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Autore: Daphne_Descends    22/09/2011    3 recensioni
Per Clorinda, Paolo e Violante sono la coppia perfetta ed è decisa a farli finire insieme anche a costo di passare tutte le sere della sua vita da adolescente a pianificare ogni singolo dettaglio. Ma Clorinda e le pianificazioni non vanno per niente d’accordo e per far sì che la missione vada a buon fine ha assolutamente bisogno dell’aiuto di Edoardo.
Lo stesso Edoardo che pensa che lei sia pazza, insopportabile, porti iella, ma che, tutto sommato, non sia poi tanto male.
[Torre dei cliché: #29, Matchmaker]
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Scritta per la community clicheclash 

 

Titolo: Era il suo amore per lui
Cliché: #29. Matchmaker (Casual cliché)
Fandom: Originali
Rating: G
Disclaimers:
Tutta roba mia (per vostra sfortuna)
Note: Anche se il personaggio di Clorinda può sembrare completamente contraddittorio, in realtà tutta la storia segue un certo percorso e niente è lasciato al caso.

 


Clorinda era sempre stata convinta che Paolo e Violante fossero destinati a finire insieme, sposati e con una ciurma di marmocchi al seguito, come la migliore delle famigliole perfette e diabetiche. Era felice per la sua migliore amica, certo, ma il problema consisteva nel fatto che quel sogno si stava allontanando sempre di più, visto che nessuno dei due sembrava propenso a fare una qualche mossa – una qualsiasi, per diamine! – e tra di loro non c’era nessuno scambio complice di sguardi, nessun sfioramento di pelle più o meno casuale, nessuna visibile tensione sessuale, proprio niente di niente. Però lei sentiva che erano anime gemelle, le era bastato ascoltare una sola volta come parlavano l’uno dell’altra e la sua anima da ragazza romantica si era risvegliata dal grigiore della monotonia quotidiana in cui era caduta, pronta a combinare qualcosa di buono da poter raccontare ai suoi futuri nipoti – “Sai Giorgio, se tu sei qui è grazie alla zia, che è riuscita ad aprire gli occhi a quei due tontoloni dei tuoi genitori. E la stessa cosa vale anche per te, Drusilla, quindi apri le orecchie e smettila di tirare i capelli a Brunilde. No Cosimo, non sono stata io a celebrare il loro matrimonio, e poi come fai a saper pronunciare ‘celebrare’ e non ‘pomodoro’, scusa?”. Clorinda aveva già chiaro il futuro dei due amici, quello che mancava era la base di partenza, ma non se ne preoccupava particolarmente: aveva passato l’adolescenza china sui romanzi rosa ad apprendere ogni singola tecnica di conquista e niente le avrebbe rovinato i piani.
 
Saltellando allegramente – perché un nuovo giorno era iniziato insieme alla sua missione – si diresse verso la sua classe, sperando di trovarci Violante e cominciare con la fase A.
Prima che raggiungesse la porta, però, una mano le strattonò il braccio, facendola voltare e ritrovarsi sotto il cipiglio di un ragazzo irritato.
«Che diavolo significa?» strepitò lui, facendole ondeggiare a cinque centimetri dagli occhi il suo cellulare di ultima generazione «Stavi scherzando, vero? Dimmi che stavi scherzando!»
Clorinda si sentì vagamente offesa dalla poca fiducia che riponeva in lei «Certo che no, Edoardo caro. E’ esattamente quello che ho intenzione di fare».
«Tu sei pazza! L’ultima volta che ti sei impicciata negli affari degli altri hai fatto mollare Fabio e Simona, Leandro è finito in ospedale per una frattura multipla al femore e Umberto è rimasto rinchiuso nel ripostiglio del secondo piano per quattro ore! Il tutto in una sola giornata! Per non parlare di quando-»
«Ehi! Non è stata colpa mia!» si difese Clorinda, ergendosi in tutta la sua statura, ben misera a confronto con quella di Edoardo, che cercava di trattenere gli insulti rivolti a quella testa bacata con tutto se stesso.
«Ok, lasciamo stare. Sta’ sicura però che non ti permetterò di combinare un altro casino del genere, chiaro? A Paolo piace davvero Violante».
Clorinda sorrise maleficamente «Proprio per questo ho intenzione di aiutarli». E tu aiuterai me, era la minaccia implicita che gli stava trasmettendo con gli occhi.
Se qualcuno gliel’avesse chiesto, Edoardo avrebbe detto che l’unico motivo che l’aveva spinto ad accettare di aiutare quel flagello di Clorinda era per non farle mandare all’aria le poche possibilità che avevano Paolo a Violante di finire insieme.
Se qualcuno gliel’avesse chiesto, Clorinda avrebbe detto che l’unico motivo che l’aveva spinta a rendere partecipe Edoardo era… in realtà, era perché da sola si sarebbe annoiata, nient’altro.

 

 

Lunedì mattina, dieci minuti all’inizio della prima ora, fase A: sapere nei minimi dettagli cosa pensava Violante di Paolo. L’informazione era tutto.
 
Clorinda si accucciò sul pavimento polveroso della classe e sbirciò da sopra il banco più vicino la Vittima, che rideva insieme ad Anna e Matilde pochi metri più lontano. Il suo piano era di avvicinarsi di soppiatto, alzarsi come se niente fosse e con un sorriso innocente – di quelli che le venivano bene – instaurare una conversazione che si sarebbe spostata strategicamente su Paolo.
Quello che non mise in conto fu di iniziare a starnutire ed ansimare nel bel mezzo della risatina malefica che avrebbe coronato la missione e di arrancare per più sicuri lidi in cerca d’aria fresca. Dannata polvere.
«Clo, stai bene?» le chiese la Vittima preoccupata, guardandola dall’alto con la fronte aggrottata.
«Perché stai strisciando sul pavimento?» chiese invece Matilde, trattenendo a stento le risate, cosa che invece Anna non si premurò di fare.
Clorinda tossì e balzò in piedi, sistemandosi i vestiti con un colpo della mano. Fase 1 fallita, proseguire la missione. Fece un sorriso svagato e diede una pacca sulla spalla a Violante, che non aveva ancora smesso di fissarla preoccupata – probabilmente più per la sua salute mentale che per quella fisica.
«Ehi Viola, posso farti una domanda?» le chiese innocentemente, lanciando un’occhiata ammonitrice alle altre due; Matilde capì al volo e si allontanò con una scusa, portandosi via Anna.
Violante spalancò gli occhi azzurri e annuì, la ruga sulla fronte ancora ben visibile, tanto che Clorinda si chiese se non stesse invecchiando troppo precocemente e se Paolo la volesse anche con le rughe.
«Allora, questa domanda?»
Clorinda si riscosse e pensò a come iniziare, ma lo sguardo della Vittima le metteva fretta e così si ritrovò a sputare fuori la prima cosa che le passò per la testa «Ti va bene se usciamo con Edoardo e Paolo, oggi pomeriggio?»
Violante sbatté le palpebre un paio di volte e poi sorrise «Ok, nessun problema».
«Vuoi dire che ti piace Paolo?» le chiese di getto Clorinda, ma lei non la sentì, perché in quel momento era entrata l’insegnante di Scienze, che con degli strilli da arpia li aveva obbligati a tornare ognuno al proprio posto.
Clorinda le lanciò un’occhiataccia per essere arrivata nel momento meno opportuno.
 
Però la fase A non era fallita del tutto, aveva solo subito un piccolo cambio di strada, pensò mentre si dirigeva alla cattedra per essere interrogata.
Doveva soltanto dirlo a Edoardo.

 

 

Lunedì mattina, intervallo, fase B: organizzare un’uscita a quattro per quel pomeriggio.
 
La prima cosa da fare era trovare il Complice, disperso molto probabilmente tra la folla che girovagava vicino alle macchinette; poi avrebbe dovuto informarlo sul cambio degli eventi e avrebbero dovuto preparare qualcosa per il pomeriggio. E ovviamente convincere Paolo ad andare con loro.
Dopo aver battuto sulla spalla a sei ragazzi diversi, riuscì a trovare quello che le serviva.
«Vieni con me, dobbiamo parlare!» lo trascinò per un braccio, lanciando un sorriso di scuse a Paolo che li fissava confuso, e si diresse verso un angolo più tranquillo, vicino alla porta del bagno dei maschi, che Clorinda era sicura non usasse mai nessuno.
«Che cavolo vuoi, flagello?» le chiese irato, sbirciando ciò che era rimasto del suo pacchetto di patatine.
Clorinda arrivò dritta al punto «Dobbiamo uscire insieme oggi pomeriggio! C’è stata una falla nel mio piano e ho dovuto chiedere alla Vittima se le andava bene di uscire con te e Paolo. Mi ha detto di sì, quindi vedete di tenervi liberi».
«Tu sei matta! Non hai pensato che potremmo avere degli impegni inderogabili?» le chiese con una smorfia, accartocciando il pacchetto vuoto e appoggiando la schiena al muro.
«Questo è più importante!» insisté Clorinda, sbattendo un piede sul pavimento e guadagnandosi un’occhiata disgustata «E poi voi siete impegnati solo martedì, giovedì e sabato, dalle cinque alle sette per il calcio, credi che non lo sappia?»
Edoardo rabbrividì «Sei peggio di quello che pensavo! Cos’è, adesso sai anche quante volte andiamo in bagno in una mattinata?»
«Di media due, ma non è importante» rispose con aria vaga Clorinda, inconsapevole della faccia sconvolta del compagno «Allora ci vediamo alle quattro in piazza, ok?» lo salutò agitando una mano e saltellò via, diretta verso la sua classe.
 
Fase B portata a termine con successo.

 

 

Lunedì pomeriggio, fase C: far stare il più possibile insieme Paolo e Violante.
 
Non appena si erano incontrati, Clorinda aveva afferrato un braccio di Edoardo e se l’era trascinato dietro a passo spedito, diretta verso la fiera del paese, lasciandosi alle spalle la Coppia, che si era limitata a guardarli strano ed iniziare a parlare come se niente fosse.
Quella di andare alla fiera era stata una buona idea, pensò Clorinda: c’era molta gente, quindi dovevano stare vicini; c’erano diverse attrazioni, dove sarebbero saliti insieme; c’erano migliaia di occasioni per comportarsi da coppia, sperando che uno dei due facesse qualcosa; e il clima era così allegro che persino Edoardo non aveva niente da ridire.
Si erano ritrovati a spiare la Coppia da lontano e seguirli su ogni attrazione e se Clorinda si sentiva davvero una superspia in missione, Edoardo si sentiva soltanto ridicolo, sotto gli sguardi divertiti che lanciavano loro i passanti ogni volta che Clorinda lo obbligava a nascondersi per non essere visto. Era una cosa patetica e lui non vedeva l’ora di tornarsene a casa.
Come c’era da aspettarsi, li persero di vista e Clorinda decise di dedicarsi al tiro a segno, per la gioia dei responsabili delle bancarelle, che si videro guadagnare più soldi in quelle due ore che lei passò a cercare di vincere qualcosa che in tutta la settimana di fiera.
Almeno finché Edoardo non si stancò di ricevere pugni e gomitate impreviste mentre lei prendeva la mira e si decise a fare una partita al suo posto, regalandole il più orribile pinguino che Clorinda avesse mai visto in vita sua e, mentre lei era occupata a studiarlo schifata, riuscendo ad allontanarla da quelle maledette attrazioni.
«Non dovevamo tenere d’occhio Paolo e Violante?» berciò, spingendola tra la folla.
«Sì, ma preferisco non vederli mentre si dichiarano il loro imperituro amore» commentò Clorinda, annusando il pupazzo «Ma sei sicuro che sia un pinguino? Mi sembra più una foca e poi puzza di patatine fritte».
Edoardo roteò gli occhi «E’ un pinguino, non vedi che assomiglia ad un uccello? Le foche non assomigliano ad uccelli».
«Neanche tu assomigli ad un uccello» iniziò Clorinda.
Edoardo alzò un sopracciglio, chiedendosi dove volesse andare a parare, e lei non lo fece attendere molto.
«Però sei un pollo».
«E tu hai bisogno di uno psichiatra, ma non mi sembra che te lo faccia pesare».
Per fortuna di entrambi, si ritrovarono ad andare a sbattere contro le Vittime, che passavano lì accanto, ridendo e scherzando.
«Ragazzi, dov’eravate finiti? Vi stavamo cercando» esclamò Paolo con un gran sorriso.
Edoardo fulminò Clorinda, che si concentrò nell’abbracciare Violante senza schiacciare la foca-pinguino.
«Vi ho perso di vista un attimo e mi sono ritrovata in compagnia di questo buzzurro!» si lamentò, puntando un dito contro Edoardo, che avrebbe tanto voluto prenderla tra le sue braccia e strangolarla con tutta la forza che possedeva, per poi tagliarle la lingua – che usava fin troppo – e seppellirla in qualche angolo sperduto del globo, dove l’unico essere vivente si poteva trovare a chilometri e chilometri di distanza. Ma, per quanto Clorinda fosse insopportabile, lui era troppo gentiluomo per farlo e lei era una sua amica e, molto in fondo, le voleva bene.
Per di più, Paolo sembrava più contento del solito ed era tutto merito del flagello.
 
Forse la fase C non era andata come previsto, ma non si poteva dire che non avesse avuto successo.

 

 

Martedì pomeriggio, fase D: portare Violante all’allenamento di Paolo. E riuscire a strapparle una confessione.
 
Non c’era voluto molto per convincere la Vittima. Le aveva posto la domanda con aria spensierata, lei l’aveva guardata per un attimo con la fronte aggrottata, aveva ridacchiato e accettato in un battito di ciglia. Era stato facile e per una volta Clorinda era sicura che sarebbe filato tutto liscio.
Si azzardò a lanciare uno sguardo a Violante, che osservava attentamente l’allenamento seduta accanto a lei oltre la rete del campo.
Ma il problema era che Clorinda si stava annoiando. Non capiva cosa ci fosse di divertente nel correre avanti e indietro, sudando come dei maiali rincorrendo uno stupido pallone, lasciandosi scappare imprecazioni e tirando ogni tanto dei calci alle gambe degli altri. No, davvero, era uno sport barbaro, quello. Scrollò la testa, osservando con disapprovazione l’ennesimo ragazzo caduto a terra, probabilmente dopo essere inciampato nei suoi stessi piedi.
«Fallo, fallo!» stava urlando qualcuno.
«Ma se non l’ha neanche toccato!» urlava qualcun altro.
«Perché siamo qui?» chiese Clorinda.
Violante si girò verso di lei, alzando un sopracciglio divertita «Me l’hai chiesto tu».
«Oh, già» borbottò Clorinda «Ma è una tale noia!»
Violante sorrise senza dire niente, ma l’espressione saputa che affiorò sul suo volto fece tremare Clorinda, che decise di partire all’attacco, prima ancora che Violante potesse aprire bocca – perché era sicura che lo stava per fare.
«Cosa ne pensi di Paolo?» chiese a bruciapelo, lanciando un’occhiata veloce ai giocatori in campo.
«Paolo?» ripeté Violante, leggermente confusa.
Clorinda si voltò di nuovo verso di lei e la perforò con lo sguardo – se stava nascondendo qualcosa, quello era il momento migliore per farle sputare il rospo.
Violante esitò un momento, poi tornò a fissare il campo con un leggero velo di imbarazzo che le copriva le guance «Non è male».
Se si fosse trattato di qualsiasi altra ragazza, Clorinda non sarebbe stata per niente soddisfatta, ma era Violante quella con cui stava parlando e il suo volto era rosso e le sue dita tormentavano incessantemente il bordo della maglietta.
Ed ormai era ovvio che a Violante piacesse Paolo.
 
Fase D completata con un successo insperato.

 

 

Mercoledì mattina, intervallo, fase E: trovare il modo per far dichiarare Paolo.
 
Clorinda era convinta che tutto quello che servisse fosse solo l’occasione giusta, poi il resto sarebbe venuto da sé. Aveva percorso i corridoi affollati della scuola almeno un paio di volte, ma del Complice nessuna traccia: avrebbe dovuto sgridarlo per essere sparito nel momento del bisogno, ma non sapeva dove andarlo a recuperare, quindi la ramanzina avrebbe dovuto aspettare. Per di più avevano cose più urgenti di cui parlare.
Una testa che assomigliava a quella di Edoardo catturò la sua attenzione e lei si mosse velocemente in direzione delle macchinette. Ma si bloccò a metà strada, perché con la testa di Edoardo c’era anche quella di una ragazza e a Clorinda bastò un attimo per capire dove fosse stato il suo complice fino a quel momento.
Sentì una fitta fastidiosa colpirle il petto – o lo stomaco, o tutto il corpo, non lo sapeva – e si voltò di scatto, aumentando il passo e cercando di allontanarsi il più possibile.
Continuava a ripetersi di non volerlo disturbare, perché infondo aveva una vita anche lui ed era evidente che non girasse intorno a quelle di Paolo e Violante. Aveva il diritto di pensare ad altro una volta ogni tanto e lei non poteva obbligarlo a stare ad ascoltarla, se lui non ne aveva voglia. Continuò a ripeterselo, per tutti i restanti due minuti di intervallo e tre ore di lezioni; continuò a ripeterselo per tutta la strada di ritorno, ignorando le chiacchiere allegre di Violante; continuò a ripeterselo mentre studiava per il giorno dopo, faceva la doccia e aiutava a preparare la cena. Continuò a ripeterselo per tutta la sera, fino a quando non spense la luce sul comodino e si tirò le coperte fin sopra la testa. E forse continuò a ripeterselo anche dopo.
Ma Clorinda pensava troppo e saltava subito alle conclusioni – quello stupido piano ne era la prova evidente – per lei non c’erano mezzi toni, tutto era uguale o tutto era diverso.
Clorinda pensava troppo, ma non sapeva nulla. Forse fingeva – chi non lo faceva? – o forse quello che mostrava era quello che provava davvero.
Clorinda non lo sapeva, ma sapeva che quella sensazione che provava dentro non le piaceva; si sentiva soffocare e i suoi occhi pungevano. Aveva qualcosa in gola e un peso nello stomaco. E non le piaceva.
Ma Clorinda non sapeva cos’era quello che stava provando e gli dava poco peso. Perché preoccuparsi, infondo? Probabilmente era soltanto un principio di raffreddore.
Sperò che non si trattasse di influenza, perché non poteva permettersi di stare assente proprio durante la sua missione per Violante. Si girò nel letto e chiuse gli occhi, ignorando la morsa allo stomaco.
Clorinda non sapeva troppe cose e andava troppo veloce. Se si fosse fermata per un istante probabilmente avrebbe avuto il tempo di osservare quello che accadeva intorno a lei.
Se si fosse fermata per un istante probabilmente avrebbe visto il mondo da un’altra prospettiva.
Se si fosse fermata per un istante probabilmente avrebbe visto il sorriso tirato di Edoardo.
Se si fosse fermata per un istante probabilmente avrebbe visto Edoardo voltarsi verso di lei e fissare la sua schiena allontanarsi in mezzo a quelle degli altri studenti.
Ma Clorinda non si era fermata nemmeno per un istante e aveva continuato a percorrere velocemente la sua strada.
 
Fase E: fallimento totale.

 

 

Quel giovedì mattina si era svegliata con una nausea leggera – sì, probabilmente si stava ammalando – la colazione era stata poco abbondante e si era ritrovata quasi subito in strada, diretta a scuola. Quel mattino, per una volta, non aveva voglia di pensare a Violante e Paolo. Anzi, non aveva voglia di pensare a nulla.
Dovette fare i conti con la realtà quando si ritrovò davanti Edoardo, una volta arrivata a scuola.
«Non dovevamo parlare, ieri? Dov’eri finita?»
Clorinda lo osservò per qualche secondo, cercando di capire cosa stesse succedendo nel suo corpo: le era tornata la sensazione di soffocamento, la nausea era aumentata e il petto le faceva male. Non le piaceva sentirsi in quel modo, proprio per niente.
Deglutì con fatica e rispose «Visto che sta andando tutto bene, ho preso una pausa». Aggrottò la fronte, sentendo la voce nervosa che uscì dalla sua bocca – quella non era la sua voce. Dov’era finita la sua voce?
Edoardo la osservò per qualche secondo, cercando di capire cosa le stesse succedendo: la Clorinda che conosceva non avrebbe mai preso una pausa, non avrebbe parlato con voce strozzata e l’avrebbe fissato negli occhi – fastidiosamente – per l’intera durata della conversazione. Chi era quella ragazza che stava cercando in tutti i modi di sfuggirgli? Clorinda non era mai fuggita da lui, anzi, era sempre stato il contrario.
«Devo andare» disse lei e lo oltrepassò a testa bassa.
Edoardo la fermò d’istinto «Ehi, continuiamo più tardi, ok?»
Clorinda annuì, stirò le labbra in quello che doveva sembrare un sorriso e si allontanò.
 
Non sapeva perché vedere Edoardo le desse così fastidio, ma non le interessava e non ci voleva pensare. Si diede un paio di schiaffi leggeri e continuò a percorrere il corridoio, fino alla sua classe.
Non ci voleva pensare, ma la morsa allo stomaco non le dava pace ed era difficile prestare attenzione a quello che le stava dicendo Violante. Parlava di un parco e di Paolo, poi di compiti e del tempo e Clorinda non capiva nulla.
E poi Violante la studiò attentamente, le sorrise e le carezzò i capelli con aria soddisfatta. E Clorinda non ci capiva più nulla.
 
Le fu tutto chiaro soltanto quando Edoardo la venne a cercare all’intervallo e le rivelò la novità: Paolo aveva chiesto a Violante di uscire. Solo loro due, quel pomeriggio, al parco. E Clorinda capì di cosa stesse parlando Violante quella mattina.
E finalmente si riscosse.
«Un appuntamento?» esclamò, mentre le labbra le si piegavano in un sorriso.
«Così sembrerebbe» rispose Edoardo, confuso dal suo improvviso cambio d’umore.
«Dobbiamo andare anche noi».
«Scusa?»
«Dopo tutto il lavoro che abbiamo fatto devo assolutamente vedere come andrà a finire!»
«Io non vado a spiare l’appuntamento del mio migliore amico!» esclamò Edoardo con enfasi.
Clorinda alzò le spalle «Se non vuoi venire, non venire. Io ci vado».
Edoardo si massaggiò la fronte e poi si arrese. Sarebbe andato anche lui, altrimenti chissà cos’avrebbe combinato quel flagello. Avrebbe anche potuto rovinare tutto e allora sì che sarebbero stati guai. Non lo faceva per farle compagnia e assolutamente non perché volesse passare del tempo con lei, lo faceva solo per Paolo. E perché era contento che tutto fosse tornato alla normalità.

 

 

Il giovedì pomeriggio erano di nuovo al campo da calcio ad assistere agli allenamenti, ma quella volta non era stata di Clorinda l’idea; Violante voleva vedere Paolo e lei aveva dovuto accettare e dopotutto non le dispiaceva.
L’unico problema era che Violante le lanciava ogni tanto delle occhiate penetranti e Clorinda non capiva il perché. Clorinda si era ritrovata a non capire molte cose, in quei pochi giorni.
«Clo, tu pensi che io piaccia davvero a Paolo?»
Clorinda aggrottò la fronte e fissò l’amica «Certo che gli piaci. Perché me lo chiedi?»
Violante scrollò le spalle e puntò lo sguardo verso la squadra «Non lo so. A me piace molto, ma lui?»
«Si vede che gli piaci. Si capisce».
«Da cosa?»
Da cosa si capiva che Paolo era innamorato di Violante? Da talmente tante cose che era difficile elencarle tutte «Ti guarda come se non esistesse nient’altro al mondo, come se fossi l’unica cosa che vale la pena guardare. E basta questo, no? A me basterebbe».
Violante sorrise e le strinse forte un braccio «Vorresti che qualcuno ti guardasse in quel modo?»
«E’ quello che vogliono tutti».
Ci fu un breve silenzio, in cui si sentirono solo le imprecazioni e le urla dei giocatori, poi Violante parlò di nuovo «Sai come mi sento quando sono con Paolo?» le chiese, senza aspettarsi davvero una risposta. Ma Clorinda scosse comunque il capo e fissò il volto disteso e il sorriso contento dell’amica «Il cuore mi batte più forte e il sangue mi fa quasi ronzare le orecchie; ho un groppo che mi stringe la gola e lo stomaco che si attorciglia; non riesco più a pensare e dico le prime cose che capitano, ma non cambierei tutto questo per nulla al mondo. Perché è quello che provo, è il mio amore per lui».
Violante sembrava brillare mentre parlava, o forse era solo la luce nei suoi occhi che la faceva brillare, e a Clorinda sembrava più bella del solito.
«Il tuo amore per lui» ripeté come per avere una conferma.
«Il mio amore per lui» disse di nuovo Violante, col sorriso più bello che avesse mai fatto.
 
Allora era davvero quello l’amore? Non era per niente come quello di cui aveva letto nei suoi romanzi rosa.

 

 

Venerdì pomeriggio, parco, fase F: documentare il momento clou dell’Appuntamento.
 
Erano rimasti quasi tutto il tempo seduti a parlare su quella panchina di legno e Clorinda non avrebbe mai pensato che un appuntamento potesse essere così noioso. Violante e Paolo non stavano facendo assolutamente niente, eppure sembravano contenti lo stesso.
«Per quanto ancora dobbiamo stare qui?» chiese Edoardo stravaccato sulla panchina dietro cui si era nascosta.
«Mi sono stufata, non stanno facendo niente» borbottò contrariata Clorinda, spegnendo la fotocamera digitale e andando a sedersi accanto ad Edoardo, con il mento appoggiato sul palmo di una mano «E poi non avresti dovuto sederti in così bella mostra. Se ci scoprono sarà tutta colpa tua!»
Edoardo fece a meno di farle notare che anche lei si era seduta su quella stessa panchina e si limitò a fissarla da dietro le lenti scure degli occhiali da sole «Figurati se si accorgono di altro. Saranno troppo impegnati a guardarsi negli occhi come due deficienti».
Clorinda arricciò le labbra – perché Edoardo proprio non capiva niente – e incrociò le gambe sulla panchina, voltando leggermente il capo verso di lui.
Sentiva i battiti del suo cuore, che sembrava stessero aumentando inspiegabilmente, e di nuovo un macigno le comparve in gola. Era il groppo di cui parlava Violante? Clorinda non lo sapeva, ma non riusciva a pensare ad altro. Non riusciva a spostare lo sguardo da Edoardo – e in realtà non ci provò nemmeno – ma era contenta e, nonostante quelle strane sensazioni, si sentiva stranamente in pace col mondo. Lì, su una stupida panchina sporca e scomoda, con il sole che la costringeva a stringere gli occhi e lo stomaco in subbuglio, lei stava bene.
«Perché mi fissi?» le chiese Edoardo di punto in bianco.
«Potrei farti la stessa domanda».
Lui fece schioccare la lingua e voltò il capo, intenzionato ad ignorarla.
Ma quella volta Clorinda si fermò per un istante e si accorse del lieve rossore che si intravedeva sulla guancia sinistra di Edoardo. E non riuscì a frenare il gran sorriso che le spuntò sulle labbra.
Quella volta Clorinda si fermò per un istante, scivolò più vicina ad Edoardo e si allungò per togliergli gli occhiali da sole.
Quella volta Clorinda si fermò per un istante e un nuovo mondo le si aprì davanti.
 
La fase F non era andata a buon fine, ma in realtà a nessuno importava più niente.

   
 
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