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Autore: Lou Asakura    20/09/2011    10 recensioni
«Miele e mandarino…eh?».
Sanji la fissò, con occhi gravi ed accesi di devozione.
«Già… agrodolce. E’ il sapore dell’amore».
[Strinse i denti sulla sigaretta ormai consumata, che non emetteva più di qualche labile filo di fumo, e con uno sbuffò la gettò tra le onde schiumanti del mare. Vide la cicca annaspare e scomparire inghiottita dall’oceano, ed istintivamente intensificò la stretta delle dita sul legno del parapetto.
Nami-san era come quelle onde, e lui era il mozzicone di sigaretta che galleggiava sull’acqua. Ne era travolto ogni giorno, totalmente incapace di resistervi, e da lei veniva scrollato e scorticato più e più volte fino a che, inerme, finiva trascinato alla deriva
].
~ [Sanji x Nami, lievissimi Spoiler New World Arc]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Sanji | Coppie: Sanji/Nami
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Douce-amère [ondes dans tes yeux]

[Sanji x Nami (サンジxナミ), SPOILER! new world arc]

                                                                                                                                                                                                                                                        

 

«Finalmente… a  breve saranno pronti per essere raccolti!».

Nami si abbandonò ad un sorrisetto entusiasta, la mano ad accarezzare in modo quasi materno la buccia ruvida e porosa dei mandarini, i capelli rossicci abbandonati lungo la schiena. Esaminò i frutti ad uno ad uno più e più volte, studiandoli con occhi esperti da ogni angolazione, dopodiché si lasciò andare ad un sospiro soddisfatto, le braccia incrociate dietro la schiena.

«Sono ancora aspri, ma il colore è perfetto. A breve potrò riprendere i miei affari~ Mi chiedo se non dovrei alzare il prezzo… ».

Fu una voce ad interromperla, accompagnata dal lieve scricchiolio di scarpe sul legno.

«Oh, potresti preservarlo ancora per un po’, se non ti spiace? Novecento berry sono già parecchi per le mie povere tasche… sai com’è, questo lavoro non è molto remunerativo».

Prim’ancora del tono di voce, dalla singolare cadenza strascicata ma affabile, prim’ancora dell’incedere elegante e della chioma color del grano, fu il profumo che Nami riconobbe: un particolare aroma di tabacco misto a spezie da cucina, che le riempì le narici ancor prima che la testa bionda del compagno facesse capolino dalle scale.

«Sanji-kun», disse, a mo’ di saluto. «Cos’è, scontento delle tue mansioni in cucina?» ironizzò, un mezzo sorriso ad incresparle le labbra.                                                                                                                                                       

Il biondo soffiò un po’ di fumo e scosse il capo, divertito. «Lungi da me esserlo, Nami-san… Sai bene che cucinare è il mio più grande piacere, soprattutto per una bellezza come te. Piuttosto…». Le rivolse un’occhiata colma di adorazione, l’unico occhio visibile acceso di entusiasmo «… sarei interessato a fare affari con lei, milady».

Un’espressione maliziosa si dipinse sul volto della navigatrice. «Hai appena detto la parolina magica», sogghignò, sporgendosi appena un po’ di più verso l’amico. «E sentiamo, milord… di che affare si tratterebbe?».

Lui non rispose subito. Si avvicinò al parapetto della Sunny e vi si appoggiò con noncuranza, portandosi la sigaretta alle labbra con lentezza calcolata. Senza staccare gli occhi di dosso alla ragazza ispirò una grossa boccata e socchiuse appena le labbra, soffiando il fumo in piccoli sbuffi grigiastri. Solo in quell’istante parve riscuotersi ed accorgersi di Nami, che lo osservava tra l’accigliato e il curioso, e della conversazione che stava avvenendo tra loro appena qualche manciata di secondi prima.

I lineamenti si distesero in un sorriso che si allargava da un orecchio all’altro.

«Chiedo scusa», spiegò con semplicità, «ero stato distratto dalla tua impareggiabile bellezza, adorata Nami-san».

La Navigatrice emise un sonoro sbuffo ed incrociò le braccia al petto, piccata. «Insomma, Sanji-kun… ed io che ti stavo anche prendendo sul serio! Sei sempre il solito buffone».

Qualcosa parve scattare nei lineamenti del ragazzo, ma il sorriso non s’intaccò. Mosse un passo incerto in avanti –il ticchettare delle sue scarpe sul legno era dannatamente piacevole- e piantò lo sguardo in quello offeso della compagna, rivolgendole un inchino appena accennato. «Non posso farci nulla se la tua bellezza è cosi incomparabilmente straordinaria… Mi lasci senza parole ogni giorno».

Nami era abituata a quelle scenate, per cui si preparò mentalmente a mollargli un ceffone o gelarlo con una delle sue risposte sarcastiche, ma qualcosa in fondo agli occhi di Sanji la bloccò. Una scintilla, un lampo fugace –qualcosa che non aveva mai scovato prima, sul fondo di quegli occhi azzurri come l’oceano- che si esaurì appena un attimo dopo, effimera come un fuoco d’artificio.

Il cuoco si raddrizzò, passandosi distrattamente una mano tra i capelli d’oro, dopodiché le rivolse un altro sorriso, che però morì agli angoli delle labbra prim’ancora di raggiungere gli occhi.

«Parlavamo di quell’affare, Nami-san».

«Oh… ah, si. Dimmi pure».

Sanji gettò uno sguardo alle sue spalle, indicando il rigoglioso albero colmo di frutti quasi maturi. «Ho bisogno di cinque dei tuoi straordinari mandarini per una ricetta che ho trovato ieri sera, adorata Nami-san… ~Di certo potrei comprarne appena sbarcati a prezzo assai più basso, ma» e qui il sorriso riprese vigore e la voce si fece dolce, quasi un sussurro «non sarebbero neppure lontanamente gustosi come i tuoi, e come sai amo utilizzare solo i migliori ingredienti».

C’era qualcosa, in quel repentino cambio d’intonazione, che affascinò Nami al punto da lasciarla per qualche secondo basita prima che le parole del biondo le penetrassero nel cervello. Le assimilò in fretta e furia e riuscì appena a biascicare

«Novecento berry. S-sono novecento berry per mandarino».

Sanji la osservò un attimo con un espressione indecifrabile, poi s’infilò una mano nella tasca dei pantaloni e ne estrasse un’esigua manciata di banconote, che prese a contare con minuzia.

«Cos’è che devi cucinare?» domandò poi Nami, cogliendolo di sorpresa. Fissava ostinatamente un punto imprecisato oltre il parapetto della nave e si attorcigliava tra le dita una ciocca di capelli, con gesti di stizza.

Il pirata aprì e richiuse la bocca più volte prima di parlare. Quella ragazza era cosi bella da lasciarlo senza parole ogni secondo di più, mentre il cuore doleva ad ogni rifiuto e s’innamorava di lei con ancora più forza e disperazione, struggendosi senza tregua alcuna in quell’amore impossibile.

«Una torta», spiegò, la gola stranamente secca. «E’ una mia rielaborazione di una vecchia ricetta che ho trovato. Voglio provare ad aggiungere la crema pasticciera al mandarino come farcitura, e guarnirla con fette di mandarino intere». Per qualche strano motivo la voce parve venirgli meno, per cui le ultime parole, «Vorrei prepararla per te», furono poco più di un sussurro.

Ma Nami poté udirle lo stesso.

Per qualche istante senza tempo nessuno dei due osò aprir bocca, e fu lo scrosciare del mare a colmare per loro gli attimi di silenzio.

Poi la navigatrice sbuffò, stringendosi nelle spalle come a proteggersi da un vento di cui non v’era traccia.

«Sono ancora aspri».

Sanji la fissò senza capire.

«I mandarini» spiegò, con un altro sospiro strozzato. «Sono maturi abbastanza, ma credo che siano ancora aspri. Non sono adatti… insomma, per cucinare, dico».

Inaspettatamente, il sorriso sulle labbra di Sanji si allargò ancora di più invece di spegnersi. «Se è cosi è ancora meglio», dichiarò entusiasta, e poi aggiunse, in risposta allo sguardo interrogativo della compagna, «sarà una sfida interessante, sai… trovare un sapore che possa controbilanciarne l’asprezza in modo da risultare tanto dolce da soddisfare il tuo palato».

Lo disse con tale naturalezza che Nami ne fu per un attimo spiazzata, tanto da non riuscire a formulare una risposta che potesse considerarsi tale. Fu solo dopo alcuni secondi che riuscì a biascicare «Come fai a sapere che preferisco i sapori dolci?». Non ci aveva mai particolarmente riflettuto neppure lei stessa, a dire il vero. Se le si fosse chiesto di scegliere tra dolce e salato, cosi a bruciapelo, le sarebbe sorto spontaneo prendere in esame il sapore dei mandarini e, riconosciutolo come dolciastro, estrapolare da ciò la propria risposta.

Eppure, Sanji aveva affermato con assoluta padronanza e certezza la sua preferenza per le pietanze dolci, ed una tale piccolezza ebbe il potere di lasciarla senza parole.

«Nami-san, dimentichi che sono il vostro cuoco di bordo. Conosco i gusti e le preferenze in materia culinaria di tutti voi più di voi stessi». Poi le rivolse l’ennesimo sorriso, e con lentezza allontanò la sigaretta dalle labbra. «E’ un po’ come vedere dritto nel cuore delle persone». Tranne nel tuo, Nami-san. Il sorriso divenne improvvisamene amaro.

Strinse i denti sulla sigaretta ormai consumata, che non emetteva più di qualche labile filo di fumo, e con uno sbuffò la gettò tra le onde schiumanti del mare [Onde, come lei]. Vide la cicca annaspare e scomparire inghiottita dall’oceano, ed istintivamente intensificò la stretta delle dita sul legno del parapetto.

Nami-san era come quelle onde, e lui era il mozzicone di sigaretta che galleggiava sull’acqua. Ne era travolto ogni giorno, totalmente incapace di resistervi, e da lei veniva scrollato e scorticato più e più volte fino a che, inerme, finiva trascinato alla deriva.

«Sono impressionata, Sanji-kun». La voce della ragazza gli giunse come da molto lontano, strappandolo alle sue fantasie e catapultandolo bruscamente –e dolcemente- alla realtà. «Pensavo proprio… Dev’essere difficile conciliare i gusti di tutti e cucinare qualcosa che non scontenti nessuno».

Il cuoco rise ed armeggiò per un attimo con l’accendino, lusingato da quel complimento inatteso. Poi parlò, stringendo tra i denti una nuova sigaretta. «Prima di tutto, Rufy mangia pressappoco qualsiasi cosa ma nutre un odio inspiegabile verso la crostata alle ciliegie, che invece Chopper adora. Il marimo ama il riso e tendenzialmente qualsiasi cosa possa accostare al sakè, invece Usopp adora i piatti di pesce ma detesta i funghi… Robin-chan invece predilige i sapori non troppo intensi, mentre Franky ama mangiare salato. Chopper al contrario vivrebbe di dolci, mentre Brook ama i cibi dal sapore delicato. Quanto a me, preferisco la cucina speziata ed i frutti di mare». Finalmente riuscì ad accendere la sigaretta e ne ispirò una profonda boccata. «Come vedi, ogni giorno è quasi impossibile accontentare i gusti di tutti».

Nami rifletté a fondo sulle sue parole, e sentì un nuovo rispetto verso il compagno sbocciare da chissà dove. Era incredibile quanto si potesse scoprire di una persona solo studiando attentamente i cibi che prediligeva, e Sanji era un maestro in questo. Riflettendoci più attentamente, pur essendo a conoscenza della predilezione del ragazzo per la cucina speziata, Nami ricordava di aver mangiato spesso alimenti piuttosto dolci, probabilmente –lo constatò con un’inaspettata stretta al cuore- preparati appositamente per lei.

Pensa sempre agli altri prima che a se stesso… quello stupido.    

Quando aprì bocca, non seppe spiegarsi perché disse ciò che disse né cosa la spinse a farlo. Semplicemente, avvertì le parole di Sanji colmarle il cervello, rivide il suo sorriso e la passione e l’affetto con la quale parlava delle preferenze dei compagni, ed il resto venne da se.

«Neh, Sanji-kun… ho voglia di assaggiare quella tua torta, per cui ascolta bene. Ti faccio pagare solo due mandarini» -vide un’espressione incredula allargarsi sul viso del cuoco- «,ma aspetta! Voglio che sia buonissima. Voglio che sia… la cosa più deliziosa che tu abbia mai cucinato. Se sarà cosi, sorvolerò sul pagamento. Altrimenti, esigo la cifra completa, non un berry in meno. Sono stata chiara?».

Strinse le braccia al petto e lo fissò con un cipiglio severo, domandandosi già cosa le fosse preso e come avesse potuto sprecare un affare del genere…

Ma poi Sanji-kun sorrise, di quei sorrisi che illuminavano il mondo ed oscuravano le stelle, e le prese una mano tra le sue, sfiorandola appena per un attimo con le labbra.

L’aroma di spezie e tabacco le annebbiava il cervello.

«Sarà fatto, ma princesse».

 

                                                                   

“When you say thank you to me,
for some reason it hurts.
it’s bittersweet, the flavor of life”



Fu solo a pomeriggio inoltrato che una deliziosa fragranza di dolce appena sfornato si diffuse per la nave. Essendo la sola a conoscenza dei progetti del cuoco fu Nami la prima a percepirla, ma calcolò che individui come Rufy e Chopper non c’avrebbero messo molto a fare due più due e fiondarsi in cucina. Fu cosi che, in parte invitata da quella fragranza deliziosa, in parte spinta da sensazioni confuse che non fu in grado d’individuare, la navigatrice abbandonò la carta sulla quale stava lavorando e si diresse verso la cucina.

Per qualche motivo il cuore parve danzarle in petto quando sfiorò la maniglia, ma l’ignorò e proseguì spedita dentro la stanza. Non appena vi ebbe messo piede il profumo  di crema, pan di spagna e mandarini si fece più intenso, fino ad avvolgerla completamente. Gli occhi socchiusi, lo inspirò a piene narici, beandosene ed abbandonandosici come fosse in trance, una trance dolcissima e meravigliosa.

«Ehi, capocuoco», commentò con una risata divertita non appena riuscì a tornare padrona dei propri sensi, «l’odore è bellissimo, ma rischia di attirare qui tutta la nave. E sai cosa vuol dire questo… ovvero che dovrai prepararne come minimo altre cinque, se ci si mettono tutti». Poi ci rifletté un attimo, ed aggiunse indispettita «non ho intenzione di cederti cosi tanti mandarini, sappilo».

Sanji le dava le spalle, affaccendato attorno ad un enorme pentolone che emanava un altro genere di fragranza, altrettanto piacevole.

«Oh, Nami-san! Sei già qui? Stavo preparando la cena, altrimenti rischio di non fare in tempo per stasera, e…- ah, tranquilla, ho già provveduto a preparare alcuni dolci anche per Robin-chan e il resto degli idioti, cosi nessuno rimarrà scontento». Il sorriso che le rivolse era, se possibile, ancora più largo e stupefacente di quello che le aveva dedicato qualche ora prima, ed il cuore della navigatrice si colmò di mille sentimenti ai quali non seppe dare un nome. C’era l’affetto, di questo era certa –affetto verso un compagno che l’aveva protetta innumerevoli volte, verso un componente di quella strampalata famiglia tirata su da Rufy-, c’era il rispetto che aveva imparato a dovergli –rispetto verso la sua impareggiabile cavalleria, rispetto delle sue stupefacenti abilità combattive-, c’era l’ammirazione –lo ammirava per una quantità infinita di ragioni, Nami. Ammirava la sua dedizione verso gli amici, il modo un po’ ingenuo nel quale offriva cibo anche agli avversari più incalliti purché fossero affamati, ammirava il modo in cui si gettava senza esitare nelle situazioni più pericolose per salvare lei o un altro membro dell’equipaggio-. Ed infine, ad unire ed ingarbugliare quella matassa di sentimenti e sensazioni, un qualcosa alla quale Nami, pur sforzandosi, non riuscì a dar nome. Qualcosa che, in qualche modo, saldava tra loro tutte le altre emozioni che la scuotevano, e le amplificava all’inverosimile.

Il forno suonò proprio in quel momento, districando la matassa per un istante miracoloso.

«U-oh! E’ pronta, Nami-san!».

Sanji scattò verso lo sportello del grosso forno e prese ad armeggiare con una serie di pulsanti dall’aria complicata, canticchiando un motivetto che Nami non riuscì ad identificare; non aveva mai visto il compagno tanto entusiasta, ed in breve quell’euforia si trasmise anche a lei.

Il profumo penetrante dei dolci impregnava ormai tutta la stanza, ed era solo la porta chiusa ermeticamente ad impedire che gli altri ragazzi ne fossero irrimediabilmente attratti. Intanto Sanji non la smetteva di correre da un angolo all’altro della cucina, trafficando con mestoli, posate ed enormi vassoi colmi di torte (ne aveva cucinate ben cinque, Nami constatò, delle quali una dedicata interamente a lei), il tutto senza smettere di canticchiare quel motivetto allegro che tanto la metteva di buon’umore.

Infine, dopo un tempo che le parve insieme troppo breve o troppo lungo, il biondo raggiunse la compagna al grosso tavolo di legno, posandole dinanzi con delicatezza un vassoio contenente il dolce ed un bicchiere colmo di liquido scuro.

«Ecco a lei, mademoiselle» sussurrò con un breve inchino, «Pan di spagna con crema pasticcera al mandarino, da gustare accompagnato da ottimo the nero… il mio preferito». Le allungò un piattino ed una forchetta, dopodiché prese posto su una delle sedie disseminate intorno al lungo tavolo e prese a fissarla, lo sguardo colmo d’affetto ed adorazione –avrebbe detto addirittura amore, Nami, a giudicare da quello sguardo-.

Con un piccolo sforzo impose a se stessa di distogliere l’attenzione dal cuoco e dedicarsi al cibo, e fu cosi che posò lo sguardo sul dolce dall’aspetto invitante che le stava davanti: non era rotondo, ma aveva la singolare forma di un fiore –un fiore ricoperto da mille petali che altri non erano che spicchi di mandarino interi-,  decorato di tanto in tanto da un soffice sbuffo di panna montata. Tra i due strati di pan di spagna faceva infine capolino la crema pasticcera, anch’essa color arancio, mentre petali veri –blu, Nami si domandò perché- adornavano il vassoio.

«Non ho potuto curare molto i colori, Nami-san». Sanji la guardò un po’ preoccupato, passandosi una mano tra i capelli con fare inquieto. «Trattandosi di una torta al mandarino, non ho avuto molta scelta. Ma ho pensato che il bianco della panna ed il blu dei petali potessero ravvivarne un po’ l’aspetto, anche se non posso ancora assicurare che sia di tuo gradiment-». Fu la mano di Nami premuta bruscamente sulle sue labbra ad interrompere quel fluire di pensieri sconnessi.

«Va benissimo cosi», borbottò, leggermente rossa in viso, e raccolto il coraggio di sollevare gli occhi fu sorpresa nello scoprire lo stesso lieve rossore sulle gote dell’amico.

«N-Nami-saaan….» piagnucolò poi Sanji senza preavviso, la voce alterata a causa della mano di lei ancora premuta sulle labbra, «sei cosi bella vista da vicino… cosi tanto che mi fai piangere..!»

Nami non seppe come descriverlo, ma fu buffo. Fu buffo ed insieme talmente tenero che per un attimo non seppe cosa provare –né l’irritazione né la lusinga che quelle scenate le provocavano di solito parvero appropriate, per cui si limitò a lasciar scivolare le dita dalla bocca dell’amico, che istintivamente si prese la testa tra le mani e la premette contro il tavolo-. Apparentemente non intenzionato a tirarsi su, il biondo continuò a biasciare strani versi intervallati da qualcosa che assomigliava pericolosamente a dannazione, non posso resisterle mentre si torceva le mani ed arruffava i capelli, un rivolo di sangue che faceva capolino dalle narici.

«Sei il solito idiota», sbottò Nami seccata. Ma qualcosa, dentro di lei, fu incapace d’ignorare il balugino che, di nuovo, si accese in fondo agli occhi dell’amico. Anche stavolta durò poco più di un battito di ciglia, ma la navigatrice riuscì a cogliervi qualcosa, una percezione sfocata e fuggevole che la raggelò: possibile che quello fosse… dolore?

Appena un istante dopo, tuttavia, gli occhi di Sanji –avrebbe dovuto dire l’occhio, a dire il vero- le parvero di nuovo soltanto due pozze di cielo, e lui nient’altro che un idiota che si asciugava alla bell’e meglio le tracce di un’evidente epistassi, la mano ad accarezzarsi la nuca in modo distratto.

D’altra parte, -e questo la ragazza non poteva intuirlo neppur lontanamente-, fu lo stesso Sanji a sforzarsi di trasmetterle quell’immagine di se stesso.

«Chiedo scusa, Nami-san… ero di nuovo  stato rapito dalla tua bellezza», fu ciò che disse.

Santi numi, perché devi essere cosi incredibilmente bella? Mi farai scoppiare il cuore un giorno o l’altro, furono invece i suoi pensieri.

La navigatrice non parve accorgersi della lotta interiore che si stava consumando nella testa del compagno, né dell’evidente stato confusionale in cui il suo semplice gesto l’aveva catapultato. Per cui, si limitò ad una scrollata di spalle e riprese lì dov’era stata interrotta, ovvero apprestarsi ad assaggiare la torta.

Con lentezza avvicinò la forchetta e ne staccò un boccone, quasi dispiaciuta di dover rovinare una pietanza dall’aspetto tanto gradevole –lanciò un’occhiata dubbiosa al cuoco, che le rispose con un sorriso rassicurante-, dopodiché lo ingerì tutto d’un fiato.

Inizialmente rimase sorpresa. Si era aspettata un sapore che fosse in qualche modo acre, dati i frutti non ancora maturi, eppure ciò che le riempì la bocca fu di una dolcezza sorprendente. V’era anche qualcosa di aspro, si, ma che in qualche modo si sposava perfettamente col gusto dolciastro predominante.

Sanji la spiava con un misto di ilarità ed aspettativa, un mezzo sorrisetto a piegargli le labbra contornate da baffetti sottili.

«Allora, principessa? Com’è?».

Nami tentennò, sforzandosi di trovare una risposta che potesse definire quel sapore tanto atipico e particolare, ma nessuna parola le parve appropriata.

«E’… agrodolce», dichiarò infine.

Vide il sorriso di Sanji allargarsi a dismisura. «Ah, e cosi te ne sei accorta! Non mi aspettavo di meno da te, mia amata Nami-swan ~ Ne deduco che sia di tuo gradimento?».

La ragazza annuì energicamente e ne prese un altro boccone, ingoiandolo con gusto; percepì distintamente il sapore dolce e quello asprigno che si rincorrevano e, incredibilmente, si combinavano tra loro alla perfezione, come fossero nati per unirsi a quel modo e dar vita ad un gusto tanto incredibile.

«Come hai fatto?». La domanda le era sorta spontanea: ricordava di aver assaggiato uno dei suoi mandarini appena quella mattina, e poteva giurare che fossero ancora piuttosto aspri. Nulla a che vedere, senza dubbio, con la dolcezza che aveva appena assaporato.

Sanji esibì un mezzo ghigno soddisfatto e col pollice s’indicò la tempia, ricoperta da una cascata di capelli biondi. 

«Miele», disse semplicemente.

Oh… Ma certo. Adesso Nami riusciva a ricollegare perfettamente il sapore dolciastro provato poco prima a quello del miele, e si chiese come avesse fatto a non arrivarci prima. Più di tutto, però, fu il gesto compiuto da Sanji a lasciarla senza parole: sapeva che indicandosi il capo aveva semplicemente voluto alludere alla propria ingegnosa intuizione nell’aggiungere quell’ingrediente inaspettato, ma ciò che lei realizzò fu invece il colore dei capelli dell’amico, che le s’impresse davanti agli occhi come se lo vedesse per la prima volta.

Capelli color del miele.

Col cuore che per qualche motivo aveva deciso di lanciarsi in una danza frenetica, Nami rivolse alla torta un’occhiata sbalordita, e ciò che vide la lasciò senza parole.

Mandarino e miele, insieme. Paurosamente perfetti.

Come una danza, il sapore aspro e penetrante dei mandarini ancora immaturi e quello dolce e zuccherato del miele -mescolati insieme in modo tanto armonico ed assoluto da risultare quasi necessari l’uno all’altro-, si mitigavano ed accarezzavano a vicenda, come due amanti premurosi.

Nami strinse gli occhi e ricacciò quel pensiero irragionevole in fondo alla mente, sforzandosi d’ignorare la vampata di calore e turbamento che le attorcigliava il cervello.

Quel sapore tanto particolare, tuttavia, non voleva abbandonare le sue labbra.

«Miele e mandarino…eh?».

Sanji la fissò, con occhi gravi ed accesi di devozione.

«Già… agrodolce. E’ il sapore dell’amore». La sua voce era bassa e melodiosa, e Nami ne fu incantata. «L’amore, mia adorata, lacera e ferisce in continuazione. Puoi addirittura morirne, di troppo amore. Ma», e qui lo sguardo si fece colmo di dedizione e passione soffocata, la voce sempre più carezzevole,  «può regalarti sensazioni d’impareggiabile bellezza».

C’era qualcosa, forse nel barlume di tormento che Nami gli lesse negli occhi, o nella dolcezza della linea delle labbra che s’incurvava sotto il peso di quel sorriso, che le fece nascere il desiderio bruciante di osservarlo più da vicino. Non se lo fece ripetere un’altra volta.

Le palpebre socchiuse, i sensi annebbiati dall’incantevole aroma di dolci appena sfornati, si sporse in avanti quel poco che bastava per trovarsi a poco più d’un soffio dall’amico. Ebbe appena il tempo di scorgerne le iridi color oceano dilatarsi a causa del gesto inaspettato, -i suoi occhi erano bellissimi visti cosi da vicino-, poi la percezione del respiro di Sanji sulla propria pelle la fece cedere definitivamente.

Fu solo un attimo, a dire il vero.

Furono le sue labbra premute contro quelle ruvide e secche di Sanji, che sapevano di spezie e di qualcos’altro che Nami, nella dolce frenesia di quegli attimi, non si dette la pena d’identificare.

Fu la bellezza di un meraviglioso istante, e finì troppo in fretta. Prim’ancora che avessero il tempo di chiudere gli occhi o sbattere le ciglia, prim’ancora di abbandonarsi a quel contatto tanto piacevole quanto tormentato- prim’ancora di assuefarsene, al punto da desiderarne ancora, ancora e ancora.

Cosi com’era stata lei a dare inizio a quegli attimi di follia, fu la navigatrice a staccarsene. La ragione tornò a poco a poco, e la ragazza l’assaporò come l’aria che fa ritorno nei polmoni dopo una lunga apnea; la percezione di ciò che aveva appena fatto era ancora vivida nella sua mente, tanto folle quanto piacevole, e mille domande le si affacciarono agli angoli del cervello. Perché? Perché?

Non si diede la pena di rispondervi. L’aroma di miele ed agrumi le impregnava ancora i vestiti e seppe chiaramente che, finché ci fosse stato, la ragione non l’avrebbe mai ripresa a sé completamente. E c’era sempre quell’altro odore , poi –quello tanto familiare da dar la sua presenza per scontata, e che tuttavia non era mai stato tanto vicino- che le bruciava sulle labbra appena sfiorate e che tuttavia non ne voleva sapere di abbandonarla.

L’aroma delle King Ground, le sigarette fumate da Sanji.

Lui le stava dinanzi, i lineamenti sconvolti da sentimenti confusi che Nami rivide, almeno in parte, riflessi nei propri. Ma c’era dell’altro, impresso nel suo sguardo –vi erano insieme un tormento ed una gioia che avevano dell’irragionevole, desiderio e smania tenuti a bada con sforzo dalle funi della ragione- insieme ad una manciata di altre emozioni indecifrabili che gli attraversarono gli occhi ad una ad una, rincorrendosi ed accavallandosi come forsennate.

«A quanto pare mi sbagliavo». La voce, stranamente roca, fuoriuscì come un rantolo. Le lunghe dita del biondo andarono ad accarezzarsi le labbra ruvide, stirate in un mezzo sorriso.  «Questo dev’essere il sapore dell’amore».

Poi si girò a fronteggiare Nami, ed aveva di nuovo le onde impresse negli occhi –le stesse onde dalle quali prendeva il nome, le onde che ogni istante lo travolgevano trascinandolo nel mare di quell’amore tanto incredibile-. Per un attimo si sentì come schiacciato dal peso di quello sguardo.

«Nami-san». Più che un sussurro, fu una disperata supplica. «Ti prego, t’imploro, Nami-san… anche se è meraviglioso –non sai quanto, non immagini neppure quanto per me sia meraviglioso-, te ne prego… davvero». Gli occhi si puntarono nei suoi, e vi era una silenziosa richiesta celata al loro interno.  «… Non farlo più, Nami-san. Altrimenti, rischi… di farm’innamorare di te cento volte di più…».

Lo sputò fuori quasi piangendo, e le dita della ragazza non poterono trattenere un fremito.

Sanji, una mano premuta sul viso, si lasciò cadere sulla sedia più vicina.

«… Se dovesse accadere, non saprei proprio come fare. Fa già troppo male cosi… e temo che la prossima volta non avrei la forza per ordinare a me stesso di fermarmi». La sua voce era amara, ma qualcosa pareva cambiato. Forse non credeva neppure lui alle proprie parole –privarsi volontariamente di qualcosa di tanto piacevole pareva quasi un oltraggio a se stesso-, o forse pronunciare quelle parole ad alta voce l’aveva liberato del grumo di pianto che si sentiva premere in gola.

«Oh, beh…». Nami si rigirò tra le dita una ciocca di capelli, in un patetico tentativo di fingere indifferenza. «In quel caso sarebbe un problema»

«Un bel problema» convenne gambanera, e con immenso sollievo della navigatrice le sue labbra si stirarono di nuovo in una smorfia che assomigliava ad un sorriso. Gli sorrise di rimando; forse, dopotutto, c’era ancora modo di aggiustare le cose.

Fu un intenso vociare proveniente da qualche parte a bordo della nave a distrarli, seguito dal suono di passi affrettati e rumorosi sul legno.

«Stanno arrivando, a quanto pare». La voce del cuoco era insieme divertita ed esasperata, l’amarezza quasi totalmente svanita.

«Una banda di scimmie affamate, come al solito». Ridendo, Nami rivolse un’occhiata al piano d’appoggio della cucina, dove quattro meravigliose torte aspettavano di essere divorate. «Gradiranno molto, ne sono sicura. O almeno, io ho gradito».

Una vocina nella sua testa, impertinente, concluse la frase per lei.

Ho gradito tutto.

Bastò quello a farle realizzare che il minuscolo gesto compiuto quel pomeriggio, all’apparenza insensato, aveva dato inizio ad un qualcosa che nessuno dei due –né lei né Sanji-kun – sarebbero stati in grado di fermare.

Se solo avessero desiderato farlo.

 

                                 

 

 

 

 

Angolo dell’autrice:

Non ci credo, finalmente l’ho finita T^T La mia prima fanfic nel fandom di One Piece >w<). Di idee su questo manga stupendoso ne ho tante (fin troppe, a dir la verità, e spero che tutte possano trovare la luce ù_ù), specialmente a causa del mio amore smisurato per il Sanami, lo Zorobin e per quella cosa fantastica chiamata nakama <3 Saranno proprio questi tre i “temi” sui quali scriverò, sperando di riuscire finalmente a lasciarmi alle spalle il blocco che mi ha presa da ben due anni ;_;. Scrivere di nuovo è stupendo T^T)/ Grazie Oda per avermi fatta innamorare di questo manga <3.

Parlando della fanfic, stranamente non ho molto da dire *V*. Il titolo è francese perché boh, credo che sia adatto Sanji XD Odacchi ha dichiarato che se fosse nato nel “nostro mondo” il nostro bel cuoco sarebbe francese, inoltre quasi tutti i nomi delle sue tecniche sono in questa lingua, per cui l’associazione è sorta spontanea. Spero di non aver concluso la storia in modo troppo affrettato çAç Ho immaginato un sacco di scene con questi due come protagonisti, e mi danno un sacco di problemi. Da una parte vorrei rendere l’idea di un Sanji che “fa il figo” tentando di farsi notare da Nami, dall’altra ce lo vedo a crollare ogni due secondi a causa della sua bellezza XD Queste mie due visioni opposte di Sanji mi hanno costretta a cancellare e riscrivere alcune scene più e più volte, ma alla fine spero di aver bilanciato bene. Non so, ditemelo voi (QwQ).

Accetto consigli e critiche >w<

P.s. Il testo della canzone che ho inserito nel mezzo è Flavor of life di Utada Hikaru, che adoro <3

 

 

 

 

Mata ne~

 

 

 

 

   
 
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