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Autore: Il circolo di Aro    29/09/2011    14 recensioni
Che cosa ricordi di quando eri vivo? Aro non ha dubbi, un dolce ricordo che diventa ossessione, rammarico per una cosa vissuta e perduta per sempre.
O no?
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aro, Athenodora, Caius, Marcus, Sulpicia
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Aro e il tegamaccio etrusco


- Forse mi manca sognare, ma ricordo solo in modo vago cosa volesse dire…-
Marcus sospirò e si immerse di nuovo nella lettura de “I dolori del giovane Werther”. Caius, che aveva posto per primo la domanda, passeggiava per la stanza accarezzandosi il mento con aria interrogativa.
- Credo che il mio ultimo ricordo da umano sia stato il sangue che mi usciva dalle ferite e la lama del gladio che mi squarciava il petto. O anche il battito del cuore sempre più rado.-
- E non ti ricordi qualcosa di Dora, da umana?-
Caius sorrise e si voltò verso la moglie, che guardava Sulpicia dipingere una scena primaverile con putti e ninfe.
- Potrei dirti i suoi ricci, o il modo in cui si accaldavano le sue guance dopo la corsa…-
Le cinse le spalle e si mise a giocare con i suoi capelli.
-…ma la verità è che mi sembra migliorare secolo dopo secolo.-
Athenodora commentò l’uscita mollandogli una gomitata nello stomaco.
- Sei sempre così gentile, amore mio.-
- Perché? Tu mi ricordi quando ero umano? O di come eri tu?-
Dora ci pensò un attimo, attorcigliandosi una ciocca di capelli attorno a un dito.
- Il fiatone dopo una corsa, forse. O anche il tuo odore quanto tornavi in tenda dopo una battaglia.-
- Cioè ti manca l’ascella pezzata?-
- Possibile che non ti vada mai bene nulla?!-
Sulpicia rise di cuore, e anche Marcus inarcò appena le labbra. Quando smise di ridere, Sulpicia tornò all’ala candida di un putto che reggeva una cesta di frutta.
- Io sono d’accordo con Marcus: era bello svegliarsi sentendo il fresco dell’aria del mattino, stare qualche attimo in più sotto le coperte prima di calzare i sandali, o godersi il fresco delle lenzuola di bucato.-
- E tu, fratello?-
Inaspettatamente fino a quel momento Aro era rimasto silenzioso. Stava fissando un punto non meglio precisato tra la finestra e il soffitto.
- Aro, non c’è nulla che ti manchi di quando eri umano?-
- Sì, c’è una cosa.-
Aro fece un sospiro nostalgico.
- E cosa, fratello?-
- Il tegamaccio etrusco.-

Era ormai da tre giorni che Aro andava in giro per Palazzo dei Priori con il pensiero fisso del tegamaccio. Da una chiacchierata informale tra fratelli era diventato affare di tutta la guardia.
- Avresti dovuto sentire le prugne, che prugne! Ti si scioglievano in bocca che era un piacere, dolci al punto giusto, con la buccia che opponeva una minima resistenza prima di sprigionare il suo ripieno morbido. Eh, adesso hai voglia a trovare delle prugne con lo stesso sapore: la frutta oggi non sa più di nulla con tutti gli anticrittogamici e i pesticidi industriali. Quando non sono addirittura importate dalla Spagna! Ma ti pare che il terreno spagnolo possa sviluppare la dolcezza giusta?-
Santiago guardò il suo capo con un misto di imbarazzo e sconcerto.
- Credo…credo di sì?-
- Per non parlare della carne! La vacca etrusca! Non ne nascono più così tenere, la carne che cede sotto le tue dita, il sugo corposo e pregno. Ora le allevano in batteria, le vacche! E tutti quei mangimi malsani, non più l’erba delle nostre dolci colline…-
- Ma quali mucche! Non mangi più una fetta di carne da millenni.-
Aro scosse la testa e mise su un’espressione sofferente, come se l’osservazione di Caius gli avesse trafitto il petto.
- È una questione spirituale, solo chi ha mangiato il vero tegamaccio sa di cosa sto parlando. E l’olio! Un soffrittino come quello della mi’ mamma se lo sognano adesso.-
Caius si portò via Santiago prima che il fratello iniziasse a decantare i pregi delle vecchie pentole di coccio, quelle col coperchietto traforato che faceva uscire il vapore senza disperdere l’aroma.

Sulpicia, all’ennesima osservazione su come sua suocera (che grazie agli Dei era sottoterra da tremila anni) sapeva trasformare un battuto di prezzemolo e origano nella base per un tripudio di sapori e avventure culinarie, aveva spedito il maritino a fare una passeggiata per le vie di Volterra. Aro ciondolò svogliato tra le botteghe di Alabastro, passò con uno sbadiglio di fronte al museo delle torture a cui suo fratello Caius teneva tanto…finché non sentì un odore. Il suo odorato sopraffino e immortale fu colto da un amarcord improvviso, e come in trance scese per la strada che arrivava alle mura.
Lì, in un’osteria con alcuni tavolini sulla strada, vide due ragazze che mangiavano. A dirla tutta, il fatto che ci fossero due umane di sesso femminile non fu la prima cosa che notò: il suo cervello gli trasmise un’informazione più simile a “su quel tavolo, mangiato da due ragazze, c’è un autentico, perfetto, indimenticabile tegamaccio”.
Quando le ragazze chiesero il conto, l’oste disse loro che era già tutto pagato. Insistettero per un attimo, ma l’uomo era convinto di ciò che diceva. Lasciarono il locale guardando con la coda dell’occhio un uomo pallido e bellissimo che fissava con sguardo languido il piatto di tegamaccio etrusco davanti a sé.

Aro avvicinò il piatto al naso e inspirò quell’aroma paradisiaco. Se Afton aveva ragione, se davvero tutti dovevano morire, il suo paradiso sarebbe stato un posto in cui sua madre aveva aperto un’osteria e Stefan e Vladimir non avrebbero fatto altro che servigli mestolate di tegamaccio.
Posò il piatto dopo un ultimo, infinito, erotico assaggio dell’aroma squisito.
Mise sul tavolo una banconota da 500 euro e riprese la strada per Palazzo dei Priori.











Note: il tegamaccio etrusco (preparazione simile allo stracotto, con aggiunta di prugne e zafferano) è davvero buono. Saluti da Volterra by Dragana E OttoNoveTre, che sono sul letto a smaltire gli effetti del piatto favorito di Aro. Sul comodino c’era, come misterioso omaggio, un barattolo di effervescente Brioschi, digestivo.
   
 
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