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Autore: HaushinkaGD    23/09/2011    4 recensioni
Avrei voluto riaddormentarmi per continuare il sogno, ma sapevo che non ci sarei riuscita. Così preferii alzarmi.
Sapevo che se avessi continuato a sognare sarebbe stato peggio, perché alle volte i sogni sono più dolorosi della realtà.
Sono tornata a pubblicare.
Quella sera avevo bisogno di Loro. La musica e non solo. Ho incontrato qualcuno anche nei miei sogni.
Ecco, questo è il sogno che ho fatto.
Spero vi piaccia.
xxxHaushinkaxxx
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Billie J. Armstrong
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NOTA DELL'AUTORE: Inizio col dirvi che questo è un sogno che ho fatto. Non voglio anticiparvi niente. Leggete.
IL nome che ho usato non è il mio, ma è inventato.
Spero che la storia vi piaccia.
Recensitemi in tanti.
xxxHaushinkaxxx



«Bhè, ti stai divertendo?»
Ecco la domanda che mi poneva mia madre ogni volta che viaggiavamo.
Divertirsi.
È una parola troppo grossa, penso sempre, soprattutto quando si è con i propri genitori.
Questa volta eravamo a Praga.
Una cittadina discreta, di sicuro non tra le mie preferite.
Troppo monotona e poco vissuta.
Ecco come la definivo, ecco come definivo le città come Praga.
Io preferivo Londra, Parigi; città che quando le vedi riesci a dire solo “Oh, wooooow”.
Era il secondo giorno che passavamo in quella città e, oltre a non aver visitato nulla, ci eravamo persi ben due volte.
Mio padre pensava di conoscere tutte le città del mondo e non consultava la cartina così spesso come dovrebbe fare un turista.
Mi armai di tanta pazienza e , nonostante fossi già stanca di quella gita che sembrava tutto tranne che una vacanza, mi avvicinai a dei ragazzi per chiedere informazioni.
Erano in quattro e anche loro erano turisti. Dal loro accento capii che erano americani , anche se conoscevano abbastanza bene il luogo.
Fra quei ragazzi, uno lo notai più degli altri.
Apparentemente non aveva niente di diverso, se non fosse stato per la sua maglietta.
Rimasi affascinata da quella maglietta come una bambina lo rimane la prima volta che va al circo.
Era una maglietta di un gruppo.
Di un gruppo speciale.
Del “mio” gruppo.
Era una maglietta dei Green Day ed era bellissima.
Ne avrei avute a decine se non era per mia madre che mi impediva di comprarle.
I ragazzi furono molto gentili con me. Mi fecero qualche domanda e, quando gli dissi che ero italiana, si complimentarono per il mio inglese. Io li ringraziai, anche se sapevo che era solo un modo per provarci dato che in lingue ero una schiappa.
Stavo per tornare dai miei genitori quando, proprio alle loro spalle, notai un uomo.
Un uomo diverso dagli altri, speciale.
Un uomo che avrei riconosciuto tra altri mille.
Nonostante avesse cercato di nascondersi sotto un cappello che gli copriva gran parte del volto e degli occhiali da sole che nascondevano quei bellissimi occhi smeraldo che avevo visto centinaia di volte in foto, lo riconobbi.
Capelli nerissimi, pantaloni rigorosamente a vita bassa e Converse nere.
Non avevo dubbi, era proprio lui.
Come potevo sbagliarmi?
Appena lo vidi, dietro le spalle dei miei genitori, rimasi immobile dov’ero. Non riuscivo a muovere un passo, malgrado volessi avvicinarmi per fare una foto.
In quel momento non capivo niente.
Tutti mi sembravano scomparsi.
Sentivo solo una voce in lontananza.
Quella voce era la mia!
Senza accorgermene avevo iniziato a gridare frasi scomposte e cose senza senso.
Adesso l’attenzione di tutti era focalizzata su di me.
«O mio Dio! O mio Dio! O mio Dio! O mio Dio! O mio Dio!» continuavo a ripetere «Cazzo! Questo è un sogno. Non ci credo. O mio Dio! Non ci credo. O mio Dio! Non ci credo. O mio Dio! O mio Dio!»
Dalla mia bocca non usciva altro e il mio cuore aveva iniziato a battere all’impazzata.
Adesso anche lui mi fissava!
Mi guardava e rideva. Divertito da una sua fan che riusciva solo a rendersi ridicola.
«Gloria!» mi apostrofò mia madre, riportandomi alla realtà. «Si può sapere che cosa è successo? Perché gridi così? Lo vedi che tutti ti guardano?»
Dalla mia bocca non uscì neanche una parola, ebbi solo la forza di alzare un braccio e indicarlo.
«Embhè?» Mia madre non capiva e non avrebbe mai capito. Nonostante avesse visto decine di volte i poster che tappezzavano le pareti della mia stanza, non l’aveva riconosciuto.
«MAMMA! Ma hai capito chi è LUI? Proprio non lo riconosci? È la stessa persona che tu una volta hai chiamato vampiro! È la stessa persona dei miei poster! Sai quei tre vecchi che amo tanto? Quelli che suonano? Bhè, lui è il cantante dei Green Day! Lui è Billie Joe Armstrong! Hai capito adesso?»
Senza rendermene conto mi ritrovai a gridare quello che avrei dovuto sussurrare.
Le mie stesse parole mi rimbombavano nella testa e capii che non era un sogno, era reale.
Di scatto aprii la borsa alla ricerca di carta e penna e, tirando mia madre dal polso, mi avvicinai a lui.
«Hi Billie!»
Iniziai a parlargli senza neanche sapere cosa volevo dirgli davvero. Le frasi uscivano di getto e io non mi preoccupavo neanche se fossero giuste o sbagliate.
«Can I get a picture, with you

Appena finii di formulare la domanda, Billie si spostò il cappello in modo che il viso fosse completamente scoperto, si levò gli occhiali e mi rivolse uno dei suoi meravigliosi sorrisi, sussurrando semplicemente «Yes, of course!»
Mi avvicinai e lui mi strinse a se talmente forte che potevo quasi sentire i battiti del suo cuore.
Lo ringraziai non so quante volte prima di andarmene con gli occhi velati dalle lacrime per la contentezza, ma appena gli voltai le spalle lui mi fermò.
Ero così felice che non riuscivo a crederci.
Io, un’insulsa ragazza di una schifosissima cittadina nel sui Italia, stavo parlando con il mio idolo.
Vista dagli occhi di qualcun altro, quello poteva sembrare un incontro casuale di due vecchi amici.
Proprio quando mi stavo abituando a parlare liberamente con lui, sentii una canzone.
Era una loro canzone, ma non capivo da dove provenisse.
Guardai Billie in cerca di una risposta a quella domanda che non avevo pronunciato, ma sembrava che solo io sentissi quella canzone.
Guardai di nuovo Billie.
Sentii una voce che mi chiamava.
Guardai ancora Billie.
E poi più nulla.

«Gloria!» Era la voce di mia madre, quella. «Ti vuoi alzare, pigrona? La tua sveglia sta suonando già da 10 minuti!»
«La mia sveglia?»
Ecco da dove proveniva quella canzone, dalla sveglia.
Era tutto un sogno. Uno stupidissimo sogno.
Io non avevo incontrato nessuno a Praga. Avevo solo sognato un’altra volta.
«Ah si, la sveglia…»risposi un po’ delusa.
Mia madre non notò quel velo di malinconia che spezzava la mia voce e, dicendomi di alzarmi perché era già tardi, uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.
Avrei voluto riaddormentarmi per continuare il sogno, ma sapevo che non ci sarei riuscita. Così preferii alzarmi.
Sapevo che se avessi continuato a sognare sarebbe stato peggio, perché alle volte i sogni sono più dolorosi della realtà.
  
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