato fosse subito meglio trascinarti dentro per non farti ritardare all’appuntamento con la truccatrice!- Quello che non mi convinse nelle sue parole furono gli “mmm…” ed “ehm…” che intervallarono tutto il periodo; era come se faticasse a trovare la cosa adatta da dire. Comunque stavo quasi per ringraziarla e seguirla, quando mi ricordai di una cosa…

-Aspetta solo un attimo. Voglio scoprire la causa di quel raduno…- e mentre lo dicevo voltai lo sguardo, il quale riuscì a mettere a fuoco solo buio, buio totale; Britney mi stava tenendo una mano sugl’occhi e io non ne capivo il motivo. Le intimai di lasciarmi andare, quasi urlando e solo in quel momento mi accorsi che il chiacchiericcio insistente che proveniva da quella folla si era improvvisamente fermato; con un gesto secco riuscii a scansare la mano della mia migliore amica, ma subito dopo mi pentii di averlo fatto.
Lui era lì e mi fissava con quelle pozze di acqua celeste che avrei riconosciuto anche tra altri milioni; non sapevo come, ma si era materializzato dagli Stati Uniti proprio nel cortile della mia scuola e ora non faceva altro che guardarmi insistentemente.

-Preferivo lo scoprissi dopo la tua prova di coraggio sul palco dell’auditorium…- La voce di Britney mi arrivò soffocata dai mille pensieri che mi attanagliavano in quel momento, tra cui quello che forse avrei fatto meglio a mangiare mezzo biscotto in più visto il violento tremore che stava scuotendo le mie ginocchia.
L’unica cosa di cui ero certa era il colore dei suoi occhi, inconfondibile.
E questo poteva voler dire solo una cosa: il mio migliore amico era tornato.


Lively_

  
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