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Autore: Silvar tales    25/09/2011    2 recensioni
Una mano esile, pallida, si chiuse su quel gambo verde muschio abbandonato malamente in mezzo alla ghiaia e alla polvere.
Si chiese chi mai l'avesse tranciato per poi gettarlo via così, in mezzo ai sassi e in balia dei venti.
Forse era stata Yuzu a farlo cadere, da dietro la coltre di nuvole.
Forse era stato solo il vento.
[Seconda classificata a parimerito al contest "In memoriam" indetto da dreamwolf91]
Genere: Introspettivo, Mistero, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hinata Hyuuga
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ero appena una donna.
Anzi, se vogliamo essere attinenti alla realtà, molti mi scambiavano per una ragazzina, dal fisico minuto e gentile che avevo.
La gente mi vedeva così, una brava kunoichi che teneva alto l'onore Hyuga, e che presto avrebbe avuto un matrimonio vincente.
Peccato che non fosse con quel ragazzetto che incontravo ogni giorno, di nascosto.
Avevamo preso l'abitudine di vederci sotto quel grosso glicine, nel retro della casata.
Era un luogo che amavamo entrambi, per il solletico che ci suscitava al naso, per l'odore pungente e il ronzio delle api.
E fu così che c'innamorammo, quando diventammo abbastanza maturi per capacitarci del sentimento che, ogni pomeriggio, portava i nostri passi fino a quel pergolato.
Qualcosa che inizialmente fu per gioco, e poi diventò un male a cui non potevamo stare indifferenti.

“Pensi che stiamo sbagliando, Yuzu?”
Alzai le spalle, tormentandomi timida una ciocca color notte.
“Io penso di sì”.
Mi circondò con le braccia, tutto impacciato.
Entrambi eravamo più che inesperti, e colmi di paure.
Qualcosa che poteva succedere, a tredici anni.



Oggi avevo indossato gli scarponcini, e avevo aggiunto una felpa in più al mio vestiario.
I monti che dominavano Konoha erano sempre stati freddi, in un modo o nell'altro, e i sentieri che li attraversavano erano ripidi e scoscesi.
Ma ormai quelle strade ghiaiate ritrovavano sempre la mia figura, una volta all'anno, come se fosse un appuntamento.
Gli scoiattoli e i cervi mi spiavano curiosi, chiedendosi cosa mai ci facesse una kunoichi, priva della tenuta da combattimento, in giro per i boschi in quella stagione fredda.
Dicembre era appena iniziato, eppure si manifestava già in tutto il suo clima rigido, come se intendesse contare sulle sue migliori carte già all'inizio del gioco.

Era un giorno di primavera, uno dei tanti cieli coperti di nuvole.
Ci eravamo rifugiati in un piccolo capanno, appena fuori la magione.
Uno scricchiolante e legnoso ripostiglio per gli attrezzi da giardino, pieno di schegge e ragnatele.
Oltre l'unica finestra, la pioggia scrosciava copiosa.
Che disonore se uno della casata principale mi avesse vista così, con le guance rosse, gli occhi chiusi e le gambe aperte, spogliata del minimo necessario per far sì che quel ragazzo potesse avermi.
Perché era ed è tuttora Hiashi che amavo, e lo spirito ribelle dei miei quattordici anni non avrebbe mai accettato un altro.



Arrivai sul crinale che nemmeno era mezzogiorno.
Il sole batteva sulla perpendicolare che lo collegava alla terra, tuttavia il suo pallore non riusciva nemmeno a sciogliere le sporadiche macchie di neve che spuntavano nei prati.
Mi sporsi a guardare timida il dirupo che correva alla mia destra.
Il sentiero scivolava verso un ghiaione instabile, irto di massi voluminosi e appuntiti.
Era facile sbagliare un passo, incredibilmente facile.
Le rocce erano rese ancor più scivolose dalla sabbia che vi risiedeva.
Tra le dita avevo un fiore, strappato poco prima da una parete brulla.
Un fiore povero, misero, né bello né profumato, e leggermente peloso nel gambo e nelle foglie.
I petali erano duri, resi più tenaci per sopravvivere al clima rigido e al vento forte.
Le radici contorte che sbucavano dallo stelo erano lunghe e legnose, adatte per catturare anche la più piccola bolla d'acqua.
La vita era instillata con il contagocce, all'interno di quel bocciolo giallognolo.

“Hiashi... sono incinta”.
Fui fiera e sicura in quelle tre parole.
Le dissi velocemente, guardandolo in quegli occhi nebulosi, non tentennando nemmeno per un momento.
Osservai la sua reazione a distanza di secondi.
Lo guardai abbassare il capo, scuoterlo appena, per poi esprimere un volto incredulo.
“Questo è un problema”.



Appoggiai quei quattro petali spelacchiati sul ciglio, facendo attenzione a non cadere.
Il ricordo di quello che era successo tempo addietro mi riempì il campo visivo, invadendomi dolorosamente come una scarica di elettricità.
“Un omaggio alla mia piccola Hinata”.
Un omaggio che sarebbe appassito fin troppo velocemente, proprio come lei.

Mi guardavo allo specchio, e di mese in mese mi vedevo sempre più rotondetta.
I lunghi capelli setosi si erano scuriti ulteriormente, erano diventati più forti, e mi ricadevano docili sull'addome, ricoprendomi un poco i seni ingrossati.
Insieme a quella dolcezza, che inevitabilmente provavo di fronte all'esserino che stava prendendo cautamente forma dentro di me, ero pervasa da mille altri sentimenti, che non riuscivo a mettere a tacere.
La paura, innanzitutto.
Ero consapevole di dover nascondere, in un modo o nell'altro, quella gravidanza.
Hiashi non era il ragazzo che mi era stato destinato, e i quindici compleanni che mi portavo appresso facevano gridare allo scandalo, all'interno della seria e orgogliosa casata Hyuga.
L'idea si accentuò in me quando fu lo stesso Hiashi a spronarmi.
Lui era cambiato, con una velocità tale da spiazzarmi.
Forse maturò, forse semplicemente perse il controllo.
“È una femmina”.
Il mio byakugan era debole, ma riusciva comunque ad offrirmi un abbozzo del suo normale compito.
Guardai con fare arrendevole quella creaturina voltarsi e rigirararsi nel ristretto spazio dell'utero, avvinghiarsi al cordone ombelicale pulsante di chakra, mettersi le piccole mani in bocca.
Osservandola, non potei che provare una malinconia immensa.
Hiashi mi strinse, coccolandomi un poco.
“Si chiamerà Hinata”, disse statico, passandomi una mano sul ventre.
“Dobbiamo fuggire.
Dobbiamo andarcene di qua.
Nessuno verrà a sapere della nostra piccola”.
Mi soffiò quelle parole all'orecchio, gettandomi in uno scompiglio che non avevo mai sperimentato prima.
All'alba del suo nono mese di vita, prendemmo la via attraverso le montagne.
Fuggemmo, precipitosi e incauti.
Cercando un luogo dove strappare Hinata dal suo liquido amniotico.



I miei capelli, tagliati corti, volarono per quanto potevano sospinti da una folata improvvisa.
Era ora di tornare a casa.
Era ora di lasciare quelle vie impervie, che già una volta mi avevano ingannata.
Hinata doveva aver battuto la testa, nella mia caduta.
Istintivamente mi ero sbilanciata in avanti, cercando in tutti i modi di frenare la scivolata.
Avevo steso una mano a cercare quella di Hiashi, e un'altra a cercare di proteggere invano la pancia.
E poi il peso del mio corpo mi aveva tirata in basso, verso il ghiaione, coinvolgendomi in due vertiginose capriole.
Piena di sassi e polvere, avevo alzato la testa, cercando di orientarmi.
E poi la luce che vagava dietro la retina si era spenta di un colpo, facendomi perdere i sensi.
Chiusi gli occhi su quei ricordi, cercando invano di cancellarli con un semplice battito di ciglia.
Voltai definitivamente le spalle a quel luogo secco e grigio, dirigendomi verso Konoha.
Era ora di tornare a casa.


*




Una mano esile, pallida, si chiuse su quel gambo verde muschio abbandonato malamente in mezzo alla ghiaia e alla polvere.
Strizzò un poco i suoi occhi bianchi, mettendo meglio a fuoco le gocce d'acqua incastrate nelle fibre delle foglie, i piccoli fori che bucherellavano i petali, i morsi degli insetti parassitari.
Si chiese chi mai l'avesse tranciato per poi gettarlo via così, in mezzo ai sassi e in balia dei venti.
Forse era stato il vento stesso.
Forse era stata Yuzu a farlo cadere, da dietro la coltre di nuvole.
Era tutto quello che sapeva della madre, il suo nome.
E che era scomparsa nove anni prima, proprio in quel tratto di sentiero, lungo il pendio.
E da quel momento, non aveva più sentito la sua voce.
Si portò il fiore con sé, stringendolo fra due dita trasparenti.
Volteggiando, si avviò verso il cuore della montagna, sparendo evanescente in un soffio invernale.








2° Classificata a pari merito e vincitrice del Premio Originalità al contest In memoriam indetto da dreamwolf91

Grammatica e Sintassi: x 9 (su 9) 
Forma e Stile: x 10 (su 10)
Caratterizzazione Personaggio Ricordato: x 9 (su 10)
Caratterizzazione Personaggio che ricorda: x (su 10)
IC:9X (su 10)
Originalità;: x 11 (su 11)
Gradimento personale: (su 5)
Attinenza al tema: x(su 10)
Punti Bonus:(su 5)

Totale: 74 (su 80)
Allora che dire…intanto la storia è molto particolare. Veramente, mi è piaciuta molto. Lo Stile non è perfetto, ma non ho trovato errori di grammatica, a parte nella introduzione e nelle note di autore XP (Tranquilla non te li ho valutati). Il fatto che tu abbia invertito la coppia ti ha tolto qualche punto nell’attinenza. L’ IC non è fedele al cento per cento, giustamente, ma non hai straforato nell’ Ooc se non un po’ con Hiashi(Non c’è lo vedo a fare una scappatella XD).
Mmm la madre è caratterizzata bene, Hinata no dopotutto era una marmocchia. E poi basta credo. I momenti che mi sono piaciuti di più sono stati quelli ambientati nel passato, la storia è scritta molto bene e davvero mi è piaciuta^^^.
Questa storia mi è piaciuta molto per un motivo molto semplice, è molto originale e mi piacciono le cose paranormali . E poi scorre molto bene. Il finale è meraviglioso davvero sono senza parole sicuramente vincerai il premio per l’originalità. Un bacio.

                                                                                                 

       Dreamwolf 91



   
 
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