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Autore: MichikoLouise    29/09/2011    1 recensioni
Che senso aveva continuare a crogiolarsi nella perdita, sperando in un ritorno? Forse nessuno. Eppure mi resi conto che ero diventato dipendente da quei ricordi, perché come li scacciai, loro tornarono ad incutermi dolore, mentre io cercavo di vomitarli via uno per uno.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Fred, Weasley, George, e, Fred, Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Dove mi trovo?
Il buio è intorno a te.
Mi sento così solo.
Ti stai arrendendo?
Sono bloccato al suolo.
Già, catene d’argento ti hanno fatto prigioniero.
Non riesco a respirare.
Qui l’aria è molto rarefatta, sai?
Non sto bene.
Stai annaspando nel buio, vero?
Aiutami, ti prego.
Non implorarmi.
Cosa dovrei fare?
Dovresti morire.

Liberami!

 
I sensi cominciarono a venire meno e la vista, già opaca, si annebbiava sempre più; eppure il corpo rifiutava di lasciarmi libero in questo incubo e non permetteva la salvezza attraverso la morte, stava lottando, ma la mia mente era così stanca di quei fantasmi del passato che non avrebbe retto per più di qualche minuto.

«Ho deciso che devi vivere.»

Le mie catene si ritrassero spontaneamente ed io fui finalmente libero; eppure questa era forse una dannazione ancora peggiore, sentivo un pressante dolore mettere radici nel mio povero cervello, crescere come un cancro fino a uccidermi dentro, mentre il corpo piangeva lacrime di sangue.
Ogni cosa intorno a me cambiò e creò confusione ed automaticamente cominciai a correre in un labirinto monocromatico, cercando di seminare i pensieri, i sentimenti e la tristezza che mi inseguivano sotto forma di macabre rappresentazioni, mentre la mente vagava altrove, cercava folli vie d’uscita. Non sarebbe sopravissuta ancora per molto, presto avrebbe ceduto e con lei ogni cosa che mi apparteneva sarebbe rovinata al suolo e finalmente il mio incubo sarebbe finito.
Il labirinto cominciò a cambiare e cambiare, divenne sempre meno definito e il dolore cominciò a spaccarmi dentro, rivelando sangue, carne e un cuore pulsante allo stremo delle forze, tutto divenne luce e rimasi accecato, intanto i miei sogni presero vita e li intravidi per pochi secondi: il mio stesso volto mi guardava giudicandomi, ed io piangevo sconvolto, le lacrime evaporavano e sentivo la pelle come lacerata e risucchiata da un imbuto inesistente. Rimasi solo nella luce, cieco e inerme, vicino a me solo anime morte.

Mi svegliai di soprassalto nel buio più totale, neanche un po’ di luce lunare riusciva ad illuminarmi il volto, accesi nervosamente una piccola lampada a me vicina, strinsi le ginocchia al petto, le lacrime bollenti bruciavano sulla mia pelle ghiacciata, cominciai a riprendere fiato.
Pochi secondi dopo mi asciugai le lacrime con una mano, mi alzai dal letto e mi diressi verso un grande specchio, fissai il viso pallido del mio fratellino nella penombra.
Poggiai una mano sullo specchio e automaticamente esso mi imitò. Strinsi la mano sullo specchio e ricominciai a piangere.

Non posso resistere un minuto di più, disse una voce insulsa nella mia testa.
Non posso davvero farcela, non senza di te, continuò.
Perché non capisci? E’ come se mi mancasse una parte, concluse, perché io la zittii.
Che senso aveva continuare a crogiolarsi nella perdita, sperando in un ritorno? Forse nessuno. Eppure mi resi conto che ero diventato dipendente da quei ricordi, perché come li scacciai, loro tornarono ad incutermi dolore, mentre io cercavo di vomitarli via uno per uno.
Nulla di ciò che facevo aveva senso, ma era l’unico modo per stare bene: aggrapparmi ai ricordi.
L’avrei fatto ancora e ancora, se questo significava soffrire per ore, ma poi rivederlo per pochi istanti ogni mia tormentata notte. L’avrei fatto ancora e ancora, se ciò significava osservare lo specchio, abbracciarlo e piangere, senza avere il coraggio di romperlo, come se potessi rompere una parte di lui, una parte di ciò che avevo sempre amato.

«Ti prego Freddie, aiutami, perché sto morendo. Sto soffocando in questa stupida stanza che sembra ancora nostra, che non è cambiata da quando sei morto così stupidamente. Stai ancora sorridendo in quel maledetto ritratto alla parete, in quel maledetto corpo sotterrato, ma non stai ridendo nello specchio.
Più osservo quel riflesso più la tua immagine si sfoca.
Non riesco più a sorridere, perciò non riesco a essere te. Non passa giorno senza che io pianga, quando tu invece ridevi continuamente, quando io ridevo insieme a te, quando ogni cosa era al posto giusto e al momento giusto.
Forse non hai idea di quanto io stia male, benché cerco continuamente di parlarti, di ascoltarti, ma devi sapere che non sono l’unico: mamma e papà stanno abbandonandoti, Freddie, Ron, Ginny e tutti gli altri stanno per abbandonarti, Freddie, sono stati male così a lungo che ormai il loro corpo non riesce a reagire, la loro mente è crollata, stanno perdendo le forze, stanno perdendo i tuoi ricordi.
Io continuo a ricordarti e a pensarti, fratellino, ma fa male, di questo passo corroderà.
Continuo a cercarti, nei ritratti, negli specchi, nelle vie, ogni passo immagino possa essere tu, ogni sussurro potrebbe essere la tua voce. Non mangio più, non dormo più, non vivo più. I miei incubi mi assillano di giorno, di notte, le allucinazioni si fanno sempre più evidenti e ripetute, ormai sono allo stremo, ma non ti abbandonerò mai, capito? Non lo farò mai, perché sei tutto ciò che posso desiderare in questa vita. Ho bisogno di un tuo segno, per capire che esisti davvero, ho bisogno di un bel sogno in cui sei presente, non un cattivo incubo in cui mi terrorizzi. Ma tu non rispondi, non rispondi mai.
Mi manchi così tanto, fratellino.»

Lui era irrinunciabile. Come avrei potuto vivere senza una parte di me?
Cosa c’era di peggio che vedere la pelle lacerarsi, lasciando spazio alla carne rossa e al sangue che zampilla? Cosa c’era di peggio che osservarsi distruggere allo specchio, sia mentalmente che fisicamente, mentre un cuore rovinato continuava a pulsare sangue marcio?
Avrei potuto fissarmi ancora e ancora, fino a vedere gli arti staccarsi dal mio corpo, distruggendo le ossa e i muscoli, fino a vedere il mio stesso organo vitale, il cuore, spezzarsi a metà, distruggendo ventricoli e atri, colando un’emorragia di sangue vermiglio, fino a schiantarsi sul marrone abete del parquet, insudiciando ovunque, perfino sui muri bianchi come latte, azzurri come il cielo sereno. Avrei continuato a vederlo, anche soffrendo, perché l’unica cosa peggiore di tutto questo scabroso sangue era il perderlo per sempre.

  
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