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Autore: I Walk With Shadows    23/09/2011    4 recensioni
Forse papà aveva ragione, ma Ronnie sentiva qualcosa di diverso.
La musica deve trasmettere emozioni. Non deve essere solo orecchiabile.
La musica deve aiutarti.
La musica deve salvarti dal buio in cui stai cadendo.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ronnie Radke
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Questa storia non è scritta ad alcuno scopo di lucro, le cose narrate non sono davvero accadute e...
No, aspetta.

Questa storia è scritta a scopo di lucro, le cose narrate sono davvero accadute, anzi, per sapere cosa significano queste persone per me vi prego di leggerla.

Grazie a tutte, i miei capezzolini piccini picciò sono andati in Francia. (?!)

 

 

A Ronnie Radke per avermi accompagnato giorno per giorno per quattro anni con la sua voce e la sua musica. E' quello a cui devo sicuramente di più, è quello che ha fondato la band, quello che ha creato il capolavoro e senza di lui la band non è niente. E' a lui che devo la mia vita, è a lui che devo il fatto di essere ancora qui.
...E grazie agli Escape the Fate. Grazie a tutti loro.

Senza di loro io non sarei qui.

 

I wanna start by letting you know this

Because of you, my life has a purpose

You helped me be who I am today

I see myself in every word you say

-Simple Plan.

#This song saved my life.

 

 

Il cortile era pieno di bambini che giocavano.

L'uomo aspirò del fumo dalla sua sigaretta e sorrise. Suo figlio, probabilmente, era tra uno di quelli. C'era quel biondino con gli occhioni grigi il cui nome non se lo ricordava mai, ma se lo trovava spesso in casa che faceva merenda. Aveva le guance grasse e rosse, il nasino all'insù e le labbra carnose sempre piegate in un sorriso. Lo vedeva giocare fuori dalla scuola, mentre sorridendo finiva la sigaretta.

Vicino c'era un bambino straniero e uno molto scuro di pelle che giocavano insieme. Uno aveva dei lineamenti orientali incredibili, mentre l'altro si vedeva lontano un miglio che era messicano. Erano i compagni di giochi di suo figlio. Li vedeva ogni volta insieme a lui, ma oggi Ronnie non lo vedeva.

-Signor Radke?

La donna che l'aveva chiamato aveva degli occhiali con le lenti molto spesse e stava osservando l'uomo con disgusto. Lui sorrise.

-Sono io.

-Prego, mi segua.

Si sedette e guardando ridacchiando la donna da dietro la seguì. Ogni tanto lei si girava e lo vedeva trattenere le risate, quindi si rigirava offesa e schifata. Dopo qualche minuto la porta della presidenza si aprì.

Ora, finalmente, capiva perchè l'avevano chiamato.

Suo figlio era seduto al tavolo con il broncio. Lo guardò e non potette fare a meno di farsi scappare un sorrisetto. Inutile dire che il bambino appena lo vide gridò:-Smettila, papà! Non è divertente!

Il preside della scuola era accanto a lui, seduto su una sedia di pelle. Una comoda poltroncina, insomma. Disse all'uomo di accomodarsi sulla sedia dall'altra parte del tavolo mentre il bambino era sempre più triste.

-Penso che voi abbiate intuito perchè lo abbiamo chiamato, signor...

-Radke. Cos'ha fatto mio figlio?

-L'avevo avvertito, signore. Ronald è stato avvertito più volte che non doveva comportarsi male a scuola, altrimenti sarebbe stato sospeso, ma...

-Calma. Cos'ha fatto, dico?

-Intanto suo figlio ha dieci anni, è appena in quinta elementare, e risponde male agli insegnanti. Non è una cosa buona, questa, lo sa?

-Ma stai zitto, coglione- Ronnie si sporse dalla finestra mentre suo padre, guardandolo, ridacchiò tra sé e sé.

-Inoltre- scandì bene il preside -Oggi abbiamo controllato il suo diario e ci abbiamo trovato questa.

Gli porse un quadernino giallognolo con scritta qualche frase a caso. Aprendolo alla pagina di quel giorno trovò scritte le parole di “Hot for the Teacher” dei Van Halen. Quindi, di rimando, guardò il preside.

-Quindi?- concluse, alzando un sopracciglio, e vedendo chiaramente il bambino sorridere con la coda dell'occhio.

-Quindi questa è musica che non meriterebbe nemmeno di essere composta. E' a conoscenza che suo figlio si interessa a questo tipo di cose?

-A dirla tutta gliela faccio ascoltare io.

-Le faccio i miei complimenti, allora.

-Senti tu- Ronnie si alzò e iniziò ad urlare contro il preside -Lui è il mio papà e mi cresce come cacchio vuole lui. Saranno anche affari nostri! La mia educazione è perfetta così, stronzo.

-Sente? Sente come parla suo figlio? Sono il preside di questa scuola e non posso tollerare questi comport-

-Ah sì? Tu sei il preside di questa scuola? Ma allora non hai ancora capito! Io sono Ronald Radke e diventerò qualcuno. Tutti conosceranno il mio nome, non solo le persone a cui ho rovinato la vita. Preferisco essere così che uno di quei perfettini che non faranno mai un cazzo se non preparare il caffè alla mamma.

-Tu diventare qualcuno?- rispose lui -Mi dispiace dirglielo, signor Radke, suo figlio non diventerà mai nulla!

-Meglio non diventare nulla che diventare preside. Se vuole scusarmi, porto mio figlio via, stare qui mi sa troppo di bravo ragazzo.

-Ehi, ma...!

-Cosa replichi, tu? Figlio di troia!- Ronnie tirò fuori la lingua mentre suo padre lo prese per mano e, sgattaiolando fuori ridendo, si infilò in macchina.

 

-Pa'..

-Dimmi, Ronnie.

Aveva in mano un peluche di un mostriciattolo nero ed era sdraiato a pancia in giù nel letto, le cuffiette nelle orecchie con qualche canzone ad altissimo volume. I capelli rossicci erano sparsi sulle spalle e i piedi li muoveva lentamente sotto le coperte.

-Dici che il preside aveva ragione?

-Su cosa?

-Sul fatto che io non diventerò mai nessuno.

Gli accarezzò la testa:-No, non aveva ragione. Tu sarai ricordato per qualcosa, Ronnie, Sei mio figlio, un padre le sa queste cose.

-Ma, insomma, se lui non ha ragione, perchè la mamma mi picchia?

Questa domanda non stupì suo padre. Sua moglie detestava Ronnie. Non aveva mai capito il perchè: insomma, lei voleva una femmina, e Ronald è stato l'ultimo arrivato. Quando è nato lei l'aveva rifilato a suo marito senza guardarlo. Non l'aveva mai trattato bene, né a parole, né a niente. L'aveva sempre picchiato. Ogni volta che faceva qualcosa di sbagliato, si poteva arrivare dagli schiaffi ai calci sul mento in base alla gravità della cosa.

-La mamma non sa quello che fa..

-Ma mi dice sempre che sono un perdente.

-Perchè lei non se ne rende conto- gli sorrise -E' tardi, ora. Buonanotte, dormi bene.

-Sai cosa?- Ronnie rise -Vorrei svegliarmi fra dieci anni. Per vedere se avrò ancora dei sogni e se si saranno realizzati.

-Non penso che tu possa.

-Tu resterai sempre con me, vero papi?

-Certo.

-Qualsiasi cosa diventerò?

-Qualsiasi cosa.

-E se io volessi mettere su una band?

Sorride:-So che ne saresti in grado.

Ronnie mostra i denti e ruggisce scuotendo la testa:-Non lo so, pa'.

-Lo so io- Gli dà un bacio sulla testa -Ma ora dormi, è tardi, davvero.

-D'accordo, notte papi.

-Notte Ronnie, ti voglio bene.

-Ti voglio bene anche io.

Uscì dalla stanza spegnendo la luce e il bambino si girò a pancia insù, pensando a quanto sarebbe stato bello se papà avesse avuto ragione.

Ma ora aveva dieci anni. Cosa voleva fare a dieci anni?

Si alzò in piedi e senza farsi sentire si mise le cuffie e tirò fuori la pianola. Prese un foglio e iniziò a segnarci le note. Gli veniva facile, quasi naturale! Era anche divertente, ad ogni segno sul suo foglio corrispondeva una nota ed il divertimento era proprio sentire il risultato, cos'era uscito, se qualcosa che era inascoltabile o che poteva avere un titolo, a cui si potevano aggiungere batteria, chitarra, basso e alcune parole.

Forse papà aveva ragione, ma Ronnie sentiva qualcosa di diverso.

La musica deve trasmettere emozioni. Non deve essere solo orecchiabile.

La musica deve aiutarti.

La musica deve salvarti dal buio in cui stai cadendo.

 

Quattro anni dopo.

Ronnie si stropicciò gli occhi e si alzò in piedi.

Aveva dormito per qualche ora, di pomeriggio. Ormai il sole stava tramontando e la mamma era tornata dal lavoro: nonostante avesse ancora le cuffiette, sentiva che stava urlando.

Lentamente uscì dalla porta, affacciandosi, e vedendo suo padre e sua madre litigare.

Si tolse le cuffiette e ascoltò.

-Lo voglio fuori di casa. Li voglio entrambi fuori di casa.

-Chris non può, lo sai..

-Di Chris non me ne frega niente. Lui non è tanto un problema, ma a malapena lo riusciamo a mantenere. E' Ronald quello che voglio fuori.

Il cuore del ragazzo si fermò per qualche secondo.

Era sempre stato lui, il problema.

Strinse più forte la maniglia della porta, pronto a chiudere appena sua mamma si fosse girata.

-Ronnie non è un problema, riusciamo a mantenerlo benissimo. E' un ragazzino, lascialo in pace.

-Perchè dovrei? Non doveva neanche nascere, è stato un errore, lo sai anche tu. Quindi scegli. Ho vissuto per quattordici anni con lui sotto il mio stesso tetto, ho sempre speso troppo per sfamarlo, quindi o se ne va lui, o me ne vado io.

-Non hai mai speso troppo! Forse, se pensassi meno a te stessa...

-Tu dici? Ormai da quando abbiamo figli non penso nemmeno più a me stessa!

Calò il silenzio, e suo padre abbassò lo sguardo.

-Io gli voglio bene. Lo sai.

-Io non gliene ho mai voluto.

Ronnie a quelle parole chiuse la porta violentemente e la prese a pugni. Appoggiò la testa ad essa, e sentì ancora suo padre parlare e sua madre urlare.

Chiuse gli occhi per non far uscire troppe lacrime.

Non voleva essere lui la causa di tutto questo. Si sentiva male ogni volta che sentiva dire da sua madre quelle parole, ma ora non così tanto, perchè ormai lo sapeva: quello era il capolinea.

Se lui non se ne fosse andato, lo avrebbe fatto lei.

Prese i suoi vestiti e li mise nello zaino, o almeno mise quelli che poteva. Prese tutti i suoi cd e i suoi quaderni, tutto quello che gli serviva per comporre, per scrivere o per ascoltare musica. Se lo mise sulle spalle e uscì dalla camera.

-Me ne vado.

Suo padre lo guardò per qualche secondo prima di replicare.

-Hai sentito...

-Ho sentito tutto. Preferisco andarmene io, piuttosto che rovinare un matrimonio. Quindi...

-Sarebbe anche ora- la smorfia di sua madre fu come un'altra pugnalata nel petto. Ronnie non poteva più sopportare altro.

Abbassò la testa nascondendo le sue lacrime e, senza guardarsi indietro, avanzò correndo verso la porta. Fu allora che sentì una stretta forte sul suo braccio.

-No.

Suo padre l'aveva fermato. Lo guardò con ancora gli occhi lucidi e cadde un imbarazzante silenzio, interrotto dai loro respiri pesanti. Papà lo guardò negli occhi, si sentì male, sentì come se avesse appena scoperto tutti i suoi segreti.

-Ho scelto. Lui resta.

-Perfetto.

La donna prese quella che sembrava una borsa ed uscì di casa.

Ronnie osservò ancora suo padre per qualche minuto prima che lui aprisse bocca:-Non è più la stessa, ormai. E ti avevo fatto una promessa quando avevi dieci anni. Io ci sarò sempre per te, Ronnie, qualsiasi cosa accada. Tuo padre sarà l'unico a non abbandonarti mai.

-Hai lasciato...

-Ho lasciato mia moglie per te, sì, ma ora che hai un sogno da seguire sei tu quello che devo aiutare. Tu hai un futuro, lei no.

Non poteva sorridere a quelle parole, non ci riusciva, restava comunque sua madre. Nonostante desiderasse non essere mai nato più che mai in quel momento non riusciva ad odiarla a morte, l'aveva dato alla luce, lo aveva nutrito per anni, anche se controvoglia.

Si girò e tornò in camera. Chiuse la porta sbattendola e buttò lo zaino per terra. Si attaccò le cuffiette e iniziò a piangere. Il volume della musica era altissimo, ormai non sentiva più nulla e le sue labbra sanguinavano talmente le aveva ferite con i suoi denti. Sentiva la porta dietro di sé vibrare, suo padre probabilmente stava bussando forte.

Ronnie non ci faceva caso più di tanto, ormai l'unica cosa che notava era quanto le sue lacrime stessero scendendo veloci, e quando le sue labbra stessero sanguinando forte. La musica nelle sue orecchie aveva un volume che sembrava aumentare di secondo in secondo fino a fargli esplodere la testa.

Poi si abbassò all'improvviso e partì una melodia così riconoscibile da far alzare la testa a Ronnie.

Forever trust in who we are, and nothing else matters.”

 

Fu allora che si ricordò cosa aveva promesso a sé stesso quattro anni prima.

Doveva farcela, doveva formare un gruppo, doveva farlo per sé stesso. Sarebbe diventato il suo motivo per andare avanti, così come lo sarebbe stato di molte altre persone, come lo sarebbe stato di suo padre.

Doveva farlo, doveva credere in sé stesso.

Ed era l'unico pensiero che aveva in quel momento. Ronnie Radke doveva diventare famoso. Il suo nome doveva essere sulla bocca di tutti. La sua voce, la sua musica doveva essere simbolo di salvezza per un'intera generazione.

I ragazzi dovevano guardare una sua foto e dire “quest'uomo è il mio eroe”.

Solo in questo modo si sarebbero salvati.

Solo in questo modo li avrebbe salvati.

 

Sono le 23.45 del tre marzo 2011.

Una ragazzina di tredici anni sta piangendo in camera sua.

Si sente morire dentro, si sente sola, completamente sola. Più si guarda allo specchio più rabbrividisce a quello che vede. Il trucco le cola dagli occhi, non ce la fa più a tenere queste urla dentro di sé.

Accende l'ipod.

Seleziona il suo gruppo preferito, con il suo cantante preferito.

Sceglie la canzone “Not Good Enough For Truth in Clichè” e alza il volume al massimo, mettendosi entrambe le cuffiette.

La voce di Ronnie le attraversa la pelle fino ad arrivare nelle sue vene, la può sentire pulsare nel suo corpo, la può sentire nel suo cuore.

La voce di Ronnie è la salvezza. E' l'unica cosa che sa farla sentire meglio. Come lo è per troppa altra gente che lei conosce, e che sa che condivide quello che pensa.

La voce di Ronnie le fa uscire un grido di rabbia che non avrebbe mai nemmeno immaginato di fare. Tutto il rancore all'interno del suo corpo esce insieme a quell'urlo, e si sente quasi libera.

Sono le 23.45 del tre marzo 2011 e Ronnie Radke ha salvato qualcuno.

 

Solo in questo modo ci avrebbe salvati.

 

***Walks' Angle.

 

VAI CHE IN DUE GIORNI DI SCRITTURA E' USCITA UNA MERDA INCREDIBILE! VAI COSI' WALKS! CONTINUA COSI'!

 

Oook, dopo questo sfogo dovuto al fatto che nonostante tutto l'amore infinito (?!) che ci ho messo dentro è uscita malissimo, parliamo.

Questa fic l'ho iniziata ieri pomeriggio dopo essermi innamorata di This Song Saved my Life (ehi! Capitan ovvio! Uau!) dei Simple Plan. Ho trovato in molte delle sue parole tanto, se non tutto, quello che avrei voluto dire a Ronnie.

Spero solo di aver fatto capire quanto io ci tengo a quel ragazzo, quanto gli sono riconoscente. Non esagero quando dico che senza di lui non sarei più qui. Non so se è un bene o un male... So solo che quando tutto andava di merda, quando non avevo nessuno accanto, quando avevo bisogno di sfogarmi e nessuno mi ascoltava lui era l'unico che mi tranquillizzava. Quasi mi prendeva per mano, trascinandomi in un mondo migliore, qualcosa che io sognavo di avere.

E io lo adoro, lo adoro più di quanto possa e potrò mai fare... Lui e gli Escape sono le mie origini, non li lascerò mai, per nessuna cosa al mondo.

 

Mi scuso per la lunghezza ma non ci posso fare niente.

Grazie a chi recensirà, vi prego di farlo perchè per questa fic ci tengo davvero molto.

 

Peace, love and Mannie. ♥

Walks.

  
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