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Autore: AmberRei    23/09/2011    1 recensioni
Questa in realtà l'avevo scritta una quindicina di giorni fa, tipo... ma a sto punto la piazzo qui per chi la vuole. Lol, sarà che si sono sciolti i REM, ma mi è venuto da scrivere questo titolo. XD Il titolo originale era The End (sempre una canzone, ma dei Doors). Cozart->Giotto (e chi me lo leva dalla capoccia sto pair oramai? Penso solo una buona dose di tempo e qualche ship più interessante/ispiratore...) un po' diversa dal solito, a senso unico e un po' amara. Scritta in base al seguente prompt: "Fino all'ultima sillaba del tempo stabilito", della writing challenge di Syllables of Time (LJ).
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pensò di sentire il cuore cadere in tanti piccoli frammenti, ting ting ting, sul pavimento, come pezzi di vetro. Non era successo nulla, eppure si sentì crollare all'improvviso, come se

basta, basta. Era finita.

Cozart disteso sulla spiaggia, supino, esausto, confuso, tormentato, gli occhi lucidi persi nelle vastità del cielo, l'espressione malinconica, la voglia di sentire qualche lenta sonata al pianoforte. Qualcosa che gli infrangesse ulteriormente il cuore, abbastanza da tirarne fuori tutte le lacrime che vi vorticavano dentro e che tanta fatica facevano a farsi strada fino agli occhi.

Sapeva di appartenere a quell'uomo nella sua interezza. Non desiderava altro, perso in lui. Amava quell'uomo. Lo aveva amato fin dal primo giorno, senza saperlo. Se ne accorgeva quando l'altro aveva un problema a turbarlo o se per qualunque altro motivo non era sereno: in quei momenti si sentiva stringere il cuore, come se il problema o il dolore fosse stato suo. Poi si era reso conto, lentamente, dei suoi sentimenti.

Come il ricordo lieve di una sera d'estate rievocata dal profumo dell'aria, che piano piano permea la mente e il cuore.

Da sentirsi morire, come provare tutte le emozioni del mondo concentrate in una sola, e in un solo lungo-lunghissimo-eterno istante. Un dolce, amaro, acuto, morbido, lacerante, orrendo, meraviglioso istante.

Avrebbe affidato solo a lui i suoi pensieri, solo a lui avrebbe donato ciò che restava del suo cuore. Soltanto a lui avrebbe mostrato la sua fragilità. Avrebbe toccato soltanto lui. Avrebbe guardato e pensato solo di lui.

Ma Giotto..?

No, sentiva che Giotto non apparteneva a lui.

Sentì una fitta, socchiuse gli occhi, spingendo due silenziose lacrime ai lati, e lasciandole correre dalla coda dell'occhio all'orecchio. La sensazione che il cuore gli andasse in fiamme, gli si schiantasse in petto.

Giotto risplendeva, circondato dai suoi guardiani e dal suo braccio destro. L'ultima volta che si erano incontrati, questo era stato lo scenario.

Un uomo luminoso, che non aveva affatto bisogno di lui. Un re splendido e dolce, potente e misericordioso.

Sollevò la mano verso il cielo, stendendone il palmo, per vedere meglio il suo anello. L'anello che sigillava il patto tra loro due, e che era destinato a ricongiungersi all'altro anello, quando il giorno sarebbe venuto. L'anello che custodiva la fiamma pura della sua anima, affinchè vivesse nei secoli in attesa di ricongiungersi con l'altra.

Osservò la gemma esagonale. Il Simon Ring era un anello così peculiare... quasi demoniaco, pensò stringendo maggiormente gli occhi. Era capace di dare potere immenso, in un modo o nell'altro; ma allo stesso tempo si nutriva del cuore del portatore, qualora egli fosse diventato debole. Era il suo personalissimo cilicio. Un accorgimento per restare forte abbastanza, e per far sì che i suoi successori fossero forti altrettanto da sopportare e tener testa al loro destino, fino al giorno stabilito.

Aveva appena ricevuto l'ennesima lettera in cui Giotto parlava e non parlava dei suoi problemi. A Cozart sembrava di vederlo, il sorriso tirato, mentre elencava i mille motivi per cui tutto nella sua vita sembrava andare in rovina, aggiungendo alla fine, con quella sua scrittura che era tutta un ricamo, che andava tutto magnificamente bene. Un rassicurare il suo, dolce e fragile, che lo tenesse scevro da preoccupazioni.

Giotto era in grado di mentire con il sorriso di un gatto del Cheshire.

Cozart non poteva vedere il suo sorriso, la sua espressione addolorata, la sua gioia, la sua tristezza. Non poteva carezzargli il viso, i capelli, immergere occhi negli occhi, avvolgere mani nelle mani, ma aveva la certezza che Giotto non era felice.

Si sarebbe divorato le interiora.

Giotto non sarebbe più stato accanto a lui. Non lo avrebbe mai più visto.

Aveva sempre tenuto quel pensiero nel retrobottega della sua mente, per proteggersi. Più o meno nella stessa stanza in cui teneva la paura di morire, e cose di questo genere.

Resosi conto di essere solo, completamente, nella baia dove si era rifugiato, Cozart provò a schiudere lentamente la porta, e a portarlo a livello cosciente.

Il respiro gli si accelerò in singhiozzi all'istante. Gli occhi fissi sulla volta del cielo, la vista appannata dalle lacrime.

Era da molto tempo che non si sentiva abbastanza libero da piangere. Lo fece senza vergogna, e senza trattenersi. Aveva bisogno di percepire i suoi sentimenti con ogni fibra del suo essere. Il cuore, in mezzo al petto, lo sentiva come stretto da catene, gonfio, immerso nelle fiamme.

Come poteva vivere, privato della persona in cui aveva fede più di ogni altra? Ma doveva proteggerlo, doveva proteggerlo, doveva proteggerlo. Da quel demone maledetto, doveva proteggerlo. Loro non erano pronti...

Giotto, a dirla tutta, non era pronto. Cozart mille volte aveva visto nella sua mente il possibile scenario della battaglia, e mille volte aveva avuto la stessa visione...

Si sarebbe sacrificato per lui. Cozart non era abbastanza forte da tener testa a Daemon, e avrebbe sicuramente avuto un attimo di cedimento. In quell'attimo, Giotto l'avrebbe protetto, e avrebbe perso tutto. Oppure non sarebbe stato in grado di dare il colpo mortale a Daemon, che comunque era un suo compagno.

Giotto, nella lettera che Cozart aveva appena ricevuto, gli aveva confidato che Daemon un tempo aveva perso la donna che amava in un assedio. Non era riuscito a provare pena per lui: non era stato in grado di proteggerla, e aveva a quanto pare scaricato tutta la responsabilità su Giotto, che la sentiva pienamente propria, e soffriva terribilmente. Che uomo patetico, quel Daemon. Pensò che forse la sua volontà maniacale di ucciderlo era un tentativo di vendicarsi, di compensare.

Era dunque Cozart il prezzo che Daemon avrebbe voluto che Giotto pagasse, per la morte di Elena?

voleva forse dire che lui rappresentava per Giotto ciò che Elena era per Daemon?

No, di questo era sicuro. Più tempo passava, più le lettere di Giotto si facevano rare e distaccate. Ma era giusto così... lui era stato un trampolino di lancio, un suggerimento che la vita gli aveva dato per scegliere la sua strada. Il suo ruolo nella vita di Giotto era ormai terminato.

Giotto non avrebbe mai più avuto bisogno di lui, e la sua decisione li stava separando in eterno.

Cozart passò tutta la giornata, e tutta la notte, a rifiutare la realtà. Poi, si alzò e riprese a lavorare, con una ruga in più a solcargli il bel viso abbronzato, e un sorriso di cartapesta.

...dicono che i suoi uomini, anni dopo, lo abbiano trovato morto, vecchio e solo, su una torretta di avvistamento. Non aveva mai smesso di sperare che Giotto infrangesse il patto, e che il suo veliero apparisse all'orizzonte.

Invano.
  
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