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Autore: BlackPearl    27/09/2011    15 recensioni
La domanda del giorno, da una settimana a questa parte è: "Ma Iz, non sei contenta?"
La mia risposta? No!
Ma siete stupidi o cosa? Cos'è tutta questa voglia di avere fratelli? A me essere figlia unica andava più che bene. E mio padre mica lo capisce che io un fratello non lo voglio!
Tantomeno quel decerebrato. Meno che mai quel decerebrato.
Che oltre ad essere decerebrato è cafone, testardo, odioso e anche bello. Il che è ancora peggio, perché non c'è giustizia divina!
Col caratteraccio che si ritrova, doveva avere il naso grosso e gli occhi storti, invece è dannatamente bello...
[Momentaneamente in stand-by]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Prologue
Blend





Shit


A casa, quello stesso sabato


«Cara, cosa fai stasera? Stai ancora studiando?» Pigolò Betty affacciandosi nella mia camera.
«No, ho finito. Credo che andrò a fare una doccia e poi... magari vado a dormire, sono un po' stanca.» Che cosa pietosa. A letto alle nove del sabato sera. Mi facevo pena da sola. Purtroppo quella sera Bianca aveva una cena in famiglia e non poteva muoversi da casa.
«Oh, capisco.» Betty si ritirò con un sorriso di circostanza. Beh, mica poteva lamentarsi? Tutti sognano una figlia educata e docile, una di quelle che non si ritira alle due di notte ubriaca come una spugna. No?
Mi alzai dalla scrivania e aprii l'armadio, cercando una tuta da mettere. No, forse avrei messo il pigiama, visto che il mio cavaliere quella sera sarebbe stato il letto.
«Vabbè, vedo dopo.» Presi solo le pantofole e mi diressi in bagno. Aprii l'acqua della doccia e preparai l'asciugamano.
«Mh-mh-mh-mh..» Canticchiavo un motivetto a bocca chiusa, e a tempo di musica mi sfilavo i vestiti. La maglia e i jeans finirono sulla lavatrice e controllai la temperatura dell'acqua con le dita prima di togliere anche la biancheria.
Magari un altro paio di secondini per riscaldarsi ancora un po'...
«Oh, sei qui.» La voce di Johnny per poco non mi fece cadere nella vasca dallo spavento. Un brivido ghiacciato mi percorse la colonna vertebrale da cima a fondo, facendomi rizzare ogni pelo del corpo.
«Esci subito!» Strillai, agitando le mani.
«Perché?» Ribatté lui, facendo l'esatto opposto: entrò e chiuse la porta a chiave. Io dimenticavo sempre di farlo, ero abituata a essere l'unica a usare quel bagno, perciò bastava chiudere la porta per avere la mia privacy.
«Perché ci sono io in bagno, forse? Mi vedi o oltre che scemo sei pure cieco?»
«Ti vedo, ti vedo...» Mormorò, facendo scorrere lo sguardo sul mio corpo, cosa che mi provocò un'altra serie di brividi. Nessun ragazzo mi aveva mai vista nuda, o perlomeno svestita.
«Ma... ma... ti sembra normale? Sto per spogliarmi, tu devi uscire immediatamente!» Non sapevo cos'altro dire. Lui mi ignorò totalmente, si avvicinò al lavandino e si specchiò. La sua espressione compiaciuta quasi mi fece pensare che si sarebbe fatto i complimenti da solo per lo splendido viso. Quando ebbe finito l'esame di ogni poro, incrociò il mio sguardo sbigottito dal vetro. Stavo ancora aspettando una risposta.
«Ti ho vista con quel pigiama orrendo, sai quanto mi cambia vederti nuda...»
Dovevo essere stata una serial killer nella vita precedente per essermi meritata un fratellastro del genere.
Decisi di fare ugualmente la doccia, tanto prima o poi se ne sarebbe andato, no? «Fai un favore all'umanità: sparati!»
Spostai la tenda sottile e colorata e la richiusi alle mie spalle. Tolsi la biancheria con una lentezza degna di una tartaruga in fin di vita e la appesi al gancetto che reggeva un porta oggetti
. Aprimmo e chiudemmo contemporaneamente l'acqua: io quella della doccia e Johnny quella del lavandino. Mentre mi insaponavo, indecisa se farlo lentamente o meno, tesi le orecchie, cercando di capire cosa diamine stesse facendo. Alla fine glielo chiesi.
«Sto aspettando che tu finisca per aprire la tenda e vederti tutta nuda e bagnata. Poi deciderò se abusare di te o meno.
» Lo disse con un tono così serio che rischiai di affogarmi con l'acqua che mi scorreva sul viso. Allargai la tenda e cacciai la testa fuori. Stavo per domandargli di ripetere quando vidi che stava ridendo.
«Credi davvero che possa farlo?» Mi prese in giro.
«No, perché non saresti così... così... cattivo.» Balbettai, incerta.
Lui smise di passarsi la lametta sul viso e mi corresse:
«Sbagliato. Perché mi attizzi come un rapanello pallido.»
Schiusi appena le labbra dalla sorpresa, poi strinsi gli occhi.
«E tu come un iguana del Malawi!» Risposi, con una smorfia disgustata. Ci guardammo in cagnesco per l'ultima volta e io ripresi a docciarmi, lavando via tutto il bagnoschiuma alla vaniglia.
«Mi passi l'asciugamano?» Gli dissi una volta ripulita per bene. «È sul mobile accanto a te.»
Sentii i suoi passi sul pavimento e vidi l'ombra che si avvicinava alla tenda.
«Allunga la mano e non ti azzardare ad aprire la tenda.»
«Non ci tengo, te l'ho detto.» Aprii la tenda quel poco che bastava per prendere l'asciugamano e tirarlo dentro la doccia.
«Sì, come no.» Replicai, e lui non disse nulla. L'ombra restò davanti alla doccia per qualche istante, poi tornò davanti allo specchio. Fanatico narcisista.
Mi avvolsi nella spugna bianca e uscii, bagnando appena il pavimento di mattonelle azzurre. Misi il piede sul tappeto e asciugai le gocce d'acqua.
«Stasera esci con me.» La buttò lì così, come se avesse detto che di lì a poco avrebbe piovuto. Alzai lo sguardo e incrociai il suo per un attimo, poi lui tornò ad aggiustarsi i capelli.
«È un ordine? Una minaccia? Un suggerimento?»
Strinsi l'asciugamano all'altezza del seno e mi avvicinai a lui. Johnny si bagnò la punta dell'indice con l'acqua e si portò un capello ribelle dietro l'orecchio. Li aveva tirati indietro, fatto la barba in modo impeccabile, e beh... l'occhio, che vuole sempre la sua parte, era parecchio soddisfatto. Perfino il mio, che lo odiava a morte.
«Me l'ha chiesto tuo padre, visto che non esci mai...» Spiegò lui, voltandosi a guardarmi. Io aggrottai la fronte, incredula.
«E si fida a mandarmi con te? Con TE?» Non c'era bisogno di aggiungere altro, quel "te" spiegava tutto.
«Solo tu non ti fidi di me, ragazzina.» Disse, sfiorandomi il mento con due dita. Quel contatto delicato durò un nanosecondo, dopodiché lui girò sui tacchi e uscì dal bagno, lasciandomi lì impalata come un baobab.

«Sì, e ora cosa cavolo mi metto?» Pensai a voce alta, mentre tornavo in camera. La risposta era sul mio letto: leggings color argento e miniabito nero con maniche a pipistrello. Oddiosanto, da dov'era sbucata fuori quella roba? Ai piedi del letto, c'erano dei sandali neri col tacco alto che avevo indossato una sola volta in vita mia.
«No, no, ma che roba è questa?» Dissi alzando i leggings. Odiavo lo stile anni ottanta.
«Preferivi quelli rosa shocking?» Il solito impiccione, la solita presenza inquietante che aleggiava nella casa. Sembrava un fantasma. Un fantasma che vedevo solo io.
«No, preferivo dei jeans normalissimi e anonimi.» Johnny mi scoccò un'occhiata seccata e prese il suo giubbotto di pelle dall'armadio. «Guarda che io sono quasi pronto, muoviti.»
Sbuffai e infilai velocemente il mini abito e quei leggings alla C-3PO. Impiegai circa diciotto ore per mettere i sandali, tanto ero nervosa, e diedi due colpi di spazzola ai capelli, che fermai con una forcina su un lato. Non mi guardai nemmeno allo specchio. Feci la mia comparsa in salotto e tutti si voltarono al ticchettio delle mie scarpe sulle scale.
«Wow, tesoro, sei uno schianto!» Esclamò Betty estasiata. «Sapevo che ti sarebbero andati a meraviglia!»
Certo, era lei l'artefice di quel disastro. Mi sentivo nuda, dalla vita in giù. Papà mi guardò compiaciuto e mi affidò senza problemi a Johnny, che non aveva ancora proferito parola. Ero sempre più sconvolta dal comportamento poco paterno di mio padre. Non era mai stato eccessivamente protettivo, certo, ma si fidava troppo e troppo in fretta di Johnny. Betty gli aveva fatto il lavaggio del cervello? Tutto pur di non contrariarla, vero?
«Non tornate troppo presto!» Si raccomandò inutilmente lei, salutandoci con la mano.
Vivevo in una famiglia di pazzi.

«Dove andiamo?» Domandai, una volta in auto con Johnny.
«A una festa
«Come mai hai deciso di portarmi con te?»
«Potevo oppormi?» Mi guardò per un secondo e poi tornò alla strada. «Non aspettarti che badi a te, ovviamente.» Disse, col sopracciglio alzato. Io non risposi. Cosa potevo mai dire? "Ah no? Perché sai, la verità è che non conosco nessuno e non sono per niente abituata al tuo genere di festini!"
Mi limitai a scuotere la testa e a pregare che quella serata passasse in fretta.
Alle dieci meno venti eravamo sotto la casa di un tale Joe.
«Ehi Joh! Grandissima testa di cazzo, dov'eri finito? Temevo non arrivassi più!» Sal, il suo migliore amico col nome da salsa messicana gli si avvicinò e si salutarono con due pacche sulle spalle.
«Ciao anche a te, bellezza.» Mi prese la mano e vi depositò un bacio umido, che mi fece rabbrividire ma non nel senso buono della parola.
«Ehi, aspetta, ma tu sei sua sorella? La stronza coi mal di testa?» Esclamò, dopo avermi osservata bene.
Guardai Johnny accigliata. Ah, era così che mi definiva? Ma bravo!
«Sì, sono io. E se non ti levi dalle palle la stronza la faccio per davvero.» Gli passai avanti e mi diressi in casa, dove la musica assordante rimbombava sulle pareti. Camminavo distrattamente facendomi spazio tra la gente quando mi sentii afferrare per il polso. Johnny mi tirò a sé poco delicatamente. «Non salire di sopra e non rispondere a chi ti dovesse fare qualche proposta strana, e soprattutto...»
«...non fare la stronza? È questo che volevi dirmi? Beh, mi dispiace, purtroppo ce l'ho scritto nel DNA, così come la predisposizione per i mal di testa e l'odio viscerale per i bastardi come te!» Strattonai il braccio e mi girai dal lato opposto.  «Vaffanculo, Iz!»
Ce ne andammo ognuno per la sua strada. Un tizio con un vassoio mi mise davanti un bicchiere contenente un liquido colorato. L'odore pungente mi fece arricciare il naso ma lo provai, per ripicca - quale ripicca? -, e lo scolai tutto in un sorso, tossendo subito dopo. Mi pulii la bocca col dorso della mano e cercai un angolino tranquillo. Fui fortemente tentata di salire di sopra, dove tutto sembrava calmo e silenzioso, ma le parole di Johnny mi rimbombavano nella testa e decisi di lasciar perdere.
Ovunque mi girassi, coppiette mal assortite si baciavano volgarmente, le loro mani scorrevano lascive sui reciproci corpi, riempiendo le stanze di gemiti strozzati e nomi strascicati dai loro stessi sospiri.
«
Oh, oh, oh. Guardate chi c'è... la sorellina di Casanova.» Mi sentii afferrare per la spalla e fui costretta a voltarmi. Riconobbi il proprietario di quella voce e desiderai un altro bicchiere di quella robaccia azzurrina.
«Oh, oh, oh. Big Foot.» Il soprannome che gli aveva dato Johnny mi piaceva. Nonostante la notevole differenza d'aspetto con la creatura leggendaria, i modi barbari da scimmione e il neurone solitario li rendevano pressoché identici.
«Come mai ti ha lasciata sola? Non ha paura che qualcuno abusi di te?» Poi rise sguaiatamente. «No, certo che no! Quello se ne fotte altamente di te! L'ho visto slinguazzare con una stangona nella stanza accanto... povera piccola Martins.» Provò a consolarmi con una pacca sulla spalla che schivai prontamente.
«Non è per te questo ambiente, angioletto... tu non saresti capace nemmeno di bere un bicchiere di birra.» Rise, insieme ai suoi amici. Il tizio coi cocktail passò di nuovo. Lo fermai bruscamente e presi un bicchiere.
«Alla tua salute, imbecille.» Dissi e ne bevvi velocemente il contenuto. La gola bruciava da morire ma non tossii.
Kevin e i ragazzi sorrisero e forse mi videro sotto una luce diversa. Non diedi loro il tempo di replicare. Col bicchiere in mano, mi avviai nella stanza adiacente.
I Take That cantavano una canzone a me familiare e attorno a me qualcuno cercava di ballare in modo convincente, per far colpo sugli altri. In un angolo, notai la chioma scura di Johnny che, come aveva detto Kevin, stava baciando una bionda dalle gambe chilometriche. Si può dire che non fossi molto lucida.
Mandai giù un altro bicchiere, stavolta di un liquido ambrato, e mi diressi a passo spedito e un po' traballante verso Johnny. Risi da sola pensando a ciò che avrei detto.
«Ehi, Joh!» Gli arrivai alle spalle e richiamai la sua attenzione con una spintarella sul braccio. Lui mi ignorò sulle prime, poi al mio secondo tentativo si staccò dalla Barbie e mi fulminò. Non gli diedi il tempo di parlare. «Oh, non trovo dei bicchieri puliti, mica su questo c'hai bevuto tu? Non voglio beccarmi la tua mononucleosi senza aver neanche baciato qualcuno!» Risi e ottenni l'effetto desiderato. Barbie "disco" guardò Johnny scioccata e disgustata. Si portò una mano alle labbra e poi gli stampò cinque dita sulla guancia. «Stronzo! Mi fai schifo!» E se ne andò via correndo.
Quasi non riconobbi la risata idiota che emisi, vedendola fuggire. Con la testa che mi girava appena, mi buttai al centro della stanza, in mezzo a due ragazzi che ballavano, e iniziai a muovermi anch'io. Chiusi gli occhi e seguii la musica, volteggiando col sorriso sulle labbra.
«Woo-ho, guarda questa!» Sentii distrattamente qualche fischio e altri ragazzi mi si accalcarono addosso, rendendo l'aria più calda e pesante di quanto non fosse già. Qualcuno fece una battuta e io mi unii alle risate generali, anche se non c'era molto da ridere. Poi mi sentii strattonare, sballottare a destra e a sinistra e infine fui investita da un'aria gelida che mi fece rabbrividire più volte.
«Ma cosa cazzo credi di fare?!» La voce di Johnny giunse attutita alle mie orecchie, nelle quali rimbombava ancora la musica martellante della festa. Intorno a noi c'era silenzio, o perlomeno meno confusione. Guardai Johnny cercando di metterlo a fuoco. Dio, non mi ero mai sentita così intontita.
«Mi rispondi?!» Mi scosse il braccio, rendendo ancora più precario il mio equilibrio. «Ma sei ubriaca?» Mormorò, quasi parlando tra sé. Io cominciai a ridere.
«No, non sono ubriaca!» Risi ancora e provai a tornare dentro. Inciampai in un filo d'erba - sempre sostenendo di non essere ubriaca - e mi preparai all'impatto col suolo con un ululato.
Johnny mi prese al volo e mi portò su una panchina poco distante.
«Perché non torni alla festa? Tanto lo sappiamo che non te ne frega niente se muoio...» Biascicai, mentre lui mi faceva stendere. Si abbassò sui talloni per arrivare all'altezza della mia testa e serrò le labbra. «Stasera sei la mia palla al piede e non posso lasciarti morire, per quanto suoni bene l'idea.» Feci una smorfia offesa e lui continuò. «E visto che hai avuto la geniale idea di sparare stronzate sul mio conto non ho nemmeno una ragazza da cui tornare, stupida ragazzina ubriaca.»
«Stai dicendo che ti ho rovinato la serata?» Ripresi a ridere.
Lui non ebbe il tempo di rispondere. E io non ebbi il tempo di avvertirlo. Ebbi solo la decenza di salvare il mini abito e la panchina. Quindi vomitai sulle scarpe di Johnny.
Dopo una serie di imprecazioni snocciolate a voce estremamente alta, Johnny mi tirò indietro i capelli - anzi, sarebbe il caso di dire che mi tirò i capelli e basta - e aspettò che finissi di vomitare anche l'anima.
Chiese a una coppia di passanti dei fazzoletti e mi aiutò a pulirmi la bocca. Mi stesi di nuovo e mi massaggiai il cuoio capelluto.
«Mi hai fatto male...» Mi lamentai, con gli occhi chiusi e una smorfia disgustata dipinta sul viso.
«Se non abitassi a casa tua ti avrei lasciata qui da un pezzo, ne sei consapevole?» Sbraitò mentre si puliva le scarpe come meglio poteva.
«Che donna fortunata che sono.»
«Ti ucciderò appena torni sobria, ragazzina
«Smettila di chiamarmi così!»
Provai a sedermi e mi spostai per non appoggiare i piedi nel vomito. Johnny buttò l'ennesimo fazzoletto sulla panchina. Estrasse l'ultimo dal pacchetto e provò a ripulirsi ancora gli scarponi.
«Dovrei farteli lavare con la lingua.» Borbottò, senza guardarmi.
«Dovresti, sì.» Annuii, prendendolo in giro.
«Mi vendicherò in un altro modo, non preoccuparti.» E invece mi preoccupai, vedendo la sua espressione seria.
«Andiamo a casa.» Sbuffò. Mi alzai barcollante e lui mi passò un braccio sotto l'ascella per sostenermi. Mi depositò in auto e tornò dentro a salutare gli amici.
«Gesù, quanto puzzi!» Sal e gli altri lo accompagnarono alla macchina. Johnny gli tirò un pugno sul braccio e rise.
«Buona fortuna! Ciao, zuccherino!» Mi salutò con la mano e io lo ignorai.
«Non credo che mamma e Graham siano ancora svegli, ma se lo fossero non fermarti a parlare e fila direttamente in bagno. Se scoprono che sei ubriaca daranno la colpa a me.» Mi impose lui, mentre metteva in moto.
«Ma la colpa è tua.» Replicai, stizzita.
«Come scusa?»
«Se non mi avessi lasciata sola e se tu e i tuoi amici non foste così insopportabilmente stronzi ed egoisti, non sarei ubriaca. E comunque non sono ubriaca.» Incrociai le braccia al petto come una bambina di tre anni.
«Pensa a mamma. Pensa a mamma. Pensa a mamma.» Ripeté Johnny per calmarsi. Serrò le dita attorno al volante, fino a far sbiancare le nocche. Forse, in tempi non sospetti, sarei risultata vagamente irritante persino a me stessa. Lui non era da meno, però. Non potevo assumermi tutta la colpa, cavolo.
«Sì, bravo, pensa a mammina...» Alzai gli occhi al cielo, pregando di arrivare in fretta.
Una volta a casa, feci come mi aveva detto, più che altro per evitare questioni varie. Papà e Betty si chiusero finalmente in camera e io potei girare tranquillamente per casa. Mangiai qualcosa e presi un'aspirina, dopodiché andai a farmi una doccia veloce.
In bagno c'era Johnny.

«
Visto che ti ostini a dormire da me potremmo trasformare la camera degli ospiti in un bagno. Così non rompi più le palle.»
Lui chiuse l'acqua della doccia e rispose a tono.
«Sei tu che hai invaso la mia privacy adesso, Miss Intimità
Osservai la sua ombra dalla tenda e pensai che si vedeva quasi tutto. Non dovevo fare più la doccia davanti a lui, nel modo più assoluto!
«Sì, ma potevi anche far usare il bagno prima a me, visto che sono ubriaca!» Replicai, con lo spazzolino da denti in bocca.
«Ma tu non sei ubriaca.» Ecco, usava anche le mie parole contro di me! Che bastardo.
Sputai nel lavandino e bevvi altra acqua, per sciacquare bene. Chiudemmo l'acqua insieme.
Quel decerebrato non mi avvertì che stava per uscire. Era proprio un vichingo senza un briciolo di pudore!
Mi voltai e per poco non sputai per terra. «Mo soi sc-» Provai a dire, con l'acqua in bocca. Mi zittii o avrei vomitato di nuovo. Aspettai qualche secondo e lui parlò. «Puoi girarti, mi sono coperto.»
Tornai sul lavandino e sputai tutto. Mi pulii la bocca, finalmente fresca, e mi voltai verso di lui.
«MA SEI SCEMO?!» Ripetei, stavolta senza liquidi a intralciarmi la parola.
Johnny non si era coperto. Si stava semplicemente asciugando le cosce e l'asciugamano per grazia divina gli copriva a malapena anche il resto. Bastava scendere un po' più giù e quel lembo di spugna avrebbe mostrato tutto ciò che non volevo vedere.
«Esci fuori.» Lo spinsi via, seminudo e buono, verso la porta. «Esci subito fuori!»
Non so come ebbi la meglio sulla sua ovviamente superiore forza e riuscii a chiudere la porta a chiave. Mi fermai al centro del bagno con gli occhi sgranati, le guance in fiamme e il cuore che batteva furioso nel petto.
Va bene, dimentichiamo l'accaduto.
Mi spogliai in santa pace, feci la doccia e quando uscii avvolta dalla nube di vapore mi ricordai che non avevo preso il pigiama. Né tantomeno la biancheria di ricambio. Mi accasciai sul bordo della vasca, esausta. Volevo solo dormire e svegliarmi l'indomani senza quell'idiota vicino.
«E va bene.» Mi feci coraggio e, dopo essermi avvolta nell'asciugamano più grande del mondo, andai in camera per prendere il pigiama. Lui era ancora mezzo nudo, e non perse l'occasione per starsene un po' zitto.
«Oh, no, ti si vedono i piedi!» Commentò divertito la mia mise. «Potevi prendere un burqua, ti avrebbe coperta meno.»
«Invece di infilarli, potresti gentilmente affogarti con quei pantaloni?»
«Mamma mia, come sei acida...»
«Un altro aggettivo per la tua lunga lista.» Constatai, lievemente amareggiata. Non mi piaceva il fatto che si facesse un'idea così brutta di me, eppure non riuscivo a trattenere la lingua dal parlare in quel modo. Mi dava troppo fastidio, e di sicuro lui non faceva del suo meglio per evitare di provocarmi. Quando mi fui vestita mi infilai sotto le coperte, sospirando.
«Domani mattina non fare lo zulù come al solito. Se mi svegli ti castro!» Lo minacciai, memore del risveglio brusco e indesiderato della domenica precedente dovuto ai suoi modi da elefante.
«Dopo la serata che mi hai fatto passare è il minimo che possa fare.»
«È questa la tua grande vendetta?»
Lui rise, beffardo. 
«Per chi mi hai preso?» Ero talmente impegnata a preoccuparmi e a interpretare quella frase che non risposi.
Si sarebbe davvero vendicato? Pensai alla gravità della situazione.
Sì, avevo praticamente preso una pala, l'avevo infilata nella merda e gliel'avevo tirata addosso.
Con la quantità ridicola di neuroni presenti in quella casa, la notizia si era probabilmente sparsa a macchia d'olio, e il livello di merda era aumentato.
Con Kevin presente in quella casa, il livello di merda era salito alle stelle.
Con le scarpe sporche del mio vomito con cui era entrato in quella casa, il
merdometro
era scoppiato.
Insomma, a giudicare dalla situazione, era più che ragionevole aspettarsi una vendetta con gli interessi.
E a giudicare dal modo in cui continuavo a trattarlo, avrei dovuto iniziare a scavarmi la fossa da sola.
 






Bene, salve! Rieccomi dopo tanto tempo. Sì, lo so. 
Non ho molte scuse stavolta. Ho tanto tempo ma poca ispirazione, che si concentra su altro (come, per esempio, il gruppo e la storia sul vero Johnny che sto scrivendo insieme ad altre dieci ragazze. L'avevo detto io che questo gruppo sarebbe servito a qualcosa!)
Insomma, comunque sono tornata. Sono senza linea - bastardi non identificati hanno rubato chilometri e chilometri di cavi del telefono - ma sto usando quei pochi mb che mi dà la Tim per aggiornare questa storia.
Spero vi piaccia questo capitolo, perché è ufficialmente iniziata la guerra.
Fatemi sapere cosa ne pensate (18 recensioni erano troppo belle per essere vere, vero? ._.)

Un abbraccione,
Sara.
   
 
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