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Autore: Kuno84    02/06/2006    5 recensioni
Ranma si trova misteriosamente catapultato in una nuova realtà. Qualcuno segue costantemente le sue mosse, spinto da intenzioni ignote. Nel frattempo, per tutte le persone che conosce, lui non è mai venuto al mondo... Il ragazzo col codino si trova coinvolto nella più ingarbugliata delle vicende, alla ricerca disperata di una risposta alle sue mille domande. Più di ogni altra cosa, che ne è stato di Akane?
[ Storia vincitrice del Primo Contest di MangaNet.it. ]
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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PART TWENTY-ONE

“THE LAST SHOWDOWN”



Ranma conquistò rapidamente terreno verso l’uomo ed il medaglione che rifulgeva sul suo petto, rischiarando pressoché a giorno l’interno della spelonca. A sua volta Shingo, sia pure continuando a comprimere nella mano il globo d’energia, come da monito per il prezioso ostaggio, torse lateralmente il collo, dirigendo lo sguardo verso il ragazzo con la treccia. E rivolgendogli, allo stesso tempo, qualche nuovo beffardo commento provocatorio.
Distratto quanto bastava.
Akane giudicò che fosse l’occasione propizia per sottrarsi dal suo raggio d’attacco. Accennò ad allontanarsi, evitando di far rumore, muovendosi carponi sul nudo terreno. Ma, già nel momento successivo, non fu più in grado di toccarlo. Nemmeno con i piedi. Shingo dovette aver intuito la sua intenzione e l’afferrò con la mano libera, sollevandola per il colletto della maglia.
“Non andartene così presto, dolce fanciulla!” scherzò, senza distogliere gli occhi da Saotome. “Non hai ancora ricevuto il mio regalino.”
“Maledetto! Lasciala!” intimò Ranma.
“Mi dispiace, ma temo che dovrai costringermi.” disse sornione l’altro.
L’avrebbe costretto, dunque. Mancava solo qualche falcata. Ad ogni modo, Shingo lo avrebbe sicuramente atteso: il giovane con la camicia cinese sapeva che quel pazzo non si sarebbe lasciato scappare l’occasione di colpire Akane proprio nel momento in cui lui fosse arrivato. Eppure era l’unica carta da giocare. Una carta azzardata, certo. Ancora di più dopo che quella testona della fidanzata aveva fatto a modo suo, consegnandosi in sostanza all’avversario. Certo che… se l’acqua non avesse funzionato? Si sentì mancare un palpito. In quel caso, Akane sarebbe stata spacciata. Ma ormai non c’era altro da fare, se non tentare il tutto per tutto.
Era arrivato alla giusta distanza. Compì un ultimo lungo balzo in avanti, dunque, come per scavalcare l’avversario: e, nell’istante che valutò opportuno, sfoderò un calcio deciso a mezz’aria.
“Idiota!” non poté fare a meno di esclamare Ryoga, fino allora costretto ad assistere e soffrire in silenzio. “Shingo schiverà il suo colpo!”
Non fu così. La sfera energetica si dissolse come una bolla di sapone. La mano fu così libera di artigliare la caviglia di Ranma, un istante prima dell’impatto, tenendo sospeso il ragazzo con il codino in un equilibrio molto precario.
“Un calcio? Tutto qui? Mi aspettavo di più, Saotome.” lo biasimò Shingo. “Anche prima. Eri così disperato da tentare, grazie ad un… gavettone, che Muchitsujo prendesse il controllo su di me? Credevo di essere stato chiaro, a riguardo: il talismano annulla la maledizione di Jusen.”
Indifferente allo sforzo di tenere sollevati da terra con una mano Akane e con l’altra il fidanzato, socchiuse le iridi, assumendo un’espressione gelida.
“Ed in quanto a Muchitsujo, ormai il suo potere è solo mio!”
Fu allora: Akane udì un grido strozzato, prima di cadere a terra. La presa era stata lasciata di colpo. Alzò lo sguardo, per constatare che Shingo era stato scagliato parecchi metri più avanti rispetto a lei.
Ryoga e la vecchia amazzone accorsero senza perdere tempo.
“Non… non ci credo!” esclamò il giovane con la bandana. Ranma lo aveva colpito. E proprio con un calcio: non aveva fatto altro che usare l’altra gamba, facendo leva proprio sulla presa di Shingo, per centrarlo in pieno petto… e dire che, fino a quel momento, non erano mai riusciti ad avvicinarglisi in alcun modo! Lui come diamine c’era riuscito?
“Certo, ora capisco!” annuì pensosa Cologne. “Avevo così paura che Shingo si trasformasse nel dio, da non vedere in faccia la realtà.”
“Akane!” esclamò il giovane con la treccia. “Tutto bene?”
“Sì, Ranma.” sorrise lei. “Grazie.”
“Rimani qui con gli altri!” disse alla fidanzata. “Shingo deve pagare, per tutto quello che ha fatto!” e, proferite queste parole, si avviò nella sua direzione.
Shingo stava ancora cercando, faticosamente, di rialzarsi in piedi. Levò il braccio, accennando a formare una nuova sfera di luce, ma il dolore del colpo patito era ancora troppo vivo: fu invece costretto a portarsi la stessa mano sul torace, digrignando i denti per farvi fronte.
“Quanta scena per un semplice calcetto, Shingo!” lo canzonò Ranma, scimmiottando il medesimo atteggiamento dell’altro di solo poco prima. “Non mi sembri un granché resistente, se non riesci a sopportare una sciocchezza come questa.” Detto ciò, gli si proiettò nuovamente davanti, colpendolo, questa volta, con un pugno sullo stomaco. L’uomo fu conseguentemente scaraventato all’indietro, andando a schiantarsi contro una roccia.
“Bravo Ranma!” esclamò Akane. Quindi si voltò istintivamente verso i due compagni. Non avevano esultato allo stesso modo. Meglio, non avevano proprio esultato. Guardò Cologne, tutta intenta a studiare la situazione: e avvertì il suo respiro difficile ed affannoso. L’amazzone, per quanto cercasse di non darlo a vedere, era sfinita. Nella lotta contro Shingo, aveva dato certamente fondo a tutto il proprio spirito combattivo.
Ryoga non pareva in condizioni migliori. Anche lui cercava di far finta di niente. Anzi, quando, un momento dopo, si accorse di essere osservato dalla giovane Tendo, incontrò il suo sguardo e le sorrise con fare rassicurante. Ma Akane l’aveva notato: stava soffrendo di dolore e, non a caso, si era portato una mano sulla spalla, forse temendo di avere qualcosa di rotto. Il colpo di Shingo di pochi minuti indietro non era stato senza conseguenze.
Akane stessa, del resto, sapeva di non essersi pienamente ripresa dall’ultima botta subita.

Di nuovo! L’uomo del medaglione si asciugò un rivolo di sangue che gli scendeva dal mento. Per la seconda volta, non era riuscito a schivare il colpo del moccioso sbarbatello. Eppure avvertiva i poteri del medaglione, per non parlare di quelli di Muchitsujo, fluire in lui. Possibile che…
“Sei confuso, Shingo?” disse Ranma. “Ti spiegherò io.”
Si avvicinò all’avversario, con il suo consueto fare sicuro e un po’ arrogante.
“Vedi… sembra che nemmeno il tuo medaglione, per quanto potente, sia in grado di fare due cose nello stesso tempo.”
“Vero.” intervenne Cologne. “Ora che sei stato bagnato dall’acqua fredda, tutti i poteri del Tai-ma no Mamori sono concentrati esclusivamente nello sforzo di annullare gli effetti della maledizione, contrastando lo spirito di Muchitsujo.”
“Vale a dire” riprese la parola Saotome “che adesso dovrai fare a meno dei tuoi trucchetti.”
L’anziana amazzone annuì di nuovo tra sé, concludendo mentalmente il ragionamento. L’aura che era mutata proveniva, in verità, non da Shingo ma dal medaglione. Questo spiegava anche il brillio più intenso del normale.
“Molto ingegnoso.” mormorò Shingo, assumendo un’espressione indecifrabile. “Tutto ciò è stato davvero molto ingegnoso.”
“Inoltre, mi pare che tu abbia trascurato un tantino gli allenamenti che ti davano così noia, facendo conto sul tuo solo amuleto. In parole povere” Ranma assottigliò lo sguardo “siamo finalmente alla resa dei conti!” gridò, lanciandosi in un terzo attacco.
Sferrò un nuovo calcio. Questa volta, però, Shingo spostò il busto all’indietro, evitandolo. Ranma allora portò un braccio a terra e, facendo leva su di esso, spiccò un ulteriore guizzo, distendendo le gambe per colpire a piedi congiunti. L’uomo del medaglione incrociò le braccia davanti a sé per attutire il colpo: quindi si distese a sua volta, colpendo con l’arto inferiore il braccio del ragazzo con il codino e facendogli perdere l’equilibrio.
“Acc…”
“Sai? Hai proprio ragione.” ridacchiò Shingo. “Questa, per te, sarà la resa dei conti.”
Con un’agile capriola all’indietro recuperò una posizione eretta, guadagnando un certo vantaggio su Ranma, ancora supino a terra.
“Potrai pure colpirmi, adesso.” aggiunse. “Ma ciò non toglie che ti sono di gran lunga superiore.”
Spiccò un balzo in alto, per piombare sul giovane Saotome. Questi rotolò lateralmente, evitando di poco l’attacco. Accennò a rialzarsi, quando vide il palmo della mano di Shingo tornare ad emettere una fonte di luce.
“Che diav…”
Ranma fu scaraventato contro una parete della caverna. L’uomo dai capelli riflesso del platino fissò per un attimo il proprio arto, lasciando che un ghigno beffardo gli alterasse i lineamenti del viso.
“Oh, ma guarda!” mormorò, con finto stupore. “Sembra che nonostante tutti i tuoi bei ragionamenti, caro Saotome, io sia ancora in grado di emettere i miei colpi energetici. Dopotutto, il mio spirito combattivo non pare essere così debole. E forse dimenticavi che anch’io, come te, ho dedicato tutta la vita alle arti marziali.”
“La sai una cosa, Shingo? Tu parli troppo!” replicò l’altro, impettendosi e lanciando a mani giunte un Moko Takabisha in direzione dell’interlocutore. Shingo non era certamente l’unico a poter fare quei giochetti.
L’altro si buttò a terra per scansare il colpo. Ranma sorrise, soddisfatto di quello che aveva appena visto: ciò confermava che quel pallone gonfiato non era più in grado di fermare gli attacchi basati sul ki. E Ranma, di ki, ne aveva da vendere più che mai.
Approfittando del momento, il giovane con la camicia cinese annullò la distanza che lo separava dal contendente e scagliò una serie di pugni, immediatamente imitato dall’avversario. Ciascuno schivò con agilità i colpi dell’altro. Quindi Ranma fece uno, due, tre passi indietro, con l’intenzione di prendere uno slancio, e si ripropose in avanti. Adesso Shingo avrebbe visto l’abilità di un vero artista marziale.
“Kachu Tenshin Amaguriken!” gridò.
La velocità delle mani di Ranma aumentò considerevolmente e Shingo dovette porsi sulla difensiva: non riuscì, però, a parare tutti i pugni e, questa volta, fu lui ad indietreggiare, per non soccombere alla carica incessante. Era chiaramente in difficoltà.

All'improvviso tutto cominciò a tremare. Una nuova scossa. Per ogni dove, si verificarono simultaneamente tante piccole frane, mentre alcune stalattiti si staccarono dal soffitto dell’antro. Questo avvenne anche vicino ai due contendenti, distogliendoli dal combattimento. Ranma e gli altri arretrarono di corsa, proteggendo il capo: trovarono velocemente riparo in uno dei tanti anfratti della caverna, intanto che tra loro e Shingo, che al contrario era rimasto impassibile nella propria postazione, andava formandosi un vero e proprio muro di pietra.
Poi tutto finì e tornò la quiete.
Una quiete, però, tutt’altro che rassicurante.
“Cosa sta succedendo?” domandò Ryoga, guardando la vecchia amazzone.
“E’ per via di tutti questi combattimenti.” spiegò lei. “Hanno enormemente indebolito la struttura della caverna: rischia di crollare da un momento all’altro.”
Ranma notò che si trovavano vicino alla spaccatura che dava all’aperto: per loro fortuna, il sisma non l’aveva richiusa. Inoltre, Shingo era temporaneamente isolato da loro e questo avrebbe facilitato di molto le cose. Forse, era persino l’ultima occasione. Bisognava sbrigarsi, prima che fosse tardi.
“Ryoga, Akane, Obaba!” disse perentoriamente il giovane con la treccia. “E’ meglio che usciate fuori di qui!”
“Ma…” esitò l’eterno rivale.
“Niente ma.” fece Cologne. “Il consorte dice il giusto: eccezion fatta per lui, nessuno di noi è più in grado di combattere. Qui rischiamo la vita e, nelle nostre condizioni, saremmo solo d’impiccio.”
“Brava, vecchia!” disse Ranma.
Il ragazzo con la bandana annuì. “Ora che puoi” disse dopo, rivolto all’amico-nemico “sbrigati a dare a quel tipo il colpo di grazia. Anche da parte mia.”
Il giovane Saotome sorrise, in atto di conferma.
“Ranma!” esclamò la fidanzata con tono di protesta, mentre gli altri due cominciavano ad avviarsi. “Pretendi veramente che ti lasciamo qui?! Non puoi chiedercelo una seconda volta!”
“Non preoccuparti!” disse. “E poi ti risulta che abbia mai perso un incontro?”
Lo sguardo di Akane, tuttavia, non era convinto.
“Ascoltami.” fece Ranma, con tono più gentile. “Questa volta è diverso: vi prometto… ti prometto che vi raggiungerò non appena avrò terminato qui.” Alzò lo sguardo per controllare che Ryoga e Obaba fossero abbastanza distanti. Quindi riprese, a voce più bassa ed arrossendo involontariamente: “Inoltre… c’è ancora quella cosa che dovevo dirti. E, lo ripeto, non mi piace lasciare le cose a metà.”
Akane arrossì a sua volta: dunque, non se l’era immaginato. Quel pensiero arrestò per qualche attimo ogni suo intento di protestare. D’altronde, non avrebbe più avuto modo di farlo in ogni caso.
Avvertirono, infatti, delle nuove vibrazioni: questa volta provenivano dalla parete improvvisata di massi. Non ci volle loro molto per capire che era Shingo che si faceva strada.
“Sbrigatevi!” disse Ranma.
Controllò con lo sguardo Akane mentre raggiungeva gli altri e, con loro, si allontanava per lasciare la cavità. Questa volta non li avrebbe traditi. Non ne aveva alcuna intenzione. Non poteva, però, andarsene senza concludere la questione: Shingo andava sconfitto e fuggire non avrebbe portato a niente.

L’ultimo strato di massi fu polverizzato. Immersa nel nuvolo di polvere che si era sollevato, si poteva vedere stagliarsi la figura dall’uomo del medaglione.
“Dunque, aiutami a ricordare. Dov’eravamo rimasti, Ranma Saotome?”
“Alla tua fine!” gridò Ranma, sparando un nuovo Moko Takabisha.
Questa volta la foschia che susseguì alla detonazione del colpo fu tale da ricoprire ogni cosa. Ranma non vedeva più niente. Si aspettava di venire attaccato da un momento all’altro, tuttavia non accadeva nulla: forse l’avversario attendeva che fosse lui a fare la prima mossa. Ebbene, l’avrebbe accontentato. Non era vigliacco, lui.
“Dove sei, Shingo? Fatti vedere!” gridò, orientandosi al medesimo tempo con l’eco della propria stessa voce. Finché non avvertì i passi dell’altro, che si facevano sempre più veloci e sempre meno distinti.
Stava veramente scappando? Del resto, poteva anche darsi. Shingo era stato spavaldo soltanto fin quando aveva avuto nelle sue mani il controllo. Sfuggito questo, tolto il paravento del potere, l’essere umano dietro il medaglione si era rivelato in tutta la propria miseria.
Ranma cominciò, dunque, ad inseguire la sorgente del fievole rumore, mentre l’ambiente intorno tornava a farsi più nitido. Arrivò nell’esatto luogo dove Akane aveva frantumato la parete. L’acqua filtrava ancora in piccole dosi.
“Mi cercavi?” la voce di Shingo rimbombò per tutto l’antro. Era dietro le sue spalle. Ranma si voltò. Lo vide, in una cavità del suolo, immerso nell’acqua fino alle caviglie. Troppo tardi per fare qualcosa: il giovane Saotome capì di essere in trappola. Come teso a spostare l’aria, l’uomo distese il braccio. Così facendo, con un campo d’energia posto ad estensione del braccio stesso, inzuppò Saotome prima che questi potesse scansarsi.
“Maled…!” esclamò un Ranma ormai in versione femminile e bagnato fradicio, dalla testa ai piedi.
Dopo di ciò, l’altro spalancò i palmi verso il basso, rilasciando il proprio ki. In pochi secondi, l’acqua attorno a Shingo fu riscaldata. Istantaneamente, l’aura del medaglione mutò ancora, ritornando all’imponenza di prima.
“Non avevo ancora avuto modo di ringraziare per la doccia di poco fa.” ghignò l’uomo. “Ora direi che siamo pari.”
“Accidenti a te! E tu questo lo chiami essere alla pari?!” tuonò la ragazza con la treccia, letteralmente furibonda. I suoi pensieri avevano trovato conferma. Quel tipo, dopotutto, era solo un individuo dei più vili e spregevoli.
“Basta lamentarsi!” disse l’individuo dai capelli riflesso del platino, attaccando con una serie di pugni che Ranma non poté in alcun modo evitare.
“Ma… maledetto codardo!” esclamò la giovane dalla chioma fulva, asciugandosi un rivolo di identico colore che le usciva dalla guancia. Combattere in quelle condizioni era molto più difficile: tanto più che Shingo, grazie all’acqua calda, era tornato pericoloso come prima.
*Devo arrivare anch’io all’acqua calda!* giudicò Saotome, lanciandosi verso Shingo.
“Dimmi, vuoi farti un tuffo?” ridacchiò quello, emettendo un nuovo getto rovente di energia ed evaporando all’istante tutta l’acqua, proprio un momento prima che Ranma arrivasse. “Spiacente, hai fatto troppo tardi!” concluse, sferrandogli un nuovo colpo.
“Dannato!” urlò la rossa, al colmo dell’esasperazione.
Cominciò ad arretrare. Shingo seguì ogni suo passo, adesso però senza attaccare: sembrava stare al gioco, quasi divertito dal repentino mutamento di scena.
“E così sarei io il codardo?” ridacchiò.


Cologne si arrestò. Erano giunti alla fine della ripida salita, tanto che potevano già scorgere un’ampia porzione di cielo filtrare dall’esterno, assieme alle figure degli altri. Fino a quel momento, si era occupata di guidare Ryoga, temendo che il ragazzo fosse capace di perdersi persino in quella circostanza: e non valeva certo la pena rischiare. Ma, mentalmente, stava seguendo il combattimento del consorte con profonda attenzione. Così, ora, aveva avvertito le nuove alterazioni di energia. L’aura del Tai-ma no Mamori non era più intensa come prima. Guardò meccanicamente alle proprie spalle, verso l’interno dell’abisso. Cos’era successo, lì dentro?
“C’è qualcosa che non va, Obaba?” domandò Hibiki, voltandosi nella stessa direzione. E scoprì l’amara verità. Era stato troppo intento a seguire la vecchia che saltellava sul solito bastone passo per passo, per paura di fare brutte figure davanti ad Akane. Così non si era potuto, in alcun modo, accorgere che lei non era affatto con loro.
“Dov’è finita Akane?!” gridò disperato, con le mani ai capelli. Non poteva essersela lasciata sfuggire una seconda volta.
“Akane?” ripeté incerta Cologne. “Se fosse andata avanti a noi, l’avremmo vista. Dunque, l’ipotesi più probabile è che non ci abbia mai seguiti…”
Questo scatenò tutta la disperazione di Ryoga. Mentre l’anziana amazzone, compiendo gli ultimi balzi verso l’aperto, passò rapidamente lo sguardo sul resto del gruppo, che per lo più si trovava tuttora privo di sensi.
E notò che Akane non era l’unica persona ad essere sparita.


La ragazza con la treccia, continuando a ritirarsi pur non volgendo mai le spalle all’avversario, cercò di valutare al tempo stesso lo stato delle cose. Acqua calda, era impossibile procurarsene altra in quella caverna. Ed ormai sapeva benissimo che Shingo non gli avrebbe consentito di lasciare quel posto. Non vivo, almeno. Fuggire non era una cosa che recava gradimento a Ranma, eppure doveva assolutamente guadagnare tempo per escogitare qualcosa. Qualunque cosa.
“Devo ammettere che mi hai dato più filo da torcere di quanto immaginassi, non mi hai fatto annoiare nemmeno un poco… Ma adesso è finito il tempo di giocare!” decretò Shingo. Dopodichè, cominciò a scagliare i suoi colpi energetici, a breve distanza, uno dopo l’altro.
Ranma riuscì a schivarli, con balzi e capriole varie. Bene così, per il momento: ma se la cosa fosse andata avanti troppo a lungo, sarebbe stato, presto o tardi, sconfitto per la stanchezza. Doveva assolutamente farsi venire in mente un’idea, senza nel frattempo deconcentrarsi di fronte a quegli attacchi di energia. In verità, l’istinto aveva già pensato a dettargli un piano, ispirato dal calore provocato dagli attacchi: ma la ragione aveva già provveduto a disilluderlo, ricordandogli che nessuna delle tecniche che Ranma conosceva sarebbe stato in grado di aiutarlo, stavolta.


Se Ranma credeva che lei veramente se ne sarebbe stata buona ad aspettarlo mentre combatteva un pazzo dotato di poteri sovrumani, si sbagliava di grosso. Si era accodata a Ryoga e Obaba solo per la prima parte di strada, per poi tornare sui propri passi. Adesso, aveva visto che Ranma era nella sua versione maledetta e parecchio in difficoltà: stava, così, cercando di avvicinarsi il più possibile al campo di battaglia per cercare di essere d’aiuto, facendo nel contempo la massima attenzione a non farsi individuare da Shingo.
Non si accorse, però, che già un’altra figura aveva notato la sua presenza.


Il respiro di Ranma si era fatto affannoso. Stava solo perdendo tempo. E stancandosi ulteriormente. Tanto più che, come se la situazione non fosse di per sé abbastanza drammatica, era pure abbondantemente impedito dai propri stessi vestiti: larghi, fuori misura e più pesanti per via dell’acqua che avevano trattenuto. Non aveva avuto nemmeno tempo e modo di strizzarli, in qualche maniera. I movimenti non gli riuscivano, quindi, troppo agili. Come se tutto ciò non bastasse, adesso gli pareva anche che si formassero numerosi bozzi, come quello della tasca dei pantaloni…
Infilò istintivamente una mano nella suddetta tasca. Quello era un vero bozzo. C’era qualcosa dentro. Lo tirò appena fuori per un’estremità, scorgendo l’oggetto con la coda dell’occhio. Chi gliel’aveva messo nei pantaloni? E quando? Provando ad estrarlo completamente, fece uscire un piccolo foglio di pergamena. Lo prese al volo, prima che cadesse a terra. Una sola frase.

Fanne buon uso.

“Vedi di non distrarti, se non vuoi che tutto finisca subito!” lo provocò Shingo, il cui ultimo colpo energetico aveva sfiorato di poco la ragazza con il codino.
Ranma rialzò lo sguardo, fiero. Improvvisamente aveva capito. D’altronde, era forse la soluzione più semplice. Per quanto, fin troppo radicale. Ma Shingo andava fermato immediatamente, per il bene di tutti: questa era la cosa più importante. Ora, dato che la soluzione c’era, gli occorreva solo uno stratagemma per attuarla. Pensò che il suo istinto, dopotutto, non si era rivelato così inutile.
Il percorso invisibile tracciato meccanicamente dai suoi passi, del resto, era quasi completato. Non sapeva se Shingo se ne fosse accorto, ma a questo punto non era più l’elemento essenziale. Ad ogni modo, era l’unica tecnica che potesse utilizzare, ora che era meno forte: l’unica che, tra quelle conosciute dal giovane Saotome, gli permettesse di sfruttare a proprio favore, di forza, quella dell’avversario.
Ecco, era il momento. Shingo si trovava assieme a lui presso il centro della spirale. Con la mano, pareva caricare un nuovo colpo energetico: sarebbe bastato schivare anche questo, quindi Ranma stesso avrebbe potuto colpire.
Eppure, qualcosa non andava. L’uomo pareva, improvvisamente, come distratto da altro.
*Cosa… chi sta guardando?* si chiese, mentre un terrore illogico gli invadeva la mente senza preavviso. Guardò di lato, con la coda dell’occhio. Capì. Akane era poco distante da loro, tanto per cambiare non gli aveva dato ascolto. E quel maledetto l’aveva vista e la stava tenendo sotto mira. La frustrazione e la rabbia crebbero vorticosamente nell’adolescente con la treccia.
“Vedo che te ne sei accorto, finalmente!” sibilò Shingo.
“Non te lo lascerò fare! Hiryu Shotenhaaa!” gridò Ranma con tutte le forze che gli restavano, levando il pugno con un movimento rotatorio e aspettando quello che sarebbe seguito.
Nient’altro. Non si sollevò nemmeno il refolo più insignificante.
“Ma cosa…” Fu questione di un istante. Intese subito dove aveva sbagliato: anche il proprio spirito combattivo stava ardendo all’interno della spirale. Mancava il cuore di ghiaccio, si era lasciato travolgere dall’ira e ciò aveva impedito lo scatenarsi del drago volante.
“Che delusione, non impari mai.” disse Shingo, sorridendo. “Eppure te l’avevo già detto chiaramente, tempo fa. Un artista marziale deve rimanere freddo, qualunque cosa accada. Ed ora la tua fidanzatina pagherà molto caro questo errore.” Pronunciò l’ultima frase con voce molto più marcata, così da poter essere udito anche da Akane: la quale si accorse solo in quel momento di essere stata scoperta e rimase troppo attonita per fare qualunque cosa.
“Noo!” gridò Ranma, vedendo il fascio di energia partire dal palmo di Shingo.
Per schiantarsi un solo secondo più tardi. Contro un enorme masso scagliato nella sua direzione: il quale, per l’impatto, si ridusse in migliaia di frammenti che schizzarono da ogni parte.
Shingo chiuse istintivamente le palpebre. Quando le riaprì, appena dopo, intravide, immersa nel pulviscolo, una figura lanciarsi in posizione di attacco contro di lui.
Akane, dalla propria postazione, poté distinguerne nettamente i contorni. “Shampoo?!” esclamò, con sua somma sorpresa. Aveva attaccato Shingo e… possibile che l’avesse difesa?

“Shampoo è molto allabbiata con te!” gridò la ragazza dai capelli color lavanda, scagliandosi verso Shingo. “Tu molilai. Adesso!” Questa, la sola punizione adeguata per essersi preso gioco impunemente di una guerriera amazzone. Lei ne era sicura. Del resto, non era l’unica cosa di cui lo era. Non più.
Dopo aver ripreso i sensi e parlato con Mousse, si era subito risolta a raggiungere ailen… cioè, Ranma. Entrata nella caverna, però, non aveva saputo cosa fare, soprattutto temendo ancora la reazione del proprio amato una volta che l’avesse rivista. Fin quando non aveva compreso. Lo aveva constatato già quando si trovava all’esterno: le certezze che aveva, non erano crollate tutte. Ed una di queste, poteva ancora recuperarla lei con le sue stesse mani. Qualcosa che andava oltre le tante piccolezze dell’animo, oltre la ripicca, oltre l’orgoglio, oltre la gelosia. Oltre i suoi stessi sentimenti per Ranma.
Si trattava del proprio onore.

“Hai commesso un grosso sbaglio, cinesina!” disse l’uomo del talismano. Con lo stesso braccio ancora proteso in avanti, caricò immediatamente un nuovo colpo di energia: molto più debole del precedente, ma bastò per scaraventare l’amazzone contro la parete opposta del cunicolo, vicino a dove stava Akane.
“Non esitare, consorte: colpisci!” questa la voce di Obaba che sopraggiungeva. “Proteggerò io le ragazze.”
“Vecchia… sei tornata anche tu?” mormorò Ranma, piuttosto scombussolato dagli ultimi avvenimenti. Ma durò appena un istante. La cosa più importante era che gli avevano fatto guadagnare il tempo necessario per contenere nuovamente la propria aura. Per sua fortuna, la spirale di energia calda non si era ancora dissolta. Aveva una seconda occasione.
“Lo sai, Shingo? Un artista marziale non dovrebbe nemmeno mai distrarsi… HIRYU SHOTENHAAA!”

Il vortice fu totalmente diverso da quello che aveva colpito Asura. Quello era stato piccolo e sottile. Questo era un uragano in piena regola. L’ampiezza della spirale, la differenza delle temperature, erano state molto maggiori delle precedenti e ciò comportava un potenziale distruttivo infinitamente più grande. Cologne aveva fatto temporaneamente scudo alle fidanzate di Ranma ruotando vorticosamente il lungo bastone, invitandole al tempo stesso ad allontanarsi il più possibile e quindi ad aggrapparsi a qualcosa. Ma la vecchia sapeva che il vero pericolo si sarebbe concretizzato una volta che l’uragano si fosse sollevato dal suolo. Se avesse colpito la struttura portante della caverna, nessuno di loro avrebbe più trovato scampo. Si augurò che il consorte fosse stato ben consapevole di ciò che stava per scatenare.
Shingo accennò un sorriso. La mossa della disperazione, giudicò. Era ben consapevole che l’Hiryu Shotenha costituiva spesso l’ultima speranza, nei combattimenti di quel Ranma Saotome. Ed il movimento a spirale dei passi della graziosa fanciulla con la treccia non era sfuggito, fin dal principio, ai sagaci occhi dell’individuo con il medaglione.
L’aveva assecondato, dunque. Quel Saotome si era forse dimenticato che il Tai-ma no Mamori gli consentiva un controllo pressoché totale sull’energia interna? Nel momento in cui Ranma aveva levato il pugno, scatenando l’uragano, Shingo a sua volta aveva alzato attorno a sé un nuovo campo di forza: in questo modo, lo spostamento d’aria del vortice non lo aveva minimamente scalfito.
Si addentrò con fare tranquillo nella tromba d’aria. In pochi calmi passi, giunse nell’occhio del ciclone. Non vide nessuno. Strano, Ranma doveva trovarsi in quel punto preciso.
“Di’ un po’, Ranma Saotome. Vuoi per caso seppellirci tutti?” domandò ad alta voce, scrutando con lo sguardo alla sua ricerca. “Peccato che questo non rientri nei miei programmi.”
Distese le braccia nelle direzioni opposte, sparando due colpi energetici simmetrici: il vortice si spezzò e l’aria tornò quieta come in precedenza. Questa, la fine dell’Hiryu Shotenha. Ma Ranma non si vedeva ancora. In nessuna direzione. Che fine aveva fatto?
“Mi stai cercando, Shingo? Sono sopra di te!” esclamò una voce dal timbro femminile.
Shingo alzò lo sguardo, piegando il collo all’indietro per avere una chiara visuale. La ragazza vestita alla cinese, approfittando del momentaneo moto ascendente del vento, era rimasta sospesa a mezz’aria: precisamente, qualche metro al di sopra del proprio capo. Si era lanciata nel vortice da lei creato, approfittando della propria stessa tecnica.
*Hai mostrato il fianco!* meditò Ranma, le cui pupille si erano ravvivate di un fuoco acceso. Puntava proprio sul fatto che Shingo avrebbe facilmente annullato l’uragano. Ed era, inoltre, riuscito nel suo intento. Fino ad allora, da quando era stato ridotto nella propria forma femminile, gli era stato impossibile anche solo arrivargli vicino: ma, in quel preciso istante, il petto di Shingo era scoperto. Il talismano si trovava finalmente alla sua portata.
“Prendi il colpo decisivo!” gridò la ragazza con il codino. In quel preciso istante, qualcosa fu lanciato ad una velocità vorticosa contro l’avversario.
Il suono cupo dell’arcaico metallo di cui era forgiato il medaglione di Shingo rimbombò per alcuni interminabili istanti, tanto che ai presenti parve perfino sopraffare il precedente rumore del vortice. Il Tai-ma no Mamori era stato colpito.
Ancora con la testa innaturalmente inarcata all’insù, Shingo spalancò la mandibola. Un secondo più tardi, Ranma atterrò con un calcio deciso, stendendo l’avversario all’altezza precisa del mento.
“Ho visto giusto.” disse. “Ora è tutto finito.”
Il Talismano dello Spazio-Tempo. La vera forza di Shingo. Ma anche, allo stesso tempo, la sua debolezza.
Distruggerlo. Questo, giudicò Ranma, comportava la fine di ogni cosa.
Shingo era accasciato a terra, a pochi passi da lui. Che avesse perso i sensi? Improvvisamente fremette. Forse era sconvolto. Rannicchiandosi su se stesso, il volto completamente nascosto tra i capelli e le braccia, mantenne la propria posizione supina, distesa. Ranma poté notare che stava stringendo convulsamente le mani al petto. La determinazione della battaglia andò scemando, nella ragazza con la treccia, per fare posto alla compassione. Il potere, e la brama di gestirlo ed aumentarlo, aveva reso Shingo troppo pericoloso perfino per se stesso. Ma era una fine troppo triste, anche per quel pallone gonfiato.
Avanzò cautamente. Notò di sfuggita, in lontananza, lo squarcio della materia di prima: buffo, erano tornati nel punto esatto dove avevano iniziato a combattere. Per qualche secondo, l’unico rumore d’intorno fu rappresentato dalla cadenza regolare dei lenti passi di Saotome. Poi, ancora silenzio. L’altro dovette averlo sicuramente udito, ma non per questo rialzò lo sguardo, né mutò la propria posa.
Il corpo minuto della ragazza si chinò, andando ad incontrare quello, sempre rannicchiato e tremolante, dell’avversario.
“Shingo.” mormorò, come un sospiro.
Allungò una mano per tirargli via il braccio che gli copriva il viso. La prima cosa che scorse dalla sua espressione fu il sorriso. Un ghigno beffardo. Quello dettato dalla sicurezza di avere ancora la situazione a proprio favore. Shingo afferrò con violenza il polso di Ranma, stringendolo come se volesse spezzarlo.
“Ma che…”
L’uomo scosse i lungi capelli platino e si levò repentinamente in piedi, facendo leva sul braccio della giovane con il codino. Questa tentò di respingerlo, ma si trovò sbilanciata. Shingo la tirò a sé e le assestò un forte calcio sullo stomaco, mozzandole il respiro.
Sor-pre-sa!” sillabò giocosamente.
“Ranma!” esclamarono ad una voce le due fidanzate, accennando a soccorrerlo. Ma entrambe non riuscirono a muovere un solo passo in avanti.
“Ha alzato un nuovo campo di forza!” constatò Cologne.
“Maledetto… allora era tutta una finta!” ringhiò Ranma, sia per la rabbia sia per il dolore.
“Non dirmi che ti aspettavi qualcos’altro! Credevi veramente di poter distruggere il Tai-ma no Mamori? E per di più, con un semplice ciottolo?!” disse, lasciando che l’altro potesse vedere lo sfavillio del medaglione, perfettamente integro.
Si avventò su Ranma, che ancora non si era ripresa completamente, e la afferrò per il collo: quindi, la sollevò a qualche centimetro da terra. “Come dicevo poco fa, è finito il tempo di giocare.”
Ranma tentò di sottrarsi alla presa dell’artiglio di Shingo. Ma fu inutile, era troppo debole in quel momento. Non riusciva a muovere un solo muscolo e già si sentiva mancare l’aria nei polmoni: in questo modo, sarebbe soffocato in pochi secondi. Fece stridere i denti per la frustrazione.
“Vista la tua espressione” disse Shingo “mi sembra che tu abbia capito la fine che ti attende. Praticamente indolore, non sei contento?”
Accentuò lentamente la stretta. Notò che la cara donzella stava mormorando qualcosa.
“Come sono maleducato!” ghignò. “Il condannato ha diritto alle ultime parole, dopotutto.”
Rilasciò leggermente la presa.
“Avanti!” lo invitò. “C’è qualche cosa che tenevi a dirmi?”
“So… solo una.” Ranma raccolse avidamente quanto più fiato poteva. E, nonostante ciò, riuscì a tirare fuori appena un filo di voce. Ma le parole che seguirono, l’uomo del medaglione le comprese ugualmente benissimo.

“Non era un ciottolo.”

Shingo assottigliò lo sguardo. Le sue pupille si restrinsero.
Scaraventò Ranma a terra. La rossa tossì ripetutamente, recuperando il fiato. Shingo scrutò con frenesia in ogni direzione. Scorse un luccichio. Si diresse verso l’oggetto da cui proveniva e lo raccolse, con aria sconvolta.
“Consorte.” disse Cologne, sopraggiungendo. Il campo di energia era scomparso.
“Vecchia…”
“Quello che hai lanciato contro il medaglione. Ho visto bene? Era forse…”
“Lo è.” annuì Ranma. “Il Tai-ma no Mamori... Intendo, l’altro Tai-ma no Mamori.”
“L’hai rubato dall’altra realtà?”
“Veramente, no. Neanch’io ci avevo capito molto, all’inizio: ma forse questo foglio ci chiarirà tutto.” La ragazza col codino porse il pezzo di pergamena all’amazzone e pure lei poté leggere le parole che vi erano riportate. Erano scritte in nitidi ideogrammi giapponesi. Ma ciò non cambiava un importante dato di fatto.
“Questa… è la mia calligrafia!” esclamò Cologne.
“Lo immaginavo.” mormorò Ranma. “Questo foglio, insieme al medaglione, si trovava nei miei pantaloni.”
“Vuoi dire che ce l’ha messo il mio doppio dell’universo alternativo?” domandò la vecchia. “Tutto ciò è sorprendente. Ma in effetti credo che io stessa, in una situazione di questo tipo, non ti avrei rimandato nel tuo mondo, per così dire, allo sbaraglio. Può darsi che avrei compiuto la medesima scelta.”
Esitò un istante. Poi riprese a parlare. “Suppongo che la mia copia ti abbia anche suggerito un’idea di quello che succederà ora.”
“Già.” si limitò a dire Saotome. Ricordava troppo bene. La minaccia legata ai mondi paralleli. L’altra Obaba era stata molto chiara, a riguardo.

“Qualcosa che fa parte di un mondo non può coesistere a lungo col proprio doppio dell’altra dimensione: se, in caso, essi venissero accidentalmente a contatto, si annullerebbero a vicenda o comunque qualcosa di simile. Questo sta a protezione dell’equilibrio delle cose.”

Era stata una soluzione eccessivamente radicale, meditò Ranma. Ma Shingo stesso si era rivelato l’artefice della propria condanna, in fin dei conti. I poteri del medaglione erano tornati pieni ed incontrastati. Avrebbe potuto tranquillamente schivare il suo lancio di prima, nonostante lo stratagemma del vortice. Invece, si era lasciato colpire volontariamente. Superbo fino all’ultimo. Questa era stata la propria rovina.
Cologne gettò uno sguardo verso Shingo, che stringeva ancora i due medaglioni, ciascuno in una diversa mano. La vecchia sapeva che aveva due possibilità. Tenerli… e venire soppresso insieme ad essi dall’Ordine delle cose. Oppure sbarazzarsene… e perdere l’unica protezione contro Muchitsujo ed essere annichilato dall’interno per mezzo del dio del Caos, che lo possedeva. In ciascuno dei due casi, era spacciato.
Non si scherza con i poteri delle divinità. Aveva giocato con qualcosa di troppo superiore a lui ed ora ne stava pagando le conseguenze.
All'improvviso, un globo di oscurità di espanse dai medaglioni e inglobò una massa considerevole di spazio. Fu tutto fulmineo. Né Ranma né Cologne riuscirono a vedere molto: quando, però, il globo si ripiegò su se stesso, scomparendo in un microscopico punto senza lasciare traccia alcuna, nessuno di loro scorse più la presenza di Shingo.
“Ha scelto… il potere?” domandò Ranma, senza la vera intenzione di ottenere una risposta. Ma la ricevette lo stesso.
“Ha scelto l’ordine.” precisò Obaba. “Ed il controllo. Così sembra. Questa costituisce indubbiamente la decisione più favorevole, per noi.” Un silenzio irreale s’impadronì del luogo. Era finita per davvero? Akane provò a lasciar partire un sospiro di sollievo: ma questo non bastò a scrollarle di dosso un odioso senso d’inquietudine.
Shampoo ebbe per un solo istante l’impulso di lanciarsi ad abbracciare Ranma, che l’aveva appena vendicata: ma il suo sguardo incontrò per primo quello della bisnonna e i sensi di colpa ebbero in lei il sopravvento. La riabilitazione del proprio onore, la riabilitazione di fronte alla sua parente non era stata compiuta con così poco e ne era ben cosciente. Cologne intuì i pensieri della nipote e cominciò ad accennare un discorso. “Ascolta, bambina…”
S’interruppe subito, avvertendo l’improvviso sentore della minaccia.
“Attento!” gridò.
“Cos…” Ranma non ebbe il tempo di voltarsi verso la vecchia: un’ombra si abbatté fulminea sulla ragazza con la treccia, colpendola in pieno.
Shingo. Ma la sua espressione era completamente diversa rispetto a quella di pochi istanti prima. Nessuna traccia dell’atteggiamento canzonatorio che lo aveva sempre contraddistinto. Nonostante tenesse gli occhi chiusi, ogni suo lineamento era tutto meno che rilassato: ogni nervo, al contrario, pareva contratto in una tensione tesa a sfociare da un momento all’altro.
“Hai sbagliato, Saotome. Non è ancora finita!” sibilò. “In effetti, normalmente non avrei mai abbandonato il potere. Nemmeno ora che tutto è perduto. Eppure avverto un desiderio più forte, da soddisfare. Più forte di tutto il resto. Sai qual è?... La vendetta.”
Mentre proferiva quest’ultima parola, sollevò le palpebre. Lo zaffiro degli occhi stava rapidamente venendo sopraffatto da un rosso cupo sangue. “Sento già l’anima di Muchitsujo, dentro di me, che sta per sopraffarmi. Ma, prima di allora, ti farò assaggiare alcuni dei suoi poteri” disse. Soffiò appena e questo basto affinché Ranma-chan fosse avvolta da un gelido turbine e da esso scagliata contro la parete. Gli altri provarono ad accorrere, ma furono respinti da un nuovo spostamento d’aria.
Shingo si avvicinò al muro di roccia. Riconoscendolo, la sua mente fu illuminata da un’idea. “Potrei finirti in questa maniera. Ma non mi basta!” esclamò. “La tua morte sarà ancora più misera!” Dopo di ciò, assestò un potente pugno contro la parete, lasciandosi immergere dal getto d’acqua che ne fuoriuscì.
“Non è divertente?” gridò, sghignazzando senza più alcun ritegno. “Fra pochi secondi, Muchitsujo, corpo e anima, tornerà sulla terra per mezzo delle mie spoglie e riporterà di persona il Caos primigenio… Ah, dimenticavo: peccato che nessuno qui presente potrà assistere a questo.”
Cologne rabbrividì più di tutti. I suoi timori più neri si erano realizzati. La natura umana non può sostenere la vista di un’entità superiore: così loro sarebbero stati penosamente folgorati nel momento stesso della manifestazione divina.
“Che cosa?! Tu sei completamente andato!” esclamò Ranma.
Shingo, però, non ascoltava più. Il suo sguardo si era fatto del tutto assente e le iridi erano scomparse, immerse nel sangue di cui si erano completamente iniettati gli occhi. Questo, mentre l’acqua, che ancora sprizzava verso l’alto dopo averlo investito, si arricchiva di un riflesso luminoso ed accecante: e la terra, come consapevole dello sconvolgimento delle cose, riprendeva a tremare.
La vecchia amazzone avvertì il nuovo mutamento di energia. L’aura divina stava espandendosi rapidamente dal corpo di Shingo, diventando visibile anche ad occhi nudi, sotto forma di un alone splendente che avvolgeva via via e l’acqua e la pietra e la stessa figura dell’uomo.
“Shingo ha perso il controllo!” disse, svelando nel suo tono tutta l’amarezza che provava nel constatare che si stava verificando ciò che lei aveva inteso impedire fin da quando erano entrati nella caverna. “E noi siamo perduti.”
*E’ un pazzo totale! Non… non credevo avrebbe fatto questo. Ho sbagliato… ho dannatamente sbagliato!* pensò in maniera convulsa Ranma. Aveva già liberato Muchitsujo una volta, dalla fonte di Jusen, pur senza saperlo. Adesso, l’aveva fatto di nuovo. Forse era logico: il Caos richiamava solo altro Caos e la propria aura, come aveva detto Shingo, era irrimediabilmente intrisa di disordine. In nessun modo lui avrebbe mai potuto impedire ciò che stava avvenendo. Semplicemente, fin dal principio, non era la persona giusta.
La ragazza dai capelli rossi parò le braccia davanti al volto, pur conscia dell’inutilità di questo gesto: la luce, che s’irradiava dal punto preciso dove stava Shingo, era ormai divenuta intollerabile.
*Mi dispiace, Akane… non potrò mantenere la promessa…*
Attese l’inevitabile, con la speranza involontaria ed inconscia che tutto terminasse al più presto. Fu questo a scuotere Ranma, quando notò che era passato un certo tempo e nondimeno lui si trovava ancora cosciente: ciò gli permise di pensare con maggiore coerenza e di notare che sullo scenario rosso vivo, creato dal bagliore che picchiava brutalmente sulle palpebre sigillate, era da qualche secondo abbondante calato il sipario.
Ritrovò il coraggio e riaprì gli occhi, abbattendo ogni ostacolo tra sé e la realtà. Quello che vide aveva, tuttavia, ben poco di reale. L’antro era di nuovo assorbito dalla sua più consona penombra soffusa. Il terreno aveva cessato di vibrare, rivelando nuovamente la stasi ancestrale della terra. Perfino il getto d’acqua si era arrestato nel mezzo del proprio percorso, in maniera del tutto innaturale, andando ad assumere una consistenza solida ed impropria.
Finendo di sollevare lo sguardo, scorse anche lui. Shingo si trovava nell’identico punto di prima e senza parere in alcuna maniera cambiato nell’aspetto. Eppure, si avvertiva qualcosa di diverso. Stava fissando nella propria direzione e Ranma, sentendosi osservato, avvertì uno sguardo nuovo, placido, rilassato, superiore alle tante piccole vicissitudini che riempiono il mondo.
La ragazza con la treccia si voltò dietro di sé, intravedendo Akane e Shampoo accasciate a terra, svenute. Non così Cologne, che ricambiò l’occhiata.
“La trasformazione… è fallita?” osò dunque chiederle.
“Al contrario!” rispose la vecchia, che percepiva chiaramente la nuova aura. “Anche se non sembra, colui che abbiamo di fronte è proprio Muchitsujo.”
Sorrise, egli, a quelle parole: e fu un sorriso aggraziato e gentile, il preciso contrario di quelli che avevano sempre deformato il volto di Shingo. Quindi, decise fosse giunto il momento di rompere il proprio silenzio.
“Piacere di conoscerti, Ranma. Ti aspettavo. Da mille anni.”

   
 
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