Scritta per la community clicheclash
Titolo:
Era il suo amore per lui
Cliché: #29. Matchmaker (Casual
cliché)
Fandom: Originali
Rating: G
Disclaimers: Tutta roba mia (per vostra sfortuna)
Note: Anche se il personaggio di Clorinda
può
sembrare completamente contraddittorio, in realtà tutta la
storia segue un
certo percorso e niente è lasciato al caso.
Clorinda
era sempre stata convinta che Paolo e Violante
fossero destinati a finire insieme, sposati e con una ciurma di
marmocchi al
seguito, come la migliore delle famigliole perfette e diabetiche. Era
felice
per la sua migliore amica, certo, ma il problema consisteva nel fatto
che quel
sogno si stava allontanando sempre di più, visto che nessuno
dei due sembrava
propenso a fare una qualche mossa – una qualsiasi, per
diamine! – e tra di loro
non c’era nessuno scambio complice di sguardi, nessun
sfioramento di pelle più
o meno casuale, nessuna visibile tensione sessuale, proprio niente di
niente.
Però lei sentiva che erano anime
gemelle, le era bastato ascoltare una
sola volta come parlavano l’uno dell’altra e la sua
anima da ragazza romantica
si era risvegliata dal grigiore della monotonia quotidiana in cui era
caduta,
pronta a combinare qualcosa di buono da poter raccontare ai suoi futuri
nipoti
– “Sai Giorgio, se tu sei qui
è grazie alla zia, che è riuscita ad aprire
gli occhi a quei due tontoloni dei tuoi genitori. E la stessa cosa vale
anche
per te, Drusilla, quindi apri le orecchie e smettila di tirare i
capelli a
Brunilde. No Cosimo, non sono stata io a celebrare il loro matrimonio,
e poi
come fai a saper pronunciare ‘celebrare’ e non
‘pomodoro’, scusa?”.
Clorinda aveva già chiaro il futuro dei due amici, quello
che mancava era la
base di partenza, ma non se ne preoccupava particolarmente: aveva
passato
l’adolescenza china sui romanzi rosa ad apprendere ogni
singola tecnica di
conquista e niente le avrebbe rovinato i piani.
Saltellando allegramente – perché un nuovo giorno
era
iniziato insieme alla sua missione – si diresse verso la sua
classe, sperando
di trovarci Violante e cominciare con la fase A.
Prima che raggiungesse la porta, però, una mano le
strattonò
il braccio, facendola voltare e ritrovarsi sotto il cipiglio di un
ragazzo
irritato.
«Che diavolo significa?» strepitò lui,
facendole ondeggiare
a cinque centimetri dagli occhi il suo cellulare di ultima generazione
«Stavi
scherzando, vero? Dimmi che stavi scherzando!»
Clorinda si sentì vagamente offesa dalla poca fiducia che
riponeva in lei «Certo che no, Edoardo caro. E’
esattamente quello che ho
intenzione di fare».
«Tu sei pazza! L’ultima volta che ti sei impicciata
negli
affari degli altri hai fatto mollare Fabio e Simona, Leandro
è finito in
ospedale per una frattura multipla al femore e Umberto è
rimasto rinchiuso nel
ripostiglio del secondo piano per quattro ore! Il tutto in una sola
giornata!
Per non parlare di quando-»
«Ehi! Non è stata colpa mia!» si difese
Clorinda, ergendosi
in tutta la sua statura, ben misera a confronto con quella di Edoardo,
che
cercava di trattenere gli insulti rivolti a quella testa bacata con
tutto se
stesso.
«Ok, lasciamo stare. Sta’ sicura però
che non ti permetterò
di combinare un altro casino del genere, chiaro? A Paolo piace davvero
Violante».
Clorinda sorrise maleficamente «Proprio per questo ho
intenzione di aiutarli». E tu aiuterai me,
era la minaccia implicita che
gli stava trasmettendo con gli occhi.
Se qualcuno gliel’avesse chiesto, Edoardo avrebbe detto che
l’unico motivo che l’aveva spinto ad accettare di
aiutare quel flagello di
Clorinda era per non farle mandare all’aria le poche
possibilità che avevano
Paolo a Violante di finire insieme.
Se qualcuno gliel’avesse chiesto, Clorinda avrebbe detto che
l’unico motivo che l’aveva spinta a rendere
partecipe Edoardo era… in realtà,
era perché da sola si sarebbe annoiata,
nient’altro.
Lunedì
mattina, dieci minuti all’inizio della prima ora,
fase A: sapere nei minimi dettagli cosa pensava Violante di Paolo.
L’informazione era tutto.
Clorinda si accucciò sul pavimento polveroso della classe e
sbirciò da sopra il banco più vicino la Vittima,
che rideva insieme ad Anna e
Matilde pochi metri più lontano. Il suo piano era di
avvicinarsi di soppiatto,
alzarsi come se niente fosse e con un sorriso innocente – di
quelli che le
venivano bene – instaurare una conversazione che si sarebbe
spostata
strategicamente su Paolo.
Quello che non mise in conto fu di iniziare a starnutire ed
ansimare nel bel mezzo della risatina malefica che avrebbe coronato la
missione
e di arrancare per più sicuri lidi in cerca d’aria
fresca. Dannata polvere.
«Clo, stai bene?» le chiese la Vittima preoccupata,
guardandola dall’alto con la fronte aggrottata.
«Perché stai strisciando sul pavimento?»
chiese invece
Matilde, trattenendo a stento le risate, cosa che invece Anna non si
premurò di
fare.
Clorinda tossì e balzò in piedi, sistemandosi i
vestiti con
un colpo della mano. Fase 1 fallita, proseguire la missione.
Fece un
sorriso svagato e diede una pacca sulla spalla a Violante, che non
aveva ancora
smesso di fissarla preoccupata – probabilmente più
per la sua salute mentale
che per quella fisica.
«Ehi Viola, posso farti una domanda?» le chiese
innocentemente, lanciando un’occhiata ammonitrice alle altre
due; Matilde capì
al volo e si allontanò con una scusa, portandosi via Anna.
Violante spalancò gli occhi azzurri e annuì, la
ruga sulla
fronte ancora ben visibile, tanto che Clorinda si chiese se non stesse
invecchiando troppo precocemente e se Paolo la volesse anche con le
rughe.
«Allora, questa domanda?»
Clorinda si riscosse e pensò a come iniziare, ma lo sguardo
della Vittima le metteva fretta e così si ritrovò
a sputare fuori la prima cosa
che le passò per la testa «Ti va bene se usciamo
con Edoardo e Paolo, oggi
pomeriggio?»
Violante sbatté le palpebre un paio di volte e poi sorrise
«Ok, nessun problema».
«Vuoi dire che ti piace Paolo?» le chiese di getto
Clorinda,
ma lei non la sentì, perché in quel momento era
entrata l’insegnante di
Scienze, che con degli strilli da arpia li aveva obbligati a tornare
ognuno al
proprio posto.
Clorinda le lanciò un’occhiataccia per essere
arrivata nel
momento meno opportuno.
Però la fase A non era fallita del tutto, aveva solo subito
un piccolo cambio di strada, pensò mentre si dirigeva alla
cattedra per essere
interrogata.
Doveva soltanto dirlo a Edoardo.
Lunedì
mattina, intervallo, fase B: organizzare un’uscita a
quattro per quel pomeriggio.
La prima cosa da fare era trovare il Complice, disperso
molto probabilmente tra la folla che girovagava vicino alle
macchinette; poi
avrebbe dovuto informarlo sul cambio degli eventi e avrebbero dovuto
preparare
qualcosa per il pomeriggio. E ovviamente convincere Paolo ad andare con
loro.
Dopo aver battuto sulla spalla a sei ragazzi diversi, riuscì
a trovare quello che le serviva.
«Vieni con me, dobbiamo parlare!» lo
trascinò per un
braccio, lanciando un sorriso di scuse a Paolo che li fissava confuso,
e si
diresse verso un angolo più tranquillo, vicino alla porta
del bagno dei maschi,
che Clorinda era sicura non usasse mai nessuno.
«Che cavolo vuoi, flagello?» le chiese irato,
sbirciando ciò
che era rimasto del suo pacchetto di patatine.
Clorinda arrivò dritta al punto «Dobbiamo uscire
insieme
oggi pomeriggio! C’è stata una falla nel mio piano
e ho dovuto chiedere alla
Vittima se le andava bene di uscire con te e Paolo. Mi ha detto di
sì, quindi
vedete di tenervi liberi».
«Tu sei matta! Non hai pensato che potremmo avere degli
impegni inderogabili?» le chiese con una smorfia,
accartocciando il pacchetto
vuoto e appoggiando la schiena al muro.
«Questo è più importante!»
insisté Clorinda, sbattendo un
piede sul pavimento e guadagnandosi un’occhiata disgustata
«E poi voi siete
impegnati solo martedì, giovedì e sabato, dalle
cinque alle sette per il
calcio, credi che non lo sappia?»
Edoardo rabbrividì «Sei peggio di quello che
pensavo! Cos’è,
adesso sai anche quante volte andiamo in bagno in una
mattinata?»
«Di media due, ma non è importante»
rispose con aria vaga
Clorinda, inconsapevole della faccia sconvolta del compagno
«Allora ci vediamo
alle quattro in piazza, ok?» lo salutò agitando
una mano e saltellò via,
diretta verso la sua classe.
Fase B portata a termine con successo.
Lunedì
pomeriggio, fase C: far stare il più possibile
insieme Paolo e Violante.
Non appena si erano incontrati, Clorinda aveva afferrato un
braccio di Edoardo e se l’era trascinato dietro a passo
spedito, diretta verso
la fiera del paese, lasciandosi alle spalle la Coppia, che si era
limitata a
guardarli strano ed iniziare a parlare come se niente fosse.
Quella di andare alla fiera era stata una buona idea, pensò
Clorinda: c’era molta gente, quindi dovevano stare vicini;
c’erano diverse
attrazioni, dove sarebbero saliti insieme; c’erano migliaia
di occasioni per
comportarsi da coppia, sperando che uno dei due facesse qualcosa; e il
clima
era così allegro che persino Edoardo non aveva niente da
ridire.
Si erano ritrovati a spiare la Coppia da lontano e seguirli
su ogni attrazione e se Clorinda si sentiva davvero una superspia in
missione,
Edoardo si sentiva soltanto ridicolo, sotto gli sguardi divertiti che
lanciavano loro i passanti ogni volta che Clorinda lo obbligava a
nascondersi
per non essere visto. Era una cosa patetica e lui non vedeva
l’ora di
tornarsene a casa.
Come c’era da aspettarsi, li persero di vista e Clorinda
decise di dedicarsi al tiro a segno, per la gioia dei responsabili
delle
bancarelle, che si videro guadagnare più soldi in quelle due
ore che lei passò
a cercare di vincere qualcosa che in tutta la settimana di fiera.
Almeno finché Edoardo non si stancò di ricevere
pugni e
gomitate impreviste mentre lei prendeva la mira e si decise a fare una
partita
al suo posto, regalandole il più orribile pinguino che
Clorinda avesse mai
visto in vita sua e, mentre lei era occupata a studiarlo schifata,
riuscendo ad
allontanarla da quelle maledette attrazioni.
«Non dovevamo tenere d’occhio Paolo e
Violante?» berciò,
spingendola tra la folla.
«Sì, ma preferisco non vederli mentre si
dichiarano il loro
imperituro amore» commentò Clorinda, annusando il
pupazzo «Ma sei sicuro che sia
un pinguino? Mi sembra più una foca e poi puzza di patatine
fritte».
Edoardo roteò gli occhi «E’ un pinguino,
non vedi che
assomiglia ad un uccello? Le foche non assomigliano ad
uccelli».
«Neanche tu assomigli ad un uccello»
iniziò Clorinda.
Edoardo alzò un sopracciglio, chiedendosi dove volesse
andare a parare, e lei non lo fece attendere molto.
«Però sei un pollo».
«E tu hai bisogno di uno psichiatra, ma non mi sembra che te
lo faccia pesare».
Per fortuna di entrambi, si ritrovarono ad andare a sbattere
contro le Vittime, che passavano lì accanto, ridendo e
scherzando.
«Ragazzi, dov’eravate finiti? Vi stavamo
cercando» esclamò
Paolo con un gran sorriso.
Edoardo fulminò Clorinda, che si concentrò
nell’abbracciare
Violante senza schiacciare la foca-pinguino.
«Vi ho perso di vista un attimo e mi sono ritrovata in
compagnia di questo buzzurro!» si lamentò,
puntando un dito contro Edoardo, che
avrebbe tanto voluto prenderla tra le sue braccia e strangolarla con
tutta la
forza che possedeva, per poi tagliarle la lingua – che usava
fin troppo – e
seppellirla in qualche angolo sperduto del globo, dove
l’unico essere vivente
si poteva trovare a chilometri e chilometri di distanza. Ma, per quanto
Clorinda fosse insopportabile, lui era troppo gentiluomo per farlo e
lei era
una sua amica e, molto in fondo, le voleva bene.
Per di più, Paolo sembrava più contento del
solito ed era
tutto merito del flagello.
Forse la fase C non era andata come previsto, ma non si
poteva dire che non avesse avuto successo.
Martedì
pomeriggio, fase D: portare Violante all’allenamento
di Paolo. E riuscire a strapparle una confessione.
Non c’era voluto molto per convincere la Vittima. Le aveva
posto la domanda con aria spensierata, lei l’aveva guardata
per un attimo con
la fronte aggrottata, aveva ridacchiato e accettato in un battito di
ciglia.
Era stato facile e per una volta Clorinda era sicura che sarebbe filato
tutto
liscio.
Si azzardò a lanciare uno sguardo a Violante, che osservava
attentamente l’allenamento seduta accanto a lei oltre la rete
del campo.
Ma il problema era che Clorinda si stava annoiando. Non
capiva cosa ci fosse di divertente nel correre avanti e indietro,
sudando come
dei maiali rincorrendo uno stupido pallone, lasciandosi scappare
imprecazioni e
tirando ogni tanto dei calci alle gambe degli altri. No, davvero, era
uno sport
barbaro, quello. Scrollò la testa, osservando con
disapprovazione l’ennesimo
ragazzo caduto a terra, probabilmente dopo essere inciampato nei suoi
stessi
piedi.
«Fallo, fallo!» stava urlando qualcuno.
«Ma se non l’ha neanche toccato!» urlava
qualcun altro.
«Perché siamo qui?» chiese Clorinda.
Violante si girò verso di lei, alzando un sopracciglio
divertita «Me l’hai chiesto tu».
«Oh, già» borbottò Clorinda
«Ma è una tale noia!»
Violante sorrise senza dire niente, ma l’espressione saputa
che affiorò sul suo volto fece tremare Clorinda, che decise
di partire
all’attacco, prima ancora che Violante potesse aprire bocca
– perché era sicura
che lo stava per fare.
«Cosa ne pensi di Paolo?» chiese a bruciapelo,
lanciando
un’occhiata veloce ai giocatori in campo.
«Paolo?» ripeté Violante, leggermente
confusa.
Clorinda si voltò di nuovo verso di lei e la
perforò con lo
sguardo – se stava nascondendo qualcosa, quello era il
momento migliore per
farle sputare il rospo.
Violante esitò un momento, poi tornò a fissare il
campo con
un leggero velo di imbarazzo che le copriva le guance «Non
è male».
Se si fosse trattato di qualsiasi altra ragazza, Clorinda
non sarebbe stata per niente soddisfatta, ma era Violante quella con
cui stava
parlando e il suo volto era rosso e le sue dita tormentavano
incessantemente il
bordo della maglietta.
Ed ormai era ovvio che a Violante piacesse Paolo.
Fase D completata con un successo insperato.
Mercoledì
mattina, intervallo, fase E: trovare il modo per
far dichiarare Paolo.
Clorinda era convinta che tutto quello che servisse fosse
solo l’occasione giusta, poi il resto sarebbe venuto da
sé. Aveva percorso i
corridoi affollati della scuola almeno un paio di volte, ma del
Complice nessuna
traccia: avrebbe dovuto sgridarlo per essere sparito nel momento del
bisogno,
ma non sapeva dove andarlo a recuperare, quindi la ramanzina avrebbe
dovuto
aspettare. Per di più avevano cose più urgenti di
cui parlare.
Una testa che assomigliava a quella di Edoardo catturò la
sua attenzione e lei si mosse velocemente in direzione delle
macchinette. Ma si
bloccò a metà strada, perché con la
testa di Edoardo c’era anche quella di una
ragazza e a Clorinda bastò un attimo per capire dove fosse
stato il suo complice
fino a quel momento.
Sentì una fitta fastidiosa colpirle il petto – o
lo stomaco,
o tutto il corpo, non lo sapeva – e si voltò di
scatto, aumentando il passo e
cercando di allontanarsi il più possibile.
Continuava a ripetersi di non volerlo disturbare, perché
infondo aveva una vita anche lui ed era evidente che non girasse
intorno a
quelle di Paolo e Violante. Aveva il diritto di pensare ad altro una
volta ogni
tanto e lei non poteva obbligarlo a stare ad ascoltarla, se lui non ne
aveva
voglia. Continuò a ripeterselo, per tutti i restanti due
minuti di intervallo e
tre ore di lezioni; continuò a ripeterselo per tutta la
strada di ritorno,
ignorando le chiacchiere allegre di Violante; continuò a
ripeterselo mentre
studiava per il giorno dopo, faceva la doccia e aiutava a preparare la
cena.
Continuò a ripeterselo per tutta la sera, fino a quando non
spense la luce sul
comodino e si tirò le coperte fin sopra la testa. E forse
continuò a
ripeterselo anche dopo.
Ma Clorinda pensava troppo e saltava subito alle conclusioni
– quello stupido piano ne era la prova evidente –
per lei non c’erano mezzi
toni, tutto era uguale o tutto era diverso.
Clorinda pensava troppo, ma non sapeva nulla. Forse fingeva
– chi non lo faceva? – o forse quello che mostrava
era quello che provava
davvero.
Clorinda non lo sapeva, ma sapeva che quella sensazione che
provava dentro non le piaceva; si sentiva soffocare e i suoi occhi
pungevano.
Aveva qualcosa in gola e un peso nello stomaco. E non le piaceva.
Ma Clorinda non sapeva cos’era quello che stava provando e
gli dava poco peso. Perché preoccuparsi, infondo?
Probabilmente era soltanto un
principio di raffreddore.
Sperò che non si trattasse di influenza, perché
non poteva
permettersi di stare assente proprio durante la sua missione per
Violante. Si
girò nel letto e chiuse gli occhi, ignorando la morsa allo
stomaco.
Clorinda non sapeva troppe cose e andava troppo veloce. Se
si fosse fermata per un istante probabilmente avrebbe avuto il tempo di
osservare quello che accadeva intorno a lei.
Se si fosse fermata per un istante probabilmente avrebbe
visto il mondo da un’altra prospettiva.
Se si fosse fermata per un istante probabilmente avrebbe
visto il sorriso tirato di Edoardo.
Se si fosse fermata per un istante probabilmente avrebbe visto
Edoardo voltarsi verso di lei e fissare la sua schiena allontanarsi in
mezzo a
quelle degli altri studenti.
Ma Clorinda non si era fermata nemmeno per un istante e
aveva continuato a percorrere velocemente la sua strada.
Fase E: fallimento totale.
Quel
giovedì mattina si era svegliata con una nausea leggera
– sì, probabilmente si stava ammalando –
la colazione era stata poco abbondante
e si era ritrovata quasi subito in strada, diretta a scuola. Quel
mattino, per
una volta, non aveva voglia di pensare a Violante e Paolo. Anzi, non
aveva
voglia di pensare a nulla.
Dovette fare i conti con la realtà quando si
ritrovò davanti
Edoardo, una volta arrivata a scuola.
«Non dovevamo parlare, ieri? Dov’eri
finita?»
Clorinda lo osservò per qualche secondo, cercando di capire
cosa stesse succedendo nel suo corpo: le era tornata la sensazione di
soffocamento, la nausea era aumentata e il petto le faceva male. Non le
piaceva
sentirsi in quel modo, proprio per niente.
Deglutì con fatica e rispose «Visto che sta
andando tutto
bene, ho preso una pausa». Aggrottò la fronte,
sentendo la voce nervosa che
uscì dalla sua bocca – quella non era la sua voce.
Dov’era finita la sua voce?
Edoardo la osservò per qualche secondo, cercando di capire
cosa le stesse succedendo: la Clorinda che conosceva non avrebbe mai
preso una
pausa, non avrebbe parlato con voce strozzata e l’avrebbe
fissato negli occhi –
fastidiosamente – per l’intera durata della
conversazione. Chi era quella
ragazza che stava cercando in tutti i modi di sfuggirgli? Clorinda non
era mai
fuggita da lui, anzi, era sempre stato il contrario.
«Devo andare» disse lei e lo oltrepassò
a testa bassa.
Edoardo la fermò d’istinto «Ehi,
continuiamo più tardi, ok?»
Clorinda annuì, stirò le labbra in quello che
doveva
sembrare un sorriso e si allontanò.
Non sapeva perché vedere Edoardo le desse così
fastidio, ma
non le interessava e non ci voleva pensare. Si diede un paio di
schiaffi
leggeri e continuò a percorrere il corridoio, fino alla sua
classe.
Non ci voleva pensare, ma la morsa allo stomaco non le dava
pace ed era difficile prestare attenzione a quello che le stava dicendo
Violante. Parlava di un parco e di Paolo, poi di compiti e del tempo e
Clorinda
non capiva nulla.
E poi Violante la studiò attentamente, le sorrise e le
carezzò
i capelli con aria soddisfatta. E Clorinda non ci capiva più
nulla.
Le fu tutto chiaro soltanto quando Edoardo la venne a
cercare all’intervallo e le rivelò la
novità: Paolo aveva chiesto a Violante di
uscire. Solo loro due, quel pomeriggio, al parco. E Clorinda
capì di cosa
stesse parlando Violante quella mattina.
E finalmente si riscosse.
«Un appuntamento?» esclamò, mentre le
labbra le si piegavano
in un sorriso.
«Così sembrerebbe» rispose Edoardo,
confuso dal suo
improvviso cambio d’umore.
«Dobbiamo andare anche noi».
«Scusa?»
«Dopo tutto il lavoro che abbiamo fatto devo assolutamente
vedere come andrà a finire!»
«Io non vado a spiare l’appuntamento del mio
migliore
amico!» esclamò Edoardo con enfasi.
Clorinda alzò le spalle «Se non vuoi venire, non
venire. Io
ci vado».
Edoardo si massaggiò la fronte e poi si arrese. Sarebbe
andato anche lui, altrimenti chissà cos’avrebbe
combinato quel flagello.
Avrebbe anche potuto rovinare tutto e allora sì che
sarebbero stati guai. Non
lo faceva per farle compagnia e assolutamente non perché
volesse passare del
tempo con lei, lo faceva solo per Paolo. E perché era
contento che tutto fosse
tornato alla normalità.
Il
giovedì pomeriggio erano di nuovo al campo da calcio ad
assistere agli allenamenti, ma quella volta non era stata di Clorinda
l’idea;
Violante voleva vedere Paolo e lei aveva dovuto accettare e dopotutto
non le
dispiaceva.
L’unico problema era che Violante le lanciava ogni tanto
delle occhiate penetranti e Clorinda non capiva il perché.
Clorinda si era
ritrovata a non capire molte cose, in quei pochi giorni.
«Clo, tu pensi che io piaccia davvero a Paolo?»
Clorinda aggrottò la fronte e fissò
l’amica «Certo che gli
piaci. Perché me lo chiedi?»
Violante scrollò le spalle e puntò lo sguardo
verso la squadra
«Non lo so. A me piace molto, ma lui?»
«Si vede che gli piaci. Si capisce».
«Da cosa?»
Da cosa si capiva che Paolo era innamorato di Violante? Da
talmente tante cose che era difficile elencarle tutte «Ti
guarda come se non
esistesse nient’altro al mondo, come se fossi
l’unica cosa che vale la pena
guardare. E basta questo, no? A me basterebbe».
Violante sorrise e
le strinse forte un braccio «Vorresti che qualcuno ti
guardasse in quel modo?»
«E’ quello che vogliono tutti».
Ci fu un breve silenzio, in cui si sentirono solo le
imprecazioni e le urla dei giocatori, poi Violante parlò di
nuovo «Sai come mi
sento quando sono con Paolo?» le chiese, senza aspettarsi
davvero una risposta.
Ma Clorinda scosse comunque il capo e fissò il volto disteso
e il sorriso contento
dell’amica «Il cuore mi batte più forte
e il sangue mi fa quasi ronzare le
orecchie; ho un groppo che mi stringe la gola e lo stomaco che si
attorciglia;
non riesco più a pensare e dico le prime cose che capitano,
ma non cambierei
tutto questo per nulla al mondo. Perché è quello
che provo, è il mio amore per
lui».
Violante sembrava brillare mentre parlava, o forse era solo
la luce nei suoi occhi che la faceva brillare, e a Clorinda sembrava
più bella
del solito.
«Il tuo amore per lui» ripeté come per
avere una conferma.
«Il mio amore per lui» disse di nuovo Violante, col
sorriso
più bello che avesse mai fatto.
Allora era davvero quello l’amore? Non era per niente come
quello di cui aveva letto nei suoi romanzi rosa.
Venerdì
pomeriggio, parco, fase F: documentare il momento
clou dell’Appuntamento.
Erano rimasti
quasi tutto il tempo seduti a parlare su
quella panchina di legno e Clorinda non avrebbe mai pensato che un
appuntamento
potesse essere così noioso. Violante e Paolo non stavano
facendo assolutamente
niente, eppure sembravano contenti lo stesso.
«Per
quanto ancora dobbiamo stare qui?» chiese Edoardo
stravaccato sulla panchina dietro cui si era nascosta.
«Mi
sono stufata, non stanno facendo niente» borbottò
contrariata Clorinda, spegnendo la fotocamera digitale e andando a
sedersi
accanto ad Edoardo, con il mento appoggiato sul palmo di una mano
«E poi non
avresti dovuto sederti in così bella mostra. Se ci scoprono
sarà tutta colpa
tua!»
Edoardo fece a
meno di farle notare che anche lei si era
seduta su quella stessa panchina e si limitò a fissarla da
dietro le lenti
scure degli occhiali da sole «Figurati se si accorgono di
altro. Saranno troppo
impegnati a guardarsi negli occhi come due deficienti».
Clorinda
arricciò le labbra – perché Edoardo
proprio non
capiva niente – e incrociò le gambe sulla
panchina, voltando leggermente il
capo verso di lui.
Sentiva i
battiti del suo cuore, che sembrava stessero
aumentando inspiegabilmente, e di nuovo un macigno le comparve in gola.
Era il
groppo di cui parlava Violante? Clorinda non lo sapeva, ma non riusciva
a
pensare ad altro. Non riusciva a spostare lo sguardo da Edoardo
– e in realtà
non ci provò nemmeno – ma era contenta e,
nonostante quelle strane sensazioni,
si sentiva stranamente in pace col mondo. Lì, su una stupida
panchina sporca e
scomoda, con il sole che la costringeva a stringere gli occhi e lo
stomaco in
subbuglio, lei stava bene.
«Perché
mi fissi?» le chiese Edoardo di punto in bianco.
«Potrei
farti la stessa domanda».
Lui fece
schioccare la lingua e voltò il capo, intenzionato
ad ignorarla.
Ma quella
volta Clorinda si fermò per un istante e si
accorse del lieve rossore che si intravedeva sulla guancia sinistra di
Edoardo.
E non riuscì a frenare il gran sorriso che le
spuntò sulle labbra.
Quella volta
Clorinda si fermò per un istante, scivolò
più
vicina ad Edoardo e si allungò per togliergli gli occhiali
da sole.
Quella volta
Clorinda si fermò per un istante e un nuovo
mondo le si aprì davanti.
La fase F non
era andata a buon fine, ma in realtà a nessuno importava
più niente.