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Autore: Ofelia di Danimarca    29/09/2011    0 recensioni
"Doveva esserci una ragione per cui, invece che schiantarsi a terra e morire, si era schiantato a terra ed era sopravvissuto. Bran lo domandava ogni notte, mentre prima di addormentarsi si metteva a parlare con gli antichi Dei. Ma gli Dei della Foresta erano riservati, e non gli avevano mai accennato nulla a riguardo."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Di nuovo un’altra storia su Game of thrones: stavolta il protagonista è Bran, uno dei personaggi che più di tutti mi sono piaciuti nella serie.
Volevo approfondire i suoi pensieri e le sue sensazioni dopo la partenza di Robb e dopo essere rimasto l’unico Stark a Grande Inverno.

I capitoli saranno 2, in modo da rendere il tutto meno pesante, e ruoteranno attorno a 2 episodi che si vedono anche nella serie ma che io rielaborerò un po’ a modo mio.
Il titolo della storia è preso da una bellissima canzone dei Metric, che si chiama proprio “Help I’m alive” e che mi ha ispirato nella scrittura.
Grazie per tutti quelli che vorranno leggere o lasciare un commento :--)

 


 
 
 
 
 
 
 
                                                                              ------------- AL PARCO DEGLI DEI ---------------
 

 
 
 
 
 
Doveva esserci una ragione per cui, invece che schiantarsi a terra e morire, si era schiantato a terra ed era sopravvissuto. Bran lo domandava ogni notte, mentre prima di addormentarsi si metteva a parlare con gli antichi Dei. Ma gli Dei della Foresta erano riservati, e non gli avevano mai accennato nulla a riguardo.
Anche adesso, che si trovava faccia a faccia con l’albero-diga, il simbolo della religione del Nord, non potè fare a meno di chiedersi perché.
Seduto su una pietra gelida, si mise a osservare i rami tenaci, le foglie rosse e seghettate, le rughe profonde di quell’albero maestoso e si chiese quanti altri come lui si fossero recati là, in passato, in cerca di una spiegazione. In cerca di qualcosa che li facesse capire.
Ma non serviva. Il buco scavato nella corteccia bianca, che doveva fungere da bocca dell’albero, era muto come la notte, e i tratti rossi di resina fatti per simboleggiare gli occhi gli sembravano privi di vita quanto quelli di un cadavere. Non avrebbero dovuto essere quelli dei canali di comunicazione privilegiati con gli Dei? Gli avevano forse mentito?
“Quest’albero non mi dirà niente…non ha senso stare qui.”
Il vento del mattino si faceva sempre più severo, e i corvi più insistenti nel loro gracchiare. L’ennesimo, inequivocabile segnale che l’inverno stava arrivando.
Bran si accorse di stare rabbrividendo. Doveva rientrare, si disse, doveva chiamare Hodor perché lo venisse a prendere e se lo caricasse sulle sue enormi spalle per riportarlo nella sua stanza.
Era a lui che competeva la cura e la sorveglianza di Grande Inverno ora. Con suo padre lontano, e senza Robb, spettava a lui. In attesa del loro ritorno, era quello il suo dovere, lo sapeva. Sua madre sarebbe stata fiera di lui, una volta di nuovo a casa.
Abbassò il mento sulla pelliccia che gli ricopriva le vesti, sospirando. “Sono uno storpio” pensò tra sé “eppure, sono vivo, e anche se nulla sarà più come prima, sono sempre io.”
Le foglie dell’albero-diga si erano messe a frusciare sotto i colpi pungenti della brezza, e fu per questo che non udì i passi farsi più vicini dietro le sue spalle. Fu solo quando il vento si placò per qualche istante che avvertì la presenza fisica di qualcuno dietro di lui. Non vide, semplicemente la avvertì.
<< Hodor? >>
Attese, immobile e senza voltare la testa, fino a che una figura non si fece avanti entrando nel suo campo visivo.
<< No, non sono Hodor… anche se sarebbe bello poter essere un gigante, per un giorno. >>
Bran non riuscì a trattenere la sorpresa quando riconobbe Osha, la selvaggia che qualche settimana prima aveva tentato di derubarlo – o ucciderlo, non lo sapeva – insieme ad altri sventurati senza origine. La scrutò per qualche secondo, senza dire una parola. Aveva ancora i piedi incatenati, come aveva voluto Theon, e un aspetto che Bran non avrebbe saputo definire in altri modi che non fossero disastroso.
<< Che cosa ci fai tu qui? >> Bran si scostò i capelli scuri dalla faccia, mentre la vedeva avvicinarsi sempre di più ad un ramo dell’albero-diga e allungare un braccio per sfiorarne la corteccia. << Tu preghi gli antichi Dei? >>
La selvaggia annuì lentamente, guardandolo con occhi beffardi. << Certo… o forse pensavi che la gente come me non sapesse farlo? >>
Nei suoi occhi non c’era nulla di gentile, questo Bran lo vedeva chiaramente. Eppure si pentì di averle fatto quella domanda. In fondo, si disse, tutti avevano il diritto di pregare, persino gli schiavi, persino le persone come Osha.
<< So che cosa stai pensando, piccolo Lord >> fece lei, stringendosi nella tunica di lana grezza e rovinata che la ricopriva << Ti chiedi come può una come me, che pochi giorni fa era pronta a farti fuori, a credere in qualcosa al punto di pregare. >>
Bran rimase interdetto. Si mise a fissare il muschio che ricopriva le pietre tutte intorno a lui.
<< E in che cosa credi? >> le chiese, dopo un po’.
Osha si accucciò, le braccia conserte, la testa arruffata di capelli castani rivolta a quella del piccolo Stark. << Io credo che gli Spiriti ci ascoltano. E credo anche che presto avremo tutti bisogno del loro ascolto. >>
“Gli Spiriti ci ascoltano” ripetè a mente Bran, subito dopo che l’ebbe sentito. Quella frase lo faceva sentire a disagio, se ne rese conto facilmente. Non aveva forse appena finito di pensare che…
<< A me non sembra che stiano ad ascoltare. Se stanno ad ascoltare, di sicuro non rispondono, però. >>
Il freddo del mattino andava peggiorando. Alzando la testa oltre l’albero-diga, si potevano intravedere delle nuvole color antracite farsi sempre più vicine, incoraggiate dal vento che, dopo piccoli intervalli di tregua, riprendeva puntuale a soffiare.
Osha era ancorà lì, nella stessa posizione di prima, ma stavolta aveva voltato la testa, come se stesse tendendo un orecchio verso la bocca dell’albero, come in attesa di un messaggio.
<< E invece sì, ti ascoltano. >> disse, a bassa voce, come sempre Bran l’aveva udita parlare. << E ti rispondono, anche. >>
<< E come mi rispondono? Come faccio a sentire ciò che mi dicono? >>
Bran la fissava con gli occhi spalancati, come se da quella risposta dipendesse un pezzo della sua stessa esistenza. La vide stringere le spalle e piegare leggermente le labbra screpolate.
<< Non pensarci, ragazzo, perché tanto io non so dirtelo. >>
 
   
 
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