Fanfic su artisti musicali > Guns N'Roses
Segui la storia  |       
Autore: Jaded_Mars    27/09/2011    2 recensioni
"I may have built for you a dreamhouse but never thought you were alone.I filled the party up with company but never made our house a home. All I got is my guitar these chords and the truth. All I got is my guitar ... but all I want is you" Izzy per un attimo trattenne il fiato. Era lì! Era lei, finalmente. La speranza gli scoppiò dentro al cuore assieme alla gioia. Dopo tre anni, lunghi come una vita intera, era tornata, era lì per lui e questa volta no, non avrebbe permesso che andasse via.
Genere: Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Quella maledetta corda non voleva proprio tendersi. Era circa un quarto d’ora che ci stava lavorando su, provando e riprovando, e continuava a non andare. Quel giorno era stranamente impacciato con le mani, non ne faceva una giusta e forse anche per quel motivo non era in grado di sistemarla come voleva. Non ci capiva più niente, aveva una grande confusione in testa, però almeno una cosa la sapeva. Si era scocciato di quel suono gracchiante e di quella stupida corda che non faceva più il suo dovere, perciò iniziò a slegarle tutte dal corpo della chitarra, una ad una, con infinita cura, pazienza … e le mani tremanti.  Sbuffò quando un nodo si oppose al suo dolce tocco, si ribellava, non voleva essere sciolto. Pensava e ripensava, tante idee saettavano una dopo l’altra inseguendosi e scontrandosi, se si concentrava poteva vederne quasi le scie luminose che si lasciavano dietro come traccia. Doveri, mestieri, faccende, anche quelli lo rincorrevano fino a catturarlo nella loro morsa di monotonia chiudendolo in una prigione dalle sbarre invisibili.  Invece che essere soffocato dal mondo avrebbe solo voluto essere libero di restare tutta la sua vita semplicemente a suonare sette note sulla sua amata chitarra, anche in una casa in campagna lontano da tutti, non faceva differenza, bastava suonare. Ma non era possibile, lo sapeva. Come del resto aveva sempre saputo che sarebbe diventato una grande star. Era  nel suo destino, nel suo DNA, marchiato a fuoco nel suo essere, una consapevolezza di cui era a conoscenza sin da quando era piccolo. Non era mai stato solo un ridicolo sogno, uno di quelli che tutti i ragazzini hanno per un certo periodo della loro vita e che poi dimenticano in mezzo ai libri di scuola e al lavoro. Era determinato, lo era sempre stato, forse solo per quella grande vocazione che covava dentro sé stesso. “Io ce la farò”. E così era stato. Ci era riuscito. Partito dal nulla, vissuto con nulla se non con la sua infinita ispirazione e l’inseparabile chitarra. Ed ora era nella sua bella casa, tabernacolo della sua affermazione, comprata coi soldi del successo, del suo successo, intento a raccogliere i frutti della sua ispirazione con uno strumento che non voleva collaborare. Anzi con delle corde che non volevano collaborare. Finalmente era riuscito a sfilarle. Si alzò dal divano reggendole in mano come fossero corpi esanimi, fili d’erba appena recisi dalla vita, e si diresse in cucina. Cercò una pentola – dove diavolo erano le pentole?-  la riempì d’acqua e la mise sul fuoco. Accensione automatica. Gran cosa la tecnologia. Era bello vivere in un posto così ricco di comfort, nessuna fatica, tutto servito. Eppure a lui mancava l’ebbrezza del semplice. Sentiva nostalgia per quei tempi non lontani in cui non aveva che un  fornelletto da campeggio per fare tutto il necessario e uno sgangherato lavandino in cui lavarsi le mutande in una topaia che cadeva a pezzi. Forse c’era qualcosa di più vero in quei momenti di trasandatezza e irregolarità che nella perfezione che aveva ora. Che poi intendiamoci, perfezione proprio non era. Sembrava  perfezione, in realtà era solo il 10% visibile di un iceberg di caos. Ma del resto ogni cosa che lo riguardava appariva in una maniera totalmente diversa dal vero, era riservato per natura, non si apriva facilmente alle persone, un po’ per diffidenza, un po’ per carattere. Era per questo che riusciva facilmente a celare a tutti una gran percentuale dei suoi casini, tutti i suoi non detti avrebbero potuto comodamente riempire lo Staples Center. Droga, litigi, tensioni… droga. Ah, la maledetta. Era felice, sinceramente felice di esserne uscito. Era stato dannatamente difficile. Una lotta contro se stesso, una battaglia contro l’esterno che lo aveva profondamente segnato. Aveva combattuto con le unghie e coi denti per riprendere le redini della sua esistenza, ancora una volta era stato determinato, determinato a ricominciare, e quando decideva qualcosa, perseguiva il suo obiettivo fino in fondo. Solo che quella volta era stata diversa, non aveva avuto il sostegno di nessuno, aveva iniziato la sua relazione con la droga quasi per gioco più che per necessità, in compagnia, e l’aveva interrotta da solo, chiuso nella sua segretezza.  Aveva ricevuto così tanti schiaffi e batoste che era stato quasi sul punto di mollare. Eppure eccolo lì, ancora in piedi, ammaccato ma non sconfitto, rinforzato. Si guardò le mani, tremavano ancora.  C’era troppo silenzio in quella stanza per i suoi gusti. Il silenzio che gli era così caro, lui che per indole era taciturno e preferiva il vuoto allo spreco di fiato, ora voleva rumore. Qualsiasi cosa per mettere a tacere la sua testa –taci maledetta!- che da qualche giorno era in subbuglio. Si passò una mano sulla fronte come se quel gesto potesse aiutarlo a schiarirsi i pensieri e gettò le corde nell’acqua bollente. Le guardò danzare leggiadre e coordinate immerse nel liquido trasparente. Bolle piccole, bolle grandi. Era incantato a seguire quel balletto insolito. Anche lui un tempo aveva provato a ballare. Il risultato? Sembrava una di quelle goffe bolle che stavano scoppiando in pentola. Tanto era bravo a comporre musica quanto era negato per il ballo. Ma lei no, lei era armoniosa, delicata, bella. Era il suo opposto in tutto. Lei stava al blu quanto lui stava al giallo. Ma era anche il suo complementare, insieme diventavano bianco, luce. La testa gli stava scoppiando. Andò ad accendere la radio su una frequenza casuale, qualsiasi cosa andava bene, ed alzò il volume al massimo.

“You got a thing about you,
I just can’t live without you,
I really want you, Elenor, near me.”

Ecco la canzone più sbagliata che potesse capitare in quel momento. Stupidi dj, non l’avevano mai  passata quando serviva ed ora la piazzavano proprio quando lui aveva bisogno di distrarsi e non pensare. Come se ci fosse stato dietro un perfido calcolo del destino occhi verdi, intensi, vivi come un bosco si esplosero nella sua mente, sempre gli stessi begli occhi che si illuminavano quando lo vedevano suonare, occhi profondi che non sapevano celare menzogne, occhi che erano stati la sua medicina. Nei momenti in cui lacrime di dolore avevano rigato il suo viso, quando la stabilità emozionale lo stava per abbandonare, lui pensava a quegli smeraldi e subito si sentiva meglio. Li aveva sempre considerati preziosi, lei, un dono che non meritava. Non li aveva mai dimenticati, ci pensava ogni giorno da quando li aveva persi. Ci aveva pensato soprattutto durante la battaglia contro i suoi demoni. Quegli occhi, lei, non erano più presenti vicino a lui, ma erano reali, lo sapeva, e questo gli aveva procurato conforto, una ragione per non arrendersi. Un viso dolce e sicuro prese forma intorno a quegli occhi da cerbiatto, contornato da capelli color cioccolato. Ora erano lisci. Come aveva potuto schiacciare quei bei riccioli morbidi? Ricordava le centinaia, forse migliaia di volte in cui aveva infilato le sue mani in quella bella capigliatura e aveva passato minuti interi a giocarci, quasi come se fossero le corde della sua chitarra, ricavandone lo stesso piacere che aveva a suonare.

“There is no one like you, Elenor, really”

Gli sembrò di sentire un forte profumo di gelsomino invadere la stanza. Era il suo profumo, il profumo di Eleanor. Quel dolce aroma estivo che gli portava buonumore in qualsiasi situazione si trovasse. A volte capitava che le baciasse il collo improvvisamente, anche nei momenti meno adatti, in mezzo alla gente o a casa da soli poco importava, non temeva la reazione di nessuno, tutto pur di  potere annusare quell’odore così buono per qualche istante e poterlo conservare sempre fresco nella sua memoria. E quando lo faceva Eleanor rideva con la sua inconfondibile risata cristallina, solleticata dal fiato birichino del ragazzo che correva sulla sua pelle, o si seccava a volte, ma in ogni caso era sempre paziente con lui e lo lasciava fare. Se ne fosse stato in grado il giovane avrebbe voluto riversare il profumo della sua ragazza in una piccola ampollina da cui non si sarebbe mai separato. Avrebbe tanto desiderato portare una parte di lei con sé, ma non gli erano rimasti che i ricordi del passato, delle foto e qualche regalo. Senza contare quella maglia blu, quella che Eleanor indossava quando andava a dormire. Quella l’aveva tenuta, oh sì ci potevate scommettere, era ancora nel suo armadio, nascosta in un cassetto, insieme a tutto ciò che la riguardava, lontano dalla vista, tuttavia vicina. E non se ne sarebbe separato per nulla al mondo. Capitava che andasse a guardarla, e se ci affondava il viso, riusciva ancora a distinguerne il profumo di gelsomino. Ma ora, in quell’istante, quello che sentiva non era finto, era troppo vero per essere uno degli innumerevoli scherzi che la sua mente gli aveva giocato in passato.

“Elenor, gee I think you’re swell
And you really do me well”

Una mano si posò delicatamente sul suo fianco e andò a cingergli la vita in un abbraccio, la testa appoggiata su una spalla. Izzy per un attimo trattenne il fiato. Era lì! Era lei, finalmente. La speranza gli scoppiò dentro al cuore assieme alla gioia. Dopo tre anni, lunghi come una vita intera, era tornata, era lì per lui e questa volta no, non avrebbe permesso che andasse via. La sua Eleanor finalmente lo abbracciava, dolcemente e affettuosamente come solo lei sapeva fare. Quanto tempo aveva atteso quel momento, lo aveva desiderato con tutto sé stesso.  L’aveva vista per caso due sere prima, come un’epifania, l’aveva scorta in mezzo agli invitati di una festa di vecchi amici. Non poteva crederci, pensava di avere scambiato un’altra per lei.  E invece era lì in città, di nuovo, ed era rimasto colpito da quanto fosse cambiata, sembrava più sicura di sé, più donna e meno ragazza, ma non era diversa da come la ricordava. Per un attimo aveva temuto che non si rammentasse nemmeno di lui – e se fosse cambiata così tanto da avermi scordato?- ma quell’attimo di paura durò fino a quando i loro sguardi si incrociarono. Allora capì che il suo timore era stato del tutto immotivato, un guizzo negli occhi verdi di Eleanor fece capire al ragazzo che l’aveva riconosciuto ed Izzy si sentì subito ricaricato di energia e speranza.

Toccò le mani che gli cingevano la vita nella speranza di trovare quelle morbide e calde della ragazza, ma ciò che incontrò non erano altro che mani fredde, quasi inospitali. Quella non era la sua Ellie, era Anja, una bellissima ragazza trofeo col suo accento svedese e la sua perfetta pelle diafana. L’immagine di Eleanor che aveva preso vita negli istanti precedenti, quella proiezione che la sua mente aveva ricreato con precisione talmente reale da sembrare vera, si sgretolò davanti agli occhi di Izzy come un fragile muro di sabbia riportandolo bruscamente alla realtà, nella sua casa da copertina, nella sua finta vita perfetta.  E lui si sentì disperare.

“I think I love you Elenor, love me.” 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Guns N'Roses / Vai alla pagina dell'autore: Jaded_Mars