STORIA TERZA CLASSIFICATA AL CONTEST ‘LA POESIA DELLE
STORIE ’ DI NonnaPapera! E Gabby 8827
Autore: _Nalushka_
Titolo:
Can’t help falling in love with you
Frase scelta: n° 17 (Sei la mia schiavitù, sei la mia nostalgia di saperti inaccessibile nel momento stesso in cui ti afferro)
Genere: Romantico, generale.
Rating: Verde
Can’t
help falling in Love with You
PROLOGO
Mi tremavano le
gambe. C’era qualcosa di diverso nell’assetto del mondo in questa tiepida
mattina di metà marzo, qualcosa che minava il mio senso dell’equilibrio
bombardando di scosse dolorose le mie terminazioni nervose. Cercai di
appoggiarmi a Fede, nel tentativo di rimanere in piedi, almeno questa volta, e
mi sentii rincuorata della sua solida presenza accanto.
Mi
posò con delicatezza la mano sulla spalla.
-
Mi dispiace, Nina-
La
sua voce era più instabile delle mie gambe e mi commosse il suo timido
tentativo di sostenermi.
Provai
a ringraziarlo, davvero, ma le parole fuggirono via dalla punta della lingua
prima di riuscire a formularle. Se lei fosse stata qui, avrebbe
apprezzato la nota ironica della situazione, aprendosi nel bizzarro sorriso
sbilenco che aveva accompagnato la maggior parte delle ore della mia vita.
Poi
pensai che se lei fosse stata qui, viva, la situazione non si sarebbe
nemmeno presentata.
Solo
te potevi andartene così, Nina.
Se avessi mai
potuto odiarla avrei scelto questo momento, proprio l’istante in cui la bara
veniva lentamente calata nella fossa, allontanandola per sempre da tutti.
Allontanandola
da me.
Le
lacrime si addensarono ai bordi già provati dei miei occhi, scendendo con
esitazione verso il mento, il collo, arrestandosi soltanto sul tessuto nero del
vestito che indossavo per l’occasione.
-
Amore, vieni. Dobbiamo andare adesso-
La
mamma mi passò una mano sul viso, asciugandomi col suo conforto le scie salate.
Federico le lanciò uno sguardo preoccupato e si allontanò piano, come a
saggiare la mia resistenza. Stranamente non mi sentivo ancora pronta a crollare
e la presa sulle gambe si fece un po’ più forte.
-
Arrivo subito. Ho bisogno di un.. minuto-
La
mia voce era un sussurro, non speravo nemmeno che mi sentisse ma così fu. Annuì
lasciandomi sola prima ancora che me ne rendessi conto.
Mossi
il primo passo, esitante, poi un secondo. Le ginocchia ressero quel tanto che
bastò a portarmi di fronte alla lapide nuova, di brillante marmo bianco.
Lessi
l’epigrafe come se quelle parole non portassero a lei, come se con lei
non c’entrassero niente.
Come potevano due
date e un nome disegnare il perfetto arco di vita vissuto dalla mia splendida e
coraggiosa Nina, come potevano ricordare le sue poesie preferite, la marca
delle sigarette che tanto amava, il suono del piano che puntualmente ci
accompagnava nelle ore di ‘lettura’, uscendo a volte con qualche esitazione dal
suo vecchio lettore cd mentre bevevamo tè alla menta e ridavamo delle sue perle
di saggezza infinita?
Se
non fosse stato come pugnalare me stessa, mi sarebbe piaciuto odiarla per
quello che aveva fatto.
Mi
aveva lasciata sola, mi aveva costretto a subire tutto ciò che aveva comportato
la sua scomparsa, stupidamente dimentica della mia completa avversione per
funerali. La sua immagine nella mia testa era limpida e chiara come se l’avessi
avuta di fronte.
- ‘Le lacrime sono lo sciogliersi del ghiaccio
dell’anima. E a chi piange, tutti gli angeli sono vicini.’ Ricordi di chi è, eh Nina?-
Odiandola sarebbe
stato tutto più semplice.
- Hesse, Nina. Hesse-
Passai le mani
sulle incisioni fresche, precise:
Nina
Debrev,
nata a Roma il 22/05/1946,
morta a
Roma il 10/03/2011
Odiandoti, Nina,
non avrei sentito il vuoto in fondo al petto, non la confusione totale in cui
ero caduta trovandoti seduta sull’orribile poltrona verde di casa tua con la
sigaretta consumata in mano e il sorriso spento sulle labbra prive di vita.
- Nina?-, mi
chiamarono da lontano.
Buttai giù il
groppo amaro che mi si era incastrato in gola, cercando di sorridere tra le
lacrime.
Nina Debrev non
avrebbe mai potuto odiare Nina Debrev.
-Arrivo-, gridai in
risposta.
- Non distruggere
il paradiso, Nina, almeno quello evitatelo- sussurrai, prima di ritornare su i
miei passi.
Conoscendola come
la conoscevo, ne sarebbe stata capace.
PARTE PRIMA
“Sei la mia libertà
sei la mia carne che brucia
come la nuda carne delle notti d’estate”
La
mattina arrivò che non avevo chiuso occhio. Mi guardai allo specchio del bagno
e riconobbi la verità di ciò che pensavo costantemente, riflessa sul viso
stravolto. Senza Nina, niente sarebbe stato più lo stesso.
Scesi
le scale con lentezza, incurante del fatto che fossero già le nove e mezza
passate.
Niente
scuola, aveva decretato la
mamma con decisione. Federico, sorprendendomi, non aveva fatto una piega.
Generalmente manifestava la sua contentezza nel perdere un giorno di scuola in
maniera plateale, con esclamazioni fischiettanti e sorrisi radiosi.
Evidentemente il lutto aveva toccato anche lui, nonostante il suo rapporto con
Nina fosse stato uno dei più lievi legami che lui avesse avuto con i membri
della nostra famiglia.
Arrivai
in cucina salutando mestamente mio fratello e la mamma, che mi sorrise
dolcemente.
-
Hai dormito stanotte?- chiese, anche se sapevo che non aveva bisogno di una
risposta. La leggeva benissimo nelle brutte occhiaie che mi appesantivano lo
sguardo e nel velo di tristezza che velava i miei occhi.
-
Più o meno – risposi, sedendomi accanto a Fede.
La
mamma sistemò sul tavolo due ciotole di latte caldo e miele, le fette di pane
tostato e la marmellata di more che adoravo.
-
Devi mangiare tesoro, sono giorni che non metti niente nello stomaco- mi disse,
guardandomi preoccupata.
-
Non ho molta fame- scrollai le spalle, appoggiandomi allo schienale della sedia
come ad allontanarmi dal cibo. Il solo odore mi dava la nausea.
-
Bene. Vuol dire che non ti alzerai di qui finché non prenderai almeno una
fettina di pane e marmellata. Non abbiamo bisogno che ti ammali anche te-
replicò lei con aria soave.
Scrollai
di nuovo le spalle, e presi di malavoglia la fetta che mi porgeva.
Tranquillizzata,
la mamma tornò a sedere senza però lasciarmi con lo sguardo.
-
Nina cara, lo so che la morte della zia ti ha scioccata, ma non devi
tormentarti così. Lei non avrebbe voluto- sussurrò comprensiva.
Posai
la fetta di pane sul tavolo in un moto di repulsione.
-
Tu non hai idea di cosa avrebbe voluto. Nessuno di voi potrebbe saperlo perché
l’unica che parlava veramente con lei ero io. Io posso dirlo, posso dire di
sapere cosa avrebbe voluto. Non te. E ti assicuro che l’unica cosa che non
avrebbe voluto era morire- sbottai, piena di rabbia.
Mamma
incassò il colpo, ma lessi quanto fosse ferita dalle mie parole nel modo in cui
strinse le mani sul tavolo. Federico aveva posato la tazza di latte e il
silenzio calò in una cappa pesante che non avevo la minima intenzione di
dissipare. Ciò che avevo detto era la verità: nessuno si era mai preso la briga
di conoscere veramente Nina.
La
nonna aveva sempre considerato sua sorella minore una scapestrata, violenta
nelle emozioni e sbrigativa nelle decisioni. Lei, che era stata tutta casa e
chiesa, rigidamente intrappolata nelle vesti della donna di famiglia, aveva
sempre trovato del tutto inappropriato il senso d’avventura di Nina, la sua
passione per la poesia, per l’arte e le sigarette, la sua irrefrenabile voglia
di scoprire e girare il mondo vivendolo in tutte le sue sfumature.
Aveva
disapprovato la sua gioventù, disprezzato la partecipazione alle battaglie
giovanili del ’67 e la sua successiva permanenza negli Usa per circa tre anni.
La sua massima soddisfazione era stata quella di ritrovarsela a casa una
mattina, con la disperazione negli occhi e la supplica di trovarle una stanza
in cui dimorare, dopo aver vagato a ruota libera in India, Russia e Giappone
con solo una sacca di tela e una macchina fotografica come zavorra.
Per
quanto io credessi che la mamma fosse migliore della nonna, anche lei aveva
ceduto al pregiudizio su Nina.
- Hai ragione-
ammise lei, schiarendosi la voce.
-
Ieri sera ho parlato con l’avvocato e mi ha riferito le ultime volontà di Nina:
la zia ti ha lasciato tutto. L’appartamento, le sue cose, tutto-
Faticai
a deglutire, mentre l’ombra di una lacrima già pungeva all’angolo degli occhi.
-
Credi davvero che m’importi, in questo momento? Io non la voglio la sua roba.
Puoi tenerti tutto, a me non interessa-
Mi
alzai senza badare alle loro esclamazioni e mi chiusi in camera prima che i
singhiozzi mi riempissero lo stomaco.
Stupida
Nina.
‘ Nina Debrev, figlia di Tiziana
Debrev e sorella di Federico Debrev. Età: sette anni ’
Sfogliai la prima
pagina del mio diario, un pesante quaderno di velluto blu a stampa floreale che
Nina mi aveva regalato tanti anni prima, per Natale. Ricordo ancora come le
brillassero gli occhi quando me lo aveva porto, incartato dalle sue stesse
mani.
Nina aveva già 46
anni quando nacqui io. Mamma mi ripete spesso che non appena mi vide, Nina, che
aveva preso il posto della nonna ormai scomparsa già qualche tempo per una
malattia incurabile, sembrò illuminarsi. Mia madre mi diede il suo nome perché
dentro di se sapeva che io e lei eravamo fatte della stessa sostanza.
All’inizio non capivo a cosa si riferisse, fu col tempo che presi piena
coscienza di quelle parole.
La nonna, la
mamma e anche Federico sembravano così diversi da noi due che quasi stentavo a
credere di appartenere alla stessa famiglia. Rigidi, inflessibili, spesso distaccati:
l’unica nota di colore nella loro vita sembravano i capelli rosso fuoco e gli
occhi di un verde trasparente che né io e né Nina avevamo ereditato. Dalla
parte opposta c’eravamo noi, coi nostri capelli neri e gli occhi verdi
scurissimi, piene di vita, orgogliose e volubili come notti d’estate,
insaziabili divoratrici di poesie e sogni. Irrefrenabili, immerse fin sopra
alla testa nel misterioso vortice dei nostri sentimenti, lontane da tutto e
tutti; bastavano le melodie di Einaudi e i favolosi tè alla menta di Nina per
renderci invincibili.
Non la chiamavo
zia, non penso di averlo mai fatto neanche da piccola. In effetti, lei era la
zia di mia madre, ma nemmeno la grandissima differenza d’età ci aveva mai
allontanate. Eravamo sorelle di ventura, confidenti fidate delle nostre
reciproche vite. Io e lei, fatte della stessa sostanza.
Vista
dall’esterno poteva sembrare assurdo, ridicolo, che una ragazza di quasi
diciannove anni quale sono io, vicina alla maturità, potesse considerare la zia
di sua madre la sua unica e inestimabile migliore amica, ma così era, e non me
ne sarei mai vergognata.
Niente nella mia
vita ha mai seguito regole canoniche, la mia stessa famiglia è…beh,
particolare.
La mamma ha messo
al mondo me e mio fratello con lo stesso uomo, in momenti diversi della sua
vita. Mr. X scomparì misteriosamente quando seppe che lei era incinta di
me, lasciandola sola alle prese con la prima gravidanza, senza un centesimo o
una dimora fissa. Quando nacqui mi mise il suo cognome, conscia del fatto che lui
non sarebbe tornato. Tornò invece, dopo qualche mese, turbando l’equilibrio che
mia madre aveva trovato dopo tanto patire. Voleva essere un buon padre, aveva
confessato alla mamma, che ci ricascò. Non ho ricordi di lui, non saprei dire
se effettivamente fu un buon padre. So che la rimise incinta e scappò di nuovo,
senza però far più ritorno. Non so niente di lui e nemmeno m’interessa e per
Fede presumo sia la stessa cosa. Siamo sempre stati soli, nessun altro parente
oltre a Nina, appunto, che era un po’ il mio universo. Finita la scuola andavo dritta a casa sua,
una splendida casetta un po’ fuori città, con un giardino stupendo. Passavamo i
pomeriggi sulle poltrone verdi che detestavo e che facevano a cazzotti con le
stampe orientali, le librerie immense stracariche di libri e cd, e il vecchio
divano rosso e viola che dominava nella piccola sala. Ho sempre amato quel suo
strano modo di mettere insieme le cose, la facilità con cui accostava colori e
mode completamente diverse, la sua mania di spruzzare l’essenza di limone in
soggiorno per rendere l’aria più frizzante.
Adoravo lei, la
sua giovinezza provata dalle rughe del volto ma che resisteva all’avanzare del
tempo mantenendo il suo corpo minuto come quello di una ragazzina. Adoravo
l’inclinazione che dava alla sigaretta quando la teneva tra le labbra e il modo
schietto e provocante con cui rideva della gente, chiunque essa fosse.
Prepotente,
sfacciata, un uragano in perpetuo movimento che pronunciava il suo cognome con
studiato accento straniero, nonostante la bis nonna ungherese non le avesse
insegnato una sola parola della sua lingua d’origine.
Chiusi con rabbia
il quaderno, lanciandolo sulla scrivania.
Guardai la
splendida giornata che si affacciava dalla finestra, sentendomi una reclusa
nella mia stessa stanza, nel mio stesso corpo. Il calore del sole primaverile
aveva in sé la lusinga della consolazione, la speranza di carezze dolci e
impersonali che la natura ti offre nei momenti disperati. Mi vestii e uscii di
casa senza avvertire nessuno, afferrando le chiavi della macchina con un gesto
deciso. Fatti nemmeno due passi nel vialetto sentii la porta di casa aprirsi e
chiudersi e mi vidi affianco mio fratello che cercava di stare al passo.
- Che stai
facendo?- chiesi, irritata di fronte al suo sorriso di sfida.
- Vengo con te-
rispose, abbottonandosi la giacca e guardandomi come se fosse ovvio.
- Scordatelo-
ribattei, scontrosa. Volevo stare da sola, possibile che nessuno l’avesse
capito?
- Nina, non fare
l’idiota. So dove vuoi andare e non ti lascio da sola- disse, guardandomi
seriamente come non aveva mai fatto.
Lui, l’infantile
ragazzetto di sedici anni sapeva già cosa avrei fatto prima che l’avessi chiaro
in testa io stessa? Assurdo.
- Non sai
mentire, non ci provare. Se vai a casa di Nina io ti seguo- aggiunse di fronte
alla mia faccia seccata.
Io non volevo
andare a casa di Nina.
Repressi un
sospiro rassegnato che illuminò il sorriso di Federico.
- Monta in
macchina, voglio fare in fretta- sbottai, sconfitta.
- Mamma mia, che
casino. Quando sarà stata l’ultima volta che avrà fatto pulizie? È pieno di
roba vecchia qui- esclamò Fede, mettendo piede nel minuscolo soggiorno della
casa di Nina. Avevo aperto la porta con la chiave che aveva l’abitudine di
lasciare sotto lo zerbino, usanza americana che faticava a lasciarsi alle
spalle.
Mi riempii gli
occhi del disordine ordinato che riempiva la vita di Nina, una confusione che
parlava di lei come nient’altro.
- Ti rendi conto
che questa casa è tua adesso? Hai una casa!- esclamò di nuovo, guardandomi come
se il fatto che avessi ereditato una casetta in campagna mi avesse elevato al
ruolo di donna-vissuta-e-indipendente.
Lo fulminai con
lo sguardo e questo bastò a placare la sua inadeguata eccitazione.
Camminai fino al
bagno, percorrendo il corridoio stretto e stracolmo di quadri. Erano per lo più
foto che la ritraevano nei suoi viaggi intorno al mondo, una ragazza alta e
magra con svolazzanti e lunghissimi capelli neri, la sigaretta in mano e il
sorriso di chi ha vinto, bianco e luminoso sullo sfondo ingiallito
dell’immagine in bianco e nero.
Aprii le finestre
lasciando che la primavera entrasse nella casa vuota, invitando i raggi del
sole a portare un po’ di vita tra le pareti bianche che trasudavano già
solitudine.
Spalancai anche
la porta della sua camera, alzai le imposte e scostai le tende, con mio
fratello che mi seguiva come un cagnolino.
Mi sedetti sul
letto cigolante con un sospiro.
- Questa coperta
la usavamo per coprirci in inverno, quando faceva freddo e il termosifone non
funzionava. La prendeva e ci coprivamo sul divano, coi nostri tè e i libri in
mano- sussurrai, carezzando la lana pesante intrecciata a mano da esperti
tappezzieri russi.
- È così dura?-
chiese Fede, sedendosi al mio fianco.
- Più di quanto
pensi- ammisi sconsolata.
Il mio sguardo vagò sui comò spaiati, sui souvenir posati sul cassettone, sull’armadio con le ante mezze aperte. Mi soffermai su un foglietto bianco che spuntava da sotto una di esse e mi alzai per prenderlo. Sul foglio ingiallito dagli anni c’era scritto nella sua inconfondibile calligrafia minuta:
Mare, 1970. Santa Barbara.
‘ E so che oggi non posso,
come non potei ieri
e non potrò domani,
fare nient’altro
che pensare a te
e amarti ’
Riconobbi subito
i versi di Hikmet, uno dei poeti più adorati di Nina, una passione che aveva
passato con gioia anche a me.
Incuriosita girai
il foglietto e rimasi in silenzio ad osservare la foto che ritraeva.
In bianco e nero
Nina risultava bellissima, con la pelle chiara e i capelli di carbone legati in
una crocchia sbilenca. L’istante che era stato immortalato la vedeva
abbracciata ad un ragazzo alto e affascinante che ricambiava la sua stretta
quasi possessiva col sorriso negli occhi e l’amore a disegnargli la bocca
seducente.
- Nina?- chiamò
Fede, incuriosito dalla mia strana immobilità.
Mi venne accanto
e fischiò piano alla vista della foto.
- Ne sapevi
nulla?-chiese, sorpreso.
- No- risposi,
piatta.
Aprii
completamente l’anta dell’armadio e notai subito che sotto la pila disordinata
di vestiti buttati alla rinfusa c’era una scatola giallo limone, il suo colore
preferito, una scatola a me del tutto estranea.
Nina aveva dei
segreti, per me?
Io le avevo
raccontato sempre tutto, tutto, della mia misera vita, sapendo che lei
faceva lo stesso ogni giorno, confidando che tra le mura di casa sua le nostre
parole sarebbero state libere da qualsiasi censura, libere da qualsiasi
reticenza.
E lei, per tutto
quel tempo, aveva avuto dei segreti?
Afferrai
bruscamente la scatola, facendo cascare una fila di magliette invernali a
terra. Era pesante, sicuramente vecchia e consumata. La posai sul letto e la
guardai con un groppo in gola.
- Tutto bene?-
Federico guardava
perplesso la mia espressione atterrita, inconsapevole di ciò che significava
per me quell’inutile scatola mal ridotta.
Annuii e mi decisi
a scoperchiare la seconda faccia di Nina, una faccia che rendeva estranea e
lontana la persona che più avevo amato.
C’erano fogli,
tantissimi fogli e foglietti spiegazzati e accatastati senza alcun ordine
apparente. Per lo più poesie, versi spezzettati di brani più o meno conosciuti.
Vidi una lettera di qualche anno prima, l’indirizzo e il francobollo erano
americani e la busta era stata aperta così tante volte che le pieghe si erano
consumate. La misi da parte e continuai a frugare, fino al momento in cui, con
la punta di un dito, avvertii lo spigolo di un quaderno. Spinsi di lato la
carta inutile e trovai il quaderno, un piccolo quaderno con la copertina di
velluto blu a righe, del tutto simile al mio ma molto più vecchio e consunto.
- È il suo diario
– dissi, vedendo la curiosità di mio fratello. Rimasi a soppesare il piccolo
fardello che tenevo in mano.
- Non mi ha mai
detto di tenere un diario – sussurrai, sconvolta.
- Mica potevi
pretendere che ti dicesse una cosa del genere. Saranno stati anche cavoli suoi-
disse saggiamente Federico, guardandomi come se non ci vedesse niente di male.
- Tu non capisci,
tra me e lei non esistevano segreti. Era una specie di codice, una cosa fra noi
due. Mi ha mentito per tutti questi anni-
- Oh, su, non
fare una tragedia per un diario. Che fai, non lo apri?-
C’era una parte
di me che ci aveva già pensato. Che diritto aveva lei di nascondermi le cose,
anche da morta, mentre io le avevo confessato ogni mio intimo pensiero?
Esisteva però
anche l’altra parte, quella che mi parlava di privacy e che mi ricordava che
c’erano delle cose che la gente avrebbe fatto meglio a non scoprire. Se Nina
aveva deciso di nascondermi qualcosa lo aveva fatto per un motivo, sicuramente.
Rimaneva però il dilemma.
L’ignoranza beata
o la consapevolezza dolorosa?
Deglutii e aprii
la prima pagina. La scrittura era chiara, minuta e precisa, facilmente
leggibile.
- Dai, leggi
anche a me- disse sorridendo mio fratello, mentre si rimetteva sul letto.
Mi accomodai
meglio anche io e iniziai, immergendomi nelle memorie di Nina.
1 settembre 1969
Cara Bets,
nel mio lungo viaggio solo te mi sarai di
conforto, solo di te potrò fidarmi. Non avrei mai pensato che l’America fosse
così immensa! Mi sento così piccola qui, così minuscola di fronte alla grande
civiltà moderna che tanti ancora non hanno mai vissuto e sono veramente
eccitata per la piega che sta prendendo la mia vita. Sognavo questo giorno, ma
non credevo che sarebbe mai giunto.
Nonostante io conosca l’inglese in modo
mirabile, qui la gente sembra parlare una lingua tutta particolare, piena di
inclinazioni e suoni che adoro e spero di imparare ad usare in fretta.
Amo l’America. È piena di vita,
irrefrenabile, vivace…come me. Domani inizio il primo giorno al college e la
mia coinquilina, Georgiana, mi ha già preso gli orari. È stata molto gentile,
mi ha fatto fare un giro del campus stamani, prima ancora che glielo potessi
chiedere, mostrandomi le meraviglie di questo posto che sarà la mia casa per il
prossimo anno e mezzo.
Sono orgogliosa di ciò che sono riuscita a
fare con le mie sole forze, non tutti hanno il coraggio di fare ciò che ho
fatto io a soli ventitré anni. Partire per un altro continente, senza un amico
o un parente a tenerti compagnia, lasciandoti alle spalle legami, la sicurezza
di una casa e la tranquillità comoda della routine quotidiana.
Sono contenta. Non mi interessa se Giò non
approva, lei e le sue manie antiquate. Seriamente credeva di potermi dare in
sposa al primo ‘popolano’ che capitava, come se fossimo ancora in pieno
Medioevo? Non conosce abbastanza sua sorella da sapere che, al contrario di
lei, non è affatto ansiosa di rimanere inchiodata con un anello al dito?
Semplicemente assurdo. Voglio vivere la vita
senza rimpianti, girare il mondo meraviglioso, senza dover sentire su di me il
fiato delle convenienze, delle regole sociali, che mi stanno terribilmente
strette.
Io non mi sposerò mai, cara Bets. Questo, tra tante cose ignote, è uno dei pochi punti fissi della mia esistenza.
- Wow, decisa la
ragazza- commentò Federico, sorpreso.
- E io che
pensavo che una tipa come lei non la volesse nessuno-
Lo schiaffeggiai
con forza su un braccio, indignata.
- Tu neanche la
conoscevi, zoticone, non hai idea di che persona magnifica fosse! La prossima
volta che dici una cosa del genere non mi limiterò alla spalla- minacciai,
soddisfatta di come si massaggiasse l’arto colpito.
- Era una
semplice constatazione- borbottò infelice.
- Tienitele per
te, le tue ‘constatazioni’, la prossima volta-
Scrollò le
spalle, incitandomi a continuare. Girai con trepidazione la pagina delicata,
tornando a leggere.
13 novembre 1969
Cara Bets,
i corsi vanno una meraviglia, il professor
Simmons dice che non ha mai trovato tanta attitudine alla materia come nel mio
caso, un complimento insperato, giuro! Georgiana dice spesso che la mia bravura
in letteratura farà di me un’ottima scrittrice, ma non so se quella sarà la mia
strada. Amo la poesia, le parole che si intersecano l’una all’altra formando
frasi di armoniosa bellezza, struggenti gemme d’emozione. Eppure mi riservo
ancora qualche altra opportunità di carriera, non mi dispiacerebbe fare la
reporter, la giornalista, magari girare il mondo con una macchina fotografica e
documentare usi e costumi lontani dal nostro modo di essere. Sarebbe
divertente, dinamico, soddisfacente.
Ho conosciuto così tanta gente, Bets, non
hai idea di quante persone frequentino i miei stessi corsi.
Alcuni sono veramente simpatici, come Jack e
Sarah, una coppia di ragazzi più grandi di me che mi hanno dato ottimi consigli
per quanto riguarda lo studio, i posti in cui divertirsi, libri e musica. In
compenso li ho portati a casa a pranzo, facendo loro assaggiare un bel piatto
di tortellini bolognesi al ragù. Ne sono rimasti estasiati, anche se in cucina
non sono proprio un asso.
Beh, poi che dire, le giornate passano così
in fretta che nemmeno me ne rendo conto. Lo studio è pesante, non è facile
stare al passo col programma ma ce la sto mettendo tutta per iniziare l’anno
accademico in bellezza.
Ieri mi è arrivata una lettera da casa. Giò
mi ha scritto un foglio intero parlando di come sia difficile la sua vita da
sposina, di come suo marito, per quanto splendido, non riesca a comprendere
quali sono le priorità necessarie a mandare avanti una famiglia. Parla
addirittura di figli. Mi
spiace pensarlo, ma credo proprio che la mia simpatia vada tutto al pover’uomo
incastrato da mia sorella. Giovanna non è cattiva, è solo… fredda, arida, ma è
parte della sua natura, non lo fa apposta. Mamma diceva spesso che ha ereditato
l’indole fredda e distaccata da nostro padre e sono d’accordo. Non ha niente
dell’impulsività materna, niente dello spirito intrepido che mi caratterizza.
Non ha sogni, si proibisce qualsiasi nota di colore nella piatta vita che
conduce, come se troppa felicità potesse portare solo grane. Ho provato tante
volte a farla ragionare, a farle capire quanto il mondo sia stupendo e vibrante
di emozioni, profumi, sensazioni, ma per lei è inconcepibile qualsiasi cosa sia
fuori dalle mura di casa.
Ripeto, compatisco l’uomo che l’ha sposata.
25 novembre 1969
Cara Bets,
mi sembrava strano che in tutti questi
giorni non avessi incontrato nessuno che rappresentasse una seppur minima piega
nella solida felicità che mi pervade.
Ieri ero appena uscita dalla classe del
professor Simmons e avevo deciso di fare due passi per i giardini immensi del
campus. Ti ho mai detto quanto sono belli? Naturalmente adorni di alberi
secolari, querce e pini sempreverdi; si respira aria tranquilla, fresca, tra le
panchine disseminate qua e là e le siepi rigogliose. Un posto ideale in cui
lasciarmi trasportare dalla bellezza della giornata, senza dover tornare per
forza tra le mura di casa.
Insomma, camminavo lentamente, godendo del
tiepido calore che i raggi di sole portavano lungo il sentiero quando, per
sbaglio, sono incappata in un gruppetto di ragazzi. In effetti era un gruppetto
di tre ragazze, con un unico ragazzo al centro della loro frivola ed eccitata
attenzione, che sfoggiava con convinzione le sue doti seduttive.
Ad una ragazza rossa decisamente attratta
dal suo modo di fare, aveva iniziato a recitare i versi di una poesia che non
mi era affatto sconosciuta con una voce dolce più del miele.
- ‘Esistono
profumi freschi come gli oboi e verdi come praterie, e degli altri corrotti,
ricchi e trionfanti, che hanno l’espansione propria alle infinite cose come
l’incenso, l’ambra, il muschio, il benzoino, e cantano dei sensi i lunghi
rapimenti ’. Il tuo profumo è delizioso, Amber- ha sorriso, di fronte
al suo palese imbarazzo.
- Oh,
Dio, sei un vero poeta!- ha
esclamato lei, ridacchiando giuliva.
- Beh,
me la cavo-
- Sei
un genio- ha replicato lei, con una strana luce languida negli occhi.
Prima di rendermene conto avevo iniziato a
ridere divertita della scenetta (era tutto così ridicolo!), cosa che aveva
attirato la loro attenzione. Prima che mi prendessero per pazza, ho guardato
negli occhi il giovane che mi fissava con insistenza, rispondendo alla sua aria
perplessa.
- Non
credo che puoi prenderti il merito di altri. Boudelaire potrebbe non
esserne così contento, non sapendo che i suoi versi vengono svenduti per fare
colpo su ragazzine tanto ignoranti da non riconoscere ‘I fiori del male ’.
Ma lungi da me rubarti la scena. Continuate pure-
Stavo per andarmene quando l’ho sentito
chiamarmi. Ho fatto finta di niente fino a che, voltandomi, non me lo sono
trovata accanto.
Aveva l’aria scocciata, eppure c’era
qualcosa nella piega delle labbra che lo rendeva irresistibile. Non è bello
secondo i canoni classici, ma la postura elegante, il viso dai tratti decisi e
gli occhi neri davano un carattere al tutto che non era da poco. Affatto.
Mi ha afferrata per il braccio e mi è
sembrato di sentire una scossa far tremare le sue dita a quel contatto.
- Ehi.
Sai quanto mi ci è voluto per arrivare a quel punto? Due settimane. Chi sei te
per rovinare il lavoro di tanti giorni di duro impegno?-
Irritata dal tono brusco e dall’aria
scontrosa, mi sono rigirata abbastanza male, lo ammetto. Non mi è piaciuto il
modo in cui parlava di quella ragazza, come se fosse la preda inconsapevole dei
suoi trucchetti da macho. Gliel’ho detto e alla fine della mia lunga predica,
costellata di insulti più o meno velati, invece di rispondere alla mia
provocazione, che fa? Si mette a ridere! Giuro, si è completamente abbandonato
alle risate, aveva quasi le lacrime agli occhi. L’ho mandato al diavolo e me ne
sono andata, sentendo però i suoi passi sempre vicino ai miei.
- Lasciami
in pace. Cosa vuoi ancora?- gli ho chiesto, mentre cercava di riprendere un
po’ del suo contegno.
Mi ha guardata dritto negli occhi e quasi,
devo ammetterlo, quasi mi ha lasciata senza fiato per l’intensità dello
sguardo.
- Voglio sapere il nome della donna che ha
rovinato il frutto del mio prezioso impegno- ha detto, sorridendomi in un
modo…seducente. Sì, era davvero sexy
con quel sorriso.
- Nina. Nina Debrev - ho risposto,
vergognandomi di come mi mancasse il respiro.
Si è
avvicinato pericolosamente, sfiorando con le dita una ciocca ribelle che mi era
sfuggita dalla crocchia.
- Mi devi un appuntamento, Nina Debrev.
Ricordatelo la prossima volta che ci vedremo-
- Mph, certo. Va. Al. Diavolo- ho scandito,
irritata a morte dalla sua presenza.
L’ho lasciato
che ancora ridacchiava come un idiota.
Quando sono
tornata a casa, quasi di corsa, avevo i brividi.
Non so
spiegarlo Bets, forse sono impazzita, ma ho visto nei suoi occhi una luce
particolare. Fuoco, puro fuoco nero nelle sue iridi scure che parlano di sogni
proibiti. Se ci penso non posso far a meno di arrossire, come se quel fuoco mi
fosse entrato dentro e avesse iniziato ad ardere senza che me ne potessi
rendere conto prima.
Ho lo stomaco in
subbuglio, mi sento strana ed elettrizzata come non mi è mai successo e ho
terribilmente bisogno di parlarne con qualcuno, ma ora come ora l’unica con cui
posso confidarmi senza sentirmi una sciocca sei te, mia cara.
-
Si capisce benissimo che era già persa di questo tizio- decretò con aria saggia
Federico, allontanandosi impercettibilmente, come se temesse un’altra reazione
violenta da parte mia.
- Ho bisogno di
bere qualcosa- risposi, chiudendo il quaderno di scatto e portandolo con me in
cucina. Attratto dal potenziale che avevo sotto mano, mio fratello mi seguì
come una mosca attirata dal miele.
Presi il bollitore di ghisa, lo riempii d’acqua e lo misi a bollire. Dalla credenza presi le foglie di menta secca e le misi insieme all’acqua. In pochi minuti l’odore fresco e potente della menta aveva riempito la stanza e il tè fu pronto. Ne versai in due tazze con un abbondante cucchiaino di miele e ne porsi una a Federico che assaggiò dubbioso.
-
Cos’è? È buonissimo!- esclamò, sgranando gli occhi.
-
Tè alla menta, ricetta di Nina. Serve a rinfrescarsi un po’ le idee-
-
Non starai esagerando, Nina? È solo uno stupido diario- disse dopo un po’,
osservando con attenzione la mia espressione smarrita.
Scossi
la testa, cercando le parole giuste per spiegarmi.
-
Io e Nina non avevamo segreti. Avevamo trovato il modo di essere semplicemente
noi stesse, senza maschere, e adesso scopro che ciò che reggeva buona parte del
nostro rapporto era una beffa.
Quell’uomo deve
aver significato qualcosa per lei, altrimenti non avrebbe conservato questo
diario, non era una persona che amava portarsi dietro inutile zavorra-
Fede
si avvicinò con un sospiro, cingendomi le spalle col braccio.
Io
e lui non eravamo mai stati vicini, abbiamo sempre condotto vite parallele e
ben distinte, ignorando volutamente ciò che faceva l’altro. Era il nostro
equilibrio, un modo strano ma funzionale per convivere pacificamente. Quel
nuovo contatto che si stava creando tra noi era diverso, ma iniziava a piacermi
il fatto di sentirlo vicino, pronto a sostenermi con la sua presenza. Non avrei
mai creduto che potesse dimostrare tutto questo tatto nei miei confronti.
Guardai
l’orologio al suo polso, incredula. Avevamo passato tutta la mattina lì, senza
che la mamma ne sapesse niente. E per di più non avevo portato dietro il
cellulare.
-
È ora di andare, Fede. Non è che hai detto a mamma dove andavamo, vero?- gli
chiesi, quasi speranzosa.
-
No…pensavo che non ti piaceva fargli sapere dov’eri. Non dopo stamani. Ho
sbagliato?-domandò, corrucciato.
Sospirai.
-
Tranquillo, me la vedo io con mamma. Sarà impazzita non sentendoci a casa -
Feci
per posare il quaderno sul tavolo, ma Federico mi bloccò.
-
Dico, ma sei scema? Voglio vedere come va avanti questa storia, non ti provare
a lasciare quel diario qui! -
-
Fede!- esclamai, rimproverandolo. Che razza di modi erano?
-
Senti- disse avvicinandomi,- io non ho mai conosciuto Nina, hai ragione. Ma
queste pagine, questo diario, mi stanno facendo capire ciò che ho perso. Io..la
capisco. Quando dice che vuole vedere il mondo, di come sia splendido e di come
sarebbe bello viverlo nelle sue sfumature, io la capisco. Mamma non mi ha mai
permesso di visitare niente, non mi ha mai mandato neanche ad una gita
scolastica che fosse fuori della città! Pensavo di essere io, solo io, a
sentire questo desiderio di libertà e ora so che non è così. Se l’avessi capito
prima magari le cose sarebbero state diverse, non credi?-
Dolcemente
scostai un ricciolo rosso dalla fronte di mio fratello, allungandomi per
poterlo fare. La sua aria da cucciolo era stemperata dal fisico adulto, alto e
smilzo che aveva coltivato in tutti questi anni, facendo palestra e nuoto. Non
lo avevo mai visto tanto convinto di ciò che diceva, tanto preso dalle sue
stesse parole.
-
Non avevo idea di come ti sentissi. Da quanto..?-
La
mia domanda arrivò dove doveva arrivare, facendolo arrossire.
-
Beh, ho sempre desiderato andarmene da qui, un giorno. Il mio sogno è partire
senza troppe cose e girare. Qualsiasi posto ha una sua bellezza, una sua
particolarità, non saprei nemmeno da dove iniziare. So solo che voglio vedere,
Nina, vedere tutto. Qui mi annoio e non c’è niente che desideri di più- ammise,
guardando per terra, imbarazzato.
Annuii,
comprendendo bene il suo desiderio, il mio desiderio e quello di Nina.
-
Vieni, andiamo- dissi, sorridendo. Presi la sua mano nella mia e il quaderno
con l’altra.
Avrei
avuto tutto il tempo del mondo per parlargli di lei, ma forse era meglio
iniziare da lì, da quel semplice quadernino colorato che vedeva entrambi
completamente ignoranti.
-
Dove eravate finiti!- aggredì subito la mamma, una volta rientrati di soppiatto
a casa. Speravamo quasi che non si fosse accorta della nostra assenza, speranza
annullata dalla sua espressione furiosa.
-
Siete andati via senza neanche una parola, avete la minima idea di come mi sia
sentita non trovandovi nelle vostre stanze? Stava per venirmi un infarto! E
Nina non rispondeva nemmeno al cellulare. Cosa vi è saltato in testa?!- urlò,
paonazza in volto.
-
È stata colpa mia mamma, ho lasciato il telefono a casa perché non credevo che
sarei stata fuori per così tanto. Scusami. Lui mi ha fatto solo compagnia, non
te la rifare su Fede- dissi, cercando di stare calma.
La
rabbia di mia madre scatenava in me l’assurdo desiderio di urlarle dietro che
forse doveva smetterla con le sue manie di controllo, che sarebbe stato meglio
per tutti se ci lasciava liberi di respirare una volta tanto, senza la scomoda
sensazione di sentirsi costantemente braccati.
Era
crudele, lo so, per questo cercavo di mantenere la calma, perché era
impossibile per me capire quanto il suo panico salisse veloce con la nostra
assenza. La trovavo esagerata, inopportuna, ma era una madre. Forse sarei stata
anche io come lei, al suo posto.
Mamma
mi guardò, con le lacrime agli occhi. Mi si avvicinò così veloce che temetti di
ricevere un ceffone, invece mi si allacciò al collo straziata dai singhiozzi.
-
Mi dispiace per stamani, tesoro, non volevo farti arrabbiare. Io so quanto ti
manchi la zia, ma ti prego, non lasciarmi da sola! Tu e tuo fratello siete
l’unica cosa che mi siete rimasta, la mia unica ragione di vita. Morirei se vi
dovesse accadere qualcosa! So che magari avresti voluto una madre diversa-
disse, asciugandosi le lacrime che scendevano copiose sul viso arrossato,- non
sono mai stata la persona giusta per te, non ti ho mai capito come faceva Nina,
ma non sopporterei di vederti andare via. Non lasciarmi-
Le
accarezzai con forza la schiena, trattenendo una risatina incredula. La sentii
acquietarsi pian piano sotto le mie carezze, e dopo qualche altro singhiozzo
riuscì a riprendere un minimo di controllo.
-
Mamma, ma cosa ti viene in mente? Certo che non ti lascerò sola, nemmeno Fede
se è per questo. E non è vero che non sei la madre che avrei voluto- le
sorrisi.
-
Io ti adoro così come sei, il mio rapporto con Nina non c’entra niente con te.
A proposito, io e Fede abbiamo scoperto qualcosa d’interessante. Ti va di
sederti, calmarti, così ti raccontiamo tutto?-
Lei
annuì, mettendosi a sedere ma continuando a non lasciarmi un attimo, come
terrorizzata che da un momento all’altro potessi scomparire da sotto i suoi
occhi.
Sei andata via da nemmeno una settimana e già il mondo che conoscevamo sta andando a rotoli. Che cosa hai combinato, Nina?
PARTE SECONDA
“Sei
la mia patria
tu, coi riflessi verdi
dei tuoi occhi
tu, altera e vittoriosa”
16 marzo 1970
Cara Bets,
sono pazza. Mi
bruciano le vene, la testa vaga altrove in cerca di un supporto, di un
qualunque appiglio che non sia lui. Tremo, di fronte al suo sguardo mi sento
una preda in trappola, catturata dal suo magnetismo feroce, dalla forza del suo
tocco ardente. Non mi sono mai sentita tanto fragile.
Sento le sue
labbra ancora sulle mie, dopo ieri sera mi sembra di essere sul punto di
scoppiare.
Ci sono stati
altri, prima di lui, molti altri. Gli uomini, lo sai, sono un vizio per me
indispensabile, come le sigarette. Ho provato già il desiderio, la passione, ma
mai come ora.
Brucio, scotto,
solo perché finalmente Jade ha fatto ciò che entrambi sapevano sarebbe
successo, prima o poi.
Mi ha presa da
sotto la pioggia che grondava sul mondo, che bagnava i miei capelli sciolti e
la sigaretta che tenevo caparbiamente in mano. Me lo sono sentito arrivare da
dietro, abbracciarmi in vita con un sussurro, il suo sorriso come dannazione.
Nonostante il
freddo, tremavo per il calore improvviso di sentire il suo petto a contatto con
la mia schiena, intrappolati dalle nostre vesti fradice.
- Mia - ha detto, baciandomi l’orecchio.
- Mai - ho cercato di rispondere io, ma
tremavo tanto che anche le parole si persero nell’aria.
- Mia - ha ripetuto, con una voce talmente
bassa che resistergli era un massacro.
Mi ha voltata,
nella piazza deserta scrosciante di pioggia pungente come aghi di vetro e ha
premuto le sue labbra contro le mie.
Inferno.
Rovente, aggressivo, rabbioso inferno. La mia mente era via, persa nel contatto
della sua pelle sulla mia, della mano che mi teneva ferma in vita e dei suoi
capelli bagnati che sfioravano la mia fronte imperlata da gocce d’acqua
ghiacciata.
Ho avuto paura,
Bets. Mi sono sentita persa, travolta dall’uragano di emozioni provenienti da
Jared. Nella lucidità di un momento, un secondo di luce nella confusione totale
in cui brancolo ancora, ho capito ciò che mi stava facendo.
Sono scappata,
prima che potesse intrappolarmi di più, prima che le sue funi invisibili
diventassero troppo forti da poter spezzare.
Lo detesto,
Bets!
Perché deve
avere questa risonanza dentro di me? Perché con lui non riesco a mantenere la
lucidità?
Perché sento di
non poter far altro che amarlo, senza via di fuga?
Finii
di leggere e mi guardai attorno, in attesa di reazioni. Avevamo appena
terminato di pranzare e Federico mi aveva chiesto di tornare a leggere, anche
davanti a mamma. Pensava che, magari, facendolo, avrei fatto conoscere a nostra
madre la vera Nina, una persona che entrambi non avevano mai conosciuto
seriamente. E che iniziavo a temere di non aver conosciuto bene nemmeno io.
- Povera ragazza-
commentò a sorpresa mia madre.
-
Nina è sempre stata una che si immergeva fino in fondo in ciò che provava. Il
sentimento che sentiva nei confronti di questo Jared doveva essere così potente
da stordirla completamente, da spaventarla. Non credo di aver mai visto Nina
spaventata per qualcosa, mai- dissi io.
-
Era innamorata, tesoro. Quando si è pazzi d’amore si ha paura di perdere di
vista se stessi, è normale essere spaventati. Lei però, così lontana da casa,
non aveva nemmeno la possibilità di un conforto-
La
guardai, divertita.
-
Credi davvero che nonna Giò l’avrebbe confortata? Nonna Giò??-
-
Non prendere quell’aria Nina, perché nonna Giò ha sempre voluto bene a sua
sorella. E sì, secondo me l’avrebbe fatto-
-
Certo, come no- borbottai scettica. Ce la vedevo proprio nonna Giò a dare
consigli amorosi a Nina.
- Dai, continua-
ordinò impaziente Federico, che non aveva badato ad una parola.
Sospirai
e tornai al diario.
23 marzo 1970
‘Nevica…
ed ecco,
in questo istante
che io penso a te con tutto il mio cuore,
forse
una pallottola spezzerà la tua vita
e per te non ci sarà più
neve
né vento
né notte
né giorno ’
Cara Bets,
Oh, non ce la
faccio proprio a togliermelo dalla testa. Lo evito con tutte le mie forze, di
giorno riesco a sottrarmi alle sue attenzioni con trabocchetti stupidi e
malvagi che feriscono lui non meno che me. Sento il suo sguardo profondo a
lezione, sfiorarmi con un amore tale da indurmi in tentazione, facendomi
desiderare di correre diretta tra le sue braccia calde e possenti, ma non posso.
Con
lui perdo la mia religione, perdo la forza, perdo tutto. Rimane solo lui, Jade,
a rovistare nel mio cuore come se fosse suo, con la prepotenza che lo
contraddistingue. È prepotente, egoista, bizzarro, egocentrico e, Dio, se lo
amo.
Amo
la sua arroganza, la sua sfacciataggine, tanto simile alla mia.
È
un piacere immenso essere al centro della sua attenzione possessiva, sentirmi
braccata dal suo sentimento, ma è anche così pericoloso, troppo pericoloso.
Stamani
lo sentivo, dietro di me, seduto a qualche fila di distanza dalla mia. Ne ho
approfittato per infierire su di lui, sul suo orgoglio, cercando di ferirlo
abbastanza da allontanarlo da me.
Accanto
mi sedeva un ragazzo carino, decisamente lontano dalla bellezza selvaggia di
Jade, che pareva interessato. Ho flirtato con lui, come ho sempre fatto con uno
qualunque degli uomini che ho avuto prima, ridendo delle sue battute insipide,
sbattendo languidamente le ciglia. Fuori dall’aula mi ha seguita e ci siamo
fermati un attimo nel parco. Mi ha afferrata, stringendomi a se e
intrappolandomi tra le sue braccia e il tronco di un albero e ho lasciato che
mi baciasse.
Non
posso mentirti Bets, mi ha ripugnato, mi ha disgustato tanto che volevo solo
finirla lì e andarmene ma non ne ho avuto il tempo. Due mani nervose lo hanno
preso per le spalle, allontanandolo violentemente da me.
-
Lei è mia, capito? Se la
tocchi di nuovo ti spezzo le dita, una ad una- ha ringhiato Jared al povero
ragazzo che lo guardava imbarazzato.
La
sua reazione così debole mi ha lasciato ancora di più sdegnata, ma mi ha anche
dato la possibilità di correre via prima che Jade potesse rivolgersi a me.
Non
voglio vederlo, Bets. Mi spaventa.
Scusami, ti devo
lasciare, hanno suonato alla porta.
- Nina, non ti
azzardare a seguire il suo esempio, perché sarò costretta a chiuderti in camera
e a buttare la chiave, chiaro? Non permetterò che mia figlia diventi una…una facile-
disse la mamma, non appena ebbi terminato la pagina.
Risi
di gusto all’indignazione di quelle parole.
- Oh, tranquilla, non sono mai stata una ‘facile’. E poi Nina mi aveva già detto che aveva avuto diverse avventure, quindi, volendo, avrei potuto seguire prima il suo esempio. Sto scherzando- dissi, di fronte alla sua faccia allarmata.
24 marzo 1970
Cara Bets,
ho paura di aver
commesso l’errore più grande della mia vita.
Ti ho lasciata
ieri sera dicendoti che avevano suonato alla porta, e quando sono andata ad
aprire sarei potuta benissimo cadere giù a terra, per la sorpresa.
Era Jade.
Non l’ho mai
visto tanto furente, aveva il viso segnato dal turbamento che provava dentro e
gli occhi bruciavano di follia.
Ho cercato di
sbarrargli la strada, ma è stato più forte di me ed è entrato come una furia
nell’appartamento.
Ha misurato
l’ingresso a grandi passi, sembrava una bestia in gabbia. Si è fermato solo
quando si è deciso a parlare, incrociando le braccia al petto e puntando gli
occhi neri nei miei.
Mi tremavano le
gambe, sentivo il cuore battere più forte di quanto potessi sopportare e un
calore indiscreto inondarmi le guance.
- Hai deciso di scappare da me, senza una
spiegazione, senza una parola, evitandomi per giorni, solo per potertela fare
con ragazzini idioti più piccoli e divertirti alle mie spalle?- ha urlato,
infuriato.
- Io faccio quello che mi pare, questi non
sono affari tuoi. Evidentemente c’è un motivo per cui ti ho evitato, no?!-
ho replicato io, infiammandomi.
Si è avvicinato
a me in un impeto di fuoco, tramortendomi col suo sguardo.
Mi ha presa tra
le braccia, regalandomi un calore che necessitavo di sentire da giorni, ma che
mi sono impedita con troppo dolore, per lasciarlo fare.
L’ho
allontanato, straziandomi il cuore.
- Perché Nina? Perché non mi vuoi accanto? Non
ho fatto altro che pensare a te, notte e giorno, sentendomi un cretino per
averti lasciata scappare, per averti concesso di liberarti di me e di quello
che sento. Sto bruciando, vorrei urlare in questo momento, per farti capire il
tormento che ho dentro, tutto per colpa tua. Sì, tu. Così fredda, distante…come
puoi non sentirlo? Come puoi non sentire questo?- ha sussurrato,
torturandosi i capelli con le mani.
Il mio cuore ha
perso un battito, mi sono sentita mancare. Ho cercato di essere pungente, di
non arretrare di un passo dalla mia posizione.
- Se stai così male, allora lasciami andare.
Trovatene un’altra con cui divertirti, non è mai stato difficile per te-
Il ringhio
frustrato si è scaraventato su di me come una lama affilata, trapanandomi il
cervello. Quando l’ho visto afferrare il tavolino per ribaltarlo a terra,
violentemente, sono rimasta senza fiato.
- Io ti amo, Nina!- ha urlato, tanto forte
da farmi temere per le sue corde vocali.
Le mie ginocchia
non hanno retto, mi sono dovuta appoggiare con la schiena al muro, lasciandomi
scivolare piano a terra.
Mi sono scostata
quando me lo sono trovata accanto, spaventata.
- Io ti amo, Nina. Perché non lo capisci? Non
voglio trovare un’altra, io ho già te, nel mio cuore ormai ci sei te. Non vedo
altro che te, tutto il giorno e tutta la notte. Ti sogno, ti voglio con me,
voglio poter annegare nei tuoi occhi verdi, perché solo te li hai di quel verde
Nina. Solo te. Perché ti allontani così?- mi ha mormorato, tendendo ferito
la mano verso di me.
Ho sentito le
lacrime sulle guance e ho capito che i giochi ormai erano al capolinea.
- Perché ho paura! Di te, di quello che sento
e che mi porta ad essere un’altra. Ogni volta che ti guardo tu ti prendi un
pezzetto di me, lasciandomi ferita, trasformandomi in una donna che non sono
io!- ho gridato, travolta da un’ondata di sollievo.
Mi ha guardato,
immobile, mentre i singhiozzi si confondevano con le mie parole.
- Io non sono un giocattolo, non puoi
prendermi a tuo piacimento, io sono libera. Se mi sento braccata, scappo. È
sempre stato così. Non sarà un uomo a farmi cambiare- ho decretato, con una
calma che non era mia in quel momento.
- Nemmeno per me?- ha detto sottovoce, guardandomi le ultime
lacrime scendere silenziose sul mento.
- Nemmeno per te-
Ha annuito, poi
ha sorriso.
- Saremo liberi insieme. Io ti voglio Nina-
Mi ha
accarezzato il mento, togliendomi la gocciolina salata in bilico sulla punta,
lasciandomi senza fiato col suo tocco.
Ora come ora,
nella fragile quiete della mia stanza, mi vengono in mente queste parole,
questi versi:
‘Fiammata di
luce, colomba di crete bionde, libera di questa notte che incalza e distrugge
’
Le sue labbra
hanno trovato le mie, e sono stata bene. Mi sono lasciata travolgere dalla sua
voglia, dalla mia passione e semplicemente mi sono arresa a lui. Abbiamo
passato la nottata a casa mia, la mia camera come unico campo di battaglia del
nostro amore.
Sono stata una
sciocca, ma è stata la notte più bella della mia vita.
Non mi sono mai
sentita così intera, così me stessa, nonostante Jade mi avesse spezzettata in
mille ridicoli frammenti inutili col suo tocco, nonostante mi avesse lasciata
morire e rinascere coi suoi baci infuocati.
Lo amo, davvero.
Spero seriamente che questo sia abbastanza, perché voglio provarci, voglio
provare a stare con lui come una donna può stare con l’uomo che ama.
-Tesoro?
Va tutto bene?-
La
mamma mi riscosse bruscamente dai miei pensieri.
-Sì- sussurrai.
No,
mamma, no. Niente va bene. Perché queste parole, nonostante siano solo
scarabocchi scritti da una mano ormai immobile, sono il segno indelebile di un
sogno destinato a spezzarsi. Sono le speranze di una giovane donna che vedrà il
suo amore ferirla come nient’altro al mondo.
No, mamma, pensai dolcemente, mentre di nascosto mi asciugavo la piccola lacrima spuntata a tradimento, non va bene.
1 maggio 1970
Cara Bets,
mi sembra di
sognare. Litighiamo, oh se litighiamo, ma niente in questo momento è più forte
del mio amore per lui, per il mio Jade.
È mio,
unicamente mio.
Anima, corpo, cuore, occhi. I suoi
meravigliosi occhi neri, pozze senza fine di desideri inespressi, pronti per
essere realizzati.
Sento il suo
tocco leggero sulla pelle, un brivido caldo che riesce a farmi dimenticare
tutto, allontanandomi da me stessa, portandomi via il mio stesso nome dalle
labbra. Ma non ho paura.
Non avverto per
ora la necessità di scappare, la volontà di allontanarmi da lui per poter
respirare la mia aria, l’aria che non sappia di lui, del suo subdolo odore di
mandorle croccanti e dolci. In realtà, non ne ho mai abbastanza.
C’è qualcosa che
mi impedisce però di farglielo capire, qualcosa che temo un giorno potrebbe
portarmelo via, e mi sforzo, non hai idea di quanto io mi sforzi, per tenermelo
sempre accanto.
Sono volubile,
lo so, cambio come cambia il vento: cerco di frenare i miei sbalzi di umore, il
mutamento repentino del mio animo di fronte ad una o ad un’altra cosa. So anche
che questo crea un’ illusione, la magnifica idea che io sia perfetta, ma è
l’unico modo che ho per cercare di frenare il panico che mi assale quando penso
ad una vita senza lui.
Io…so a cosa
stai pensando. Non dovrei limitarmi, non dovrei sentirmi sempre troppo,
dovrei essere semplicemente me stessa ma, quando veramente ami qualcuno, sei
disposta a sacrificare una piccola, minuscola parte di te.
È il pegno per
questo meraviglioso sogno da cui spero di non dovermi svegliare mai.
10 maggio 1970
Cara Bets,
forse dovevo
darti ascolto, prima, almeno avrei evitato questo ultimo, imbarazzante e
liberatorio scontro con Jade.
Stamani, invece
di venirmi a prendere come al solito sotto casa, l’ho direttamente incontrato a
lezione. Era una novità per me, visto che lui mi impone costantemente la sua
presenza, e devo essere sincera, mi sono indispettita molto di questa sua
‘trasgressione’. Ho cercato di contenere l’irritazione quando l’ho visto, ma
questa non ha fatto altro che aumentare osservando la sua mancanza di trasporto
nel salutarmi. Dopo giorni in cui abbiamo praticamente convissuto nella stessa
stanza per l’assoluta necessità di stare insieme, lui mi ha salutata come se
fossi un’amica, anzi peggio. Mi è calato il gelo nelle vene, non riuscivo a
respirare perché l’aria attorno a me si era fatta troppo pesante per riuscire a
passare nei polmoni stanchi. Anche lì, ho cercato di contenermi di nuovo ma,
giuro, mi sentivo mancare. Ho a mala pena seguito la lezione, fregandomene del
professore che parlava, osservando come Jade stesse flirtando con una graziosa,
quanto insipida ragazzina del secondo anno. Oh, sì, aveva sfoggiato le sue armi
migliori, il suo più intenso sguardo languido, le frasi migliori per colpire a
segno quel piccolo cuoricino estasiato. È così maledettamente bravo con le
parole, Bets, così affascinante quando si mette a parlare! Ho iniziato a
mangiarmi le unghie, per l’impossibilità di poter fare qualcosa, per…per, sì,
per la profonda rabbia, la gelosia, che mi avvelenava le vene in un
circolo bruciante d’odio.
Se non fosse
stato per il rancore violento che provavo in quegli istanti sarei potuta anche
scoppiare a piangere, tanto sentivo il cuore a pezzi. Ho sempre pensato che
l’espressione ‘cuore a pezzi ’ fosse una sdolcineria smielata da romanzo, ma
posso assicurarti che ne ho sentito la crudeltà nel petto, i pezzi andare in
frantumi come se il mio, di cuore, fosse una delicata e fragile sfera di
cristallo, troppo debole per resistere al colpo.
Sono uscita come
una furia dalla classe, prima di chiunque, appena il professore ha terminato la
lezione, e l’ho aspettato fuori, tremando. Quando ho visto che tardava ad
uscire, ho creduto di essere prossima ad un colpo. Sono rientrata, e ho visto
la scena più raccapricciante che potessi avere mai la disgrazia di vivere.
Era di spalle,
sporto verso la ragazza che stava ancora seduta, perso in quello che credevo un
bacio con una che non ero io.
L’aula era vuota
a parte noi, ma anche se non fosse stato così, non avrei esitato a fare quello
che ho fatto.
Mi sono
avvicinata a loro, furtiva, e ho avuto il tempo di cogliere lo sguardo languido
di lui e quello perso di lei prima che si trasformassero in puri sguardi di
terrore.
- Ma bene. Tu, fuori!- ho urlato,
sbraitato, finalmente fuori controllo.
La giovane è
scappata in un lampo, le guance rosse di vergogna.
-Tu- mi ero rivolta a Jade, che aveva
l’impudenza di guardarmi col sorriso negli occhi, divertito dalla mia reazione.
- Brutto bastardo schifoso! Io…-in quel
momento, di fronte alla sua sfacciataggine, sono venuta meno. La voce mi si è
incrinata, le lacrime sono uscite prima che potessi fare qualcosa per fermarle,
amiche sleali che porgevano il fianco ferito al nemico.
-Tu?- ha ripetuto lui, con la peggior
faccia da schiaffi che avessi mai visto in tutta la mia vita.
-Mi hai tradita. Hai detto di amarmi e
intanto te la fai con le altre! Dopo tutto quello che abbiamo passato, che ho
passato…mi hai tradita!- ho urlato, scossa da singhiozzi così violenti da
parere tuoni.
Ha provato ad
avvicinarmi, ma mi sono scostata, completamente disgustata.
- Non toccarmi! Non. Osare. Toccarmi!-
Di fronte al mio
spettacolo (ora che tutto è concluso posso anche considerarlo tale, ma giuro di
essere stata sull’orlo della pazzia) deve aver capito cosa aveva scatenato in
me.
L’ho allontanato
con tutte le mie forze, arrivando a graffiarlo, incurante di tutto ciò che
urlava, di tutto ciò che mi diceva per provare a calmarmi.
- Ora hai capito cosa si prova a stare con una
persona a metà!- ha gridato lui, in un attimo di tregua.
Mi sentivo così
fragile, Bets, così tremendamente infelice, che per un secondo ho provato ad
ascoltarlo. Lui, furbo, ha intravisto la possibilità di arrivare a me e ha
continuato.
-Io ti amo Nina. Come credi che potessi
sentirmi vicino a te, sapendo che in ogni istante che passavamo insieme ti
vedevo sempre più distante, chiusa in un mondo tutto tuo, lasciando a me solo
la facciata da ragazza docile che non sei? Io ti amo perché sei violenta- ha
detto, accennando un sorriso commosso.
- Ti amo perché sei mutevole, forte, altera,
distante se capita, ma anche testarda e sì, addirittura gelosa. Ammettilo Nina,
in questi mesi non eri te. Non riuscivo neanche più a parlarti, e nemmeno te ne
sei resa conto. L’unico modo per arrivare a te, per farti capire come mi
sentivo era darti un motivo, una possibilità per tornare ad essere te stessa-
- Tradendomi?- ho replicato, sconvolta, assolutamente
indignata e convinta delle sue parole. Già, come ho sempre detto, è inutile
mentirti.
- Non ti ho tradita, stupida, testarda e
adorabile Nina- ha detto, provando ad accarezzarmi.
- L’hai baciata. Per me è come un tradimento-
ho sussurrato.
Mi ha costretta
con la mano ad affondare nei suoi occhi, lucidi, sicuri, incredibilmente
caparbi.
- No. Non l’ho baciata, non avrei mai potuto
farlo. Puoi provare a chiederglielo, anche se non ricordo nemmeno il suo nome.
Non che m’interessasse- ha sorriso, ammiccando.
La stanchezza,
Bets, ti colpisce sempre nei momenti più strani. In quell’attimo, immergendomi
nella verità palpabile delle sue parole, mi sono sentita stanchissima.
Ho avuto appena
il tempo di mormorare qualcosa e Jade era lì, pronto a sorreggermi, prendendomi
delicatamente tra le braccia.
Ci siamo
guardati per un paio di secondi negli occhi e gli ho tirato un ceffone.
- Mai più. Non provare mai più a farmi
soffrire così per uno stupido scherzo. Mai più- ho detto.
Non ha avuto
neanche il tempo di replicare, perché la necessità di sentirlo era così forte
che l’ho stretto a me in un abbraccio senza fine. Ha tuffato la fronte nei miei
capelli, sorridendo felice come non l’avevo mai visto.
- Ti amo Nina-
- Lo so- ho sussurrato, beatamente
consapevole delle parole che ho detto subito dopo.
‘E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l'ho ancora detto.’
- Anche io ti amo Jade -
Era la prima
volta, la sola volta in cui sono riuscita a dirlo apertamente.
È lui, Bets, è
l’unico uomo che desidero avere accanto per il resto della mia vita.
- Ciao Nina-
sussurrai alla fredda e ordinata lapide di marmo che brillava al sole come un
insulto nei miei confronti.
Mi
sedetti sull’angolo di mattone del piccolo muretto di lato, con le mani
intrecciate in un gesto di profonda rassegnazione. Avevo così tante cose da
dirle, da farle sapere e da capire, ma lei non c’era. Aleggiava attorno alla
mia vita come il suo profumo di limone, fresco, pungente, e dovevo veramente
sforzarmi di credere che non sarebbe spuntata da dietro un albero, con la
sigaretta in mano e il suo sorriso sbilenco a canzonarmi.
Un
tremulo sospiro uscì dalle mie labbra, stagliandosi nell’aria fin troppo fresca
della prima mattina, ricordandomi ancora una volta che io esistevo e niente era
più uguale a prima.
- La mamma dice
che passa. Dice che prima o poi il dolore nel petto va via, perché è normale
istinto di sopravvivenza. Il corpo umano non può sopportare così tanto dolore:
o si spegne o continua la sua esistenza dimenticando la sofferenza,
autoconservandosi. Io non so se è così, non ho idea di quanto dolore possa o
non possa sopportare una normale persona della mia età, ma ti posso assicurare
che non è niente, niente in confronto alla solitudine con cui mi hai
lasciata-
Non
c’erano lacrime, almeno per il momento. Quella constatazione nasceva semplice e
spontanea, senza che mi turbasse più del dovuto, non dopo tutte le notti
insonne a macchiare col mio pianto un cuscino spiegazzato.
Guardai
una signora anziana, poco più avanti, che sistemava con cura i fiori sulla
tomba di un suo caro e guardai come gli altri elaboravano un lutto, coprendo il
defunto di piccole attenzioni, come una preghiera, un fiore, una candela accesa
per illuminargli il cammino nell’aldilà. Ma Nina ne avrebbe ridicolizzato la
sola idea, ridendo nel suono roco che gli usciva dalla bocca insieme al fumo
dell’ennesima sigaretta di troppo, quella che un giorno l’avrebbe uccisa, se
non fosse stato per l’infarto istantaneo.
- Ho capito tante
cose, da quando sei andata via. All’inizio avevo paura, leggendo il diario che
ho trovato, paura di trovarvi una Nina che non conoscevo, che mai avrei potuto
conoscere. Che sciocca che sono stata. Sei sempre stata te, vero? Sempre, anche
quando piangevi per un uomo, o viaggiavi per il mondo in cerca della tua
libertà. L’unica cosa veramente importante che sento di voler chiederti è: ne è
valsa la pena? Allontanarti da lui, dal tuo unico appiglio, ti è servito a
qualcosa?- chiesi all’aria immobile che mi avvolgeva, piccole lingue gelate che
arrossavano la mia espressione indulgente. C’era spazio solo per quella ormai,
solo per l’amara comprensione che stava crescendo in me, leggendo pagina a
pagina le sue avventure. Con la mamma avevamo deciso che avrei riaperto il
quaderno solo al suo ritorno da lavoro, per questo avevo preferito uscire di
casa, togliermi di mano la tentazione di tuffarmi nel vortice delle emozioni
vive descritte da Nina più di quarant’anni prima.
Eravamo rimaste
alla fine della sua esperienza al college, inchiodate dalla sua repentina
quanto quasi prevedibile scelta di iniziare una convivenza magica con Jared.
‘È
l’unica cosa che in questo momento so essere giusta da fare ’, aveva scritto Nina, convinta come sempre
delle decisioni che prendeva, senza starci a pensare troppo.
Pensai
alla sua faccia da schiaffi, agli occhi verdi che sfumavano nel nero che
parevano brillare di costante soddisfazione, per ciò che viveva, faceva,
diceva. Non mi ero mai resa conto della piccola scintilla di tristezza, persa
com’era nell’ostentazione sfrenata, quasi isterica, del suo status di
donna indipendente e libera. Ancora adesso la visualizzo come un vento, un
forte vento carico di pioggia, umidità, un vento in tempesta. Potrei dire semplicemente
che ero troppo piccola prima, per capire che la tempesta che portavi, Nina, non
era solo quella che diffondevi su tutte le persone che conoscevi, all’esterno,
ma lo specchio di ciò che stravolgeva la tua anima da dentro. Forse ero troppo
giovane, ma forse non volevo intaccare la tua immagine di perfetta disarmonia,
mio unico vero mito da stimare, ammettendo che anche te avevi le tue
insoddisfazioni.
-
Non ne è valsa la pena, non ti è servito a nulla. So cosa avresti risposto, lo
so- dissi, scuotendo appena la testa, sorridendo.
-Avresti
sbuffato, dicendo che tutto vale la pena, che ogni cosa ha un suo vantaggio,
brontolando su quanto fossi sciocca a pensare che un solo uomo poteva competere
sulla sensazione meravigliosa di alzarsi la mattina e chiedersi costantemente ‘
E oggi?’, come di fronte ad una immensa fiera piena zeppa di giochi tutti a tua
disposizione. Ma la verità è un’altra, e questa volta non ti crederei. Non
vedrei più i gesti esagerati, non mi farei affascinare dal modo in cui muovevi
le mani, così sottili e irrequiete. Ammettilo, hai fatto una cretinata-
Ridacchiai,
immaginando la sua reazione a quelle parole.
Mi alzai, contenta
di aver snodato la matassa grezza che avvolgeva il mio stomaco da giorni.
-Ci vediamo Nina. A
presto-
Sospirai, guardando
il cielo blu, perfetto. Era proprio una bella giornata.
20 settembre 1970
Cara Bets,
non ho più molto
motivo di scriverti, lo so. Adesso non sento la necessità di scrivere della mia
vita a qualcuno, perché la mia vita la vivo giorno per giorno accanto a
qualcuno. È una novità stupenda, alzarmi la mattina e come prima cosa vedere il
suo volto, il naso dritto e le labbra morbide e piene appena schiuse nel sonno.
Mi piace l’arco gentile che formano le sue ciglia nere sulla pelle bianca, la
mano abbandonata sul cuscino vicina al volto, il palmo aperto come a cercare il
mio. Mi viene sempre in mente quella canzone, quando lo guardo, quella bella
canzone di Elvis Presley, ‘ Can’t help falling in love ’. Non posso fare a meno
di innamorarmi. È una delle poche canzoni che mi siano entrate nel cuore, forse
perché mi ricorda troppo la nostra storia.
Così, quando mi
soffermo sulla sua mano tesa, quei versi mi addolciscono lo sguardo, mi
strappano un sorriso.
‘Prendi la mia mano (prendi la mia mano)
Prendi anche tutta la mia vita (anche la vita)
Perché non posso fare a meno di innamorarmi di
te.’
Se non temessi
di svegliarlo, mi verrebbe voglia di prendere le sue mani e tenerle nelle mie e
sussurrargli nelle orecchie ‘Prendi anche tutta la mia vita,’ ma in un certo
senso sarebbe inutile. Lui se l’è già presa, e lo sa.
Vedo la
consapevolezza di questa cosa nel luccichio dei suoi occhi quando li apre nei
miei, svegliandosi per un mio minimo movimento; lo trovo senza mai cercarlo nel
sorriso che mi regala quando mi prende tra le braccia e mi dice ‘ Hi, babe ’ ;
quando ritorna da lavoro e trova solo un misero tentativo della cenetta che
invece avevo organizzato con tanto e inutile impegno, incapace di infornare anche solo una pizza.
Abbiamo creato
la nostra piccola routine, la nostra visione di ciò che è bello fare in casa
nostra, nella nostra comodità. Siamo abbastanza bravi, per ora, i litigi sono
veramente ridotti al minimo, non perché qualcosa ci trattenga ma semplicemente
perché siamo davvero felici. E quando litighiamo, che sia per una piccola o
grande cosa, facciamo subito pace.
‘Dovrei dire che è un peccato?
(che è un peccato?)
Se non posso fare a meno di innamorarmi di te
Come un fiume scorre
Verso il mare
Funziona così
Alcune cose sono destinate a essere così ’
PARTE TERZA
“Sei la mia nostalgia
di saperti inaccessibile
nel momento stesso
in cui ti afferro”
Alla
fine non tornai subito a casa, la curiosità mi pizzicò il pensiero che vagava
libero, perso in quel bellissimo blu che era il cielo primaverile, e mi portò
di nuovo nella casa di Nina. La mia casa. Era ancora difficile crederlo,
pensare di aver ereditato una cosa così grande come una villetta in campagna
già ammobiliata. L’unica mia consolazione era che avrei potuto ritrovare in quel
luogo ormai deserto il vivo ricordo di ciò che avevo passato con Nina. Entrai,
presi ciò che cercavo e me ne tornai tranquilla a casa, in attesa che mamma
facesse lo stesso dal lavoro. Contrariamente a me e a Federico, che eravamo
rimasti a letto anche quella mattina per ‘motivi familiari ’, come diceva la
giustificazione già pronta nello zaino, mamma non aveva potuto godere di quel
misero privilegio. Anni prima aveva fatto i salti mortali per poter avere la
promozione che voleva, ma questo significava anche maggiori responsabilità e
ore di lavoro. Era arrivata anche a dimezzare le vacanze natalizie, una volta,
perché l’azienda per cui lavora aveva bisogno urgente di lei. Come dico sempre,
se è soddisfatta di ciò che fa, lo sono anche io per lei.
- Cos’è?- chiese
Federico, quando entrai in cucina con ancora la busta bianca in mano. Gli
sorrisi abbastanza allegramente per gli standard del periodo, salutandolo:
- Buon giorno anche
a te! Ci siamo svegliati finalmente, eh, pigrone?-
- È la lettera che
abbiamo trovato a casa di Nina!- esclamò lui, bloccandosi a bocca aperta prima
di portarsi alle labbra un altro morso di fetta biscottata.
Annuii e anche lui
si aprì in un sorriso enorme.
- Scommetto che è
lui, il tizio della lettera. Jared. Ma cosa volesse proprio non saprei…-
biascicò, alle prese con la colazione.
- Certo che è lui,
altrimenti non l’avrebbe conservata, genio- replicai io, sedendomi di fronte a
lui con indifferenza.
Rimase qualche
secondo in silenzio, leccando la marmellata direttamente dal cucchiaino, poi
inarcò le sopracciglia e chiese:
- Allora?-
- Allora cosa?-
- Leggi, no? Chi è
il genio adesso?-
Ridacchiai
divertita.
- Touché. Ma solo
perché insisti tanto-
Lo vidi roteare gli
occhi, sbuffando:
- Sì, come no?!-
Presi la busta e
lessi l’indirizzo. Americano, come avevo già detto, precisamente arrivava da
Santa Barbara, California. Lo stesso luogo in cui Nina aveva frequentato il
Santa Barbara City College. Il mittente, ormai non c’erano più dubbi, era
proprio Jared, Jared Shuman.
La lettera, scritta
a mano almeno sette anni prima, faceva così.
“Cara Nina.
Come vedi, alla fine ho imparato l’italiano. Ho
ancora qualche problema con la dizione, certe parole sono impronunciabili, ma
ce la sto mettendo tutta.
Ti chiederai perché, dopo così tanto tempo, ti
scriva. Beh, non saprei neanche io. Semplicemente avevo voglia di riprendere un
po’ dei miei rapporti passati, e te, lo sai, sei il più importante che sia mai
capitato nella mia vita.
È tanto, tantissimo tempo che non ci vediamo.
Quanti anni sono passati Nina? Quasi trenta, se la memoria non mi inganna. No,
non può ingannarmi, come scordarsi il nostro ultimo incontro? Sarebbe
un’idiozia che non potrei mai permettermi, mai. L’India, da quel giorno, non mi
è mai sembrata tanto triste.
Vedi Nina, non sono cambiato tanto, da allora.
Certo, gli anni passano, e qualche cicatrice sei costretto a portartela dietro,
ma sono sempre uguale, il solito uomo di cui ti eri innamorata. Non è cambiato
nulla per me, Nina, da quel giorno in cui facesti le valige. Dopo tutti questi
anni, io ti amo ancora.
Non è una dichiarazione, né un modo per attirare la
tua attenzione, cosa che reputo inutile se anche te, come credo, sei rimasta la
stessa. È la semplice e pura verità, Nina, ti amo.
So che anche per te è così, non chiedermi come: in
un modo o nell’altro riuscivo sempre a leggerti dentro e penso di riuscirci
ancora.
Ti scrivo questo perché, dopo tutti questi anni,
forse non tutto è perduto, forse potremmo vivere il sogno che ci fu negato quel
brutto inverno di tanto tempo fa, quando ancora la voglia di sentirti libera ti
scottava sotto i piedi come se fosse carbone ardente.
Se non ti conoscessi come ti conosco Nina, l’avrei
fatto già da un bel po’, sarei già venuto da te a parlarti di persona, ma resta
il fatto che io, in effetti, ti conosco come pochi altri.
So che se avessi fatto così ti avrei allontanata di
nuovo, perché ti saresti sentita in trappola, braccata, e mi saresti sfuggita
da sotto le dita lasciandomi col cuore a pezzi e l’anima vuota, persa senza di
te.
Per questo ti scrivo, adesso. Ti scrivo perché qui
il cielo è limpido, come il giorno in cui ti incontrai. Perché il mare è grigio
senza di te, perché il tuo profumo inebria ancora lo studio della nostra
piccola casa, quella casetta che avevamo preso insieme e di cui non sono mai
riuscito a liberarmi. Ci sono state altre donne, nella mia vita, donne che non
ho mai amato e che mi tenevano un po’ di compagnia nella solitudine di questa
attesa snervante, e ho avuto anche un figlio. Non credere, non mi sono mai sposato,
né ho fatto entrare altre persone in questa casa, ma lui, beh, è tutta un’altra
cosa. Dovresti conoscerlo, sono molto orgoglioso di lui, mi somiglia molto più
di quanto potessi pensare e gli voglio bene. Ma non sarà mai il nostro
figlio. Forse questo è uno dei più grandi rimpianti che conservo, l’idea di non
essere stato abbastanza forte da tenerti stretta a me il tempo di fare un
bambino insieme. Magari ti avrebbe impedito di scappare da me, almeno mi sarei
tenuto stretto l’unica vera persona che mi avrebbe ricordato te, senza
costringerti in una vita che ti disgustava.
Io ti amo, Nina. Ti ricordi quante volte te lo
ripetevo, nella speranza che anche tu me lo dicessi, ma hai sempre esitato,
nonostante il sentimento ci fosse e fosse sincero. Solo una volta mi hai detto
‘ti amo ’ a parole, quella volta che cercai di riportarti alla realtà ed ebbi
successo per un pelo, prima che riuscissi a cavarmi gli occhi per averli posati
su una ragazza che non fossi tu. Me lo facevi capire coi tuoi gesti esagerati,
con gli sguardi luminosi con cui mi accoglievi, nel modo appassionato in cui mi
baciavi.
Prova a pensarci Nina, provaci almeno. Io sono qui,
ad attenderti come ho sempre fatto e mai mi stancherò di fare. Forse, se non ci
è stata data nella vita, la felicità ci sarà data nella morte, chi lo sa? So
solo che ti aspetterò anche lì, per tutto il tempo che vorrai. E stavolta
saremo veramente ‘liberi insieme ’.
Tuo, Jade.”
Rimanemmo
un po’ in silenzio. Non c’era nulla che si potesse fare o dire, dopo una
lettera del genere. Poi mi riscossi abbastanza da riuscire a dire:
-
Lui non lo sa. Dico di Nina, lui non sa che è morta. Dovremo farglielo sapere-
-
Già, dovresti scrivergli una lettera. L’indirizzo ce l’hai-
-
Sì, dovrei-
Federico
mi guardò con dolcezza, sorridendo.
-
Nina?-
-
Sì?-
-
Stai tremando-
Mi
abbracciò, tenendomi stretta a lui, cercando di calmarmi. Il suo calore riuscì
a confortarmi in qualche modo: era strano che proprio lui, il mio fratellino,
riuscisse a tranquillizzarmi con la sua presenza.
Gli
premetti una mano sul petto, costringendolo a guardarmi negli occhi.
-
Mi devi promettere che, se mai mi capitasse una cosa del genere, dovrai
impedirmi di fare come lei. Siamo così uguali, che…se dovesse accadere anche a
me, mi devi giurare di fermarmi. In qualsiasi modo-
Lui
sbuffò, passandomi la mano sulla schiena.
-
Ma credi davvero che qualcuno ti voglia? Col tuo caratteraccio?Non ci saranno
di questi problemi, vedrai-
Mi
staccai da lui, tirandogli uno schiaffo sul braccio, offesa, con l’unico
risultato di farlo scoppiare a ridere.
-
Dai, su, scherzavo! Te lo prometto- disse, ridacchiando. Il suo sguardo però
era tornato serio, limpido. A volte, il verde dei suoi occhi era così
trasparente da sembrare una pozza d’acqua pura, cristallina, con l’iride nera
che spiccava in maniera quasi inquietante. Nonostante questo però, dovevo
ammettere che era davvero carino con i riccioli morbidi, che circondavano il
viso liscio e bianco in artistiche pennellate di caldo rame fuso.
Annuii,
sorridendo.
- Grazie,
davvero. Il fatto che tu mi stia accanto in un momento come questo per me è
molto importante, più di quanto tu possa pensare-
Alzò
le spalle con un gesto incurante, rimettendosi a sedere e afferrando un’altra
cucchiaiata di marmellata.
-
Se non ci aiutiamo tra noi, che siamo fratelli, chi dovrebbe farlo?-
-
Hai ragione-, dissi, colpita dalla maturità di quel discorso.
Forse
avrei dovuto smettere di considerarlo ancora un bambino.
-
Hai ragione- ripetei, con un altro sorriso, mentre gli porgevo il tovagliolo
per pulirsi la marmellata che gli era rimasta sul mento.
Beh,
forse non avrei dovuto nemmeno affrettare i tempi.
- Vuoi leggere
te, mamma?- chiesi, porgendole il quaderno. Eravamo ancora a tavola, seduti col
diario di Nina tra noi. In un certo, quel diario aveva fatto dei miracoli. Non
mi ero mai sentita tanto unita con la mia famiglia, tanto in sintonia come in
quei due giorni. Era più che altro l’idea di fare qualcosa insieme, che
accostasse le volontà di tutti e tre, che rendeva ancora più dolce il momento
della lettura. Sentivo la loro curiosità, percepivo quasi il loro trasporto
mentre leggevo riga per riga i ricordi di Nina, come se da un momento all’altro
potessero scovare in quelle parole un segno che li accomunasse in qualche modo
a lei. Mi dispiaceva soltanto che avevano aspettato così tanto per provare a
conoscere la vera Nina, ma meglio tardi che mai.
- No, tesoro.
Spetta a te leggere-
Annuii e sfogliai le pagine fino a quella a cui eravamo rimasti la volta prima.
24 dicembre 1970
Cara Bets,
credo proprio che questo sarà il Natale più
bello della mia vita, il migliore di tutti. Sto aspettando che Jade torni dal
giro dei negozi, ha detto che voleva farmi una sorpresa ed è uscito senza
un’altra parola, lasciandomi con un sorriso furbo.
Nel frattempo mi sono data una sistemata,
cercando di sembrare meno disordinata di ciò che sono normalmente, sistemandomi
i capelli in una crocchia vera e mettendomi un vestitino carino. Probabilmente
adesso sembro una bambina eccitata all’arrivo di Babbo Natale, ma sono così contenta
Bets! Le luci, le stelle, i cori dei bambini che fanno il giro delle case;
niente mi è mai sembrato tanto magnifico, niente mi è mai sembrato tanto sapere
di ‘festa’ . La cena è già pronta, anche se non l’ho proprio preparata io. Mi
sono piuttosto limitata a infornare delle pietanze già pronte, cercando di
contenere i danni. Il risultato è abbastanza soddisfacente e la tavola è già
apparecchiata per due, imbastita con una bella tovaglia rossa e candele bianche
e dorate. In fin dei conti, però, so che non è la tovaglia e nemmeno le candele
a farmi sembrare questo Natale speciale. È Jade, con la sua presenza solida e
magnetica, col suo fascino imprevedibile, col suo amore tempestoso, che rende
tutto più luminoso e vivo, tutto più caldo.
Voglio vedere che faccia farà, quando aprirà
il mio regalo. Non è niente di che, una semplice raccolta di poesie. Ma sono le
nostre poesie, quelle
che raccontano a modo loro la nostra bellissima storia d’amore. Quei versi,
ripetuti spesso tra noi a mezza voce, ci hanno accompagnati fino a qui, una
passione che entrambi abbiamo coltivato insieme. Ora il pacchetto giace sotto
il piccolo alberello striminzito che abbiamo comprato con i soldi del nostro
ultimo stipendio, non vedo l’ora che lo apra.
Aspetta.
Sento la chiave della porta girare, sarà di
certo lui.
Buon Natale, dolce Bets!
11 gennaio 1971
Cara Bets,
alla fine il Natale è stato bello come avevo
previsto, una serata magica che mai dimenticherò, in tutta la mia vita. Adesso
però uno dei regali di Jade giace su un angolo del comò dalla mia parte del
letto, c’è qualcosa che mi impedisce di indossarlo. È una sensazione strana,
viscida, che mi preme la gola e mi riempie le orecchie di un ronzio fastidioso,
bloccandomi proprio mentre cerco di prenderlo tra le mani. Eppure è un semplice
bracciale d’argento con uno smeraldo scuro incastonato, una pietra che secondo
lui ricorda un po’ il colore vellutato dei miei occhi. Sicuramente è così, e
quando me lo ha porto insieme ad una grande confezione quadrata e sottile, sono
rimasta senza fiato per un po’. È stato un pensiero davvero carino, un po’
pazzo visto quanto deve essergli costato, ed è anche per questo che ogni tanto
mi obbligo a metterlo. Però la sensazione strana rimane e sono preoccupata
perché anche il mio corpo sembra reagire quando lo indosso. Il polso inizia a
prudermi senza tregua, chiazzandomi di rosso la pelle a contatto diretto col
bracciale. Forse è un’allergia, non so.
Comunque, il secondo regalo, quello sì che
mi ha lasciata spiazzata, con le lacrime agli occhi. È un disco, con la canzone
che adoro, quella di Elvis.
Can’t help falling
in love. Non posso fare
a meno di innamorarmi.
- La
cantavi l’altro giorno, sotto la doccia. Ho riconosciuto i versi e ho pensato
di prendertelo, visto che ti ha colpita così- ha detto lui, sorridendo delle
mie lacrime.
Me lo ha preso
di mano e lo ha inserito nel gira dischi.
La musica ha
invaso la stanza e Jade ha teso la mano verso di me, da vero gentiluomo. I suoi
modi raffinati, sono irresistibili, languidi e decisi come non ho mai visto in
nessun’altra persona.
Mi sono lasciata
portare da lui, abbandonata al suo petto mentre le parole uscivano come una
pioggia magica, scintille che brillavano con i passi della nostra danza.
Devo ammettere
che anche il mio di regalo ha fatto un certo effetto. Beh, un bellissimo
effetto, direi, visto che dopo che lo ha scartato non abbiamo finito di cenare
e abbiamo continuato i festeggiamenti in camera da letto.
Non è di questo
però, di cui voglio parlare.
Ieri ha chiamato
Sarah, era da tanto che non ci sentivamo, e mi ha detto che aveva una bella
notizia da darmi e che aveva voglia di vedermi. Le ho risposto che anche io
avevo voglia di rivederla e abbiamo deciso che domani verrà qui, insieme a
Jack. Anche Jade li conosce e ha capito, dalla telefonato, qualcosa chi mi
sfugge. Ho provato a farglielo dire ma si è limitato a ridacchiare e a dirmi:- Vedrai- con aria cospiratoria.
Sono contenta,
Bets, Sarah è stata una buona amica e mi è dispiaciuto non rivederla in tutto
questo tempo, ma tra la casa, Jade e il lavoro, il tempo a disposizione è
davvero poco. Sono così presa da questa nuova vita che spesso rimango senza
fiato, ma poi penso a Jared e tutta va meglio. È incredibile come una persona
possa diventare il perno della tua vita in meno di un anno, ma con Jade, lo so,
è inutile farsi troppe domande.
A quel punto,
girai pagina ma la trovai bianca. Il suo diario si interrompeva lì, bruscamente
e aggrottai la fronte.
-
Qui non c’è scritto più niente- dissi, girando altre pagine.
-
Come?- chiese Federico, perplesso.
- Le pagine sono
bianche, non ha scritto più nulla- risposi, sentendo la delusione crescere.
Provai a sfogliare le pagine e alla fine, in fondo,ne trovai altre scritte,
piuttosto recenti.
- Aspetta, qui c’è qualcosa!- esclamai.
5 maggio 2003
Cara Bets,
è passata
un’eternità dall’ultima volta in cui ti ho scritto. Questo non vuol dire che ti
ho dimenticata o che ti abbia lasciata languire per anni in un cassetto
polveroso. Affatto. Ti ho sempre portato con me, ti ho letto e riletto miliardi
di volte, ma in tutto questo tempo non ho mai trovato il coraggio di riprendere
la penna e scriverti.
Vedi, il
discorso è abbastanza semplice. Tu eri partita con l’essere la mia confidente,
lo scomodo specchio che doveva riflettere le mie vere ansie, le mie angosce e
anche le mie felicità, ma alla fine sei diventata qualcos’altro, qualcosa di
troppo importante per poterti considerare un normale diario. Sei diventata la
testimone diretta di una storia tanto lontana che anche adesso fatico a
considerare realtà. Spesso, infatti, tutto mi pare talmente nebuloso da indurmi
a credere che fosse solo un sogno.
Sei l’unica cosa
che mi ricorda ciò che avrei potuto essere se avessi fatto scelte diverse e se
tu non ci fossi avrei anche potuto lasciarmi scivolare dietro ricordi così
dolorosi da sembrare taglienti. Però, c’è sempre un però.
Con te sono
riuscita a rivivere, in questi anni soli, gli episodi più belli e felici della
mia vita, quelli in cui Jade mi era vicino, sempre, e illuminava con la sua
presenza tutta la scena.
Perché ti scrivo
adesso, allora?ti starai chiedendo, giustamente.
Oggi, dopo quasi
trent’anni che non ci vediamo e non ci sentiamo, Jared mi ha mandato una
lettera, a cui, purtroppo, non risponderò.
Ho capito così
che era finalmente arrivato il momento di concludere questa storia incompleta,
scrivendone l’ultimo capitolo.
È iniziato tutto
il giorno in cui Sarah e Jack arrivarono a casa nostra.
Ricordo bene
come fossero entrambi radiosi, stupendamente avvolti l’uno dall’amore
dell’altro. Erano così belli, così felici, una scena quasi commovente.
Ci siamo
ritrovati a parlare di come fossero cambiate le nostre vite, di come, in poco
più di sei mesi tutto fosse stravolto e in quel momento, seduti sul divano di
fronte a me e a Jade, ci hanno dato la buona notizia. Alla fine di luglio si
sarebbero sposati e volevano che presenziassimo al loro matrimonio. È stato il
modo in cui si tenevano la mano a far scattare in me un allarme che mi rese
nervosa per il resto della giornata. C’era qualcosa tra loro che ricordava
molto ciò che vedevo in me e Jade, qualcosa che iniziava a preoccuparmi. È
stato solo qualche giorno dopo che compresi, con un senso d’orrore tale che
quasi mi assalì la nausea. Io e Jade, per quanto fossimo follemente innamorati
e felicemente liberi da qualsiasi regola imposta, ci stavamo dirigendo verso
una strada che mi ero promessa non avrei mai, mai, percorso.
Eravamo già una
coppia affiatata, quanto ci avremo impiegato a sposarci, magari anche a mettere
al mondo dei figli, tutte cose che mi avrebbero costretta ad una vita che ho
sempre odiato? Oh, l’avrei fatto se Jade me l’avesse chiesto, l’avrei fatto e
me ne sarei pentita e sarei potuta anche ad arrivare a detestarlo per questo.
Cosa che non volevo assolutamente.
Dovevo fermarmi
in tempo, se non volevo arrivare ad un punto di non ritorno, dovevo andarmene
prima che mi fosse impossibile.
È stato
straziante, Bets, la cosa più triste che mi sia mai capitata di fare. Ho fatto
le valige in un secondo e ho aspettato che Jade tornasse dal lavoro, prima di
andarmene, almeno un ultimo saluto glielo dovevo.
Lo stomaco, me
lo ricordo bene, si congelò al suo posto quando lo vidi entrare dalla porta. Mi
aveva intravisto e mi aveva sorriso, nel suo modo unico e inimitabile di
sorridere, piegando un angolo delle labbra di più rispetto all’altro, mettendo
in evidenza la fossetta al lato della bocca. Poi, posando lo sguardo sulle
valige a terra era impallidito e il sorriso era scomparso, velocemente come era
venuto.
Non ho mai visto
tanta disperazione nei suoi occhi, e mi ci è voluta tutta la forza che
possedevo per dirgli tutto, senza escludere un particolare e decidermi a
salutarlo.
Non ha provato a
fermarmi, non seriamente, sapeva che sarebbe stato inutile quella volta, la mia
decisione era già stata presa e non sarei tornata su i miei passi.
Ricordo di aver
detto che ci avevamo provato, ma che la mia partenza era inevitabile.
- Mi avevi promesso che saremo stati liberi
insieme, Jade. Ma io non penso più di poterlo essere, non se non ci fermiamo in
tempo-
- Fino ad ora è stato così, siamo stati felici
Nina. Perché non possiamo continuare ad esserlo?- aveva sussurrato.
Mi ero
avvicinata con un sorriso, un gesto che mi era costato un brutto strappo nel petto.
- Perché le cose non sempre vanno come ci
aspettiamo. Io sento di essere innamorata di te, lo sono, e in questi mesi ho
vissuto i momenti più belli della mia vita. Ma quello che si prospetta per noi,
non è diverso da ciò per cui sono scappata da casa mia due anni fa. In breve
potremo sposarci, lo sai, non direi mai di no. Potrei continuare a mentirmi per
anni, cercando di vedere come il nostro matrimonio non è la catena solida con
cui si sono intrappolate le altre coppie. Poi verrebbero i bambini e anche lì,
potrei nascondermi la verità. Ma so che alla fine verrebbe il giorno in cui
aprirei gli occhi e mi renderei conto di essere caduta nella trappola che ho
sempre cercato di evitare e ti odierei Jade. Ti odierei per avermi costretta ad
un ruolo che non volevo. E io non posso odiarti, Jade, lo capisci? Non posso-
dissi, tra le lacrime.
Mi prese con
forza il volto fra le mani, puntando i suoi occhi disperati nei miei.
- Non lo fare. Ti prego, non andartene-
Mi scostai da
lui con un bacio, dolce, lento, l’ultimo, ed uscii per sempre da quella casa.
Per mesi ho
viaggiato in lungo e largo, girando con finto entusiasmo per paesi esotici e
bellissimi, ma quando arrivava la sera, niente sembrava bello.
Ero sola e
l’assenza di Jared mi bruciava dentro come una maledizione, un cancro che mi
stava distruggendo cuore e polmoni alla velocità della luce. È da allora che
fumo seriamente, non una o due sigarette per sfizio; in un certo senso riempie un vuoto che sento da troppo tempo
ormai, è una valvola di sfogo a cui non rinuncio nemmeno sotto le critiche di
Nina, la mia dolce nipote.
Il Caso, che
strana e buffa cosa che è, ogni tanto fa visita alla mia umile vita per mettere
più confusione di quanto ce ne sia già.
Dopo quasi due
anni dall’ultima volta che l’avevo visto, in un calda giornata indiana, mi
trovai di fronte un viso troppo familiare per poter rimanere impassibile.
Ricordo di essermi chiesta se avessi bevuto troppa acqua insana, o se non
avessi mangiato del riso avariato, o comunque se ci fosse un motivo valido che
magari potesse spiegare quella strana visione. Quando me lo sono visto
avvicinare pensai di essere prossima all’infarto.
- Nina- disse lui, col sorriso negli occhi
sorpresi.
Non era cambiato
per nulla, se non per una o due rughe a segnargli lo sguardo, nero e magnetico
come mi ricordavo bene.
- Cosa ci fai qui?- gli chiesi, senza voce.
L’emozione, oltre ad avermi fatto lo sciagurato scherzo di togliermi
l’equilibrio aveva anche dimezzato l’aria nei polmoni.
- Sono in vacanza, con degli amici. Non
pensavo di trovarti, proprio qui. Non possiamo proprio stare separati, vedi?-
scherzò lui, ma si scorgeva benissimo la rigidità con cui espresse l’ultima
frase.
- Dove alloggiate?- chiesi ancora,
deglutendo con forza. Ricordo l’ombra di tristezza che passò, fugace, sul suo
viso.
- Siamo ospiti di un parente di un ragazzo che
è con noi, in questo villaggio. Anche te?-
Rimasi in
silenzio, assaporando con gli occhi tutto di lui, tutto ciò che mi ero negata
con violenza e che mi tormentava ogni notte come uno spillo incandescente in
testa, delineando con amore sempre maggiore l’arco della fronte perfetta,
l’armoniosa delicatezza delle ciglia nerissime, la mascella definita e le
labbra, quelle labbra che avevo baciato ogni minuto che avevo a disposizione,
belle, sensuali, succose come frutti maturi.
Mi salutò come se
fossi stata un’amica a lungo lontana, ma i suoi occhi dicevano più di quanto
fosse possibile immaginare, ardendo come il primo giorno in cui l’avevo
conosciuto.
Nella mia mente
deviata sentivo che era ancora mio, nonostante tutto il tempo passato divisi.
Quel giorno non
ci vedemmo di nuovo, presa come ero dalle mie esplorazioni e lui dalle sue
visite, ma è inutile scrivere come mi sentissi. Ero stravolta, ero stata
rigirata come un calzino e appesa a testa in giù senza nessun preavviso.
Alla sera, mi
mancava il fiato.
La mia camera
era troppo stretta, troppo calda, troppo chiusa. Mi sentivo intrappolata in me
stessa, incatenata dai miei stessi giochi e decisi di uscire.
Non ho idea di
cosa capitò fuori, so solo che ad un certo punto, nel buio vellutato della
notte, scorsi la sua figura stagliarsi alta ed elegante, un faro nella mia
oscurità. Non ci siamo parlati, non abbiamo aperto bocca.
Semplicemente,
il desiderio di stare di nuovo insieme era così impellente che ci ha colti
impreparati, travolgendoci. Le nostre labbra si ritrovarono e mi sembrò di
essere di nuovo perfetta, intera e bella come non lo ero più da tempo. Tornammo
nella mia stanza, senza staccarci l’uno dall’altra, amandoci con disperazione,
cogliendo tutti i momenti che quella notte poteva darci.
Le sua mani su
di me erano decise, quasi violente, mi strappavano lacrime salate che pungevano
come aghi e intanto lo sentivo pregare, implorare, che non finisse mai, che
quella magia non terminasse più.
Sapevamo che la
mattina dopo, tutto sarebbe scomparso col sorgere del sole e così fu.
Se ne andò
lasciandomi sola tra le lenzuola sfatte, distrutta dai suoi baci e dal suo
amore senza fine che mi aveva paralizzato, recidendo la parte di me che ancora
conservava un minimo di ritegno. Se lui fosse rimasto, avrei accettato
qualsiasi cosa pur di non lasciarlo più e questo lui lo sapeva. Per evitarci
altri addii più dolorosi, aveva fatto una scelta che andava contro la sua
natura, contro tutto ciò in cui credeva.
Ebbi così il
tempo di capire che di libertà, ne avevo avuta fin troppa.
Mia sorella mi
scrisse di aver avuto una bambina, finalmente, dopo anni di prove e tentativi
andati male. Mi sembrò un segno, un’ancora a cui aggrapparmi. Ero sbandata,
senza via di uscita da un circolo vizioso infinito e colsi al volo l’occasione
di tornare al posto da cui ero scappata all’inizio di tutto. Avrei avuto modo
di capire ciò che volevo realmente, ciò che sarebbe stata la mia vita da lì in
poi. In quei giorni vidi che c’era qualcosa che non andava in me. Ero sempre
stanca, debilitata, cosa che attribuii alla forma di depressione che mi aveva
devastato nel mese successivo all’incontro con Jared. Poi iniziarono i
giramenti, la nausea e capii, di nuovo.
È sorprendete, a
volte, la mia capacità deduttiva, non credi?
Ero incinta.
Dato che l’unico
uomo con cui avevo avuto rapporti era stato l’unico a cui avevo dedicato anima
e corpo ero cosciente del fatto che il bambino fosse di Jade.
Ecco, lì il
mondo mi crollò proprio addosso, con tutta la sua brutale crudeltà. Avrei potuto
sopportare la solitudine, lo strazio di sentire lontano l’amore della mia vita,
la rabbia per non poter essere come tutte le donne normali, desiderosa di
mettere su una famiglia stabile. Non l’idea di avere un bambino.
Non ero pronta,
non lo sarei mai stata, non avevo mai messo nel mazzo l’idea di poter diventare
madre un giorno. No, no, assolutamente, era uno scherzo che questa volta non
potevo accettare. Partii così, con l’anima in pena e la disperazione che mi
attanagliava le viscere, le nausee mattutine e la ridicola sensazione di essere
stata completamente fregata dal destino.
Il viaggio fu
lungo, molto lungo e difficile, soprattutto sola come ero e nelle mie
condizioni, in cui anche solo l’odore delicato del pane mi dava allo stomaco.
Stare da soli
poi, significa pensare, pensare tanto e riuscire ad osservare con chiarezza
anche dettagli che fino ad allora avevi tralasciato.
Amavo Jared. Lo
amavo con tutta me stessa, con ogni fibra del mio corpo, con l’essenza più
intima che potesse albergare in me. Quel bambino sarebbe stato il ponte
invisibile tra me e lui, un collegamento che non si sarebbe mai spezzato e ci
avrebbe uniti per sempre. Fare la madre, in un contesto come il mio, non
significava per forza rimanere intrappolati, poteva essere anche bello.
Mi accorsi di
amare mio figlio quando sentii per la prima volta la pancia più gonfia,
leggermente arrotondata sotto il palmo della mano. Come mi era passato anche
solo minimamente per la testa il pensiero che non volessi quella creatura di
Dio, così piccola e vulnerabile?
Fu una
folgorazione, un senso di benessere che portò nuova luce nella mia misera
esistenza. Per giorni la voglia di sorridere non mi lasciò neanche nei momenti
più duri, nemmeno quando i giramenti di testa sembravano volermi sopraffare e
gli incubi spezzarmi, rubandomi le poche ore di sonno che potevo concedermi.
Leggendo quello
che ho scritto finora mi verrebbe quasi da ridere, pensando a quanto io sia
stata ‘sfigata’ come dicono oggi giorno i giovani che mi circondano.
Come ho detto,
il viaggio non fu dei più semplici.
Persi il bambino
e caddi definitivamente nella depressione. Quando Giò mi vide alla sua porta,
ricordo la pietà che si riflesse sul suo volto, mentre saggiava con sapienza la
mia devastazione interiore, così tetra da portarmi vicino all’orlo della
follia.
Toccò a mia
sorella raccogliere i cocci di quello che era rimasto di me, a soli vent’otto
anni.
Per quanto
vedessi in lei tutto ciò che deploravo, fu l’unica che mi diede una mano,
riportandomi con lenta risolutezza alla vita. Mi crebbe come crebbe sua figlia
Tiziana, ripiantando semi di convinzioni che col tempo mutarono in vere e
proprie piante robuste, portandomi nuove consapevolezze e nuova forza.
Da allora, io
sono questa, sono la persona che vedi e che sta scrivendo queste righe.
Amo ancora
Jared, è tutto ciò che di bello c’è al mondo. Ma il nostro momento è passato,
io ho conquistato un equilibrio che non intendo cedere per niente al mondo,
nemmeno per lui. Non tornerò a Santa Barbara, non risponderò alla sua lettera,
lascerò le cose come sono.
Come ha detto
anche lui, quello che ci è stato negato in vita forse ci sarà concesso nella
morte, e io, giuro, lo aspetterò anche lì. Lo aspetterò e saremo di nuovo
insieme, in una seconda eterna opportunità.
Finalmente liberi
insieme.
EPILOGO
Pioveva. Il
freddo e le nuvole, dopo tanti giorni di tiepido sole primaverile, mettevano
addosso a tutte le persone che incontravo una pesantezza quasi mortale,
diffondendo un velo grigio e impalpabile sull’umore di una buona percentuale
dei miei compagni di classe, compresa me.
La
mattina a scuola non mi era parsa mai tanto lunga e sfiancante, mentre le
lezioni si sciorinavano di fronte ai miei occhi spenti, persi nei meandri
intricati dei miei pensieri. Accolsi con gioia la campanella che segnava la
fine dell’ultima ora, e mi fiondai di corsa alla macchina evitando di bagnarmi
con la sottile pioggia gelida che sembrava penetrare anche sotto i vestiti.
Arrivai al vialetto di casa con tranquillità, attenta a non prendere curve troppo
sportive per non scivolare e rimasi un po’ nell’abitacolo dell’auto, quando
spensi il motore. Rovistai sotto il sedile del passeggero e afferrai una
confezione quadrata, sottile e la osservai con un sospiro. Era il disco che ero
riuscita a trovare qualche giorno prima a casa di Nina, quello che lei aveva
adorato e di cui non conoscevo nemmeno l’esistenza.
‘Can’t
help falling in love ’ c’era scritto sulla copertina lucida, un po’ consumata
agli angoli, ma stranamente ben tenuta, per gli standard di Nina.
Rimasi
a fissarla intensamente, cercando di immaginarmela mentre ballava con Jared,
mentre si lasciava trasportare dalla musica, mentre si illuminava come una
bambina gioiosa di fronte all’amore della sua vita.
Ritornai
dal mio sogno ad occhi aperti quando colsi un movimento al limitare del
vialetto e osservai un signore distinto, alto e elegante fermarsi con
l’ombrello in mano di fronte al campanello del cancelletto. Sentii uno strano
tuffo al cuore e mi bloccai in preda all’emozione.
Era
lui.
Non
pensavo che sarebbe venuto, gli avevo scritto la lettera da nemmeno tre
settimane, incredibile che fosse già qui. Eppure doveva essere lui, in un
qualche modo riuscivo a riconoscerlo senza nemmeno aver bisogno di scendere
dalla macchina per farlo.
Aprii
lo sportello e da sotto la pioggia che infieriva su di me con la sua carezza
gelida, lo invitai ad entrare.
-
Io sono Jared. Tu devi essere Nina. Le assomigli tantissimo- si presentò, con
un forte accento americano.
Visto
da vicino era facile capire come Nina fosse rimasta affascinata da lui.
Nonostante l’età, conservava una bellezza tale da spezzare il cuore, un fascino
intenso come il profumo di dopobarba che emanava.
-
Sono io. Piacere di conoscerti Jared. Entriamo in casa, altrimenti ci bagniamo-
dissi, con un sorriso. Sembrava impacciato, emozionato anche lui per qualcosa
che sentivamo aleggiare tra noi come l’odore fresco di limone che in un modo o
nell’altro aveva condizionato la nostra vita.
La
casa era vuota, mamma doveva ancora rientrare da lavoro e Federico aveva il
tempo pieno a scuola, quindi avremmo avuto un po’ di tempo a disposizione,
senza essere interrotti.
-
Accomodati Jared. Posa pure qui il tuo cappotto- dissi, indicando una sedia.
Ero entrata in soggiorno e mi ero accomodata al tavolo, posando lo zaino a
terra e invitandolo a fare lo stesso.
Il
silenzio calò su di noi, mentre faceva come gli avevo chiesto e ci squadravamo
con intensità.
-
Sei proprio come lei. La vostra somiglianza è…impressionante. Hai i suoi stessi
occhi- sussurrò lui, con esitazione. Sembrava trovare la cosa disarmante, così
cercai di sorridergli per spezzare la tensione.
-
Io, sì, le somiglio tanto. È una cosa strana, dato che entrambe non somigliamo
a nessun altro membro della famiglia. Sono contenta che tu sia venuto, ci sono
tante cose di cui vorrei parlare, che vorrei sapere. Io e Nina siamo state
sempre molto legate. Da quando non c’è più sono successe tante cose, ho
scoperto una parte di lei che mi aveva tenuto nascosto e me ne dispaccio. È
stato un caso che scoprissi di te, della tua lettera e della vostra storia, lei
non me ne aveva mai parlato-
Per
la prima volta sembrò sciogliersi anche lui in un sorriso, e rimasi colpita da
quanto potesse essere affascinante. Avevo visto la foto che lo ritraeva giovane
insieme a Nina, e da allora poco era cambiato. Aveva qualche ruga qua e là, i
capelli neri striati da qualche ciuffo grigio e gli occhi un po’ infossati, ma
era comunque davvero bello.
-
Sure. Lei deve aver
sofferto molto in quel periodo, non posso certo biasimarla per avertelo tenuto
nascosto. È passato tanto di quel tempo, poi-
-
Lei non se n’è mai dimenticata, Jared, sul serio. Ti ha amato sempre, fino
all’ultimo- replicai, di fronte al tono amaro delle sue parole.
Lo
vidi scrollare le spalle con poca convinzione, e mi sentii triste per lui, per
come il destino avesse tranciato anche i suoi di piani, con un misero gesto
della mano. Tirai fuori dallo zaino il quaderno di Nina e glielo porsi,
aprendolo sulle ultime pagine scritte.
-
Guarda tu stesso se non ci credi. È giusto che anche tu sappia cosa successe
dopo il vostro ultimo incontro. Poi potremo mandare al diavolo Nina insieme-
dissi, ridacchiando. Lui mi guardò incerto per qualche secondo, poi prese il
quaderno con un’altra alzata di spalle e iniziò a leggere. Vedevo il suo
sguardo nero e magnetico diventare più profondo e avido ad ogni riga scorsa, ad
ogni parola assaporata con la mente al ricordo di lei, di loro. Le sue guance
ripresero colore, fino a diventare roventi, di un rosso cupo che mi fece quasi
preoccupare. Ad un certo punto sbiancò completamente, di nuovo, alzando la
testa verso di me. Aveva le lacrime agli occhi.
-
Era incinta- sussurrò, passandosi una mano tra i capelli.
Annuii
e si rimise a leggere, rigido come un pezzo di marmo.
-
Non ne sapevo niente, di tutto questo- mormorò tristemente, senza cambiare
posizione.
Lo
lasciai un attimo solo, andando in cucina a prendere qualcosa da bere da
offrirgli, concedendogli un momento di tranquillità. Quando tornai in salotto,
il quaderno era chiuso e aveva ripreso un po’ di contegno, anche se gli occhi
arrossati tradivano la sua commozione.
-
Parlami di lei, Jared. Parlami di Nina- dissi, posando una mano su quella che
aveva lasciato sul tavolo, accanto al diario.
-
Parlami di lei- ripetei dolcemente, mentre un sorriso intenerito gli disegnava
le labbra.
Nel
pomeriggio sembrò che uno spiraglio d’estate fosse riuscito a vincere la
battaglia con le pesanti nuvole grigie che appesantivano il cielo, illuminando
la minuscola fetta di mondo in cui abitavo. Decisi che era arrivato il momento
di portare Jared da Nina, di riunirli almeno lì, nello stesso luogo e nello
stesso momento, anche se non nella stessa dimensione.
Il
cimitero era la parte della città che meno amavo, ma l’angolo in cui Nina era
stata sepolta era un piccolo scampolo di natura nel deserto di cemento che
circondava tutto il resto, cosa che le sarebbe piaciuto molto, col suo
particolare senso estetico.
Jared
mi seguiva passo passo, senza emettere un suono. Aveva sprecato tutte le sue
parole nella descrizione più emozionante che avessi mai sentito della mia bella
e meravigliosa Nina, perso nel ricordo di momenti dolorosi quanto sacri, amari
quanto felici.
La
lapide si stagliò presto di fronte a noi, e lo sentii irrigidirsi. Dopo qualche
secondo fece un passo avanti, mettendosi di fronte a me, e sentii che era
arrivato il momento di lasciarlo solo. Gli misi una mano sulla spalla, cercando
di confortarlo con quel gesto amichevole: per quanto fosse per me un estraneo
lo sentivo già profondamente vicino, quasi che le nostre esperienze con Nina
avessero creato un sottile filo rosso che ci separava dagli altri e ci
stringeva in una delicata morsa di comprensione reciproca.
Mi
allontanai di qualche metro, lasciando abbastanza spazio perché potesse
sentirsi a suo agio, mettendomi a sedere sul muretto umido che girava attorno
all’angolo della tomba.
Come
avevo previsto, Jared si lasciò andare nella solitudine e da lontano lo vidi
fare avanti e indietro, camminare nervoso parlando ininterrottamente,
gesticolando con le mani. Se non avessi conosciuto la situazione l’avrei
trovato anche divertente, ma in quel momento mi faceva solo un enorme tenerezza
il modo in cui cercava di entrare in contatto con lei, tenendosela stretta al
petto con i suoi ricordi e le sue sensazioni, con tutto il suo amore straziato.
Dopo
una mezzora buona sembrò essersi calmato e lo vidi tornare da me con uno
sguardo più sereno.
-
Sorry, hai dovuto
aspettare tanto?- chiese con la voce roca e il forte accento americano che
iniziava a starmi simpatico.
-
Tranquillo. Te, invece, va tutto bene?-
Mi
sorrise tristemente, ma questa volta nei suoi occhi non c’era il baratro scuro
che vi avevo intravisto quando ci eravamo presentati.
- Tutto okay.
Sono solo stanco e…dispiaciuto. Speravo veramente di iniziare una nuova vita
con lei, ora che entrambi avevamo avuto modo di vivere la nostra libertà.
Dovevo immaginarlo. Lei è sempre stata così, inaccessibile per tutti. Anche
quando pensavi di averla tra le mani, lei sfuggiva prima che te ne potessi
rendere conto-
Lo
presi per mano e mi vennero in mente dei versi di una poesia che Nina amava
tanto.
-
‘ Sei la mia schiavitù, sei la mia nostalgia di saperti inaccessibile nel
momento stesso in cui ti afferro ’- recitai lentamente, sottovoce.
Jared
rise, la prima vera risata che gli sentii fare e gli occhi neri brillarono come
stelle.
- La conosci? Era
una delle poesie che mi regalò a Natale, una volta. Un libretto con tutte le
nostre poesie, e questa era in fondo, una delle ultime, ma rimasi colpito dalla
sua bellezza. E della sua verità- sospirò.
-
Nazim Hikmet era uno dei suoi poeti preferiti. Mi ha fatto leggere le sue opere
sin da quando ero piccolissima e me ne sono innamorata-
-
Andiamo- disse lui, con un altro sorriso, -adesso tocca a te. Tell me about
her, raccontami di te e Nina-
Feci
qualche passo, prima di iniziare a parlare. Da dove puoi iniziare a parlare di
un mondo? Un universo immenso, così pieno da essere troppo, per una sola
persona?
Poi mi venne in
mente una frase che ripeteva spesso, così spesso da essere diventata un motto.
-
Lei mi diceva sempre che ‘Le opinioni sono come le palle. Ognuno ha le sue ’ -
Jared si perse in
un’altra risata divertita, un suono delizioso che mi accompagnò per il resto
della storia.
Finalmente
mi sentivo meglio. I giorni passati nella pesantezza della sua perdita avevano
scavato dentro di me un vuoto tremendo, incolmabile, ma in quel momento, nell’esatto istante in cui le parole iniziarono a
sgorgare sincere dalla mia bocca, mi sentii leggera. Era come se una bellissima
e profumata brezza delicata stesse sorreggendo i nostri passi, portandoci verso
un nuovo presente in cui la libertà non ci avrebbe più resi schiavi. Io lo
sentivo, lo percepivo dalla lieve vibrazione delle mie mani, dall’emozione
fresca sul volto di Jade, che mi pareva di conoscere da secoli. Il sole nuovo
era quasi abbagliante mentre percorrevamo la via del ritorno e sapevo con la
stessa certezza con cui lo dissi poi anche al mio strano compagno di ventura,
che Nina era lì. Era lì e riuscivo quasi a vederla sorridere, con quel suo
sorriso sbilenco ed immortale che mi avrebbe accompagnata ovunque, con i
capelli neri che svolazzavano qua e là attorno al viso magro, e con gli occhi
lucenti di pace. Era in pace. Dopo tanti anni di sofferenza, di momenti
sbagliati, si stava godendo il suo meritato riposo accanto a noi, stupidi
mortali che credevano di poterla raggiungere anche solo pensandola. Sorrisi,
riempiendomi gli occhi di sole e dolcezza, respirando il suo aroma che
inspiegabilmente impregnava l’aria di magia. Sì, era proprio lì, con noi.
Oh, Nina.
‘Lontano sempre più lontano, dove tu vuoi, dacci un segno di vita. Più tardi, più
tardi, di notte nella foresta del ricordo,
sorgi improvvisa, tendici la mano e portaci
in salvo ’.
Presi
le dita di Jared e lui ricambiò la stretta, con occhi lucidi.
-
La senti vero?-
-
L’ho sempre sentita, anche se temevo di non poterlo più fare. La sento sulla
pelle, la sento nel cuore. Nina è… ovunque. Non dobbiamo più temere- rispose,
schermandosi il viso dalla lucentezza del giorno.
Lasciai
che l’ultima lacrima prendesse il volo, con un altro, immenso, sorriso.
No, non dobbiamo
più temere.
“Lungo le notti, la Terra pesante,
cade, dagli astri nella solitudine.
Tutti cadiamo. Questa mano, cade.
Guardati intorno; e tutto intorno cade.
Ma uno spirito v’è, che questo immenso
Universo cadere, entro le mani,
con insonne pietà regge ed eterna”
Spazio dell’autrice:
Ciao a tutti!
Sono contenta di poter pubblicare questa storia, ci
tenevo da tempo perché racchiudeva uno dei miei piccoli chiodi fissi. A cosa è
disposta a rinunciare una donna pur di sentirsi libera? A me è venuta in mente
questa originale pensando alle donne d’un pezzo, quelle che non si piegano di
fronte alle volontà altrui, ma che facilmente si spezzano sotto i duri colpi
inferti dalla vita. Ti puoi arrampicare fino a quando non sentirai i muscoli
tremare, puoi correre sino a perdere il fiato, ma quando la libertà diventa
un’ossessione sei sicura di essere veramente libera? Con gli anni sono riuscita
a capire che la verità sta sempre nel mezzo, e che anche la libertà, se non è
equilibrata, può essere troppo per una sola persona.
Come al solito vorrei sapere ciò che ne pensate,
ammesso che leggiate questo bel malloppone! L’idea di separare la storia mi è
venuta, ma non so, penso non sia proprio il caso visto che è nata per essere
così e preferirei lo rimanesse.
Con tanto amore, sempre vostra
_Nalushka_