Capitolo 9
“Speranza”
Ansimava, cercando di raccogliere quanta più aria possibile
nei polmoni. Eppure sapeva benissimo che non aveva alcun senso, che lei
stava sognando tutto quanto e che questo sforzo, piuttosto,
l’avrebbe svegliata. Sul serio, questa volta.
Lo sapeva, e non desiderava altro. Allo stesso modo era consapevole che
i suoi sensi di colpa si stavano divertendo a torturarla – punirla –
per le tante stupidaggini che aveva commesso, e che lei si era meritata
tutto questo, ma semplicemente ora non ne poteva più e si
sentiva vicina al punto di rottura.
Lei, che si era sempre vantata di essere una ragazza forte e
indipendente, di non aver mai dovuto contare su niente e nessuno,
percepiva solamente la voglia irrefrenabile di piangere e di trovare
delle braccia che la sostenessero e la consolassero.
Calma, doveva rimanere calma. Già, ma come poteva?!
Certamente, non dopo che il proprio rimorso, o subconscio, o qualunque
cosa fosse, le stava infliggendo un simile colpo di grazia.
Pregò che la figura che le aveva appena rivolto la parola,
l’unico elemento del sogno a non essersi ancora dissolto,
potesse fare la stessa fine della camera dei Saotome e di Ran-chan e di
tutto il resto nel giro di qualche istante, ma quando ciò
non si verificò sentì ogni speranza abbandonarla
e lo sconforto impadronirsi di lei.
“Mi dispiace.” Le ripeté. E Ukyo volle
gridare.
Calma. Poteva ancora farcela, fronteggiare una volta per tutte i suoi
demoni interiori. Forse allora si
sarebbe finalmente svegliata.
“Aka… Akane-chan…”
Balbettò, con una voce più lieve e acuta di quel
che avrebbe desiderato.
La ragazza con i capelli corti e la divisa del Furinkan, tale e quale a
come lei se la figurava di solito, annuì con fare timido.
“Sì, Ukyo. Sono io.”
“Per… per favore, dimmi una
cosa…” Un ultimo sforzo. E sarebbe tornata alla
realtà. “Sei veramente tu, Akane in carne e
ossa”, deglutì, “o sei solo…
una costruzione della mia mente?”
In quel momento, senza alcuna ragione, Ukyo desiderò
ferventemente di non essere in un sogno, che il sogno fosse stato il
patto stretto con Genma Saotome, che Akane non fosse mai morta e che il
vero incubo fosse ormai alle proprie spalle.
L’interlocutrice chinò il capo, guardando le
proprie mani e il proprio corpo, come per studiarsi attentamente e
meditare una risposta. Infine aprì bocca, prima che Ukyo
potesse implorarla di non rispondere.
“Ecco… immagino la seconda cosa che hai
detto.”
A quel punto Ukyo finalmente gridò, finché anche
quell’apparizione si dissolse.
Le parole giungevano. Ma non voleva udirle.
“…e poco prima di partire dalla Cina ho preso
degli accordi con la guida di Jusenkyo: una volta che il livello delle
fonti fosse tornato alla normalità, avrebbe dovuto spedire
le acque maledette da me indicate al ristorante Nekohanten. Non potevo
certo dare l’indirizzo di casa Tendo, altrimenti avrei dovuto
rispondere a molte domande. In questo modo, invece, la sola a
conoscenza dell’esistenza della terza fiasca, quella
contenente l’Akanenichuan, è
stata Obaba: ma lei cosa avrebbe dovuto dire? Dopotutto era
più semplice pensare a una svista della guida, o al massimo
a un errore mio che non so leggere il cinese. Naturalmente la vecchia
mummia non poteva leggermi nel pensiero e come immaginavo, se ha
sospettato qualcosa si è tenuta certi pensieri per
sé.” Concluse. Il suo tono suonava come
compiaciuto, quasi che questa confessione fosse per lui un motivo di
vanto.
Ranma sentiva il proprio stomaco sempre più sottosopra,
eppure continuava ad ascoltarlo. Ma non lo guardava in faccia: non
poteva concedergli perfino questa soddisfazione e, tra
l’altro, non avrebbe potuto farlo anche se ne avesse avuto
l’intenzione. Seduto, ma abbandonato completamente in avanti
e verso terra, se non fosse stato per qualcuno che lo stava sorreggendo
per le spalle, non osava più muovere un muscolo per non
sentire altro dolore; dubitava che gli fosse rimasta una sola parte del
corpo sana e stava cominciando a invidiare il braccio che Tofu gli aveva anestetizzato.
“Perciò conferma che Cologne sarebbe estranea a
questa storia.” Disse una voce asciutta, che
associò con qualche istante di ritardo a Nabiki.
“E qual è il ruolo di Ukyo, invece?”
Fissò con più forza il cumulo di terriccio,
sempre lo stesso, sperando di estraniarsi dalla follia che lo
circondava. Tuttavia le parole continuavano a farsi strada nella sua
testa, finché fu costretto a pensarle coscientemente una
dopo l’altra.
“Già, Ukyo… Quando noi
‘maledetti’ ci siamo distribuiti le nostre cure,
fingendo di attingere dalla Nannichuan ho
invece travasato un po’ di Akanenichuan in una
borraccia. Poi mi sono recato in un certo okonomiyaki-ya e ho convinto
la sua proprietaria a usare quest’acqua per…
diciamo recitare davanti a Ranma la parte di
Akane. In ultimo, sono tornato a casa dei Tendo e vi ho proposto di
invitare Ukyo a dormire da noi per qualche giorno, con la scusa che un
volto amico non avrebbe potuto che fare bene al ragazzo. Il resto
sarebbe toccato a lei… ma più di qualcosa
è evidentemente andato storto, prima che potessimo calare il
sipario.”
Parte. Sipario. Una messinscena. Solo una messinscena.
E lui lo aveva sospettato, lo aveva intuito.
E dire che, per un attimo… per un attimo, avrei
potuto giurare…
“Ma siete tornati in Giappone, ormai, da diverse settimane.
Si può sapere da quanto tempo va avanti questa storia,
signor Saotome?” La voce di Tofu.
“Molto meno di quanto crediate. Io e Ukyo ci siamo decisi
dopo varie esitazioni: Ranma non usciva di casa da giorni, e non
c’era un vero momento ideale per mettere in atto il piano. Il
nostro primo tentativo risale a ieri notte, quando Ukyo si è
bagnata con un po’ d’acqua fredda ed è
scesa a parlargli.”
Rinnegando il suo proposito di prima, Ranma alzò il torace
di scatto, lasciandosi avvolgere dal dolore come se potesse distrarlo a
sufficienza. Avvertì anche le mani che lo sorreggevano
assecondare docilmente il suo movimento, non opponendogli la minima
resistenza.
“Parlargli?” Replicò il timbro sferzante
di Nabiki. “Non mi risulta che Ranma e Ukyo abbiano parlato.
Le conversazioni, normalmente, non si svolgono con uno dei due
interlocutori che scappa e l’altro che lo insegue come un
invasato.”
“Io… non so...”
“Fatemi capire!” Strillò una nuova voce.
“Quando ieri Ranma ha detto di aver visto Akane…
anche allora l’aveva vista sul
serio? E anche quella volta si trattava di Ukyo?!”
“Sì, Tendo. Forse… si era spaventata, o
pentita di quanto stesse facendo, questo non so dirlo. Ero rimasto
nella camera degli ospiti a vigilare, contenendo la mia aura al minimo
con la tecnica dell’Umisen-ken perché
Nodoka non si svegliasse, e pronto nel caso la situazione avesse preso
una brutta piega. Così è stato, dato
l’urlo di Ranma… e quella scriteriata che,
tra tutti i posti possibili, andava a rinchiudersi proprio nella nostra
stanza. Non sembrava più lei. Per limitare i danni ho dovuto
agire con rapidità e destrezza, da vero artista
marziale.”
“Da vero artista… ma hai la minima idea di
ciò di cui stai parlando, Saotome?! Come puoi paragonarti a
un artista marziale, quando ti manca l’unica
qualità fondamentale: l’onore! Lo so che sei
caduto in basso più di una volta, ma questo! Si
può sapere cosa hai
complottato, tenendoci tutti all’oscuro? Tradendo tuo figlio,
la fiducia delle persone a te più vicine… e la
nostra amicizia…”
“Ti ho detto più volte di fare silenzio,
papà. I bei discorsi sull’onore e i buoni
sentimenti possono aspettare.”
“Pratica come sempre, o dovrei dire
‘cinica’? Noi due non siamo così
diversi, Nabiki.”
“Farò finta di non averla sentita. Prosegua.
Cos’è accaduto precisamente stanotte?”
“Niente di particolare. Semplicemente, l’ultima
occasione. Certo non poteva essercene un’altra
ancora, non dopo la fuga del ragazzo e le vostre reazioni allarmate. A
essere sincero, non mi fidavo più di Ukyo e avevo pensato di
rinunciare: dopotutto aveva perso il suo sangue freddo quando
più ce n’era bisogno, poi si era lanciata
all’inseguimento di Ranma ma solo per tornare il mattino dopo
a mani vuote, dopo aver tentato inutilmente di farlo ragionare. O
almeno così diceva, come potevo fidarmi ancora? Ma
poi… mi ha preso da parte, e l’ho vista pienamente
in faccia: era sconvolta, irriconoscibile. Mi ha giurato di non
ricordare perché fosse scappata, ma che non sarebbe successo
di nuovo. Avevo già la sua parola, no? Così mi ha
pregato di riprovarci, un’ultima volta, solo una. Quando
stasera abbiamo iniziato le ricerche, lei si è separata dai
vostri gruppi e io ho finto di volermene restare a casa e invece
l’ho raggiunta in un secondo momento. Avremmo rintracciato
Ranma prima di voi e lei avrebbe assunto ancora
l’identità di Akane per…”
“Per fargli credere di essere impazzito?”
“No, affatto!” La replica del suo vecchio a Soun fu
immediata e questa volta il tono tradiva un’inflessione di
panico.
“E allora cosa?” Domandò Nabiki.
“Io non lo so esattamente. È solo che
pensavo… che Ranma si stesse uccidendo con le sue mani e
che, in qualche modo, solamente Akane avrebbe
potuto convincerlo a mettersi il cuore in… ma non serve che
mi giustifichi, non potreste comprendere! Che ne potete sapere voi di
cosa si prova a vedere il proprio unico figlio, l’unica parte
di voi che vi sopravviverà, l’unica cosa buona che
abbiate mai fatto in tutta la vita ridursi a… No, basta
così!” Borbottò, abbassando la voce.
“Sono solo un vecchio idiota, e vi basta sapere
questo.”
Ranma girò lo sguardo e incontrò la figura del
padre. Lo fece, dopo ciò che si era ripromesso. Ma non era
stato un gesto volontario, si giustificò.
Altrettanto involontariamente pensò che senza occhiali
sembrava un’altra persona e che, per quanto strano, gli
pareva di vederlo ora per la prima volta.
Nessuno aprì bocca e il suo vecchio, che pareva aver
esaurito quanto avesse da dire, riprese: “Ma Ukyo…
non portatele rancore per quanto accaduto. Per lei non
dev’essere stato facile partecipare a tutto ciò,
se ha mandato a monte ogni cosa una seconda volta. Quella ragazza deve
aver già vissuto il suo inferno personale.”
Le mani appoggiate a lui tremarono, scuotendolo leggermente. Nel
contempo, Ranma udì dei singhiozzi provenire dalle sue
spalle.
In quel momento, non avvertì più frustrazione,
né rabbia.
Solo una sensazione di vuoto, di stanchezza.
Piangi, Konatsu… piangi anche per me. Io ormai ho
esaurito le lacrime…
Come, come?!
Come aveva potuto? Saotome, il suo migliore amico.
Lo aveva pregato di essere più indulgente con suo figlio,
quando proprio lui era responsabile di aver condotto Ranma
sull’orlo della pazzia. E si era preso gioco di un povero
scemo di nome Soun Tendo, un ingenuo che credeva
nell’amicizia. Si era sempre preso gioco di lui.
“Ma tu pensi anche troppo, amico mio. E pensare
troppo distoglie l’attenzione dalle soluzioni più
semplici, quelle che abbiamo a un palmo di naso”.
Gli aveva perfino confessato in faccia la verità. Quanto
doveva aver riso, alle sue spalle.
Non gli importò di udire le sue parole di autocommiserazione.
Nulla avrebbe potuto sanare questa ferita.
Presto, si disse. Non aveva un secondo da perdere. O almeno questo era
quanto gli era stato ripetuto più e più volte
finché, ancora frastornato e forse leggermente intimidito,
aveva deciso di assecondarla e uscire dal locale. In ogni caso,
sperò che non fosse così: non dopo il tempo che
aveva sprecato.
Pedalò con maggior foga, maledicendosi per la propria
stupidità. Si era diretto a colpo sicuro verso casa dei
Tendo, aveva bussato, urlato a gran voce, prima di rendersi conto che
era deserta. Un passante con il volto rosso aveva schiamazzato a sua
volta, rimproverandolo per il baccano al quale lui e gli altri
“giovani d’oggi” si dedicavano in piena
notte: prima i fuochi
d’artificio di
quei ragazzacci del Furinkan e ora questo,
aveva brontolato con un’aria eccessiva di sdegno.
Solo allora Mu Si rammentò finalmente di aver udito un
distante boato, quando lavava i piatti, almeno più di
un’ora prima, e che al momento non aveva associato a qualcosa
di particolare. Ma sbagliava, nulla a Nerima poteva essere lasciato al
caso. Interrogato con non poche difficoltà
quell’ubriacone, si era diretto a perdifiato verso il suo
nuovo traguardo.
Sarà stato Ranma? O Ryoga? Non importa,
ciò che conta è trovare qualcuno di loro. Se
è come penso, potrei anche trovarli tutti.
Più nel dettaglio, lei gli aveva ordinato di rintracciare
Genma Saotome. E
la ragazza, che con ogni probabilità avrebbe
visto al posto suo o assieme a lui. Mu Si ignorava come mai avvertisse
tanta voglia di cooperare, dopotutto lo aveva tenuto
all’oscuro di ogni cosa: c’era, tuttavia, qualcosa
nel tono con cui gli si era rivolta, tale da mettergli addosso una
particolare angoscia.
Shan Pu.
Solo per lei si era sentito disposto a fare il giro del mondo, scalare
qualunque montagna, se solo questo fosse stato il suo desiderio. Almeno
era stato così fino a stanotte.
Shan Pu, che lui per un lungo attimo pensava di aver riconosciuto nella
figura che lo aveva aiutato a rialzarsi, simile a un angelo salvatore
intervenuto per liberarlo dalle angherie della vecchia.
E invece si era ritrovato di fronte proprio lei, Cologne, e da quel
momento era più confuso che mai.
Lei, che lo aveva colpito facendogli perdere i sensi, era rimasta nella
stanza per aiutarlo a riprendersi.
E se quella megera avesse veramente avuto qualcosa di importante da
tenergli nascosto, qualcosa che fosse collegato alla telefonata e
magari a uno dei classici piani di bisnonna e bisnipote per conquistare
Ranma e portarselo nel villaggio esibendolo come un trofeo di caccia,
allora che senso aveva rivolgersi proprio a lui?
Non lo aveva, punto. A meno che non si trattasse di una
‘falsa missione’, con l’unico scopo di
depistarlo mentre la vecchia perpetrava liberamente i propri piani. Ma
si sentiva quasi certo di poter escludere questa ipotesi: Cologne si
sarebbe inventata una scusa molto più semplice, e del resto
una bugia come questa non avrebbe mai fatto il suo gioco, al contrario.
Il suo istinto, infine, tagliava corto e lo incitava a sbrigarsi.
Pedala, Mousse, s’impose, storpiando
apposta il proprio nome e fingendo che la voce non provenisse dalla sua
coscienza ma fosse quella di Shan Pu.
Ukyo si guardò intorno, con aria smarrita.
Lo scenario che la circondava era di nuovo cambiato ed evidentemente
non si era svegliata nemmeno questa volta. Il paesaggio era appunto
‘da sogno’, un po’ per le pozze e le
canne di bambù che le comunicavano una particolare
sensazione di immobilità, un po’ per la sottile
cappa di nebbia che rendeva il tutto più simile a un dipinto
appena accennato con qualche mano di pennello, piuttosto che alla
realtà. Ma una voce interiore le diceva che quel luogo
esisteva, e che lei ci era già stata. Proprio lei, che non
aveva mai visitato regioni diverse dal Kansai e dal Kanto.
“Dove sono?!” Chiese, anche se non riconobbe la
voce come la propria.
“Questo è Zhou
Chuan Xiang. Nella tua lingua Jusenkyo, il campo
d’addestramento maledetto.”
Si voltò, e scorse la persona che le aveva rivolto la
parola: una donna, sicuramente più grande di lei, bardata
con una specie di uniforme, forse da guerriero, che tuttavia faceva
sfoggio di diverse decorazioni, un pendaglio, perfino un raffinato
piumaggio, e non mancava di sottolineare le sue abbondanti curve. Ogni
discorso estetico fu però dimenticato, nel momento in cui
Ukyo s’avvide che le piume non facevano parte del vestito ma
proseguivano in due grandi ali.
Chi – o cosa –
sei, volle chiederle. Ma dalla sua bocca uscì solo
un’esclamazione: “Kima!”
Già, perché questo era il nome della donna, Kima.
Ma dove l’aveva mai udito, se era la prima volta che la
vedeva in vita sua?
“Queste fonti possono trasformare chiunque vi si immerga in
chi vi è caduto dentro per primo… e noi abitanti
del monte Hooh, sin dai tempi più remoti, facciamo
volontariamente uso della Nannichuan e della Niannichuan per
celare il nostro aspetto e aggirarci in incognito tra gli esseri
umani.”
Jusenkyo. La Niannichuan.
Era la sorgente in cui era caduto Ran-chan.
Ukyo si lasciò sfuggire un sorriso sarcastico.
“Immagino che tu non mi abbia rapito e portato qui solo per
raccontarmi questa storia, dico bene?”
E all’improvviso quella situazione, quel dialogo, le parvero
familiari.
Possibile che stia ancora ricordando? Ma questi
ricordi… non possono essere miei.
“Tieni.” Kima le lanciò qualcosa tra le
mani. Ukyo fissò l’oggetto, perplessa.
“Una mia foto…?” Chiese. Ma non era
vero. La foto non rappresentava lei.
“Il nemico del sommo Safulan… o meglio, il nostro
nemico… la teneva con sé.”
Ranma… Ranma aveva con sé questa foto?
Sentì il cuore batterle forte. Ranma aveva con sé
una sua foto.
No. No, non era così.
Kima assottigliò lo sguardo, abbandonò la sua
espressione fredda e, per la prima volta, assunse un ghigno malvagio.
“Vedi, tutto lascia credere che il suo punto
debole… sia
tu.”
A quelle ultime parole, sentì la terra sprofondare sotto i
piedi. Ne fu letteralmente risucchiata, e si trovò di colpo
avvolta e circondata dall’acqua, in una trappola mortale.
Ranma… implorò,
impossibilitata a tornare a galla. Ranma che la veniva sempre a
salvare. Ranma che aveva con sé la sua… no, non
la sua foto. Ranma non veniva a salvare lei. La persona raffigurata
nella foto non era lei.
Akane. Si trattava di Akane.
È tutto sbagliato, pensò.
Non poteva annegare in questo modo, lei sapeva nuotare, lei non era
Akane. Io
sono Ukyo, Ukyo! Agitò
le braccia in un movimento disperato, cercando di tornare in
superficie. Non poteva morire così.
Io sono Ukyo!
“Prendi la mia mano!”
Chi aveva parlato, ora? Sentiva il peso del proprio corpo farsi
insopportabile, le forze venirle meno e la vista annebbiarsi,
così evitò di porsi domande e allungò
il braccio verso l’alto. Qualcosa le strinse il polso e,
facendo leva, la issò fuori dall’acqua.
Acqua che svanì nel momento stesso in cui ne fu uscita,
facendo la stessa fine di Kima, delle sorgenti e di tutto lo scenario
di qualche istante prima. L’Akane che le stringeva la mano
era adesso l’unico elemento palpabile ai suoi sensi.
“Ukyo, mi dispiace tanto.” Mormorò, con
aria addolorata.
“Me l’hai già detto.” Le
replicò seccamente. “Si può sapere dove
siamo?”
“Ti avevo detto anche questo… siamo nella tua
mente, e immagino che tu stia ancora dormendo.”
“Dormendo? Ecco cosa non mi torna, perché mai sto
dormendo? Ora lo ricordo chiaramente, ero al Furinkan e stavo
versandomi…”, troncò la frase, in preda
a un’illuminazione,
“l’acqua…”
Quando la ‘bella addormentata’ iniziò a
muoversi e a lamentarsi, Nabiki avvertì l’aria
tornare a riempirsi di tensione.
Indubbiamente, scoprire poco a poco la verità, come in un
libro giallo, era stato più eccitante di doverla
fronteggiare, come nella vita reale.
Non che lei avesse delle colpe, sapeva di aver adempiuto il proprio
dovere, per così dire: però non riusciva a trarre
un motivo di orgoglio da ciò. Al contrario, un sapore amaro
le permeava la bocca, e aveva solo voglia di tornarsene a letto e
lasciarsi alle spalle tutto quanto.
Tuttavia non poteva ancora mostrare agli altri il minimo segno del suo
cedimento, non poteva abbassare la guardia. Non era ancora finita.
Papà continuava a fissare negli occhi Saotome, quasi a
volerlo uccidere con lo sguardo; la signora Nodoka, accompagnata da
Kasumi e coperta dal piagnisteo di Konatsu, si era avvicinata a un
Ranma fin troppo calmo ma non osava dire o fare qualcosa: come lei,
sapeva che una parola sbagliata avrebbe potuto farlo scatenare di nuovo.
Era stato imprudente far confessare lo zio Genma davanti a tutta la
platea, e adesso il risveglio della cuoca di okonomiyaki avrebbe potuto
soltanto peggiorare le cose.
Il dottor Tofu aiutò Ukyo ad alzarsi.
“Cosa…?”
“Tranquilla, va tutto bene.”
Tutto bene? Al dottore l’ottimismo non mancava di certo. E
Ucchan non era la persona che avesse più bisogno di essere
rassicurata. Ma tenne questi pensieri per sé e si
limitò a osservare le reazioni della ragazza.
“Sappiamo tutto, Ukyo.” Esclamò
papà.
A questo punto Nabiki si aspettava che avrebbe negato, o biascicato
qualche risposta confusa. E invece, non fece alcuna delle due cose.
“No. Ancora non sapete nulla.”
Disse con decisione la cuoca di okonomiyaki.
Punta sul vivo, fu lei stessa a risponderle.
“Frase un tantino presuntuosa, da parte tua. Ma Saotome, qui,
ci ha raccontato ogni cosa.”
“Nemmeno lui sa cosa è successo. E
neanch’io, fino a poco fa. Perché Akane
è…”
“Adesso basta! Risparmiaci l’ennesima bugia! Credi
davvero che staremo qui ad ascoltare le tue storie?”
“Allora ascolterete me!” Tofu l’aveva
fulminata con uno sguardo duro e Nabiki non se la sentì di
replicare. “Forse non l’avete notato, ma la
trasformazione non ha modificato solo l’aspetto di Ukyo. Mi
riferisco all’aura.
Quello che sto percependo non mi piace per niente, è come
se… ci fossero non una, ma due auree sovrapposte
l’una all’altra. Ma questo non è
fisicamente possibile. Se non lo vedessi con i miei
occhi…”
“È possibile”, disse Ukyo,
“perché la seconda aura è quella di
Akane. Della vera Akane.”
In quel momento, la bicicletta di Mousse fece capolino nello spiazzo
attirando la loro attenzione.
“Vi ho trovato. E ho sentito abbastanza. Ora, dovete venire
tutti con me.”