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Autore: Kuno84    24/09/2011    12 recensioni
Tutti conosciamo l'esito della battaglia finale contro Safulan. Ma se le cose fossero andate diversamente? Ranma avrebbe combattuto, avrebbe salvato Akane contro ogni evidenza, o più semplicemente si sarebbe lasciato soccombere alla pazzia?
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Capitolo 9 
“Speranza”

  
  
Ansimava, cercando di raccogliere quanta più aria possibile nei polmoni. Eppure sapeva benissimo che non aveva alcun senso, che lei stava sognando tutto quanto e che questo sforzo, piuttosto, l’avrebbe svegliata. Sul serio, questa volta. 
Lo sapeva, e non desiderava altro. Allo stesso modo era consapevole che i suoi sensi di colpa si stavano divertendo a torturarla – punirla – per le tante stupidaggini che aveva commesso, e che lei si era meritata tutto questo, ma semplicemente ora non ne poteva più e si sentiva vicina al punto di rottura. 
Lei, che si era sempre vantata di essere una ragazza forte e indipendente, di non aver mai dovuto contare su niente e nessuno, percepiva solamente la voglia irrefrenabile di piangere e di trovare delle braccia che la sostenessero e la consolassero. 
Calma, doveva rimanere calma. Già, ma come poteva?! Certamente, non dopo che il proprio rimorso, o subconscio, o qualunque cosa fosse, le stava infliggendo un simile colpo di grazia. 
Pregò che la figura che le aveva appena rivolto la parola, l’unico elemento del sogno a non essersi ancora dissolto, potesse fare la stessa fine della camera dei Saotome e di Ran-chan e di tutto il resto nel giro di qualche istante, ma quando ciò non si verificò sentì ogni speranza abbandonarla e lo sconforto impadronirsi di lei. 
“Mi dispiace.” Le ripeté. E Ukyo volle gridare. 
Calma. Poteva ancora farcela, fronteggiare una volta per tutte i suoi demoni interiori. Forse allora si sarebbe finalmente svegliata. 
“Aka… Akane-chan…” Balbettò, con una voce più lieve e acuta di quel che avrebbe desiderato. 
La ragazza con i capelli corti e la divisa del Furinkan, tale e quale a come lei se la figurava di solito, annuì con fare timido. 
“Sì, Ukyo. Sono io.” 
“Per… per favore, dimmi una cosa…” Un ultimo sforzo. E sarebbe tornata alla realtà. “Sei veramente tu, Akane in carne e ossa”, deglutì, “o sei solo… una costruzione della mia mente?” 
In quel momento, senza alcuna ragione, Ukyo desiderò ferventemente di non essere in un sogno, che il sogno fosse stato il patto stretto con Genma Saotome, che Akane non fosse mai morta e che il vero incubo fosse ormai alle proprie spalle. 
L’interlocutrice chinò il capo, guardando le proprie mani e il proprio corpo, come per studiarsi attentamente e meditare una risposta. Infine aprì bocca, prima che Ukyo potesse implorarla di non rispondere. 
“Ecco… immagino la seconda cosa che hai detto.” 
A quel punto Ukyo finalmente gridò, finché anche quell’apparizione si dissolse. 
  
  
Le parole giungevano. Ma non voleva udirle. 
“…e poco prima di partire dalla Cina ho preso degli accordi con la guida di Jusenkyo: una volta che il livello delle fonti fosse tornato alla normalità, avrebbe dovuto spedire le acque maledette da me indicate al ristorante Nekohanten. Non potevo certo dare l’indirizzo di casa Tendo, altrimenti avrei dovuto rispondere a molte domande. In questo modo, invece, la sola a conoscenza dell’esistenza della terza fiasca, quella contenente l’Akanenichuan, è stata Obaba: ma lei cosa avrebbe dovuto dire? Dopotutto era più semplice pensare a una svista della guida, o al massimo a un errore mio che non so leggere il cinese. Naturalmente la vecchia mummia non poteva leggermi nel pensiero e come immaginavo, se ha sospettato qualcosa si è tenuta certi pensieri per sé.” Concluse. Il suo tono suonava come compiaciuto, quasi che questa confessione fosse per lui un motivo di vanto. 
Ranma sentiva il proprio stomaco sempre più sottosopra, eppure continuava ad ascoltarlo. Ma non lo guardava in faccia: non poteva concedergli perfino questa soddisfazione e, tra l’altro, non avrebbe potuto farlo anche se ne avesse avuto l’intenzione. Seduto, ma abbandonato completamente in avanti e verso terra, se non fosse stato per qualcuno che lo stava sorreggendo per le spalle, non osava più muovere un muscolo per non sentire altro dolore; dubitava che gli fosse rimasta una sola parte del corpo sana e stava cominciando a invidiare il braccio che Tofu gli aveva anestetizzato. 
“Perciò conferma che Cologne sarebbe estranea a questa storia.” Disse una voce asciutta, che associò con qualche istante di ritardo a Nabiki. “E qual è il ruolo di Ukyo, invece?” 
Fissò con più forza il cumulo di terriccio, sempre lo stesso, sperando di estraniarsi dalla follia che lo circondava. Tuttavia le parole continuavano a farsi strada nella sua testa, finché fu costretto a pensarle coscientemente una dopo l’altra. 
“Già, Ukyo… Quando noi ‘maledetti’ ci siamo distribuiti le nostre cure, fingendo di attingere dalla Nannichuan ho invece travasato un po’ di Akanenichuan in una borraccia. Poi mi sono recato in un certo okonomiyaki-ya e ho convinto la sua proprietaria a usare quest’acqua per… diciamo recitare davanti a Ranma la parte di Akane. In ultimo, sono tornato a casa dei Tendo e vi ho proposto di invitare Ukyo a dormire da noi per qualche giorno, con la scusa che un volto amico non avrebbe potuto che fare bene al ragazzo. Il resto sarebbe toccato a lei… ma più di qualcosa è evidentemente andato storto, prima che potessimo calare il sipario.” 
Parte. Sipario. Una messinscena. Solo una messinscena. 
E lui lo aveva sospettato, lo aveva intuito. 
E dire che, per un attimo… per un attimo, avrei potuto giurare… 
“Ma siete tornati in Giappone, ormai, da diverse settimane. Si può sapere da quanto tempo va avanti questa storia, signor Saotome?” La voce di Tofu. 
“Molto meno di quanto crediate. Io e Ukyo ci siamo decisi dopo varie esitazioni: Ranma non usciva di casa da giorni, e non c’era un vero momento ideale per mettere in atto il piano. Il nostro primo tentativo risale a ieri notte, quando Ukyo si è bagnata con un po’ d’acqua fredda ed è scesa a parlargli.” 
Rinnegando il suo proposito di prima, Ranma alzò il torace di scatto, lasciandosi avvolgere dal dolore come se potesse distrarlo a sufficienza. Avvertì anche le mani che lo sorreggevano assecondare docilmente il suo movimento, non opponendogli la minima resistenza. 
“Parlargli?” Replicò il timbro sferzante di Nabiki. “Non mi risulta che Ranma e Ukyo abbiano parlato. Le conversazioni, normalmente, non si svolgono con uno dei due interlocutori che scappa e l’altro che lo insegue come un invasato.” 
“Io… non so...” 
“Fatemi capire!” Strillò una nuova voce. “Quando ieri Ranma ha detto di aver visto Akane… anche allora l’aveva vista sul serio? E anche quella volta si trattava di Ukyo?!” 
“Sì, Tendo. Forse… si era spaventata, o pentita di quanto stesse facendo, questo non so dirlo. Ero rimasto nella camera degli ospiti a vigilare, contenendo la mia aura al minimo con la tecnica dell’Umisen-ken perché Nodoka non si svegliasse, e pronto nel caso la situazione avesse preso una brutta piega. Così è stato, dato l’urlo di Ranma… e quella scriteriata che, tra tutti i posti possibili, andava a rinchiudersi proprio nella nostra stanza. Non sembrava più lei. Per limitare i danni ho dovuto agire con rapidità e destrezza, da vero artista marziale.” 
“Da vero artista… ma hai la minima idea di ciò di cui stai parlando, Saotome?! Come puoi paragonarti a un artista marziale, quando ti manca l’unica qualità fondamentale: l’onore! Lo so che sei caduto in basso più di una volta, ma questo! Si può sapere cosa hai complottato, tenendoci tutti all’oscuro? Tradendo tuo figlio, la fiducia delle persone a te più vicine… e la nostra amicizia…” 
“Ti ho detto più volte di fare silenzio, papà. I bei discorsi sull’onore e i buoni sentimenti possono aspettare.” 
“Pratica come sempre, o dovrei dire ‘cinica’? Noi due non siamo così diversi, Nabiki.” 
“Farò finta di non averla sentita. Prosegua. Cos’è accaduto precisamente stanotte?” 
“Niente di particolare. Semplicemente, l’ultima occasione. Certo non poteva essercene un’altra ancora, non dopo la fuga del ragazzo e le vostre reazioni allarmate. A essere sincero, non mi fidavo più di Ukyo e avevo pensato di rinunciare: dopotutto aveva perso il suo sangue freddo quando più ce n’era bisogno, poi si era lanciata all’inseguimento di Ranma ma solo per tornare il mattino dopo a mani vuote, dopo aver tentato inutilmente di farlo ragionare. O almeno così diceva, come potevo fidarmi ancora? Ma poi… mi ha preso da parte, e l’ho vista pienamente in faccia: era sconvolta, irriconoscibile. Mi ha giurato di non ricordare perché fosse scappata, ma che non sarebbe successo di nuovo. Avevo già la sua parola, no? Così mi ha pregato di riprovarci, un’ultima volta, solo una. Quando stasera abbiamo iniziato le ricerche, lei si è separata dai vostri gruppi e io ho finto di volermene restare a casa e invece l’ho raggiunta in un secondo momento. Avremmo rintracciato Ranma prima di voi e lei avrebbe assunto ancora l’identità di Akane per…” 
“Per fargli credere di essere impazzito?” 
“No, affatto!” La replica del suo vecchio a Soun fu immediata e questa volta il tono tradiva un’inflessione di panico. 
“E allora cosa?” Domandò Nabiki. 
“Io non lo so esattamente. È solo che pensavo… che Ranma si stesse uccidendo con le sue mani e che, in qualche modo, solamente Akane avrebbe potuto convincerlo a mettersi il cuore in… ma non serve che mi giustifichi, non potreste comprendere! Che ne potete sapere voi di cosa si prova a vedere il proprio unico figlio, l’unica parte di voi che vi sopravviverà, l’unica cosa buona che abbiate mai fatto in tutta la vita ridursi a… No, basta così!” Borbottò, abbassando la voce. “Sono solo un vecchio idiota, e vi basta sapere questo.” 
Ranma girò lo sguardo e incontrò la figura del padre. Lo fece, dopo ciò che si era ripromesso. Ma non era stato un gesto volontario, si giustificò. 
Altrettanto involontariamente pensò che senza occhiali sembrava un’altra persona e che, per quanto strano, gli pareva di vederlo ora per la prima volta. 
Nessuno aprì bocca e il suo vecchio, che pareva aver esaurito quanto avesse da dire, riprese: “Ma Ukyo… non portatele rancore per quanto accaduto. Per lei non dev’essere stato facile partecipare a tutto ciò, se ha mandato a monte ogni cosa una seconda volta. Quella ragazza deve aver già vissuto il suo inferno personale.” 
Le mani appoggiate a lui tremarono, scuotendolo leggermente. Nel contempo, Ranma udì dei singhiozzi provenire dalle sue spalle. 
In quel momento, non avvertì più frustrazione, né rabbia. 
Solo una sensazione di vuoto, di stanchezza. 
Piangi, Konatsu… piangi anche per me. Io ormai ho esaurito le lacrime… 
  
  
Come, come?! 
Come aveva potuto? Saotome, il suo migliore amico. 
Lo aveva pregato di essere più indulgente con suo figlio, quando proprio lui era responsabile di aver condotto Ranma sull’orlo della pazzia. E si era preso gioco di un povero scemo di nome Soun Tendo, un ingenuo che credeva nell’amicizia. Si era sempre preso gioco di lui. 
“Ma tu pensi anche troppo, amico mio. E pensare troppo distoglie l’attenzione dalle soluzioni più semplici, quelle che abbiamo a un palmo di naso”. 
Gli aveva perfino confessato in faccia la verità. Quanto doveva aver riso, alle sue spalle. 
Non gli importò di udire le sue parole di autocommiserazione. 
Nulla avrebbe potuto sanare questa ferita. 
  
  
Presto, si disse. Non aveva un secondo da perdere. O almeno questo era quanto gli era stato ripetuto più e più volte finché, ancora frastornato e forse leggermente intimidito, aveva deciso di assecondarla e uscire dal locale. In ogni caso, sperò che non fosse così: non dopo il tempo che aveva sprecato. 
Pedalò con maggior foga, maledicendosi per la propria stupidità. Si era diretto a colpo sicuro verso casa dei Tendo, aveva bussato, urlato a gran voce, prima di rendersi conto che era deserta. Un passante con il volto rosso aveva schiamazzato a sua volta, rimproverandolo per il baccano al quale lui e gli altri “giovani d’oggi” si dedicavano in piena notte: prima i fuochi d’artificio di quei ragazzacci del Furinkan e ora questo, aveva brontolato con un’aria eccessiva di sdegno. 
Solo allora Mu Si rammentò finalmente di aver udito un distante boato, quando lavava i piatti, almeno più di un’ora prima, e che al momento non aveva associato a qualcosa di particolare. Ma sbagliava, nulla a Nerima poteva essere lasciato al caso. Interrogato con non poche difficoltà quell’ubriacone, si era diretto a perdifiato verso il suo nuovo traguardo. 
Sarà stato Ranma? O Ryoga? Non importa, ciò che conta è trovare qualcuno di loro. Se è come penso, potrei anche trovarli tutti. 
Più nel dettaglio, lei gli aveva ordinato di rintracciare Genma Saotome. E la ragazza, che con ogni probabilità avrebbe visto al posto suo o assieme a lui. Mu Si ignorava come mai avvertisse tanta voglia di cooperare, dopotutto lo aveva tenuto all’oscuro di ogni cosa: c’era, tuttavia, qualcosa nel tono con cui gli si era rivolta, tale da mettergli addosso una particolare angoscia. 
Shan Pu. 
Solo per lei si era sentito disposto a fare il giro del mondo, scalare qualunque montagna, se solo questo fosse stato il suo desiderio. Almeno era stato così fino a stanotte. 
Shan Pu, che lui per un lungo attimo pensava di aver riconosciuto nella figura che lo aveva aiutato a rialzarsi, simile a un angelo salvatore intervenuto per liberarlo dalle angherie della vecchia. 
E invece si era ritrovato di fronte proprio lei, Cologne, e da quel momento era più confuso che mai. 
Lei, che lo aveva colpito facendogli perdere i sensi, era rimasta nella stanza per aiutarlo a riprendersi. 
E se quella megera avesse veramente avuto qualcosa di importante da tenergli nascosto, qualcosa che fosse collegato alla telefonata e magari a uno dei classici piani di bisnonna e bisnipote per conquistare Ranma e portarselo nel villaggio esibendolo come un trofeo di caccia, allora che senso aveva rivolgersi proprio a lui? 
Non lo aveva, punto. A meno che non si trattasse di una ‘falsa missione’, con l’unico scopo di depistarlo mentre la vecchia perpetrava liberamente i propri piani. Ma si sentiva quasi certo di poter escludere questa ipotesi: Cologne si sarebbe inventata una scusa molto più semplice, e del resto una bugia come questa non avrebbe mai fatto il suo gioco, al contrario. 
Il suo istinto, infine, tagliava corto e lo incitava a sbrigarsi. 
Pedala, Mousse, s’impose, storpiando apposta il proprio nome e fingendo che la voce non provenisse dalla sua coscienza ma fosse quella di Shan Pu. 
  
  
Ukyo si guardò intorno, con aria smarrita. 
Lo scenario che la circondava era di nuovo cambiato ed evidentemente non si era svegliata nemmeno questa volta. Il paesaggio era appunto ‘da sogno’, un po’ per le pozze e le canne di bambù che le comunicavano una particolare sensazione di immobilità, un po’ per la sottile cappa di nebbia che rendeva il tutto più simile a un dipinto appena accennato con qualche mano di pennello, piuttosto che alla realtà. Ma una voce interiore le diceva che quel luogo esisteva, e che lei ci era già stata. Proprio lei, che non aveva mai visitato regioni diverse dal Kansai e dal Kanto. 
“Dove sono?!” Chiese, anche se non riconobbe la voce come la propria. 
“Questo è Zhou Chuan Xiang. Nella tua lingua Jusenkyo, il campo d’addestramento maledetto.” 
Si voltò, e scorse la persona che le aveva rivolto la parola: una donna, sicuramente più grande di lei, bardata con una specie di uniforme, forse da guerriero, che tuttavia faceva sfoggio di diverse decorazioni, un pendaglio, perfino un raffinato piumaggio, e non mancava di sottolineare le sue abbondanti curve. Ogni discorso estetico fu però dimenticato, nel momento in cui Ukyo s’avvide che le piume non facevano parte del vestito ma proseguivano in due grandi ali. 
Chi – o cosa – sei, volle chiederle. Ma dalla sua bocca uscì solo un’esclamazione: “Kima!” 
Già, perché questo era il nome della donna, Kima. Ma dove l’aveva mai udito, se era la prima volta che la vedeva in vita sua? 
“Queste fonti possono trasformare chiunque vi si immerga in chi vi è caduto dentro per primo… e noi abitanti del monte Hooh, sin dai tempi più remoti, facciamo volontariamente uso della Nannichuan e della Niannichuan per celare il nostro aspetto e aggirarci in incognito tra gli esseri umani.” 
Jusenkyo. La Niannichuan. Era la sorgente in cui era caduto Ran-chan. 
Ukyo si lasciò sfuggire un sorriso sarcastico. “Immagino che tu non mi abbia rapito e portato qui solo per raccontarmi questa storia, dico bene?” 
E all’improvviso quella situazione, quel dialogo, le parvero familiari. 
Possibile che stia ancora ricordando? Ma questi ricordi… non possono essere miei. 
“Tieni.” Kima le lanciò qualcosa tra le mani. Ukyo fissò l’oggetto, perplessa. 
“Una mia foto…?” Chiese. Ma non era vero. La foto non rappresentava lei. 
“Il nemico del sommo Safulan… o meglio, il nostro nemico… la teneva con sé.” 
Ranma… Ranma aveva con sé questa foto? 
Sentì il cuore batterle forte. Ranma aveva con sé una sua foto. 
No. No, non era così. 
Kima assottigliò lo sguardo, abbandonò la sua espressione fredda e, per la prima volta, assunse un ghigno malvagio. “Vedi, tutto lascia credere che il suo punto debole… sia tu.” 
A quelle ultime parole, sentì la terra sprofondare sotto i piedi. Ne fu letteralmente risucchiata, e si trovò di colpo avvolta e circondata dall’acqua, in una trappola mortale. 
Ranma… implorò, impossibilitata a tornare a galla. Ranma che la veniva sempre a salvare. Ranma che aveva con sé la sua… no, non la sua foto. Ranma non veniva a salvare lei. La persona raffigurata nella foto non era lei. 
Akane. Si trattava di Akane. 
È tutto sbagliato, pensò. Non poteva annegare in questo modo, lei sapeva nuotare, lei non era Akane. Io sono Ukyo, Ukyo! Agitò le braccia in un movimento disperato, cercando di tornare in superficie. Non poteva morire così. 
Io sono Ukyo! 
“Prendi la mia mano!” 
Chi aveva parlato, ora? Sentiva il peso del proprio corpo farsi insopportabile, le forze venirle meno e la vista annebbiarsi, così evitò di porsi domande e allungò il braccio verso l’alto. Qualcosa le strinse il polso e, facendo leva, la issò fuori dall’acqua. 
Acqua che svanì nel momento stesso in cui ne fu uscita, facendo la stessa fine di Kima, delle sorgenti e di tutto lo scenario di qualche istante prima. L’Akane che le stringeva la mano era adesso l’unico elemento palpabile ai suoi sensi. 
“Ukyo, mi dispiace tanto.” Mormorò, con aria addolorata. 
“Me l’hai già detto.” Le replicò seccamente. “Si può sapere dove siamo?” 
“Ti avevo detto anche questo… siamo nella tua mente, e immagino che tu stia ancora dormendo.” 
“Dormendo? Ecco cosa non mi torna, perché mai sto dormendo? Ora lo ricordo chiaramente, ero al Furinkan e stavo versandomi…”, troncò la frase, in preda a un’illuminazione, “l’acqua…” 
  
  
Quando la ‘bella addormentata’ iniziò a muoversi e a lamentarsi, Nabiki avvertì l’aria tornare a riempirsi di tensione. 
Indubbiamente, scoprire poco a poco la verità, come in un libro giallo, era stato più eccitante di doverla fronteggiare, come nella vita reale. 
Non che lei avesse delle colpe, sapeva di aver adempiuto il proprio dovere, per così dire: però non riusciva a trarre un motivo di orgoglio da ciò. Al contrario, un sapore amaro le permeava la bocca, e aveva solo voglia di tornarsene a letto e lasciarsi alle spalle tutto quanto. 
Tuttavia non poteva ancora mostrare agli altri il minimo segno del suo cedimento, non poteva abbassare la guardia. Non era ancora finita. Papà continuava a fissare negli occhi Saotome, quasi a volerlo uccidere con lo sguardo; la signora Nodoka, accompagnata da Kasumi e coperta dal piagnisteo di Konatsu, si era avvicinata a un Ranma fin troppo calmo ma non osava dire o fare qualcosa: come lei, sapeva che una parola sbagliata avrebbe potuto farlo scatenare di nuovo. 
Era stato imprudente far confessare lo zio Genma davanti a tutta la platea, e adesso il risveglio della cuoca di okonomiyaki avrebbe potuto soltanto peggiorare le cose. 
Il dottor Tofu aiutò Ukyo ad alzarsi. 
“Cosa…?” 
“Tranquilla, va tutto bene.” 
Tutto bene? Al dottore l’ottimismo non mancava di certo. E Ucchan non era la persona che avesse più bisogno di essere rassicurata. Ma tenne questi pensieri per sé e si limitò a osservare le reazioni della ragazza. 
“Sappiamo tutto, Ukyo.” Esclamò papà. 
A questo punto Nabiki si aspettava che avrebbe negato, o biascicato qualche risposta confusa. E invece, non fece alcuna delle due cose. 
“No. Ancora non sapete nulla.” Disse con decisione la cuoca di okonomiyaki. 
Punta sul vivo, fu lei stessa a risponderle. 
“Frase un tantino presuntuosa, da parte tua. Ma Saotome, qui, ci ha raccontato ogni cosa.” 
“Nemmeno lui sa cosa è successo. E neanch’io, fino a poco fa. Perché Akane è…” 
“Adesso basta! Risparmiaci l’ennesima bugia! Credi davvero che staremo qui ad ascoltare le tue storie?” 
“Allora ascolterete me!” Tofu l’aveva fulminata con uno sguardo duro e Nabiki non se la sentì di replicare. “Forse non l’avete notato, ma la trasformazione non ha modificato solo l’aspetto di Ukyo. Mi riferisco all’aura. Quello che sto percependo non mi piace per niente, è come se… ci fossero non una, ma due auree sovrapposte l’una all’altra. Ma questo non è fisicamente possibile. Se non lo vedessi con i miei occhi…” 
“È possibile”, disse Ukyo, “perché la seconda aura è quella di Akane. Della vera Akane.” 
In quel momento, la bicicletta di Mousse fece capolino nello spiazzo attirando la loro attenzione. 
“Vi ho trovato. E ho sentito abbastanza. Ora, dovete venire tutti con me.”


   
 
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