Douce-amère
[ondes dans tes yeux]
[Sanji x Nami (サンジxナミ), SPOILER! new world arc]
«Finalmente… a
breve saranno pronti per essere raccolti!».
Nami si abbandonò ad un sorrisetto entusiasta, la mano ad
accarezzare in modo quasi materno la buccia ruvida e porosa dei mandarini, i capelli
rossicci abbandonati lungo la schiena. Esaminò
i frutti ad uno ad uno più e più volte, studiandoli con occhi esperti da ogni
angolazione, dopodiché si lasciò andare ad un sospiro soddisfatto, le braccia
incrociate dietro la schiena.
«Sono
ancora aspri, ma il colore è perfetto. A breve potrò riprendere i miei affari~
Mi chiedo se non dovrei alzare il prezzo… ».
Fu
una voce ad interromperla, accompagnata dal lieve scricchiolio di scarpe sul
legno.
«Oh,
potresti preservarlo ancora per un po’, se non ti spiace? Novecento berry sono
già parecchi per le mie povere tasche… sai com’è, questo lavoro non è molto
remunerativo».
Prim’ancora del tono di
voce, dalla singolare cadenza strascicata ma affabile, prim’ancora dell’incedere
elegante e della chioma color del grano, fu il profumo che Nami riconobbe: un
particolare aroma di tabacco misto a spezie da cucina, che le riempì le narici
ancor prima che la testa bionda del compagno facesse capolino dalle scale.
«Sanji-kun»,
disse, a mo’ di saluto. «Cos’è, scontento delle tue mansioni in cucina?»
ironizzò, un mezzo sorriso ad incresparle le labbra.
Il biondo soffiò un po’ di
fumo e scosse il capo, divertito. «Lungi da me esserlo, Nami-san… Sai bene che
cucinare è il mio più grande piacere, soprattutto per una bellezza come te.
Piuttosto…». Le rivolse un’occhiata colma di adorazione, l’unico occhio
visibile acceso di entusiasmo «… sarei interessato a fare affari con lei,
milady».
Un’espressione maliziosa
si dipinse sul volto della navigatrice. «Hai appena detto la parolina magica»,
sogghignò, sporgendosi appena un po’ di più verso l’amico. «E sentiamo, milord… di che affare si tratterebbe?».
Lui non rispose
subito. Si avvicinò al parapetto della Sunny e vi si appoggiò con noncuranza, portandosi
la sigaretta alle labbra con lentezza calcolata. Senza staccare gli occhi di
dosso alla ragazza ispirò una grossa boccata e socchiuse appena le labbra,
soffiando il fumo in piccoli sbuffi grigiastri. Solo in quell’istante parve riscuotersi
ed accorgersi di Nami, che lo osservava tra l’accigliato e il curioso, e della
conversazione che stava avvenendo tra loro appena qualche manciata di secondi
prima.
I lineamenti si distesero
in un sorriso che si allargava da un orecchio all’altro.
«Chiedo scusa», spiegò con
semplicità, «ero stato distratto dalla tua impareggiabile bellezza, adorata
Nami-san».
La Navigatrice emise un
sonoro sbuffo ed incrociò le braccia al petto, piccata. «Insomma, Sanji-kun… ed
io che ti stavo anche prendendo sul serio! Sei sempre il solito buffone».
Qualcosa parve scattare
nei lineamenti del ragazzo, ma il sorriso non s’intaccò. Mosse un passo incerto
in avanti –il ticchettare delle sue scarpe sul legno era dannatamente piacevole- e piantò lo sguardo in quello
offeso della compagna, rivolgendole un inchino appena accennato. «Non posso
farci nulla se la tua bellezza è cosi incomparabilmente straordinaria… Mi lasci
senza parole ogni giorno».
Nami era abituata a quelle
scenate, per cui si preparò mentalmente a mollargli un ceffone o gelarlo con
una delle sue risposte sarcastiche, ma qualcosa in fondo agli occhi di Sanji la
bloccò. Una scintilla, un lampo fugace –qualcosa che non aveva mai scovato
prima, sul fondo di quegli occhi azzurri come l’oceano- che si esaurì appena un
attimo dopo, effimera come un fuoco d’artificio.
Il cuoco si raddrizzò,
passandosi distrattamente una mano tra i capelli d’oro, dopodiché le rivolse un
altro sorriso, che però morì agli angoli delle labbra prim’ancora di
raggiungere gli occhi.
«Parlavamo di quell’affare,
Nami-san».
«Oh… ah, si. Dimmi pure».
Sanji gettò uno sguardo
alle sue spalle, indicando il rigoglioso albero colmo di frutti quasi maturi.
«Ho bisogno di cinque dei tuoi straordinari mandarini per una ricetta che ho
trovato ieri sera, adorata Nami-san… ~Di certo potrei comprarne appena sbarcati a prezzo assai
più basso, ma» e qui il sorriso riprese vigore e la voce si fece dolce, quasi
un sussurro «non sarebbero neppure lontanamente gustosi come i tuoi, e come sai
amo utilizzare solo i migliori ingredienti».
C’era qualcosa, in quel
repentino cambio d’intonazione, che affascinò Nami al punto da lasciarla per
qualche secondo basita prima che le parole del biondo le penetrassero nel
cervello. Le assimilò in fretta e furia e riuscì appena a biascicare
«Novecento berry. S-sono
novecento berry per mandarino».
Sanji la osservò un attimo
con un espressione indecifrabile, poi s’infilò una mano nella tasca dei
pantaloni e ne estrasse un’esigua manciata di banconote, che prese a contare
con minuzia.
«Cos’è che devi cucinare?»
domandò poi Nami, cogliendolo di sorpresa. Fissava ostinatamente un punto
imprecisato oltre il parapetto della nave e si attorcigliava tra le dita una
ciocca di capelli, con gesti di stizza.
Il pirata aprì e richiuse
la bocca più volte prima di parlare. Quella ragazza era cosi bella da lasciarlo
senza parole ogni secondo di più, mentre il cuore doleva ad ogni rifiuto e
s’innamorava di lei con ancora più forza e disperazione, struggendosi senza
tregua alcuna in quell’amore impossibile.
«Una torta», spiegò, la
gola stranamente secca. «E’ una mia rielaborazione di una vecchia ricetta che
ho trovato. Voglio provare ad aggiungere la crema pasticciera al mandarino come
farcitura, e guarnirla con fette di mandarino intere». Per qualche strano motivo
la voce parve venirgli meno, per cui le ultime parole, «Vorrei prepararla per te», furono poco più di un sussurro.
Ma Nami poté udirle lo
stesso.
Per qualche istante senza
tempo nessuno dei due osò aprir bocca, e fu lo scrosciare del mare a colmare per
loro gli attimi di silenzio.
Poi la navigatrice sbuffò,
stringendosi nelle spalle come a proteggersi da un vento di cui non v’era
traccia.
«Sono ancora aspri».
Sanji la fissò senza
capire.
«I mandarini» spiegò, con
un altro sospiro strozzato. «Sono maturi abbastanza, ma credo che siano ancora
aspri. Non sono adatti… insomma, per cucinare, dico».
Inaspettatamente, il
sorriso sulle labbra di Sanji si allargò ancora di più invece di spegnersi. «Se
è cosi è ancora meglio», dichiarò entusiasta, e poi aggiunse, in risposta allo
sguardo interrogativo della compagna, «sarà una sfida interessante, sai…
trovare un sapore che possa controbilanciarne l’asprezza in modo da risultare
tanto dolce da soddisfare il tuo palato».
Lo disse con tale
naturalezza che Nami ne fu per un attimo spiazzata, tanto da non riuscire a
formulare una risposta che potesse considerarsi tale. Fu solo dopo alcuni
secondi che riuscì a biascicare «Come fai a sapere che preferisco i sapori
dolci?». Non ci aveva mai particolarmente riflettuto neppure lei stessa, a dire
il vero. Se le si fosse chiesto di scegliere tra dolce e salato, cosi a
bruciapelo, le sarebbe sorto spontaneo prendere in esame il sapore dei
mandarini e, riconosciutolo come dolciastro, estrapolare da ciò la propria
risposta.
Eppure, Sanji aveva
affermato con assoluta padronanza e certezza la sua preferenza per le pietanze
dolci, ed una tale piccolezza ebbe il potere di lasciarla senza parole.
«Nami-san, dimentichi che
sono il vostro cuoco di bordo. Conosco i gusti e le preferenze in materia
culinaria di tutti voi più di voi stessi».
Poi le rivolse l’ennesimo sorriso, e con lentezza allontanò la sigaretta dalle
labbra. «E’ un po’ come vedere dritto nel cuore delle persone». Tranne nel tuo, Nami-san. Il sorriso
divenne improvvisamene amaro.
Strinse i denti sulla sigaretta
ormai consumata, che non emetteva più di qualche labile filo di fumo, e con uno
sbuffò la gettò tra le onde schiumanti del mare [Onde, come lei]. Vide la
cicca annaspare e scomparire inghiottita dall’oceano, ed istintivamente
intensificò la stretta delle dita sul legno del parapetto.
Nami-san era come quelle onde, e lui era il mozzicone
di sigaretta che galleggiava sull’acqua. Ne era travolto ogni giorno, totalmente incapace di resistervi, e da lei veniva scrollato e scorticato più
e più volte fino a che, inerme, finiva trascinato alla deriva.
«Sono impressionata,
Sanji-kun». La voce della ragazza gli giunse come da molto lontano,
strappandolo alle sue fantasie e catapultandolo bruscamente –e dolcemente- alla realtà. «Pensavo
proprio… Dev’essere difficile conciliare i gusti di tutti e cucinare qualcosa
che non scontenti nessuno».
Il cuoco rise ed armeggiò
per un attimo con l’accendino, lusingato da quel complimento inatteso. Poi
parlò, stringendo tra i denti una nuova sigaretta. «Prima di tutto, Rufy mangia
pressappoco qualsiasi cosa ma nutre un odio inspiegabile verso la crostata alle
ciliegie, che invece Chopper adora. Il marimo ama il riso e tendenzialmente
qualsiasi cosa possa accostare al sakè, invece Usopp adora i piatti di pesce ma
detesta i funghi… Robin-chan invece predilige i sapori non troppo intensi,
mentre Franky ama mangiare salato. Chopper al contrario vivrebbe di dolci,
mentre Brook ama i cibi dal sapore delicato. Quanto a me, preferisco la cucina
speziata ed i frutti di mare». Finalmente riuscì ad accendere la sigaretta e ne
ispirò una profonda boccata. «Come vedi, ogni giorno è quasi impossibile
accontentare i gusti di tutti».
Nami rifletté a fondo
sulle sue parole, e sentì un nuovo rispetto verso il compagno sbocciare da
chissà dove. Era incredibile quanto si potesse scoprire di una persona solo
studiando attentamente i cibi che prediligeva, e Sanji era un maestro in
questo. Riflettendoci più attentamente, pur essendo a conoscenza della
predilezione del ragazzo per la cucina speziata, Nami ricordava di aver
mangiato spesso alimenti piuttosto dolci, probabilmente –lo constatò con
un’inaspettata stretta al cuore- preparati appositamente per lei.
Pensa sempre agli altri prima che a se
stesso… quello stupido.
Quando aprì bocca, non
seppe spiegarsi perché disse ciò che disse né cosa la spinse a farlo.
Semplicemente, avvertì le parole di Sanji colmarle il cervello, rivide il suo
sorriso e la passione e l’affetto con la quale parlava delle preferenze dei
compagni, ed il resto venne da se.
«Neh, Sanji-kun… ho voglia
di assaggiare quella tua torta, per cui ascolta bene. Ti faccio pagare solo due mandarini» -vide un’espressione
incredula allargarsi sul viso del cuoco- «,ma aspetta! Voglio che sia
buonissima. Voglio che sia… la cosa più deliziosa che tu abbia mai cucinato. Se
sarà cosi, sorvolerò sul pagamento. Altrimenti, esigo la cifra completa, non un berry in meno. Sono stata chiara?».
Strinse le braccia al
petto e lo fissò con un cipiglio severo, domandandosi già cosa le fosse preso e
come avesse potuto sprecare un affare del genere…
Ma
poi Sanji-kun sorrise, di quei sorrisi che illuminavano il mondo ed oscuravano
le stelle, e le prese una mano tra le sue, sfiorandola appena per un attimo con
le labbra.
L’aroma
di spezie e tabacco le annebbiava il cervello.
«Sarà fatto, ma princesse».
“When you say thank you to me,
for some reason it hurts.
it’s bittersweet, the flavor of life”
Fu solo a pomeriggio inoltrato che una
deliziosa fragranza di dolce appena sfornato si diffuse per la nave. Essendo la
sola a conoscenza dei progetti del cuoco fu Nami la prima a percepirla, ma
calcolò che individui come Rufy e Chopper non c’avrebbero messo molto a fare
due più due e fiondarsi in cucina. Fu cosi che, in parte invitata da quella
fragranza deliziosa, in parte spinta da sensazioni confuse che non fu in grado
d’individuare, la navigatrice abbandonò la carta sulla quale stava lavorando e
si diresse verso la cucina.
Per qualche motivo il
cuore parve danzarle in petto quando sfiorò la maniglia, ma l’ignorò e proseguì
spedita dentro la stanza. Non appena vi ebbe messo piede il profumo di crema, pan di spagna e mandarini si fece
più intenso, fino ad avvolgerla completamente. Gli occhi socchiusi, lo inspirò
a piene narici, beandosene ed abbandonandosici come fosse in trance, una trance
dolcissima e meravigliosa.
«Ehi, capocuoco», commentò
con una risata divertita non appena riuscì a tornare padrona dei propri sensi,
«l’odore è bellissimo, ma rischia di attirare qui tutta la nave. E sai cosa
vuol dire questo… ovvero che dovrai prepararne come minimo altre cinque, se ci
si mettono tutti». Poi ci rifletté un attimo, ed aggiunse indispettita «non ho
intenzione di cederti cosi tanti mandarini, sappilo».
Sanji le dava le spalle,
affaccendato attorno ad un enorme pentolone che emanava un altro genere di
fragranza, altrettanto piacevole.
«Oh, Nami-san! Sei già
qui? Stavo preparando la cena, altrimenti rischio di non fare in tempo per
stasera, e…- ah, tranquilla, ho già provveduto a preparare alcuni dolci anche
per Robin-chan e il resto degli idioti, cosi nessuno rimarrà scontento». Il
sorriso che le rivolse era, se possibile, ancora più largo e stupefacente di quello che le aveva
dedicato qualche ora prima, ed il cuore della navigatrice si colmò di mille
sentimenti ai quali non seppe dare un nome. C’era l’affetto, di questo era
certa –affetto verso un compagno che
l’aveva protetta innumerevoli volte, verso un componente di quella strampalata
famiglia tirata su da Rufy-, c’era il rispetto che aveva imparato a dovergli
–rispetto verso la sua impareggiabile cavalleria, rispetto delle sue
stupefacenti abilità combattive-, c’era l’ammirazione –lo ammirava per una
quantità infinita di ragioni, Nami. Ammirava la sua dedizione verso gli amici,
il modo un po’ ingenuo nel quale offriva cibo anche agli avversari più
incalliti purché fossero affamati, ammirava il modo in cui si gettava senza
esitare nelle situazioni più pericolose per salvare lei o un altro membro dell’equipaggio-. Ed infine, ad unire ed
ingarbugliare quella matassa di sentimenti e sensazioni, un qualcosa alla quale
Nami, pur sforzandosi, non riuscì a dar nome. Qualcosa che, in qualche modo,
saldava tra loro tutte le altre emozioni che la scuotevano, e le amplificava
all’inverosimile.
Il forno suonò proprio in
quel momento, districando la matassa per un istante miracoloso.
«U-oh! E’ pronta, Nami-san!».
Sanji scattò verso lo
sportello del grosso forno e prese ad armeggiare con una serie di pulsanti
dall’aria complicata, canticchiando un motivetto che Nami non riuscì ad
identificare; non aveva mai visto il compagno tanto entusiasta, ed in breve
quell’euforia si trasmise anche a lei.
Il profumo penetrante dei
dolci impregnava ormai tutta la stanza, ed era solo la porta chiusa
ermeticamente ad impedire che gli altri ragazzi ne fossero irrimediabilmente
attratti. Intanto Sanji non la smetteva di correre da un angolo all’altro della
cucina, trafficando con mestoli, posate ed enormi vassoi colmi di torte (ne
aveva cucinate ben cinque, Nami constatò, delle quali una dedicata interamente
a lei), il tutto senza smettere di
canticchiare quel motivetto allegro che tanto la metteva di buon’umore.
Infine,
dopo un tempo che le parve insieme troppo breve o troppo lungo, il biondo
raggiunse la compagna al grosso tavolo di legno, posandole dinanzi con
delicatezza un vassoio contenente il dolce ed un bicchiere colmo di liquido
scuro.
«Ecco a lei, mademoiselle» sussurrò con un breve
inchino, «Pan di spagna con crema pasticcera al mandarino, da gustare
accompagnato da ottimo the nero… il mio preferito». Le allungò un piattino ed
una forchetta, dopodiché prese posto su una delle sedie disseminate intorno al
lungo tavolo e prese a fissarla, lo sguardo colmo d’affetto ed adorazione
–avrebbe detto addirittura amore,
Nami, a giudicare da quello sguardo-.
Con un piccolo sforzo
impose a se stessa di distogliere l’attenzione dal cuoco e dedicarsi al cibo,
e fu cosi che posò lo sguardo sul dolce dall’aspetto invitante che le stava
davanti: non era rotondo, ma aveva la singolare forma di un fiore –un fiore
ricoperto da mille petali che altri non erano che spicchi di mandarino
interi-, decorato di tanto in tanto da
un soffice sbuffo di panna montata. Tra i due strati di pan di spagna faceva infine
capolino la crema pasticcera, anch’essa color arancio, mentre petali veri –blu, Nami si domandò perché-
adornavano il vassoio.
«Non ho potuto curare
molto i colori, Nami-san». Sanji la guardò un po’ preoccupato, passandosi una
mano tra i capelli con fare inquieto. «Trattandosi di una torta al mandarino,
non ho avuto molta scelta. Ma ho pensato che il bianco della panna ed il blu
dei petali potessero ravvivarne un po’ l’aspetto, anche se non posso ancora
assicurare che sia di tuo gradiment-». Fu la mano di Nami premuta bruscamente
sulle sue labbra ad interrompere quel fluire di pensieri sconnessi.
«Va benissimo cosi»,
borbottò, leggermente rossa in viso, e raccolto il coraggio di sollevare gli
occhi fu sorpresa nello scoprire lo stesso lieve rossore sulle gote dell’amico.
«N-Nami-saaan….» piagnucolò poi Sanji senza preavviso, la voce alterata
a causa della mano di lei ancora premuta sulle labbra, «sei cosi bella vista da
vicino… cosi tanto che mi fai piangere..!»
Nami non seppe come
descriverlo, ma fu buffo. Fu buffo ed
insieme talmente tenero che per un attimo non seppe cosa provare –né l’irritazione
né la lusinga che quelle scenate le provocavano di solito parvero appropriate, per
cui si limitò a lasciar scivolare le dita dalla bocca dell’amico, che istintivamente
si prese la testa tra le mani e la premette contro il tavolo-. Apparentemente
non intenzionato a tirarsi su, il biondo continuò a biasciare strani versi
intervallati da qualcosa che assomigliava pericolosamente a dannazione, non posso resisterle mentre
si torceva le mani ed arruffava i capelli, un rivolo di sangue che faceva capolino
dalle narici.
«Sei il solito idiota»,
sbottò Nami seccata. Ma qualcosa, dentro di lei, fu incapace d’ignorare il
balugino che, di nuovo, si accese in fondo agli occhi dell’amico. Anche
stavolta durò poco più di un battito di ciglia, ma la navigatrice riuscì a
cogliervi qualcosa, una percezione sfocata e fuggevole che la raggelò: possibile
che quello fosse… dolore?
Appena un istante dopo,
tuttavia, gli occhi di Sanji –avrebbe dovuto dire l’occhio, a dire il vero- le parvero di nuovo soltanto due pozze di
cielo, e lui nient’altro che un idiota che si asciugava alla bell’e meglio le
tracce di un’evidente epistassi, la mano ad accarezzarsi la nuca in modo
distratto.
D’altra parte, -e questo
la ragazza non poteva intuirlo neppur lontanamente-, fu lo stesso Sanji a
sforzarsi di trasmetterle quell’immagine di se stesso.
«Chiedo scusa, Nami-san…
ero di nuovo stato rapito dalla tua
bellezza», fu ciò che disse.
Santi numi, perché devi essere cosi incredibilmente
bella? Mi farai scoppiare il cuore un giorno o l’altro, furono invece i suoi pensieri.
La
navigatrice non parve accorgersi della lotta interiore che si stava consumando
nella testa del compagno, né dell’evidente stato confusionale in cui il suo
semplice gesto l’aveva catapultato. Per cui, si limitò ad una scrollata di
spalle e riprese lì dov’era stata interrotta, ovvero apprestarsi ad assaggiare
la torta.
Con lentezza avvicinò la
forchetta e ne staccò un boccone, quasi dispiaciuta di dover rovinare una
pietanza dall’aspetto tanto gradevole –lanciò un’occhiata dubbiosa al cuoco,
che le rispose con un sorriso rassicurante-, dopodiché lo ingerì tutto d’un
fiato.
Inizialmente rimase
sorpresa. Si era aspettata un sapore che fosse in qualche modo acre, dati i
frutti non ancora maturi, eppure ciò che le riempì la bocca fu di una dolcezza
sorprendente. V’era anche qualcosa di aspro, si, ma che in qualche modo si
sposava perfettamente col gusto dolciastro predominante.
Sanji la spiava con un
misto di ilarità ed aspettativa, un mezzo sorrisetto a piegargli le labbra
contornate da baffetti sottili.
«Allora, principessa?
Com’è?».
Nami tentennò, sforzandosi
di trovare una risposta che potesse definire quel sapore tanto atipico e
particolare, ma nessuna parola le parve appropriata.
«E’… agrodolce», dichiarò infine.
Vide il sorriso di Sanji
allargarsi a dismisura. «Ah, e cosi te ne sei accorta! Non mi aspettavo di meno
da te, mia amata Nami-swan ~ Ne deduco che sia
di tuo gradimento?».
La ragazza annuì
energicamente e ne prese un altro boccone, ingoiandolo con gusto; percepì
distintamente il sapore dolce e quello asprigno che si rincorrevano e,
incredibilmente, si combinavano tra loro alla perfezione, come fossero nati per
unirsi a quel modo e dar vita ad un gusto tanto incredibile.
«Come hai fatto?». La
domanda le era sorta spontanea: ricordava di aver assaggiato uno dei suoi
mandarini appena quella mattina, e poteva giurare che fossero ancora piuttosto
aspri. Nulla a che vedere, senza dubbio, con la dolcezza che aveva appena
assaporato.
Sanji esibì un mezzo
ghigno soddisfatto e col pollice s’indicò la tempia, ricoperta da una cascata
di capelli biondi.
«Miele», disse
semplicemente.
Oh… Ma certo.
Adesso Nami riusciva a ricollegare perfettamente il sapore dolciastro provato
poco prima a quello del miele, e si chiese come avesse fatto a non arrivarci
prima. Più di tutto, però, fu il gesto compiuto da Sanji a lasciarla senza
parole: sapeva che indicandosi il capo aveva semplicemente voluto alludere alla
propria ingegnosa intuizione nell’aggiungere quell’ingrediente inaspettato, ma
ciò che lei realizzò fu invece il
colore dei capelli dell’amico, che le s’impresse davanti agli occhi come se lo
vedesse per la prima volta.
Capelli color del miele.
Col cuore che per qualche
motivo aveva deciso di lanciarsi in una danza frenetica, Nami rivolse alla torta
un’occhiata sbalordita, e ciò che vide la lasciò senza parole.
Mandarino e miele, insieme. Paurosamente perfetti.
Come una danza, il sapore
aspro e penetrante dei mandarini ancora immaturi e quello dolce e zuccherato
del miele -mescolati insieme in modo tanto armonico ed assoluto da risultare
quasi necessari l’uno all’altro-, si
mitigavano ed accarezzavano a vicenda, come due amanti premurosi.
Nami strinse gli occhi e
ricacciò quel pensiero irragionevole in fondo alla mente, sforzandosi
d’ignorare la vampata di calore e turbamento che le attorcigliava il cervello.
Quel sapore tanto
particolare, tuttavia, non voleva abbandonare le sue labbra.
«Miele e mandarino…eh?».
Sanji la fissò, con occhi
gravi ed accesi di devozione.
«Già… agrodolce. E’ il sapore dell’amore». La sua voce era bassa e
melodiosa, e Nami ne fu incantata. «L’amore, mia adorata, lacera e ferisce in
continuazione. Puoi addirittura morirne,
di troppo amore. Ma», e qui lo sguardo si fece colmo di dedizione e passione
soffocata, la voce sempre più carezzevole,
«può regalarti sensazioni d’impareggiabile bellezza».
C’era qualcosa, forse nel
barlume di tormento che Nami gli lesse negli occhi, o nella dolcezza della
linea delle labbra che s’incurvava sotto il peso di quel sorriso, che le fece
nascere il desiderio bruciante di osservarlo più da vicino. Non se lo fece
ripetere un’altra volta.
Le palpebre socchiuse, i
sensi annebbiati dall’incantevole aroma di dolci appena sfornati, si sporse in
avanti quel poco che bastava per trovarsi a poco più d’un soffio dall’amico.
Ebbe appena il tempo di scorgerne le iridi color oceano dilatarsi a causa del
gesto inaspettato, -i suoi occhi erano
bellissimi visti cosi da vicino-, poi la percezione del respiro di Sanji
sulla propria pelle la fece cedere definitivamente.
Fu solo un attimo, a dire
il vero.
Furono le sue labbra
premute contro quelle ruvide e secche di Sanji, che sapevano di spezie e di
qualcos’altro che Nami, nella dolce frenesia di quegli attimi, non si dette la
pena d’identificare.
Fu la bellezza di un meraviglioso istante, e finì
troppo in fretta. Prim’ancora che avessero il tempo di chiudere gli occhi o
sbattere le ciglia, prim’ancora di abbandonarsi a quel contatto tanto piacevole
quanto tormentato- prim’ancora di assuefarsene, al punto da desiderarne ancora,
ancora e ancora.
Cosi com’era stata lei a dare inizio a quegli attimi
di follia, fu la navigatrice a staccarsene. La ragione tornò a poco a poco, e
la ragazza l’assaporò come l’aria che fa ritorno nei polmoni dopo una lunga apnea;
la percezione di ciò che aveva appena fatto era ancora vivida nella sua mente, tanto
folle quanto piacevole, e mille domande le si affacciarono agli angoli del
cervello. Perché? Perché?
Non si diede la pena di rispondervi. L’aroma di miele
ed agrumi le impregnava ancora i vestiti e seppe chiaramente che, finché ci
fosse stato, la ragione non l’avrebbe mai ripresa a sé completamente. E c’era
sempre quell’altro odore , poi –quello
tanto familiare da dar la sua presenza per scontata, e che tuttavia non era mai
stato tanto vicino- che le bruciava sulle labbra appena sfiorate e che tuttavia non ne voleva sapere di abbandonarla.
L’aroma delle King Ground, le sigarette
fumate da Sanji.
Lui le stava dinanzi, i lineamenti sconvolti da
sentimenti confusi che Nami rivide, almeno in parte, riflessi nei propri. Ma
c’era dell’altro, impresso nel suo sguardo –vi erano insieme un tormento ed una
gioia che avevano dell’irragionevole,
desiderio e smania tenuti a bada con sforzo dalle funi della ragione- insieme
ad una manciata di altre emozioni indecifrabili che gli attraversarono gli
occhi ad una ad una, rincorrendosi ed accavallandosi come forsennate.
«A quanto pare mi sbagliavo». La voce, stranamente
roca, fuoriuscì come un rantolo. Le lunghe dita del biondo andarono ad
accarezzarsi le labbra ruvide, stirate in un mezzo sorriso. «Questo
dev’essere il sapore dell’amore».
Poi si girò a fronteggiare Nami, ed aveva di nuovo le
onde impresse negli occhi –le stesse onde dalle quali prendeva il nome, le onde
che ogni istante lo travolgevano trascinandolo nel mare di quell’amore tanto
incredibile-. Per un attimo si sentì come schiacciato
dal peso di quello sguardo.
«Nami-san».
Più che un sussurro, fu una disperata supplica. «Ti prego, t’imploro, Nami-san…
anche se è meraviglioso –non sai quanto, non immagini neppure quanto per me sia meraviglioso-, te ne
prego… davvero». Gli occhi si puntarono nei suoi, e vi era una silenziosa
richiesta celata al loro interno. «… Non
farlo più, Nami-san. Altrimenti, rischi… di farm’innamorare di te cento volte
di più…».
Lo
sputò fuori quasi piangendo, e le dita della ragazza non poterono trattenere un
fremito.
Sanji,
una mano premuta sul viso, si lasciò cadere sulla sedia più vicina.
«…
Se dovesse accadere, non saprei proprio come fare. Fa già troppo male cosi… e temo che la prossima volta non
avrei la forza per ordinare a me stesso di fermarmi». La sua voce era amara, ma
qualcosa pareva cambiato. Forse non credeva neppure lui alle proprie parole
–privarsi volontariamente di qualcosa di tanto piacevole pareva quasi un
oltraggio a se stesso-, o forse pronunciare quelle parole ad alta voce l’aveva
liberato del grumo di pianto che si sentiva premere in gola.
«Oh, beh…». Nami si rigirò tra le dita una ciocca di
capelli, in un patetico tentativo di fingere indifferenza. «In quel caso sarebbe
un problema»
«Un bel problema» convenne gambanera, e con immenso
sollievo della navigatrice le sue labbra si stirarono di nuovo in una smorfia
che assomigliava ad un sorriso. Gli sorrise di rimando; forse, dopotutto, c’era
ancora modo di aggiustare le cose.
Fu un intenso vociare proveniente da qualche parte a
bordo della nave a distrarli, seguito dal suono di passi affrettati e rumorosi
sul legno.
«Stanno arrivando, a quanto pare». La voce del cuoco
era insieme divertita ed esasperata, l’amarezza quasi totalmente svanita.
«Una banda di scimmie affamate, come al solito».
Ridendo, Nami rivolse un’occhiata al piano d’appoggio della cucina, dove
quattro meravigliose torte aspettavano di essere divorate. «Gradiranno molto,
ne sono sicura. O almeno, io ho
gradito».
Una vocina nella sua testa, impertinente, concluse la
frase per lei.
Ho gradito tutto.
Bastò quello a farle realizzare che il minuscolo gesto
compiuto quel pomeriggio, all’apparenza insensato, aveva dato inizio ad un
qualcosa che nessuno dei due –né lei né Sanji-kun – sarebbero
stati in grado di fermare.
Se solo avessero
desiderato farlo.
Angolo dell’autrice:
Non
ci credo, finalmente l’ho finita T^T La mia prima fanfic nel fandom di One Piece >w<). Di idee su
questo manga stupendoso ne ho tante (fin troppe, a
dir la verità, e spero che tutte possano trovare la luce ù_ù),
specialmente a causa del mio amore smisurato per il Sanami, lo Zorobin e per quella cosa fantastica chiamata nakama <3 Saranno proprio questi tre i “temi” sui
quali scriverò, sperando di riuscire finalmente a lasciarmi alle spalle il
blocco che mi ha presa da ben due anni ;_;. Scrivere di nuovo è stupendo T^T)/ Grazie Oda per avermi fatta innamorare di questo
manga <3.
Parlando
della fanfic, stranamente non ho molto da dire *V*.
Il titolo è francese perché boh, credo che sia adatto Sanji
XD Odacchi ha dichiarato che se fosse nato nel “nostro
mondo” il nostro bel cuoco sarebbe francese, inoltre quasi tutti i nomi delle
sue tecniche sono in questa lingua, per cui l’associazione è sorta spontanea.
Spero di non aver concluso la storia in modo troppo affrettato çAç Ho immaginato un sacco di scene con questi due come
protagonisti, e mi danno un sacco di problemi. Da una parte vorrei rendere l’idea
di un Sanji che “fa il figo”
tentando di farsi notare da Nami, dall’altra ce lo
vedo a crollare ogni due secondi a causa della sua bellezza XD Queste mie due
visioni opposte di Sanji mi hanno costretta a
cancellare e riscrivere alcune scene più e più volte, ma alla fine spero di
aver bilanciato bene. Non so, ditemelo voi (QwQ).
Accetto
consigli e critiche >w<
P.s. Il testo della canzone che ho
inserito nel mezzo è Flavor of life di Utada Hikaru, che adoro <3
Mata ne~