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Autore: Aliceclipse    20/09/2011    8 recensioni
C’è, nella vita, un momento preciso in cui tutto scivola via come sabbia tra le dita? C’è un momento in cui la felicità è veramente e semplicemente troppa? Qual è il momento preciso in cui ogni cosa sembra perdere senso, precipitando insieme a te, e a tutto quello che hai?
“Kurt, io ti amerò anche quando sarà troppo tardi. Promettimi di ricordarlo sempre. Promettilo.”
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Noah Puckerman/Puck
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Certezze.

Ho pianto mentre scrivevo. Non so perchè voglio farmi così male, spero solo che non mi odierete come mi odio io.  Le parti in corsivo sono ricordi.  


Kurt era sempre stato circondato dalle certezze.
Una di queste, la più importante, era la famiglia. Si, perché Kurt era proprio un bambino fortunato: aveva una mamma e un papà che lo amavano per quello che era, che lo abbracciavano quando ne aveva bisogno, e anche quando non ne aveva bisogno, per la verità. Non aveva amici, e anche quella era una certezza. Ne aveva di immaginari, ed era anche piuttosto divertente tentare di prendere il thè con loro, ma sapeva, in cuor suo, che prendere il thè con qualcuno di reale, e che non fosse un membro stretto della sua famiglia, sarebbe stato molto carino.  Ma non gli pesava più di tanto. Lui era abituato ad essere strano, “sopra le righe”, diceva suo papà. La sua mamma, invece, preferiva usare il termine  “speciale”. Ad ogni modo, lui era diverso da tutti gli altri. E ne era orgoglioso. Era intelligente, molto, e tranquillo.  Era felice di se’ stesso.  Era una certezza.
Quando sua madre morì,  si portò con lei così tante di quelle certezze che Kurt non potè far altro che fermarsi un secondo, e chiedersi dove fosse finita tutta la giustizia che aveva visto nel mondo. A soli sette anni e mezzo, la sua infanzia era finita. E con lei, le certezze erano crollate, come il castello di carta che quella mattina suo padre aveva tentato di creare con tanta cura. Un solo istante di distrazione era bastato. In un istante, il castello era crollato. In un istante, sua madre era scomparsa. E non l’avrebbe rivista mai più. Suo padre era l’unica certezza che gli rimaneva. Poco tempo dopo, la mattina del suo ottavo compleanno, Kurt si svegliò nel suo letto, solo. E non potè far altro che farsi cullare della musica, e piangere, piangere, piangere, chiedendosi perché sua mamma non gli avesse dato il buongiorno con il suo solito bacio degli auguri. Il bacio più dolce del mondo. Ma con lui c’era suo papà, e Kurt doveva essere forte per il suo papà, perché stava soffrendo tanto quanto lui. Kurt era grande, ormai, e aveva trovato la forza di alzarsi dal letto, e abbracciare Burt fino a togliergli il respiro, e piangere con lui.
A undici anni e mezzo, Kurt aveva riscoperto  un’altra, irrimediabile certezza. Lui non era solo diverso. Lui era gay, e non era affatto sicuro che il mondo fosse pronto ad accettarlo. O forse, lo era stato prima di lui. Chissà. Comunque, non lo sarebbe stato nel modo che lui avrebbe desiderato.
C’erano molte cose che Kurt non sapeva – ovviamente ce n’erano altrettante che sapeva benissimo. Ad esempio era molto bravo in francese. E per quanto riguardava la moda, beh, in quel campo nessuno poteva batterlo.  Ma le cose che Kurt si chiedeva in continuazione, quelle che lo rendevano distratto, che lo isolavano dal resto delle persone, beh, quelle erano problematiche ben più profonde di quelle che si ponevano gli altri ragazzini di quindici anni. Si chiedeva dove fosse sua madre. Si chiedeva se lo osservasse, se lo avrebbe capito. Si chiedeva quanti dei suoi abbracci, quella notte di agosto, durante quell’incidente, gli erano stati portati via. E quante lacrime si sarebbe risparmiato, se i suoi non avessero deciso di andare a cena fuori. Si domandava perché dovesse essere così difficile per lui trovare qualcuno, oltre a suo padre, che lo rispettasse e scherzasse con lui, che lo trattasse come qualcuno a cui si può voler bene, nonostante tutto. Si chiedeva quale fosse il vero motivo di tutti quei problemi nel mondo, quando era così semplice farsi trasportare dalla musica, fino a renderla l’unica fonte dei tuoi sorrisi, l’unica tua vera amica, l’unico modo per fare pace col mondo in modo unico e totale.
Ma, a diciassette anni, Kurt cominciava a chiedersi se le certezze che aveva sarebbero bastate. Si rese conto che rendevano tutto ancora più confuso, ancora tremendamente difficile. Si chiese se avrebbe mai trovato una certezza per la quale valeva la pena di lottare ancora, perché, sinceramente, non era convinto che sarebbe riuscito a sopportare ancora a lungo. 
Blaine, invece, non aveva mai avuto grandi certezze nella sua vita.
Da piccolo, si guardava intorno, e le mura della sua enorme  villa gli sembravano dannatamente piccole, anche in un corpo così esile. Gli sembravano fredde, distanti, come lo era suo padre, sempre in viaggio per un lavoro che lui nemmeno aveva ben capito, o come lo era sua madre, sempre troppo distratta dalle partite a burraco per occuparsi della sua cena. Blaine non sorrideva quasi mai, a casa. Si sentiva estraneo anche a suo fratello maggiore, sempre così bello, sempre così perfetto, con dei capelli perfetti, dei vestiti perfetti, dei voti perfetti, delle ragazze perfette. Così diverso da Blaine.  Che cos’era lui, al confronto? Blaine aveva amici. Un sacco di amici. Ma anche loro erano emotivamente lontani da lui.  Preferiva di gran lunga passare il tempo leggendo, o suonando il pianoforte che i suoi tenevano in salotto, ma che non usavano mai. Era un autodidatta. Aveva imparato da solo a suonare, così come aveva imparato a non illudersi troppo riguardo alle persone che lo circondavano, perché, a nove anni e mezzo, già sentiva di aver aperto il suo cuore alle persone sbagliate. Perché lui c’era per la sua famiglia, sempre. Ma loro? C’erano sempre per lui? E perché lui non se ne rendeva conto?
A Blaine piacevano tante cose. Gli piaceva il football. E gli piacevano i papillon colorati. E la musica. E anche le riviste di moda.  Le persone non gli piacevano molto.. A volte lo spaventavano. A volte, era di se’ stesso che aveva paura. E di raccontarsi.
Blaine spesso si chiedeva se la sua infanzia fosse mai cominciata.  Forse, era solo finita prima che la sua memoria iniziasse ad archiviare dati  e immagini, ed emozioni, e suoni.
A quattordici anni e mezzo, Blaine poteva dire di aver capito cosa fosse una passione.  Imparare cose nuove gli era sempre piaciuto, e cominciava a credere di aver trovato finalmente una certezza assoluta. Si, perché lavorare a quella macchina, lì, in quel garage pieno di olio e cacciaviti sparsi ovunque, e odore di benzina che gli penetrava le narici, lo stava riavvicinando un po’ a suo padre. Suo padre, che non aveva mai capito le sue passioni, che non aveva mai tentato di renderlo partecipe.
Poi, quell’illusione crollò. E Blaine si ritrovò con una chiave inglese in mano, e una consapevolezza che avrebbe preferito non avere: suo padre non stava cercando di fare un passo verso di lui, per accettarlo. Stava solo tentando di portarlo su una strada che non era la sua, perché, lo sapeva, la strada che Blaine avrebbe preso era tortuosa, difficile, e sbagliata. Soprattutto sbagliata.
A sedici anni, Blaine difendeva con tutto il suo cuore l’unica vera certezza che aveva: doveva amarsi per quello che era, nonostante tutto.  Non importava cosa gli altri dicessero o facessero per farlo cambiare. Lui era così.
Presto, però, qualcosa di più grande di lui lo avrebbe costretto a rivedere le sue idee. Perché a sedici anni e qualche mese, seduto in un letto d’ospedale, i suoi genitori ancora alle Maldive per gli ultimi due giorni di vacanza e l’unico amico che gli era rimasto dopo il suo coming out accanto a lui, con ferite decisamente più gravi di cui preoccuparsi, davvero si chiedeva se scappare non fosse sul serio l’unico modo per essere felici. E non sapeva darsi una risposta. Ovviamente.
A sedici anni e mezzo,  entrando per la prima volta tra le mura della Dalton, si chiese se il posto dove stava trovando rifugio sarebbe mai servito a curare tutto quello che aveva passato. E non pensava alle fasciature che ancora doveva cambiare una volta al giorno, e al gesso che gli era appena stato tolto. Pensava al suo cuore. Il suo cuore, quello si sarebbe mai rimarginato?
Blaine non lo sapeva. Blaine non era certo di niente. E si domandava se, un giorno, tutte le certezze lo avrebbero investito in pieno, portandolo con se’, o se qualcosa di più importante avrebbe preso il loro posto. E si disse che sarebbe stato proprio un bel sogno.
Noah Puckerman aveva certezze ed incertezze, come tutti, ma di una cosa era sicuro: Non accadeva mai niente per niente. Ogni cosa che accade nel corso della tua vita ti cambia e ti rende qualcun altro, in maniera così profonda e diffusa che neanche te ne rendi conto. Lui ne sapeva qualcosa. Quel giorno, mentre osservava Kurt uscire seccato dall’aula di scienze, tutti gli altri ragazzi ancora indecisi sul compito della settimana,  seppe che il mandarlo a spiare quegli uccellacci, o come diavolo si chiamavano, sarebbe servito a qualcosa. Avrebbe reso migliore qualcosa.  Quello che Noah non poteva minimamente immaginare, era che quel qualcosa era la vita di due persone che presto gli sarebbero state molto a cuore, anche se non lo avrebbe ammesso nemmeno di fronte a un rasoio pronto a distruggere la sua cresta, e tutti i suoi sogni di gloria.
Kurt e Blaine non avevano idea che un solo giorno, un solo sguardo, un solo tocco, una sola canzone potessero cambiare tutto.  
O forse lo sapevano, perché si, quel giorno era cominciato diversamente. Qualcosa era nell’aria, e non si trattava di gelida granita pronta a renderti un puffo a causa di tutto il colorante che conteneva, gettando al vento ore di trattamenti idratanti, o di una spinta contro un armadietto. Non si trattava nemmeno di un post-it caduto dal frigo e decisamente sgualcito,  che riportava le  fredde parole di  una madre troppo occupata per darti il buongiorno di persona.
Era solo una giornata diversa. Con un sole diverso, un vento diverso. Come loro.
Diversi, due pezzi unici e incompatibili col resto del mondo.
Ma non tra di loro.  E ogni nota, ogni respiro, ogni secondo passato insieme ne era la conferma.
I sentimenti crescono, maturano da soli, senza che tu possa controllarli. Ti rendono irrazionale, e, a volte, cieco. Sia se crescono troppo velocemente, sia se fioriscono in modo omogeneo, tramutandosi in maniera assolutamente naturale.
Rendono la vita complicata, a volte creano dubbi, altre volte li distruggono.
Di certo sfuggono al nostro controllo, ed in alcuni casi è decisamente piacevole.
Il primo bacio di Kurt e Blaine ne era un esempio lampante.
Per alcuni, intensi secondi, erano stati solo un confuso insieme di emozioni diverse che si fondevano al contatto tra le labbra dei due ragazzi.
Loro due erano solo emozione, pura emozione, nei loro momenti.
Emozione che cresceva giorno dopo giorno, rendendoli indistruttibili, eppure infinitamente fragili. Infinitamente, irrimediabilmente fragili.
Blaine sospirò, mentre si stringeva nelle spalle, osservando quella che era stata la sua scuola per un anno intero, e si alzava in piedi, in direzione del preside Figgins, che aveva appena pronunciato il suo nome. Ora, durante la cerimonia di diploma, si sentiva un po’ più leggero, ma anche leggermente vuoto. Quella scuola, pur non essendo la migliore del paese, gli aveva dato così tanto, che abbandonarla era veramente un peccato.
Grazie a quella scuola aveva riscoperto un coraggio che non credeva più di possedere. Si era riscattato, e, nel farlo, era stato accanto a quella che stava diventando la persona più importane della sua vita. E presto, molto presto, si sarebbero trasferiti a New York. Avrebbero passato la vita insieme, e, chissà, un giorno si sarebbero sposati. Avrebbero adottato un bambino. E la loro vita sarebbe stata ancor più perfetta di quello che stava diventando.
Quando un raggio di sole lo percorse,  gli occhi di Blaine corsero tra quel mare di tuniche scure, e, finalmente, seduto nella fila dei cognomi con la H, scorse l’unica persona che era in grado di togliergli il respiro.
In quell’anno erano cambiate così tante cose, anche loro, eppure erano cresciuti insieme, avevano imparato a condividere tutto, a rendersi importanti senza ostacolare l’altro. E lo avevano fatto senza perdere quella scintilla, perché il loro amore si era annidato così a fondo da tenerli vicini, anche quando non lo erano. I limpidi occhi azzurri di Kurt sprofondarono  nei suoi, legandosi. La sua pelle chiara, al sole, splendeva. E Blaine non era mai stato più sicuro del fatto che non avesse mai visto niente di così puro e perfetto. Anche se, doveva ammetterlo, c’erano momenti in cui Kurt era tutto, ma non puro. Ridacchiò, tornando a sedersi, mentre Puckerman, molte file più indietro, gli faceva l’occhiolino. Lui aveva capito. Capiva sempre quando certi pensieri passavano per la mente delle persone. Soprattutto quando si trattava di uno dei suoi migliori amici. Anche Kurt aveva capito, ovviamente. Alzò gli occhi al cielo. Puck aveva una brutta influenza sul suo Blaine. Sempre. Beh, tranne quelle volte in cui procurava loro preservativi e lubrificanti, perché, ovviamente, comprarli da soli era decisamente troppo imbarazzante. Quello non contava.
Ma, ricordò, era grazie a lui se si trovavano lì. Kurt sorrise, trattenendosi dall’inviargli l’ennesimo messaggio criptico di ringraziamento.  Sapeva che l’amico preferiva di gran luna altri tipi di messaggi. Ridacchiò anche lui, mentre un confusissimo Finn, al suo fianco, lo guardava stranito, l’espressione vuota. Kurt tornò a posargli la mano sul braccio, mentre Figgins pronunciava il nome completo di Rachel. Si erano lasciati, alla fine. E Finn non l’aveva superata, Kurt ne era convinto. Ma, una volta a New York, lui e Blaine avrebbero fatto ragionare Rach. Lo avrebbero fatto insieme. Loro si muovevano insieme. Erano una cosa sola. Kurt rivolse lo sguardo alla testa ricciola e colma di gel nascosta alcune file più avanti, e si rese conto che il suo ragazzo si era voltato di nuovo verso di lui. Si morse il labbro, tentando di non scoppiare a piangere per la gioia. Avrebbe lasciato quella scuola che odiava così tanto, avrebbe vissuto a New York insieme alla sua migliore amica e al suo amore.
Kurt e Blaine erano finalmente sicuri di aver trovato quel qualcosa per cui valeva la pena lottare, nonostante tutto. Avevano trovato qualcosa che li rendesse vivi dopo chissà quanto tempo, qualcuno che annullasse ogni loro fantasma, ogni loro paura.  Perché, insieme, avrebbero potuto affrontare tutto.  Erano diventati l’uno la certezza dell’altro. E, questa volta, per qualche strano motivo, erano sicuri che quella particolare certezza non sarebbe crollata, perché avevano provveduto a creare mura a prova di terremoto.  Era tutto perfetto. Era tutto bellissimo. E il futuro era limpido, come i loro occhi. Ma loro no sapevano. Non avevano visto le nuvole all’orizzonte. Non si erano accorti che esisteva qualcosa di più forte di un terremoto, qualcosa che sarebbe riuscito a distruggere comunque quello che avevano. Nemmeno avevano preso in considerazione l’idea. Perché niente avrebbe potuto farli crollare, finché erano insieme.. già, finché erano insieme.
La luce filtrava in modo strano dalla vetrata del loro nuovissimo e ingombro appartamento. C’erano scatoloni ovunque, e Rachel e Kurt non facevano che saltellare ovunque, litigando sui punti in cui sarebbero state posizionate le loro cose. Finn sospirò, mentre posava a terra l’ennesimo cartone di suo fratello, lanciando sguardi truci alla mora, che ovviamente non lo degnava di uno sguardo. O, almeno, di questo, Finn era convinto. Distolse lo sguardo e raddrizzò la schiena, un attimo prima di sentire un tonfo alle sue spalle. Si voltò con uno scatto, spaventato. Era solo Blaine, che aveva praticamente gettato a terra quello che avrebbe dovuto essere l’ultimo scatolone. Kurt e Rachel, dall’altra parte della stanza, si voltarono verso di lui, confusi.
A Blaine non era mai dispiaciuto stare al centro dell’attenzione, ma in quel momento, chissà perché, sentiva che nel modo in cui tutti, nella stanza, lo guardavano, c’era qualcosa di sbagliato. La sua mano sinistra si mosse istintivamente verso il polso destro. Aveva abbandonato la presa a causa di una fitta al braccio. Gemette, sotto lo sguardo confuso di Kurt.
-Amore, tutto bene?- Blaine sapeva che lo sguardo di Kurt era volato al polso che si stava massaggiando. Incrociò le mani al petto, mordendosi un labbro. Andava tutto bene? Non ne era sicuro. In quei giorni non era sicuro di niente. O meglio, non era sicuro di star molto bene. Ma era solo un principio d’influenza. Non poteva essere nient’altro. Tutta quella stanchezza era dovuta ai frequenti viaggi che avevano dovuto affrontare per trasferirsi a New York. Era solo stanchezza. Niente di più. Annuì, accennando un sorriso,  mentre il suo sguardo volava a Finn, e poi a Kurt.
Blaine ringraziava il cielo ogni giorno. Ringraziava perché lui e Kurt erano così simili, e riuscivano a completarsi comunque. Ogni giorno, senza bisogno di sacrificare passioni, senza bisogno di capirsi.
Blaine ringraziava perché sapeva perfettamente che Kurt avrebbe fatto la stessa scelta di Rachel, se ne fosse presentata l’occasione.  In questo erano diversi. Blaine avrebbe scelto Kurt, sempre. Kurt era sua salvezza.  Kurt era tutto. Sorrise ancora. Se pensava a Kurt, ignorare il dolore alla mano era tremendamente facile. Fin troppo.
A diciannove tutti pensano di essere indistruttibili.
A diciannove anni, Kurt Hummel era davvero convinto che niente lo avrebbe più abbattuto. 
Kurt Hummel viveva a New York, studiava a New York, amava con tutto se’ stesso. E non gli importava più del mondo, perchè aveva ben altro a cui pensare. Tutti avevano di meglio a cui pensare. Kurt viveva col sorriso sul volto, tanto che Burt, durante le vacanze di Natale, stentava a riconoscerlo. Certo, era suo figlio. Ed era così pieno di energia, di vita. Burt quasi scoppiò a piangere dalla gioia, quando sentì le braccia di suo figlio cingergli il collo. Gli era mancato così tanto. Gli era mancato sentirlo parlare di Blaine e di Musical ogni minuto. Non che al telefono non lo facesse, ma dal vivo era tutta un’altra cosa. Quando Kurt si staccò da lui per correre ad abbracciare Carole e Finn, Burt si trovò di fronte a un sorridente Blaine, e sorrise, stringendolo in un abbraccio impacciato, che il ragazzo ricambiò con trasporto e gratitudine.
Burt e Carole sapevano bene perché Blaine, per Natale, sarebbe stato da loro. Ovviamente, in parte era per non allontanarsi da Kurt, ma non era l’unico motivo. I suoi genitori.. Carole sospirò, mentre osservava quei due abbracciarsi. Ricordava ancora le ultime settimane travagliate che i due ragazzi avevano passato a Lima. I litigi con i coniugi Anderson si erano fatti insopportabili per chiunque, figurarsi per Blaine. Alla fine, quando suo padre si era rifiutato di mandarlo a vivere con un maledetto finocchio, Blaine aveva fatto le valige, e aveva disubbidito per l’ultima volta ai suoi genitori. Mentre lo stringeva a se’, Carole non riusciva a non pensare al volto gonfio e arrossato del ragazzo, durante la loro penultima notte a Lima. Ne’ ai volti sconvolti di suo marito e dei suoi figli. Sospirò, stringendolo con forza.
-Sanno che sei tornato?- sussurrò la donna, abbastanza piano perché potesse sentirla solo lui, e Kurt, che stava facendo finta di ascoltare le febbrili richieste di Finn sulla vita di Rachel. Blaine dissentì, abbassando lo sguardo, e Carole lasciò cadere il discorso.
Quella notte, Blaine affondò il viso nella spalla di Kurt, tentando disperatamente di non singhiozzare. La sua vita era perfetta solo grazie a lui. Inspirò profondamente. Il profumo di Kurt, la sua pelle, la sua essenza, tutto questo rendeva la vita tremendamente più facile di quello che in effetti doveva essere agli occhi degli altri. Lì, al buio della stanza del suo ragazzo, la stessa stanza in cui avevano dormito insieme per la prima volta, tutto sembrava tornare tranquillo. Blaine si lasciò cullare, mentre l’altro cercava la sua mano, e la univa delicatamente con la propria. Poteva avvertire il suo respiro sul collo, ed era la cosa più rilassante che avesse mai sentito.
-Blaine, smettila di mentirmi, ti prego.- La voce di Kurt era limpida, eppure non riuscì a nascondere un tremolio della mano. Blaine la strinse più forte nella sua, avvicinandosi di più. Aggrottò la fronte, ma, ovviamente, Kurt non poteva accorgersene. Erano al buio, dopo tutto. Ma Poteva scorgere i suoi contorni perfetti, poteva immaginarlo. Blaine chiuse gli occhi, percorrendo mentalmente il corpo del suo Kurt.
-Io non ti mento mai.- Ed era vero. Blaine non avrebbe mai potuto mentire a Kurt. Lo sguardo di quel ragazzo lo rendeva inerme. Blaine era incapace di mentire a Kurt. Lo disarmava.
-Ma menti a te stesso. Sei pallido, Blaine. La tua energia..  ogni tanto si affievolisce, troppo. Non so spiegartelo. Ho.. ho questa brutta sensazione.. – Kurt tremò più forte. Blaine si morse un labbro. Era vero anche questo. Si limitò ad avvicinarsi ancora, e cingere la vita di Kurt, facendo congiungere le loro labbra. Kurt stava piangendo.
Anche Blaine voleva piangere. Ma non sapeva perché. Di certo non era per il pensiero dei suoi genitori. Aveva smesso di pensarci non appena si era ritrovato davanti gli occhi trasparenti della sua ragione di vita. Era solo.. solo come se tutto quello per cui stavano lottando.. era come troppo bello per essere vero. Aveva che tutto quello che avevano fosse troppo, semplicemente.
-Appena torneremo a New York,  mi farò visitare. Non piace nemmeno a me sembrare sempre così distrutto. Mi farò prescrivere delle vitamine, e ti prometto che tornerò a saltare sui mobili. Però dovrai essere tu a fare i conti con Rach.- Entrambi ridacchiarono al pensiero di Rachel furiosa. Amavano farla arrabbiare per motivi stupidi. Amavano escogitare quei motivi assieme. Kurt sentiva ancora piccole stille solcare la sua guancia, per poi scivolare sul cuscino. Blaine, lentamente, baciò via le sue lacrime, e, con un cenno, lo incoraggiò a parlare.
-Lo farò se mi svelerai cosa mi hai regalato per Natale. Sai che non riuscirò mai ad aspettare domani per scoprirlo.-  Kurt poggiò la fronte su quella del suo ragazzo, passandogli la mano sul collo scoperto, alla base dei morbidi riccioli, liberi dal gel.  Blaine rise, sfiorando il profilo del volto di Kurt con le dita. Non voleva dirgli quale sarebbe stato il suo regalo. Ma poteva dirgli cosa poteva regalargli Blaine ogni giorno, senza bisogno che l’altro chiedesse. La sua vita.
-Il mio amore è il tuo regalo, Kurtie. Ti amerò per sempre.  Sei il mio destino. – Blaine fece in modo che le loro labbra si unissero di nuovo, e Kurt scoppiò a ridere contro di lui. Ridere di gioia. Perché lo amava, e niente avrebbe potuto cambiare quello che stava provando in quel momento, niente avrebbe potuto sostituire il modo in cui il suo cuore rimbombava nel petto ogni volta che Blaine lo sfiorava, ogni volta che Blaine lo guardava.
-Non potrei desiderare niente di più bello. Ti amo. Ti amo da morire.- Sussurrò Kurt, cercando di nuovo la mano dell’altro. E, per l’ennesima volta, la sua unica certezza lo stava cullando. Lui e Blaine erano destinati a stare insieme. Quella era la sua ancora, lo sarebbe stata per sempre.
C’è, nella vita, un momento preciso in cui tutto scivola via come sabbia tra le dita? C’è un momento in cui la felicità è veramente e semplicemente troppa? Qual è il momento preciso in cui ogni cosa sembra perdere senso, precipitando insieme a te, e a tutto quello che hai?
“Kurt, io ti amerò anche quando sarà troppo tardi. Promettimi di ricordarlo sempre. Promettilo.”
-Blaine, io.. ti prego, Blaine. Tu non puoi lasciarmi. Guardami Blaine. Io non sono niente senza di te. Niente.- Sapevano che stava per succedere. Entrambi sapevano che sarebbe successo. Entrambi sapevano che lottare non era servito a niente. Anche se avevano lottato insieme.  Kurt non aveva mai avuto così tanta paura nella sua vita. Aveva gli occhi arrossati. Ma non avrebbe pianto. On in quel momento. Aveva pianto così tante volte! Era sempre stato Blaine a consolarlo. Era ingiusto. Non doveva essere così. Era troppo presto, era troppo presto per entrambi.
Kurt lanciò uno sguardo preoccupato a Blaine. Sapeva che le sue condizioni erano destinate a peggiorare. Non riusciva a credere che lo avrebbe perso. Non riusciva a credere che l’unico motivo per cui riusciva ad andare avanti ogni giorno, la parte più importante di se’, sarebbe scomparsa in modo così tortale e definitivo, prima che lui potesse fare altro.
-Kurt?- Blaine lo stava guardando. Kurt sorrise. Quando erano insieme, tutto riusciva a essere perfetto comunque, in modo terribilmente inquietante.
-Tesoro. Che c’è?- Blaine arrossì leggermente. Sul suo volto pallido, il rossore fu ancora più evidente.
-Sai che manca poco, vero?- Kurt deglutì. Non si aspettava questo. Ne avevano già parlato.
-Lo so.-
-Ecco, io ti ho.. io ti ho promesso cose, Amore. Tante. Ti avevo promesso che ti sarei stato sempre accanto. Sappiamo entrambi che non potrò farlo come volevo.- Blaine si avvicinò a Kurt, prendendogli le mani.
-Sai che non è colpa tua. Non è colpa di nessuno. Tu sarai sempre al mio fianco, Blaine. Io ti amerò per sempre..- Blaine si avvicinò alle labbra di Kurt così velocemente che le parole dell’altro morirono troppo presto.
-C’è una promessa che ti ho fatto, e che voglio mantenere. Lo voglio con tutto il mio cuore. Voglio che tu abbia tutto di me, finchè puoi.-

Blaine sorrise, gli occhi socchiusi, e portò la mano sul volto di Kurt. Erano così vicini. Ma erano anche infinitamente lontani. Kurt aveva una vita davanti. Una vita stupenda. Quella di Blaine stava finendo, invece.  La mano di Kurt raggiunse la sua, coprendola, e sorreggendola.  I loro occhi si cercarono.
-Dimmi che  mi ami,  Kurt-.
Kurt aggrottò la fronte, cercando di capire cosa intendesse.
-Cosa vuoi dire, Blaine?-  Si fecero istintivamente più vicini.
-Vuoi sposarmi, Kurt Hummel?-. Gli occhi di entrambi, per un secondo, si riempirono di speranza, un’immotivata speranza di poter cambiare le cose. Sposarsi a vent’anni era un gesto incosciente e privo di senno, lo sapevano bene. Ma entrambi ne avevano bisogno. Volevano avere ogni più piccola parte dell’altro, prima che il loro mondo cambiasse. Volvano quell’ultima, piccola certezza. Il mondo sarebbe potuto crollare, dopo. Intanto, non potevano far altro che amarsi.
-Si, Blaine. Voglio sposarti-.

Kurt sprofondò per l’ultima volta in quegli occhi color miele. E seppe che era il momento. Strinse di più la mano di Blaine sulla sua guancia, e avvertì la fede dell’altro premere contro la sua pelle, procurandogli un  brivido. Era tremendamente freddo.. Era così magro, adesso. Si sforzò di sorridere, e sorrise davvero.  Perché niente, nemmeno in quel momento, avrebbe potuto distruggerli.
-Ti Amo, Blaine. Con tutto il mio cuore. -  Blaine si sentiva scivolare.  Tutto si era fatto sfocato, ma non aveva paura. Non per se’ stesso, almeno. Lui sarebbe andato in un posto dove la paura non gli sarebbe servita a molto. Era per Kurt che aveva paura. Kurt sarebbe sempre stato la sua vita. Blaine non sarebbe mai morto completamente, finchè Kurt era in vita. Forse era per questo che, mentre chiudeva gli occhi per addormentarsi un’ultima volta, la figura di suo marito era ancora nitida come non lo era mai stata prima.
-Sempre, Kurt. Ti amerò.. sempre-. Kurt avvertì chiaramente la sensazione della mano di Blaine che gli scivolava via dal viso. La trattenne con la mano, incapace di credere a quello che stava succedendo.
-Non mi lasciare.  Ti amo, ti amo, ti amo. Ti prego, Blaine.-urt sapeva che sarebbe stato inutile continuare a urlare. Mentre le infermiere lo circondavano, lui si aggrappò al corpo inerte di Blaine, baciando le sue labbra schiuse, per poi scoppiare a piangere.
-Devi promettermi un sacco di cose, Kurtie.-  Kurt guardò quello che era appena diventato suo marito, e, con un sorriso, gli tese la mano. Era bellissimo.
-Dimmi.-
-Promettimi che non ti chiuderai in te stesso, quando ci separeremo.- Kurt si morse un labbro.
-Lo farò. –
-Promettimi che parlerai con i miei genitori.  Promettimi che gli dirai che gli voglio bene, nonostante quello che ho passato. Soprattutto a mio padre. Scrivi, se preferisci. Ma fallo.-  Kurt sospirò.
-Lo avrei fatto anche se non me lo avessi chiesto.-
-Lo so.- Blaine ridacchiò, scompigliando i capelli di Kurt.
-Promettimi che ti risposerai. – Kurt  lo guardò, tentando di capire se facesse sul serio, - che ti innamorerai di nuovo.-
-Non posso prometterlo, lo sai bene. Se fossi nella tua situazione.. tu non me lo prometteresti mai.-
-Ma io non sono te.- Esclamò Blaine, sospirando. Era stato un bene che fosse stato lui ad ammalarsi, e non Kurt. Blaine lo avrebbe seguito a ruota. Kurt poteva resistere.
-Tu mi sopravvaluti.-
-Promettimi che, quando sarai famoso, e canterai, riuscirai a sentirmi in ognuna di quelle note. Promettimi che ricorderai che io sono la musica, che io sono le canzoni. Tutte. Promettimi che saprai che io sarò sempre al tuo fianco. E ti proteggerò.- Kurt trattenne le lacrime per l’ennesima volta.
-Non so se riuscirò a sfondare, senza di te.-
-Amore, io ci sarò, te l’ho appena detto. –
-Promettilo.- La voce di Kurt vacillò. Non aveva idea di come l’altro potesse essere così tranquillo.
-Kurt, io ti amerò anche quando sarà troppo tardi. Ricordatelo. Promettimi che lo ricorderai.-
-Lo prometto-.

Kurt alzò lo sguardo, mentre il sipario si alzava.  Ricordò il suo tocco sulle spalle, come se non fosse passato nemmeno un secondo. Ricordò il suo profumo, il suo calore,  le sue mani,  i suoi occhi, e fu sicuro di sentire la sua fede vibrare contro la pelle, mentre prendeva un respiro. Ce l’aveva fatta. Era a Brodway, e Suo padre, Carole, Finn, Rachel, Puck e Beth erano in prima fila, pronti a sostenerlo. Probabilmente, Rahcel stava sgridando Puck perché permetteva a Beth di mangiare le patatine anche in prima fila. E Finn li guardava male. Era sempre così, da quando Shelby aveva lasciato a loro la bambina ed era partita per l’Europa. Beth dormiva nel loro letto, al suo posto. Avere una bambina per casa, e anche Noah, lo aveva sollevato parecchio. C’erano anche i coniugi Anderson in sala. E, sempre in prima fila, c’era una poltrona vuota. Si, aveva comprato un biglietto anche per lui. Perché, cinque anni dopo, era come se non fosse passato nemmeno un secondo. Kurt sbattè le palpebre, e la musica si diffuse nella sala, trasportandolo. E in quelle note, lui lo sapeva, Blaine c’era.
Blaine non lo stava solo ascoltando. Blaine stava vivendo attraverso di lui.
Kurt ci avrebbe messo l’anima.
Perché quel posto in prima fila non era vuoto, e la sua famiglia lo sapeva bene. Perché, dopo tutto quel tempo, nonostante la morte, la sua unica ragione di vita, la sua unica certezza non era ancora crollata.
“Ti penso,  Blaine.

   
 
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