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Autore: ayumina    25/09/2011    2 recensioni
Una seidicenne, alquanto fuori di testa, va in Giappone con madre e fratello, ma durante il cammino verso un tempio shintoista dedicato ad un samurai succede qualcosa.
-Una storia fantastica piena d'avventura- The Times
-Emozionante, commovente e divertente. Bellissima.- La Repubblica
-Cazzate- Io.
Aspettatevi il peggio.
Genere: Avventura, Comico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gintoki Sakata, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Samurai Heart

Samurai Heart

Era una tipica giornata estiva: cielo azzurro, vento caldo, sole accecante e umidità soffocante. Ci saranno stati 30 gradi, ma io ne sentivo almeno 50. Eravamo in Giappone, il paese dei ciliegi, dei kimoni, dei ninja, dei samurai e, da quello che avevo capito in quegli ultimi tre giorni, soprattutto dei templi. Ho sempre desiderato visitare la nazione del Sol Levante e quando, una settimana fa, mia madre tornò a casa dal lavoro e mi disse che una sua amica giapponese ci aveva trovato un volo a pochissimo e un albergo economico, mi stavo per mettere a piangere dalla gioia.
Ovviamente questo prima di pensare che stavamo andando lì in estate e, secondo le mie modeste informazioni sul Giappone, era il periodo dell’anno in cui era vivamente sconsigliato di partire a causa non solo del caldo, ma soprattutto dell’umidità assassina che non risparmiava nessuno. Inoltre, sapevo perfettamente di star partendo con mia madre e mio fratello, ovvero camminate no-stop dalle 8 di mattina fino alle 9 di sera e la mia forma fisica indica chiaramente che non sono portata per lo sport- o sono solo molto pigra.
Fatto sta che quando siamo usciti dall’aeroporto, mi si è bloccato il respiro. Seriamente. Pensavo di svenire da un momento all’altro mentre raggiungevamo il treno, ma fortunatamente siamo entrati prima che il mio corpo cedesse alla tentazione di abbracciare il marciapiede. Io amo i treni giapponesi, sono veloci, puntuali e freschi.
Quando siamo arrivati all’albergo, la signora gentilmente ce lo ha mostrato per intero- non che fosse molto grande- e  ci ha spiegato le varie stanze. In Giapponese. Era una signora anziana- sull’ottantina- bassa, molto magra, dai capelli grigi, lunghi e legati in una lunga treccia e gli occhi piccoli e scuri. Indossava un kimono bianco e giallo e teneva in una mano un ventaglio bianco e nell’altra un bastone per aiutarsi a camminare. Era gentilissima e simpatica, ma noi non eravamo molto pratici della lingua. Per farla breve ho capito un “konban’wa”, un “Douzo” , il suo nome, che per inciso era Tomoko Kuchiko, quali erano le stanze- grazie ai numeri imparati in terza media, perché non avevo niente da fare- e che mi ha dato della “tsundere”, ovvero del maschiaccio, ma sorridendo. Se io, che sono abituata a sentire parlare giapponese grazie ai cartoni animati, ho capito questo, dall’espressione alquanto perplessa di mio fratello e quella fintamente interessata di mia madre, ho intuito che non sapessero nemmeno che quella era la padrona dell’albergo.

Intuizione rivelatasi esatta nel momento in cui la gentile signora ha smesso di parlare e se n’è andata e la prima cosa che ho sentito è stata:” Ma tu, hai capito quali sono le stanze?”
Dopo aver risposto- tra la sorpresa di entrambi, che ha innalzato il mio ego- ci siamo diretti tutti e tre nelle nostre rispettive stanze. Erano fresche, accoglienti e tipicamente giapponesi, esattamente come volevo io. Il pavimento ricoperto dai tatami e sopra uno di questi vi era il futon- il letto giapponese. Quella sera siamo rimasti in albergo, poiché la stanchezza del viaggio si faceva sentire.
Questo il primo giorno, ed ero molto contenta, ma prima o poi arriva la dura realtà. L’indomani alle 8.30 di mattina, mia madre ha battuto “dolcemente” sulla porta per svegliarci al fine di andare a vedere un tempio buddhista. Hitler, quando ha bombardato Londra, probabilmente è stato molto meno rumoroso.
Comunque, da quel giorno, è iniziato il nostro lungo pellegrinaggio che ci ha portato a visitare tutti i templi nel raggio di 100 km da Gunma, città dove alloggiavamo.
Oggi eravamo al terzo giorno e ho perso ben quattro chili. Quattro chili. Nemmeno in un anno ho perso così tanto.
“Laura alzati dobbiamo andare a vedere un bellissimo tempietto a Maibaci, o qualcosa del genere”
Il suono della voce di mia madre era come veleno per le mie orecchie, tanto che iniziavo a prendere in seria considerazione il seppuku, una morte onorevole al contrario di quella evidentemente umiliante che mi attendeva: morire agognante per strada. Poi ci ho ripensato; era troppo doloroso-  io ho il terrore del dolore- e non c’era nessuno che mi avrebbe tagliato la testa.
“Si prendo gli shuriken e i kunai e arrivo. E comunque si chiama Maebashi.” Dissi.
“Ah, ecco…No, aspetta, cos’è che prendi?”
Aprii la porta di scatto e uscii solo a metà con un passamontagna in testa- si, mi sono portata un passamontagna in Giappone- dicendo “Io sono uno shinobi senza nome e sono qui in missione segreta per il villaggio dei Takoyaki. Una donna di città non dovrebbe parlarmi. Sayounara.” E chiusi la porta in faccia a mia madre, che mi guardava alquanto perplessa. Subito dopo sentii una risata e capii che era la padrona dell’albergo che aveva assistito alla mia fantastica interpretazione del ninja. Così dopo essermi tolta il passamontagna e legato i capelli a chignon, riaprii la porta e trovai la mia genitrice a braccia conserte e dall’espressione arrabbiata e Tomoko-san con un sorriso a 34 denti che mi applaudiva.
Diedi un’occhiata a mia madre, poi mi inchinai ringraziando la signora che mi disse qualcosa sempre sorridendo, si inchinò e se ne andò.  Nel frattempo arrivo mio fratello, muto e impassibile come sempre.
“Smettila di fare stupidaggini, non ci facciamo riconoscere, eh? E poi, cosa ti ha detto?”
“Ma che ne so io?  Google janai. Laura da.” Risposi in modo convincente. Molto probabilmente una persona che conosce il fumetto o il cartone “Gintama” sarebbe morto dalle risate. Ma non era il caso della mia famiglia.
“Che?”
“È preso da un’anime che si chia…” Fui interrotta da mio fratello che mi fece segno di piantarla e se ne andò. Mia madre ovviamente lo seguì a ruota. Non sono considerata molto nella mia famiglia, in particolare quando parlo di cartoni animati e fumetti. Ma alla fine non mi importa più di tanto, mi diverto comunque a fare “stupidaggini”, perchè faccio ridere anche gli altri.
Comunque partimmo con un fantastico pulmino guidato da un signore molto serio e silenzioso e arrivammo in poco tempo a Maebashi. Smontammo e, dopo aver  fatto la maratona di New York fino a un campo,  ci trovammo davanti  una collina con degli scalini, davanti ai quali un arzillo vecchietto stava spazzando.
“Davide, vai a chiedere in inglese a quel signore quanto ci vuole per arrivare al tempio dell’anima d’argento”
Volevo riderle in faccia. Un giapponese, per di più anziano, non risponderà mai a meno che non si dimostri di sapere almeno un po’ la sua lingua. Poi, come un lampo, mi attraversarono la mente le sue ultime parole.
“Non gli risponderà mai se gli parla in inglese, ma se volete avere il coraggio di provare nonostante tutto come solo i coraggiosi samurai fanno, fate pure. Comunque il tempio si chiama “anima d’argento”? In giapponese per caso è Gintama?”
“Faccio finta di non aver sentito il pezzo dove parli dei samurai…” e indicò a Davide di andare.
“Il coraggio dei samurai, intendi.” Ricevetti un’occhiataccia.
“…e vedrai che ce lo dirà. Comunque, si, si chiama Gintama ed è dedicata a un samurai di nome Gin-qualcosa.” La notizia mi sconvolse.
“ Are you fucking kidding me?!” gridai.
Mia madre mi stava per sgridare quando mio fratello tornò, sempre con un’espressione da agente segreto della CIA, e disse che non si era nemmeno girato. E ciò mi piacque parecchio, perché voleva dire che avevo ragione.
“Vado io, un po’ di parole giapponesi a caso che conosco e un po’ di gesti e vedrete che mi farò dire tutto” e detto questo m’incamminai verso il vecchietto.
“Sumimasen, ojii-san!”
In venti minuti mi spiegò tutto un po’ a parole un po’ a gesti. Avevo vinto la mia battaglia personale, però quando il vecchietto mi disse che ci volevano ben 2 ore per arrivare e 424 scalini da fare, la mia allegria svanì. La cosa che mi consolò fu la notizia di un parchetto a metà strada per riposarsi.
Così partimmo alla ricerca di questo fantastico tempio dal nome epico. Durante la salita minacciai più volte di fare harakiri, senza destare la minima attenzione, poi finsi di essere stata attaccata dai ninja, con lo stesso risultato e infine, quando arrivammo al parchetto mi fermai lì e dissi di essere rimasta paralizzata. Ma la mia adorabile famigliola felice mi disse di stare lì quanto volevo, ma poi di raggiungerli.
Il parchetto era piccolo e fresco. C’era una panchina molto vecchia dove mi sedetti quasi subito, dei fiori e un pozzo.
“Pensa se arriva Sadako di The Ring:"Sono Sadako, alla ricerca di un elastico!E lo prenderò a te fra sette giorni!" "Però, dimmi l’ora che ti preparo il tè"”  e continuai fare scenette stupide per un po’. Le faccio spesso quando sono da sola perché le trovo divertenti, ma probabilmente è perché sono fuori di testa.
Mi sdraiai sulla panchina. La stanchezza stava appesantendo ancora di più il mio già pesante corpo.
“Che sonno…” E mi addormentai.
Quando mi sveglia, però,  il parchetto non era esattamente come lo ricordavo. O meglio, non era un parco, era una foresta. Un’enorme foresta con un pozzo di pietra uguale a quello che c’era dov’ero prima.
“Oddio! Sono finita dentro Inuyasha, dannazione!” Ma l’ironia l’avevo usata solo per non finire nel panico. Ero da sola, senza  niente da bere, niente da mangiare e  niente da vestire. Per non parlare di disinfettante e cerotti.
“Altro che Inuyasha, sembro La Bambina Che Amava Tom Gordon di Stephen King e non è certo divertente come in Inuyasha…” Iniziai a camminare piano, piano. La prima regola quando ci si perde e rimanere fermi dove ci si è persi, ma io non mi ero persa. Non ero nemmeno nel mio mondo. Riflettendo su questa ipotesi spaventosa, mi accorsi solo dopo un po’ del rumore di qualcosa in avvicinamento e di voci.
“Magari loro possono aiutarmi…” Così aspettai pazientemente e ad un certo punto vidi una nube di polvere e delle persone a cavallo, così tirai fuori un gran sorriso e sollevata mi diressi verso di loro. Ma quando sentii “C’è una ragazzina lì! Deve essere dalla parte dei nemici, prendetela!” e dopo aver notato che quelli non erano contadini, ma samurai armati di tutto punto, sbiancai e corsi a tutta velocità nella direzione opposta. Non ero certo una maratoneta e contro un cavallo la mia sconfitta era più che certa. Non sono particolarmente religiosa ma oramai avevo pregato tutti i santi cristiani, gli dei buddhisti, gli dei greci, Dio, Buddha e lo spirito del ravanello de “La città incantata”. Non mancava più nessuno, solo non si vedeva una salvezza. Mi sentii agguantare da qualcuno e iniziai a pentirmi di non essermi suicidata quella mattina.
“L’ha presa lo Shiroyasha! Inseguiamoli!”
Aprii gli occhi. Ero su un cavallo nero e un tizio mi stava tenendo. Ero stata salvata? O sarei morta per mano di qualcun altro? Beh se dovevo  morire, almeno sapere per mano di chi. Così mi girai molto lentamente e vidi un ragazzo dai capelli bianchi, corti e mossi.
“Inuyasha con i capelli corti!” dissi sbalordita. Il ragazzo abbasso lo sguardo verso di me e rise.
“Che? Ti sembro un demone? Mi chiamo Gintoki, mocciosa. Ma le presentazioni a dopo, abbiamo un po’ da fare in questo momento” e  detto questo, mi chiuse la bocca con una mano e saltò un burrone di almeno 40 metri di profondità. Ovviamente, io svenni appena guardai giù.
Quando mi risveglia, c’era una signora che mi faceva aria con il ventaglio e sentivo un odore fortissimo. Mi alzai di scatto.
“Dove sono? Cos’è successo? Dov’è Inuyasha? Chi sei tu?”
“Oh, che ragazzina vivace. Comunque sei a casa mia, nel villaggio di Gunma. Sei stata trovata da Gin-kun mentre ti stavano inseguendo e sei svenuta. Io sono la moglie del capo villaggio.”Spiegò e sorridendo mi chiese: “Chi è Inuyasha?”
“No, no, intendevo Gintoki-san, il ragazzo che mi ha portata qui. Si chiama così, giusto?”
“Si, vuoi alzarti?”
Effettivamente non sarebbe stata una cattiva idea. Mi alzai e mi accorsi che avevo uno yukata e la cosa mi rese particolarmente felice. Li ho sempre amati.
Comunque ci  avviammo entrambe verso il salotto dove c’era anche il mio salvatore. Era una stanza abbastanza grande, quasi completamente vuota se non per un tavolo di legno e pochi, piccoli mobili.
“Oh, ti sei svegliata, mocciosa” Mi voltai.
Il ragazzo era seduto in un angolo e con una fukude– un pennello- stava scrivendo. Probabilmente una lettera.
Aspettate, mi aveva chiamato mocciosa!
“Guarda che ho un nome, Inuyasha!”
“Vedo che hai la memoria corta, mocciosa. Comunque se non ti presenti come faccio a sapere il tuo nome, eh? Almeno io il mio te l’ho detto.”
Va bene, non aveva tutti i torti, però mocciosa era davvero scortese. E poi non doveva nemmeno essere molto più grande di me. Dal viso e dalla corporatura poteva avere al massimo 18 anni. Io ne avevo 16.
“Mi chiamo Laura, ho 16 anni e vengo dall’Italia.”
“Da dove? Che città del Giappone è? Tu lo sai, Kyo-san?”
“No, mai sentito”
Lì il terrore si fece grande.
“Qual è l’imperatore attuale, qui in Giappone?”
Sapevo poco di storia perché non mi è mai piaciuta, ma gli imperatori giapponesi e vari periodi della storia Giapponese li conoscevo piuttosto bene.
“Ma come, non lo sai? Yoshinobu Tokugawa, anche se ancora per poco. Ma dove sei vissuta fino ad adesso? Sul monte Fuji?”
Yoshinobu Tokugawa? Il periodo Tokugawa, conosciuto anche come periodo Edo-attuale Tokyo- poiché era la capitale del Giappone di allora, è iniziato nel 1603 e finito nel 1868.
Yoshinobu è stato l’ultimo shogun del Giappone e ha governato dal 1866 fino al 1868. Quel periodo fu caratterizzato da insurrezioni e il Giappone era sull’orlo della guerra civile, infatti il successivo shogun fu Meiji, il quale iniziò il famoso periodo Meiji in cui si aprirono i porti con l’occidente.
“Momento, momento, momento state scherzando? E poi, tu ti chiami Gintoki Sakata? Perché se è così, io so chi sei!”
La risposta che datami mi fece rabbrividire.
 
*Angolino delle cazzate*
Buongiollo a tutti.

L'idea di questa stupidissima storia è nata mentre guardavo Gintama (ma dai? Nd. Lettori), anime/manga EPICO, secondo il mio modesto parere. Sorachi-sensei grazie di esistere
*inchino*. Comunque, tornando all'idea, mi è venuta. Punto. Non sapevo che fare e mi sono messa a scrivere a caso. Guardando Gintama puo succedere. Il titolo deriva dalla prima ending della 5 stagione del già citato anime. Epica pure quella.
Detto questo siate clementi, vi prego. E se scriverete commenti che non gradisco, vi offendero fino alla morte nel prossimo capitolo. Scherzo, ovviamente. .-.
Cooooooooooooooooooooooooomunque continuate a seguirmi nella mia avventura. Mi raccomando. Se no vi mando Elisabeth : D 



 
  
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