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Autore: Cassie chan    05/06/2006    11 recensioni
“Ma il cerchio è una figura ben strana. Nessuno vi ha mai trovato un inizio, né una fine.”. L’amore tra Elissa e Leon, e poi quello tra Strawberry e Ryan… una scia tra le stelle dell’Universo che arderà eternamente incandescente, via maestra per nuovi solchi di luci e colori, fatti di sentimenti. Alcune leggende dicono che fu un errore la nascita degli esseri umani e degli alieni; quelle piccole e miserrime creature erano troppo potenti con i loro patetici sentimenti, potevano distruggere il cielo per salvare l’oggetto del loro amore, infrangendo ogni legge dell’Universo. Una volta, il cosmo si è salvato. E se accadesse ancora? Il seguito di BEYOND ME AND YOU…
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Cassiechan is back

Cassiechan is back! Finalmente il seguito! Una piccola pagina di avvisi! Per prima cosa, vorrei dedicare questa fic a tutte le persone che hanno letto la prima e che l’hanno commentata! Senza il vostro sostegno, probabilmente non sarei mai riuscita a finirla! Ho ancora bisogno di voi, se questa storia vi pace come la prima commentatela! Così mi invogliate a scriverla, altrimenti poi la lascio perdere,  ne sono perfettamente capace! Seconda cosa: essendo una storia in divenire, i capitoli saranno molto più brevi di quelli di BMAY! Specie quando non sarò eccessivamente ispirata! Terza cosa: la trama è ancora più complicata della prima, per qualsiasi chiarimento fatemi sapere!

 

 

 

Capitolo 1 – Beautiful stranger

 

Era una bellissima giornata di gennaio, e, anche se l’aria si preannunciava ancora abbastanza fredda, l’aria era piena della luce del sole, che splendeva terso nel cielo privo di nubi. Un vento freddo soffiava tra gli alberi della grande villa, sollevando le foglie cadute dagli alberi e i seppur pochi petali delle magnolie, sopravvissute alle folate di vento, che costeggiavano il lungo vialetto d’ingresso, che portava alla casa signorile. Bianca, si stagliava nel paesaggio cittadino, circondato da una lunga cancellata, anch’essa bianca, che teneva fuori i malintenzionati, ma anche molti che vi avrebbero voluto entrare, ma che non erano ammessi nella casa, a causa delle strette misure dei proprietari. Tre grandi pastori tedeschi sonnecchiavano al sole, mentre uno più piccolo, che doveva avere solo pochi mesi, entrò nella villa, passando sotto un portico, ornato da fiori bianchi rampicanti, attraverso la porta di legno scuro, aperta da una donna grassa ed anziana.

Il cucciolo entrò in cucina, dove un gruppo di persone era seduta apaticamente a tavola e stava facendo colazione. All’improvviso, una donna sulla quarantina, che stava addentando una fetta biscottata, proruppe in una smorfia annoiata e rassegnata, scuotendo il capo e i lunghi capelli rosso scuro.

“Dov’è tua sorella, Miky?” chiese ad un bambino di circa sette anni, che le era seduto accanto, e che aveva i suoi stessi capelli, ma gli occhi di un intenso azzurro chiaro, piegati in un’espressione teneramente dispettosa.

“Non lo so, mamma” rispose candidamente, passando un pezzo di torta al cucciolo, che attendeva con la bocca aperta sotto il lungo tavolo di legno.

“Ma insomma, si può sapere che fa tutte le mattine, per scendere così tardi?!” si chiese, non aspettandosi una risposta, che invece le giunse da parte di un’altra persona, seduta vicino a lei, un bell’uomo in giacca e cravatta con i capelli biondi e gli occhi celeste chiaro.

“Esattamente quello che facevi tu alla sua età… stare tre ore in bagno, arrivando in ritardo a scuola tutti i santissimi giorni…”.

La donna assunse un’espressione offesa e disse: “Non è vero, Ryan… io non ero così ritardataria…”.

Lui non si scompose minimamente e, portandosi la tazza di caffè alle labbra, rispose, guardandola oltre il quotidiano che stava sfogliando: “Hai ragione, Strawberry… eri anche peggio…”.

Miky scoppiò a ridere, mentre Strawberry sospirò, poi, sorridendo, disse: “Credo che tu abbia ragione, ma ciò non toglie che tua figlia è enormemente in ritardo…”.

Aveva appena finito di parlare che nella sala irruppe una ragazza di sedici anni, che indossava una divisa scolastica, formata da una gonna a pieghe azzurra, una camicia bianca con una cravatta dello stesso colore della gonna e una giacca sempre azzurra che teneva sottobraccio. Aveva lunghi capelli biondi ed ondulati, e grandi occhi castani, che apparivano in quel momento assonnati e vistosamente trafelati. Parte dei capelli era trattenuta da un fermaglio, a forma di pesce, sempre di colore azzurro. Ai lobi, portava dei lunghi orecchini con delle perline, sempre azzurre, e alle braccia dei braccialetti della stessa tonalità di celeste.

Piegata in due, per la corsa fatta per le scale, disse solamente: “Mamma, papà… io vado a scuola… sono in ritardo e Grace e Nick mi stanno aspettando…”.

Strawberry la guardò irata e preoccupata, e disse: “Quindi scommetto che neanche stamattina farai colazione, vero? Un giorno di questi, cadrai svenuta per strada…”.

Kathrine non si scompose minimamente e, riavviandosi i capelli con le dita, disse: “Mangerò qualcosa per strada… ciao mamma! Ciao papà! Ci vediamo più tardi!” e corse fuori, mentre Strawberry sospirava vistosamente.

Inutile dire che Kathrine era, oltre che una bellissima ragazza, anche una pasticciona e disordinata di prima categoria, esattamente come era stata lei. Il problema di Kathrine, però, non stava solo in questo, ma in quella strana fusione genetica che era accaduta tra lei e Ryan, e che aveva generato i loro due meravigliosi figli. Miky era un bambino molto vivace, e aveva ereditato in pieno il carattere della madre, anche se alcune astuzie per ottenere quello che voleva erano sicuramente tipiche dell’indole di Ryan. Ma, nel caso di Kathrine, mai come in quel caso, i loro caratteri si erano fusi in qualcosa di unico. Aveva i lineamenti di suo padre, era infatti alta e magra, ma poi aveva le labbra corallo come quelle di Strawberry stessa, i suoi capelli erano biondi, ma erano carichi di sfumature ramate, i suoi occhi erano castani, ma, in particolari momenti, si tingevano di ombre e di pagliuzze verde acqua. E questo era niente… Kathrine aveva preso interamente il carattere di Ryan, era infatti sicura, determinata, alle volte anche altezzosa, ma era capace di slanci affettivi, che erano tipici solo di Strawberry. Quando voleva, era seria, posata e impeccabile, ma quando era a casa, era vivace, divertente e anche imbranata. Era anche molto intelligente e aveva voti altissimi, caratteristica pienamente corrispondente alle doti di suo padre, cosa che le faceva raccogliere attorno molte persone, desiderose del suo aiuto, ma lei si prodigava solo per pochissimi, ignorando gli altri, operando scelte nelle sue amicizie, che molti non capivano, preferendo persone poco popolari alle reginette della classe. Ma, intanto, che la si amasse o la si odiasse, Kathrine era sempre sulla bocca di tutti, anche per via di quell’aria sbarazzina e anche originale, tipicamente americana, che Ryan riconosceva come una caratteristica della sua defunta madre.

Ma, se Strawberry era semplicemente preoccupata che sua figlia si cacciasse nei guai per via di quel suo essere così sfacciatamente sopra le righe di ogni regola che le poteva essere imposta e che le procurava continui litigi con lei, nel caso di Ryan la preoccupazione aveva ben altra origine, un’origine che solo i padri possono condividere. Amava i suoi figli con tutto sé stesso, erano la cosa più bella che avesse, e poi erano il dono di quell’unico sentimento, che dopo tanti anni era sopravvissuto a tutto il tempo trascorso, ossia il suo amore per Strawberry. Di Miky si preoccupava spesso, era troppo sveglio, troppo vivace, ma di Kathrine lo impensieriva il fatto che fosse semplicemente troppo bella. Sapeva delle decine di ragazzi, che a intervalli più o meno regolari, si innamoravano di lei, tutti puntualmente respinti, ma che al contempo, c’erano ed era un fatto. Cosa sarebbe accaduto il giorno, in cui si sarebbe effettivamente innamorata di qualcuno? Conosceva il suo carattere e conosceva altrettanto bene quello molto simile di Kathrine, e sapeva che, se lui aveva fatto migliaia di sciocchezze quando era innamorato non corrisposto di Strawberry, la stessa cosa sarebbe accaduta a lei, aggiungendoci pure la ben nota impulsività, che sua figlia aveva ereditato dalla madre. Sua figlia… Katy… avevano un bel rapporto tutti e due, lei si confidava con più facilità con lui che con sua madre. Gli diceva tutto o quasi, e si faceva coccolare ancora come quando era bambina. Si ricordava ancora la prima volta che l’aveva vista, gli era sembrata un fiore d’oro. Ricordava una favola che sua madre gli aveva raccontato, quando era piccolo. In un bel campo, cresceva un bellissimo fiore dai petali dorati, splendente di luce, alto, altero e costantemente rivolto verso il sole. Tutti gli altri fiori avevano invidia di lui, perché vedeva sempre in faccia il sole, perché poteva seguirlo, perché era più bello. E allora chiamarono le nuvole e fecero coprire il sole, per giorni e giorni, finchè morì, mentre gli altri fiori bevevano con le corolle aperte le gocce di pioggia, che cadevano dal cielo. Solo quando il fiore fu morto, il sole riapparve, ma non fu più come prima. Era triste, spento, e non amava più la terra, non voleva più vederla. Sua sorella, la Luna, vide la sua infelicità e allora gli fece un regalo: prese una bella margherita gialla, e le donò la sua luce e la sua forza, affinché, diventato un gioioso girasole, potesse seguire sempre il sole, che riprese a comparire sulla Terra, riscaldando tutti i fiori.

Ryan si ricordava d’aver chiesto a sua madre: “E il fiore d’oro? Che fine ha fatto?”.

Sua madre lo aveva abbracciato e gli aveva detto: “La luna lo fece diventare una bellissima stella dorata, che adesso poteva abitare sempre accanto al sole, nel suo stesso cielo…”.

Sospirò lungamente, quella storia non aveva per niente un bel finale. Il mondo sapeva essere invidioso, e per via di quella gelosia, sapeva diventare anche cattivo. Pregava ogni giorno che questo non accadesse anche al suo fiore dorato.

 

Kathrine camminava allegramente per strada, avvolta nel suo cappotto bianco latte e nel suo basco delle stesso colore. La cartella ondeggiava nella sua mano, al ritmo del suo passo, mentre lei si dirigeva verso la casa dei suoi migliori amici, Grace e Nick. Si allontanò decisamente dal suo quartiere, quello pieno di case bianche e lussuose con infiniti giardini, tipici delle persone che avevano fisso un posto sui rotocalchi, e si diresse verso un quartiere residenziale di villette a schiera gialle e azzurre. Si fermò di fronte ad una di quelle case, da cui provenivano delle voci concitate. Si sporse leggermente davanti al suo basso cancelletto, e vide un uomo con i capelli castano chiari sostare pigramente davanti alla porta, mentre di sicuro stava aspettando qualcuno. Non era molto alto, certo lo era molto di meno di suo padre, ma emanava gioia, come del resto tutti i componenti di quella famiglia.

“Buongiorno signor Taruto!” disse Kathrine allegramente all’indirizzo dell’uomo, che si voltò e le rispose, sorridendo.

“Grace e Nick scendono subito… hanno avuto solo un piccolo problema con Teddy… ha completamente distrutto i loro appunti di una qualche materia…”.

Kathrine sorrise e disse: “Anche mio fratello era così a quell’età… anzi era anche peggio…”.

Tart sorrise e confermò con un cenno del capo, giustificando così pienamente il comportamento della sua figlia più piccola. Poi, si spostò al passaggio dei gemelli usciti di corsa dalla cucina. Grace e Nick erano praticamente identici, avevano entrambi i capelli castano chiaro e due luminosi occhi dorati, un’aria molto allegra e spensierata, ed erano entrambi molto legati a Kathrine Shirogane, loro amica da quando erano in fasce, e compagna di scuola dall’asilo.

Grace salutò il padre e saltò la bassa staccionata, senza aprirla dopo il fratello, salutando poi Kathrine, chiamata da lei affettuosamente Kitty e apostrofata con tutto il suo nome completo da Nick, sempre in evidente imbarazzo davanti alla giovane Shirogane. 

Iniziarono a camminare allegramente, dopo aver salutato Tart, e dirigendosi verso la loro scuola, che era parecchio lontana dal quartiere residenziale. Si fermarono solo quando Kathrine si comprò una ciambella da un venditore ambulante, addentandola con gusto, dato che come al solito non aveva toccato cibo a casa.

“Non capisco perché non mangi mai a casa tua, Kitty…” commentò Grace “Eppure oggi non è la giornata libera di Marie… non avrà cucinato tua madre, spero…”.

Kathrine scosse la testa: “In realtà no… andavo solo di fretta… se avesse cucinato mia madre, non sarei sicuramente ancora viva… mi avrebbe ingozzato a forza, come al solito… pensa che mio padre si alza sempre tardi per non trovarla più in casa, dopo che è andata a scuola… così getta tutte le cose, che cucina…”.

Grace scoppiò a ridere, mentre Nick, ricordandosi improvvisamente di qualcosa, eruppe in un’esclamazione veloce: “A proposito, hai saputo di Chiyo?”.

Kathrine, voltandosi verso il ragazzo, chiese: “Che cosa le è successo? Non starà male, spero…”.

Nick, di fronte al suo viso, così inaspettatamente vicino, arrossì e tacque, mentre la sorella continuava: “Mia madre mi ha detto che i suoi genitori si sono separati…”.

“Veramente non si sono mai sposati…”.

“Lo so, ma sembra che stavolta abbiano avuto un brutto litigio… la madre di Chiyo se ne è andata di casa e si è trasferita in Europa, mentre Chiyo è rimasta con suo padre… dicono che non tornerà più a casa…”.

“Fanno così da anni…” commentò tranquilla Kathrine “Vedrai che tornerà a casa… anche mia madre e mio padre litigano ad intervalli di più o meno cinque secondi, ma poi fanno sempre pace… è normale, quando due persone si amano molto…”.

“Sarà…” convenne Grace “Anche se a me gli Aoyama, non è che mi hanno fatto sempre l’impressione di due persone innamorate…”.

Su questo dovette concordare la stessa Kathrine. Pur essendo estremamente ottimisti, la situazione familiare della loro amica comune, non era certo un mistero da potersi interpretare in qualche altra chiave. Poteva anche dirsi di essere troppo abituata ai suoi genitori, che si baciavano ogni secondo, in cui erano da soli, ma allo stesso tempo anche il padre e la madre di Grace e Nick erano vistosamente innamorati l’uno dell’altra, anche se non così affettuosi come Strawberry e Ryan. Invece, Halinor e Mark tutto erano, tranne che due persone innamorate: erano troppo formali tra loro e con la figlia. Non a caso, Chiyo era venuta fuori con il carattere di una principessa di altri tempi…

Una voce li fece sobbalzare, una voce dolcemente decisa: “Ciao ragazzi! Che c’è, ve ne stavate andando senza di me?”.

Kathrine si voltò, sorridendo a Chiyo: “Certo che no… ti stavamo aspettando!”.

Grace e Nick annuirono, mentre la ragazza si aggregava a loro. Chiyo, sebbene un anno più grande di loro, continuava a fare la strada assieme a loro ogni mattina, da quando erano piccoli, per poi dividersi da loro all’arrivo nell’edificio scolastico, dove Grace e Kathrine, compagne di classe, proseguivano assieme, separandosi invece da Nick. Chiyo era una bella ragazza, dal volto e dai lineamenti un po’ tristi, e aveva un atteggiamento estremamente più maturo di quello dei suoi amici, sebbene nel suo aspetto non dimostrava la, seppure sensibile, differenza di età. Aveva lunghi capelli neri e due luccicanti occhi verdi, che le davano l’aria da cerbiatta indifesa che faceva tanto impazzire i ragazzi, ma aveva un carattere impossibile, molto di più di quello che i coniugi Shirogane imputavano a Kathrine. Era viziata, isterica, nevrastenica, in alcuni momenti limiti; perennemente insicura e timorosa di perdere le sue amicizie e le persone che amava. Solo con i suoi quattro amici d’infanzia si lasciava leggermente andare, ma anche loro certe volte non sopportavano i suoi continui sbalzi d’umore, che alla fine giustificavano e accettavano alla luce della sua situazione familiare particolarmente difficile.

Mentre camminavano, un auto li affiancò, un bella berlina azzurra, il cui conducente abbassò il finestrino, chiamando la stessa Chiyo.

“Che c’è papà?” chiese Chiyo a Mark, che continuava a guidare al loro fianco.

Mark, all’inizio, non rispose, fissando la figlia di Strawberry. Quella ragazza, sebbene non ce ne fosse apparente motivo, gli dava continuamente una sensazione strana; era impossibile non notarla tra le sue amiche per quanto fosse bella, ma non era quello che lo colpiva. Era il suo atteggiamento, che conservava tracce di sua madre a frastornarlo senza sosta. Adesso, si era messa solo i capelli dietro le orecchie, ma l’aveva fatto come lei, come Strawberry. Ma, di solito, tutto durava molto poco, perché poi lei mostrava subito in modo lampante di chi era anche figlia, e allora lo fece, inarcando un sopracciglio all’indirizzo di Nick, che le aveva mormorato qualcosa. Riprese la capacità di parlare e disse alla figlia, che aveva dimenticato il pranzo. Glielo consegnò e poi, gettando un’ultima occhiata a Kathrine, rimise velocemente in moto. Chiyo osservò la macchina sfrecciare via, mentre si chiedeva perché mai suo padre non guardava mai lei, o sua madre, come per quel solo secondo aveva guardato Kathrine. Che cosa aveva lei in più da meritare tanta attenzione? Perché suo padre le chiedeva sempre di Kathrine e di sua madre? Perché teneva in un cassetto della scrivania una sua foto da ragazzo, assieme con la allora giovanissima madre della sua amica? A quelle domande, non riuscii a trovare come sempre una risposta, ma come sempre finii per reagire istintivamente nei confronti di Kathrine, dicendo che andava di fretta e che li avrebbe preceduti, non prima di aver fatto un commento acido sul fatto che arrivavano sempre in ritardo per colpa della biondina.

“Chi la capisce, è bravo…” commentò laconico Nick, mentre ormai la sagoma della loro scuola si intravedeva. Sentendo la campana della scuola, che suonava, iniziarono a correre, fermandosi solo ai loro armadietti.

Kathrine rimase indietro perché non era riuscita ad aprire subito il suo armadietto, dato che la sua chiave si era incastrata, perciò perse qualche minuto, per poi affannarsi in corridoio, mentre Nick saliva le scale per raggiungere la sua sezione e Grace era ormai sparita, senza aspettarla. Rallentò davanti alla porta della presidenza, poi, superata, riprese a correre; davanti alla segreteria, però, la sua corsa fu frenata da uno scontro, con una persona che vi usciva.

Kathrine ricadde all’indietro, sbattendo violentemente per terra, mentre una pila di fogli bianchi si sparpagliavano dovunque. Dolorante, sollevò lo sguardo per vedere chi aveva urtato, biascicando parole di scusa. A terra, seduto e anch’egli dolorante, c’era un ragazzo, che sembrava molto più grande di lei. Aveva anche lui la divisa del istituto, ma la sua cravatta non era impeccabile come quella di Nick, ma era allentata, mentre la camicia bianca non era infilata nei pantaloni azzurri. Aveva un’aria studiatamente negletta, esaltata anche dai capelli neri falsamente spettinati, ma in realtà curati in una pettinatura, che sicuramente gli era costata molto tempo davanti allo specchio e anche molto gel. A completare il tutto, c’erano i suoi occhi di un blu semplicemente troppo profondo e irreale. Aveva l’aria di uno, che non era mai venuto a scuola in vita sua, tanto appariva rilassato e serafico. Kathrine non ricordava di averlo mai visto da nessuna parte; un tipo del genere se lo sarebbe sicuramente ricordato.

Lui le disse con voce canzonatoria, leggermente velata da piccoli lamenti: “Che ti prende ragazzina? Lo sai che non si corre per i corridoi?!”.

Kathrine arrossì all’istante, poi mormorò in preda alla rabbia: “Ragazzina?! Guarda che sei tu che mi sei venuto addosso, non io…”. Cercò di sollevarsi, ma sentì una fitta alla caviglia. Perfetto, la professoressa di educazione fisica l’avrebbe uccisa, se avesse chiesto di non giocare a pallavolo quel giorno. Vide la mano tesa di lui, che si era intanto alzato in piedi. Era anche abbastanza alto, certo molto più di lei, e poi aveva un modo di stare in piedi particolare… non aveva mai visto una persona stare in piedi così, sembrava un alto ufficiale…

“Spicciati, alzati, non si dica mai che lascio una ragazzina seduta a terra a piangere perché si è fatta la bua…” mormorò, sorridendo ironico.

“Ancora?! Si può sapere chi ti ha dato tanta confidenza?!” rispose ancora lei furiosa, sollevandosi e reggendosi sulla sua mano aperta. Lui abbandonò la sua espressione precedente, assumendo un aria confusa e spaesata.

“Che c’è?” chiese lei, ancora appoggiata a lui “Ti sei incantato?!”.

Lui non rispose, ma cadde svenuto addosso a lei, gli occhi vuoti e stranamente spalancati. Kathrine, presa di sorpresa, cadde ancora all’indietro, il ragazzo che respirava a fatica sulla sua spalla. Spaventata, chiese: “Che ti prende? Ehi tu, svegliati…”.

Seduta per terra, con il ragazzo incosciente, stava per chiamare aiuto, poi sentì la sua voce dirle: “Si può sapere chi sei?”.

Kathrine lo guardò, mentre si allontanava da lei, vistosamente affaticato e grondante sudore freddo.

“Ma che ti è preso? Ti sei sentito male?” chiese, riavvicinandosi di un passo a lui.

“Sto bene adesso…” mormorò lui, poi ripeté, passandosi una mano sulla fronte sudata “Vuoi dirmi per piacere chi sei adesso?”.

Lei lo guardò senza capire, poi mormorò: “Kathrine… mi chiamo Kathrine Shirogane…”.

“Hai detto Kathrine? E’ un bel nome… bene, Kathrine, ci vediamo presto…” disse, alzandosi e recuperando la sua solita espressione. Kathrine rimase per terra, poi mentre lui si allontanava, gli urlò dietro: “E tu chi sei? Non ti ho mai visto da queste parti…”.

Lui, senza abbandonare la sua posa, continuò a camminare di spalle, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni. Disse solo: “Kevin… mi chiamo Kevin Shirayuki…”.

 

   
 
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