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Autore: _camus_    20/09/2011    12 recensioni
Ho le mani ghiacciate, ma non me ne curo: il gelo che ho nel cuore è mille volte più doloroso.
Sarà il primo inverno senza di te.

Dopo la battaglia delle Dodici Case: Milo e la neve
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Scorpion Milo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Inverno

 

 

                                                                   

 

 

 

Sale la nebbia sui prati bianchi,

come un cipresso nei camposanti:

un campanile che non sembra vero,

segna il confine fra la terra e il cielo

 

 

 

Me ne sto qui da solo, sulla collinetta sopra la Tredicesima Casa; il Santuario si stende sotto di me in una serie infinita di templi, scale e blocchi di marmo ingrigiti.

Viste da quassù, le persone che vanno e vengono sembrano tanti piccoli insetti operosi.

Insetti: né uomini né donne –tantomeno cavalieri dotati di enormi poteri.

Solo insetti, che il destino può schiacciare con le dita a suo piacimento.

Anche io mi sento così e, in fondo, ne ho più ragione di altri: l'animale che rappresenta la costellazione da cui sono guidato non è poi così dissimile da un semplice ragno.

La sferzante tramontana che sta scompigliando i miei capelli non basta a fugare le ombre mi mangiano dentro – non basterebbe nemmeno un uragano.

 

 

Ma tu che vai, ma tu rimani

vedrai la neve se ne andrà domani,

rifioriranno le gioie passate

col vento caldo di un'altra estate

 

 

Ho le mani ghiacciate, ma non me ne curo: il gelo che ho nel cuore è mille volte più doloroso.

Sarà il primo inverno senza di te.

E pensare che ti piaceva tanto questo periodo, quasi quanto non piaceva a me: ogni anno aspettavi con impazienza la prima nevicata, che spesso non arrivava, e quando ti accorgevi che non sarebbe caduto nemmeno un fiocco maledicevi la Grecia, minacciando di tornare in Siberia.

Ma io so che lo dicevi solo per il gusto di sentirmi supplicare di non andare; in verità, non mi avresti mai lasciato.

Rispetto a prima, ora avrei miliardi di motivi in più per detestare il freddo, però, chissà, magari comincerò ad amarlo anche io.

Perché il freddo è ciò che ti ha ucciso ma, al contempo, ciò che ti ha creato così come eri – perfetto.

 

 

Anche la luce sembra morire

nell'ombra incerta di un divenire,

dove anche l'alba diventa sera

e i volti sembrano teschi di cera

 

 

È novembre inoltrato, ormai.

Quest'anno l'autunno se n'è andato in fretta; gli alberi sembrano scheletri nella nebbia, coperti come sono da neve prematura, caduta troppo presto – ma troppo tardi perché tu potessi vederla.

Non c'è alcuna traccia della loro chioma, sono spariti i riflessi di rosso e d'oro; di quel miscuglio colorato così simile al tuo non è rimasto altro che un cumulo di foglie secche.

Tutto di questa stagione è malinconico, persino il sole pare un moribondo che tenta disperatamente di aggrapparsi alla vita.

Che strano, mi ricorda i tuoi ultimi istanti.

«Sorridi, Milo: da oggi in poi veglierò io sui tuoi giorni» mi dicesti, freddo e composto persino un attimo prima della fine – solo il tuo sguardo gridava l'orrore che in realtà sentivi: chi l'avrebbe detto, che anche l'impassibile Camus di Aquarius aveva paura della morte.

 

 

Ma tu che vai, ma tu rimani

anche la neve morirà domani,

l'amore ancora ci passerà vicino

nella stagione del biancospino

 

 

Cerco sempre di non pensare troppo a ciò che è stato, non ho più voglia di soffrire.

Ma è passato così poco tempo e, comunque, non mi basterebbe una vita intera per dimenticare.

Non so se riuscirò mai a perdonarti di avermi lasciato solo. 

Non avresti dovuto farmi questo, né per onore né per dovere – nemmeno per Atena.

Come vorrei che il tuo ricordo se ne fosse andato insieme a te!

Invece quello è l'unica cosa che mi rimane e, volente o nolente, prima o poi dovrò imparare a conviverci, sapendo che mi perseguiterà per il resto dei miei giorni, impedendomi di amare nient'altro che il tuo spettro.

No, forse mi sono sbagliato. Forse non mi hai lasciato davvero solo: ci sarà ogni immagine di te, vivida e senza età, a farmi compagnia.

 

 

La terra stanca, sotto la neve,

dorme il silenzio di un sonno greve:

l'inverno raccoglie la sua fatica

di mille secoli, da un'alba antica

 

 

Sta calando la sera.

Intorno a me c'è un silenzio irreale, come se con la luce si spegnesse pure tutto il resto; il freddo si è fatto più intenso, eppure non so decidermi a rientrare.

C'è una cosa che devo fare da molto tempo e, se il cielo vorrà, forse oggi avrò abbastanza coraggio.

Per mesi gli altri hanno acconsentito a farla al posto mio e sono sicuro che, se glielo chiedessi, di certo non si rifiuterebbero di continuare: mi capiscono, anche loro conoscono il dolore della perdita.

Compiere tale gesto significherebbe prendere definitivamente coscienza che non comparirai più sulla soglia dell'Ottava Casa, magari con l'aria scocciata di chi ha a che fare troppo spesso con i ritardatari come me.

Abbi pietà della mia vigliaccheria, ti prego – no, non posso rimandare ancora. Non posso proprio.

É giunto il momento di accettare la realtà.

 

 

Ma tu che stai, perché rimani?

Un altro inverno tornerà domani,

cadrà altra neve a consolare i campi,

cadrà altra neve, sui camposanti.

 

 

Poco lontano da dove sono seduto un cancello cigola, tetro come il paesaggio circostante.

Mi alzo, deciso, e lo attraverso quasi correndo: non voglio concedermi il tempo di cambiare idea.

Il cimitero del Grande Tempio mi accoglie nella sua aura solenne – l'unica volta che ci sono stato non mi era parso così triste.

Percorro con ansia crescente le file delle antiche tombe che ospitano i corpi dei nostri predecessori, senza fermarmi.

Ciò che cerco è più avanti, sembra quasi che mi stia chiamando.

E, finalmente, eccola: la tua lapide, su cui è inciso il simbolo dell'Acquario, si trova tra quelle di Shura e Aphrodite.

Sullo spoglio marmo bianco troneggia la scritta "Camus di Aquarius, 1966- 1986": un'epigrafe che non rende assolutamente onore al grande uomo che sei stato.

Ma non preoccuparti, Camus, penserò io a fare in modo che il motivo per cui sei morto non venga dimenticato: hai donato la vita affinché il tuo allievo divenisse un vero cavaliere, ed è giusto che il mondo lo sappia.

Guarda, la neve ha ricominciato a cadere: ho la strana impressione che sia tu a mandarmela, come se cercassi di consolarmi.

Forse è solo un'illusione dettata dal desiderio che una parte di te esista ancora, e che si preoccupi per me.

O forse no.




 .

 

  

Note dell'autore

Non chiedetemi come mai mi sia venuto in mente di scrivere una cosa del genere; forse perché il freddo improvviso di questi giorni mi ha ricordato che l'estate è finita, e che l'inverno non tarderà ad arrivare.

La canzone si intitola "Inverno" ed è di Fabrizio De Andrè – anche se io preferisco quella reinterpretata da Franco Battiato.

 

 

 

 

   
 
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