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Autore: mikeWeLoVeYoU    02/06/2006    4 recensioni
Catherine deve affrontare la sfida più ardua della sua vita. Per vincere, ha bisogno dell'unica persona che è sempre stata in grado di sorreggerla.
Genere: Drammatico, Thriller, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Catherine Willows
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Chi avrebbe mai detto che si sarebbe rivelata una serata tanto splendida?
Catherine era seduta nella veranda della sua casa di campagna, su una vecchia sedia a dondolo, e guardava le stelle…Quelle stelle che a Las Vegas erano così invisibili, rese vane dalle luci della città.
Con le gambe ripiegate, le ginocchia strette al petto, una tazza di caffè nella mano destra, guardava in alto con aria assorta. La quiete che la circondava sembrava irreale, a confronto con la sua vita frenetica.
Si disse che aveva fatto bene a prendersi quei giorni di ferie. Anche se alla fine non erano stati propriamente richiesti; più che altro glieli avevano imposti. Era il minimo dopo…dopo quello che era successo.

Da stacanovista qual era sempre stata, fin dai tempi i cui passava le sue serate ballando, sentiva una forte mancanza del suo lavoro e di tutto ciò che aveva lasciato al CSI di Las Vegas…Malgrado non le dispiacesse avere del tempo per se stessa e per sua figlia Lindsay, era perfettamente consapevole di ciò che più le mancava.

Abbassò lo sguardo sulla tazza fumante che stringeva e con la coda dell’occhio intravide qualcosa sul suo polso, che rimaneva leggermente scoperto dalla manica; quel qualcosa la riportò a due giorni prima, perciò distolse bruscamente lo sguardo e nascose la mano nell’incavo fra le gambe e lo stomaco.
Appoggiò le fronte sulle ginocchia, inspirando forte, e strinse gli occhi più che poté per fermare le lacrime che bussavano così insistentemente alle sue palpebre.
Senza sollevare il viso, poggiò la tazza sul tavolino al lato della sedia e lasciò la mano sul bracciolo, inerte.

“Ho bisogno di fare qualcosa…Non devo pensare” si disse a bassa voce. Si alzò lentamente, reggendosi a malapena sulle sue stesse gambe; era pallida in volto, i capelli scompigliati, i vestiti larghi e trasandati. Voltandosi, alzò lo sguardo a guardare la porta che portava dentro, e non fu poi tanto stupita nel vedere un uomo appoggiato allo stipite.

“Da quanto sei qui?” gli chiese, mentre lui si faceva da parte per farla entrare in casa.
“Abbastanza da capire che ho fatto la cosa giusta, venendo” rispose Gil Grissom, seguendola all’interno.
Catherine continuava a camminare dandogli le spalle: era felice di vederlo lì, ma aveva perso la forza di esternare qualunque sentimento.

Si sedette su uno degli sgabelli della cucina e per la prima volta, da giorni, gli parlò guardandolo negli occhi.
“Come sei entrato?” gli chiese; nella sua voce non c’era alcun tono accusatorio, ma semplicemente il desiderio di intraprendere una conversazione normale.
“Lindsay” disse semplicemente lui “Ora è a prendere un caffè con Warrick…”
Catherine sospirò ed annuì, volgendo lo sguardo verso l’orologio appeso sul muro alla sua destra.

Gil si avvicinò al tavolo e vi appoggiò il gomito, cercando lo sguardo di Catherine, che però si ostinava a guardare in altre direzione.
“Cath…” Gil cercò di attirare l’attenzione della donna, che si voltò a guardarlo di nuovo.
Lui le si avvicinò ancora di più, fino a sovrastarla e a costringerla a guardarlo dall’basso verso l’alto. Non interruppe quel contatto visivo finchè non video gli occhi di Catherine inumidirsi, e subito riempirsi di lacrime.

Lei abbassò lo sguardo, fissandosi le mani; le lacrime le scendevano sugli zigomi, attraversavano le guancia incavate e le solcavano le labbra.
Gil, con una mano incerta, le accarezzò il viso asciugandole le gote, cercando di trasmetterle il maggior affetto possibile con il minor contatto fisico.
Non volendo rischiare, allontanò la mano dalla donna e si piegò sulle ginocchia, in modo da avere i suoi occhi allo stesso livello dei propri.

“Cath, come stai? Ti prego, non rispondermi con un’ovvietà…” la implorò.
Lei continuò a fissarlo: come avrebbe potuto mentire all’uomo che la conosceva più di ogni altro?
Sospirò; fu un sospiro tremante, rotto dal pianto dei minuti precedenti.
“Non riesco a dormire. Sono quattro notti che non dormo, e finisco sempre con l’imbottirmi di sonniferi all’alba. Così, dormo la mattina e mi risveglio il pomeriggio, quando mia figlia di tredici anni he già fatto tutte le cose che avrei dovuto fare io” fece una pausa e poi scosse la testa “Sono una pessima madre”.

Gil non parlò; sapeva che in quei casi era meglio lasciare che le persone si sfogassero e che avessero l’opportunità di esternare ciò che provavano.

Notato il silenzio del suo interlocutore, Catherine continuò a parlare.
“Non riesco a stare da sola, perché il silenzio mi uccide. Risento la mia voce, i rumori delle porte che sbattevano, i suoi…i suoi…”
Catherine non riuscì a continuare; cominciò a tremare nervosamente, si passò una mano sugli occhi e la sua fronte si imperlava di sudore sempre di più.

Gil Grissom ebbe di nuovo paura, proprio come i giorni precedenti.
“Cath, calmati…Non ti preoccupare, è tutto finito” le disse, cercando di confortarla.
Le prese la mano con dolcezza, ma rimpianse di averlo fatto: Catherine balzò in piedi, buttando a terra lo sgabello e cominciando ad urlare.
“Non è vero! Non è passato un bel NULLA!” urlò, stringendo i pugni “Tutto è sempre qui, nella mia testa! E finchè VOI continuerete a farmelo rivivere, la situazione non cambierà di una virgola!”

Cominciò a correre e sparì nel corridoio; poco dopo Gil sentì la porta della sua camere chiudersi con violenza.
L’uomo si alzò, sospirando: forse aveva preteso troppo. Si avviò a passi lenti lungo il corridoio, fino ad arrivare di fronte alla porta che lo divideva da lei. Vi si appoggiò con la schiena e si lasciò scivolare fino a toccare terra.

“Cath, ti prego, ascoltami…Apri questa porta”
Nessuna risposta.
“Cath, per l’amor del cielo, apri la porta…” disse lui, in tono supplichevole, chiudendo gli occhi e sollevando il mento.
Dall’interno non provenne neanche un suono.
“Banbina, lo sai che, se non apri la porta, ora uscirò da questa casa e ammazzerò quel bastardo. E siccome ho intenzione di dichiararmi colpevole e pienamente capace di intendere e di volere, rischi di avermi sulla coscienza per il resto della tua vita. E ti assicuro che sto ingrassando, e non sarei un peso tanto leggero”.

Sentì lo scattare della serratura e la porta si aprì di scatto: Gil si trovò steso a terra, preso alla sprovvista; da laggiù riuscì a scorgere il viso leggermente divertito di Catherine.
Lei gli porse una mano per aiutarlo a tirarsi su, ma lui preferì far forza sui gomiti, reputandola ancora troppo debole.
Quando fu di nuovo in piedi, aspettò che fosse lei a fare la prima mossa…E infatti lei parlò per prima, scostandosi i capelli dal viso.

“Gil, mi dispiace…Sono una stupida…Me la prendo con te, quando sei l’unico di cui mi possa fidare. Ma è solo che sono sfinita. Questa situazione mi sta distruggendo…Seriamente”
Grissom la rassicurò, con il sorriso più conciliante che riuscì a fare; lei gli si avvicinò, titubante, e gli cinse la vita con le braccia esili.
Appoggiò la testa sul petto di lui e lo strinse a sé, come se fosse la sua unica scialuppa di salvataggio.
Gil, a sua volta, le accarezzò i capelli con una mano, mentre con l’altra ricambiava quell’abbraccio, poggiando il mento sulla testa della donna.
Rimasero così per un’eternità: a volte gli sembrò di sentirla singhiozzare e la strinse ancora più forte, per farle capire che non sarebbe mai stata sola.



I'll be there to comfort you Build my world of dreams around you I'm so glad that I found you I'll be there with a love that's strong I'll be your strength I'll keep holding on



Circa un’ora dopo, sentirono la porta sbattere e Catherine sussultò; sentendo la voce di Lindsay e di Warrick, Gil la lasciò ed entrambi si diressero nel salone.
“Mamma!” esclamò Lindsay abbracciando la madre.
Warrick lanciò a Grissom uno sguardo interrogativo, ma Gil scosse la testa e gli voltò le spalle.
“Mie belle signore…” esordì, rivolgendosi a Cath e Lindsay “Warrick ed io dobbiamo tornare in città”
Gli sembrò di leggere della delusione negli occhi di Catherine e gli pianse il cuore per questo.
Si avvicinò loro e dette un bacio sulla fronte alla ragazzina e un bacio sulla guancia a Cath, sussurrandole: “Stai su, bambina. Ti vengo a trovare non appena riesco a liberarmi”

Uscirono ed attraversarono il giardino, raggiungendo la macchina di Warrick. Prima di entrare in macchina, Gil rivolse un ultimo cenno alle due, che lo salutavano dalla soglia della porta.
Aprì lo sportello e si sedette sul sedile anteriore, sospirando profondamente.
Warrick, prima di mettere in moto la macchina, lo guardò.

“Allora?” chiese a Grissom.
“Assolutamente no. Non è pronta per testimoniare davanti ad un Gran Giurì. A stento è riuscita a parlarne con me, prima di scattare come una molla…Figurati di fronte ad una commissione di estranei”
Warrick infilò le chiavi nel quadro di accensione e scosse la testa.
“Questo è un bel guaio. Senza la sua testimonianza siamo fregati, non ci daranno mai il mandato d’arresto” disse, voltandosi per fare retromarcia lungo il viale.
“Lo farà…Diamole il tempo necessario per risolvere i problemi con se stessa…” disse Gil.
Poi, improvvisamente, sbattè un pugno sul cruscotto.
“Quel bastardo!” imprecò “Giuro che lo ammazzo, fosse l’ultima cosa che faccio!”

Warrick imboccò la strada che portava verso la città e accelerò, sfiorando i 180 chilometri orari.
“Ascolta Grissom, cerca di non fare sciocchezze. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è che tu venga sospeso” disse a Gil, fissando la strada.
Grissom tacque: se avesse avuto un bicchiere in mano, probabilmente si sarebbe frantumato.
Warrick aveva ragione, certo…Era a capo dell’operazione e tutti dipendevano da lui; eppure non riusciva ad accettare il rifiuto di Ecklie nel dargli un mandato di arresto per…quel “bastardo”.
“Ma ti ha parlato di quello che è successo? Cioè, sei riuscito a capire la dinamica degli eventi?” continuò Warrick.
“Non saprei…Qualche frammento” disse Gil “Ha parlato di porte che sbattevano”
Warrick sbuffò.
“È tutto così strano…Non sopporto vederla così. E pensare che fino a Marted’ seguivamo il caso O’Connell insieme…
” “Già…” disse Gil “Ma sai qual è la cosa peggiore? La tristezza e la paura nei suoi occhi, quando è sempre stata la donna più vitale che conosca”

Warrick mugugnò qualcosa, ma Grissom era ormai perso nei suoi pensieri; gli tornò in mente tutto ciò che li aveva portati fino a quel punto.


Erano le 3 di notte quando il telefono squillò; Gil dormiva e fu svegliato dal trillo del telefono.
Senza alzarsi a sedere, prese la cornetta e biascicò qualche parola come risposta.
“Lei è Gil Grissom? La chiamiamo dal Sacred Heart Hospital” affermò una voce femminile.
“Cosa è successo?” esclamò mettendosi a sedere, spaventato.
“Chiamiamo da parte di Miss Willows. Può presentarsi in ospedale
?” “Cosa diavolo è successo a Cath?” insisté Gil, alzando la voce spazientito.
“Venga mr Grissom” rispose semplicemente la donna “Non appena può”



Grissom si passò una mano fra i capelli ed appoggiò la fronte sul vetro fresco del finestrino, cosa che gli dette enorme sollievo.
“Gil…” iniziò Warrick, titubante “Stamattina abbiamo trovato questa nello studio di Catherine. Non c’è il mittente, nulla di nulla. Vuoi controllarla tu?”
Grissom si voltò e vide Warrick che estraeva una busta celeste dalla tasca; sul davanti c’era scritto il nome di Catherine in una sottile ed ordinata calligrafia.
Quando l’ebbe guardata bene sgranò gli occhi.

“S-sì, la prendo io…” disse afferrandola in fretta e riponendola nel taschino interno della giacca “Lasciatemela esaminare…Già il fatto che l’abiate toccata voi potrebbe essere stato fatale per le impronte…”
Gil si diede dello stupido: come aveva potuto pensare di lasciare la SUA lettera., così privata e intima, alla portata di tutti? E soprattutto…possibile che Catherine non l’avesse ancora letta? In fondo l’aveva messa nel suo cassetto da quattro giorni.

Man mano che si avvicinavano alla città, la vegetazione diveniva sempre più rada e in lontananza era già possibile scorgere le luci degli alberghi e dei grattacieli.
“Sai, Warrick, Catherine è la persona più straordinaria che conosca, ma…” disse Gil “…sua figlia, Lindsay, lo è ancora di più”
“Sì, credo sia una ragazza estremamente matura per la sua età” rispose Warrick “Prima mentre parlavamo, mi ha raccontato qualcosa di suo padre”
Il sangue di Grissom cominciò a ribollire nelle sue viscere.
“Ha detto che il padre era molto geloso della tua amicizia con Catherine…” disse Warrick, continuando a tenere gli occhi sulla strada.

Nel frattempo erano arrivati all’ingresso di Las Vegas: la gente affollava i marciapiedi e le macchine restavano bloccate negli ingorghi dei più trafficati crocevia della città.
Ma vivendo a Las Vegas da molto, ed essendo abituati a dover essere sulle varie scene del crimine in pochissimo tempo, i Csi avevano imparato ad evitare certe strade,
“Sì, Catherine mi disse qualcosa a riguardo, tempo fa…” disse Grissom, vago.
La conversazione si chiuse lì, fino a quando non furono nel parcheggio del laboratorio.
Il telefono di Worrick squillò.

“Brawn. Chi parla?” rispose lui.
Gil scese dalla macchina e vide gli occhi del ragazzo spalancarsi sempre di più.
“Va bene. Saremo lì in meno di un minuto” esclamò Warrick, chiudendo il telefono.
Poi si rivolse a Grissom.
“Corri, ci aspettano al Laboratorio” disse cominciando a correre “Ci sono visite per te”
Grissom gli tenne dietro, cominciando a correre a sua volta.

“Chi?” chiese a Warrick.
“Oh, non indovinerai mai chi è venuto nella tana del lupo!” rispose lui.
“No, non sarà mica…” cominciando a correre nel corridoio.
Sara venne loro incontro.

“Correte, è nell’ufficio di Catherine” rivolgendosi poi a Grissom “Ti sta aspettando, ed è da solo”
Grissom si fermò, immobile, fissando il corridoio che portava alla porta dietro la quale si celava qualcuno che forse non era ancora pronto a vedere. Probabilmente perchè pensava che se l’avesse visto, gli avrebbe spaccato la faccia senza troppi complimenti.
Si voltò a guardare Sara e Warrick e annuì.
“Vado, ma entro da solo” disse deciso.
Si girò e cominciò a camminare verso l’ufficio di Cath; mise una mano sulla maniglia e, dopo aver lanciato un ultimo sguardo ai due colleghi, entrò.

“Ciao Gil” disse tranquillo l’uomo dall’interno della stanza.
Grissom entrò e si richiuse la porta alle spalle; poi si voltò per scrutarlo bene.
Era seduto sul divanetto in pelle nera su cui di solito si sedeva Cath, e ciò lo fece imbestialire ancora di più.
Tuttavia, notando il suo volto calmo e rilassato, decise di non cedere alle provocazioni e di stare al gioco.
“Ciao…” disse “…Eddie”
L’ex marito di Cath si alzò per andargli incontro, ma Grissom lo scansò e si sedette sulla poltrona di Cath; indicò poi una sedia, invitando Eddie a sedersi.
Dopo che si fu seduto, Gil ruppe il ghiaccio.

“Bastardo” disse semplicemente, con un’espressione molto serena in viso, ben deciso a non cedere alle provocazioni di Eddie.
“Gentilissimo, come sempre” rispose l’uomo “Sinceramente non capisco cosa ci trovi la biondina in te”.
“La biondina? Ora è così che chiami la tua ex moglie?” chiese Grissom.
Sapeva benissimo che fuori da quell’ufficio, l’intero laboratorio era sottosopra e pronto ad accorrere nella stanza per qualsiasi problema.
“Grissom, ora mi devi ascoltare bene” disse Eddie, alzandosi e mettendo le mani sul tavolo “io non ho fatto NULLA. Nulla che Cath non volesse!”
“Molto strano, non è esattamente la versione di Catherine” rispose Gil, appoggiandosi allo schienale “Se permetti, tendo a credere a lei”
“Oh sì, certo. Crediamo alla spogliarellista, vero?” continuò Eddie, gesticolando.
Grissom dovette trattenersi dal saltare in piedi ed ammazzarlo.
“Dovremmo forse credere all’ubriacone che picchia sua moglie di fronte a sua figlia ogni sera?” disse Gil, con un leggero tono provocativo.

“Cosa ti ha fatto quella donna, Grissom?” esclamò Eddie “Ma non vedi? Sta cercando di fregare anche te!”
“L’unica cosa che Catherine mi abbia mai fatto” puntualizzò Gil “è essermi stata accanto nei momenti peggiori. Se la ritieni una colpa, questa…”
“Oh, sì…IMMAGINO come ti può essere stata accanto” disse Eddie, alzando la voce.
“Eddie, siediti e abbassa la voce, o sarò costretto a mandarti via”

L’uomo si sedette e si avvicinò alla scrivania strisciando la sedia, con aria febbrile.
“Te lo giuro, Grissom” insisté “Lei mi ha chiesto di farlo…LEI mi ha detto cosa avrei dovuto fare!”
Gil chiuse gli occhi e tirò un gran sospiro, prima di parlare di nuovo.
“Allora Eddie…Non so cosa credi di poter fare, venendo qui e mettendoti a giocare nel ruolo della povera vittima. Ma qui la vittima è una sola, e io so BENE chi è. Perciò, te lo dico ora e non te lo dirò mai più…” Grissom parlò in tono conclusivo “Farò di tutto per sbatterti in prigione e farò buttare via la chiave. Passerai il resto della tua vita a marcire tra i sensi di colpa di quello che avresti potuto avere e che invece non avrai. MAI.”

Gil tremava. Aveva parlato sfogando tutta la rabbia che provava senza aver bisogno di alzare la voce.
Dal canto suo, Eddie lo fissava attonito.
Si alzò e uscì dalla stanza sbattendo la porta.

“Li risento…nella mia testa…Le porte che sbattevano..”

Dannazione, Cath…perché sono così dannatamente innamorato di te?
  
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