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Autore: C r i s    30/09/2011    6 recensioni
Non ci sono parole migliori di quelle di Neruda.
Ti sto amando anche in mezzo a queste cose fredde.
A volte vanno i miei baci su quelle navi gravi,
che corrono sul mare dove non arriveranno.
Mi vedo già dimenticato come queste vecchie àncore.
Sono più tristi le banchine quando ormeggia la sera.
Si stanca la mia vita inutilmente affamata.
Amo quel che non ho.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Amo quel che non ho.






A volte mi alzo all’alba e persino la mia anima è umida .
Suona, risuona il mare lontano.
Questo è un porto.
Quì io ti amo.
Quì io ti amo e invano l’orizzonte ci occulta.







Sono divenuto l’ombra di me stesso, Amanda.
Un’ombra che m’insegue , che sia giorno, che sia notte, la sua presenza è costante. Mi agguanta, meschina, alle spalle, mi scuote con rabbia, cercando di rammentarmi che un cuore batte ancora, nel mio petto. Mi spinge verso la luce, ma i miei occhi bruciano: non possono sopportarla.
Eppure la desidero; la bramo da lontano, allungo le dita nella direzione che mai potrò assaporare, indegno di tale meraviglia.
Osservo, in silenzio, la luce della tua vita.
Vorrei poter brillare con te, in egual modo.
Ma tu brilli, anche senza di me.



Hai scelto, Amanda.
Giunta al bivio, hai soppesato le scelte per il futuro e hai ritenuto giusto proseguire verso la strada prediletta, hai seguito il suggerimento di chi in amore pecca e continua a peccare; ingenuamente, hai ritenuto che l’approvazione familiare fosse più importante del tuo cuore, sanguinante, che t’implorava di fermarti, di ascoltarlo.
Non l’hai fatto, Amanda.
Hai mosso le gambe, nella direzione sbagliata.
Ma chi sono io, per giudicarla tale?
Ai tuoi occhi, non sono mai stato nessuno.
Tom. Semplicemente Tom.
Il rifugio dalla tempesta d’emozioni che il mondo imperversava su di te; la parola confortante al momento giusto; la presenza costante per non abbandonarti alle ingiurie di chi ti circondavi.
Ci sono stato per te e mi sarebbe piaciuto poter dire, un giorno, lo stesso di te.




Sei felice, Amanda?
Non ho mai trovato il coraggio per vedere la luce nei tuoi occhi, all’atto di questa domanda. E tu sei stata altrettanto meschina nello schivare la realtà sanguinaria, che t’insegue ovunque tu vada.
Dov’è quel sorriso?
Le tue labbra sembravano essere create per quello.
Ricordi come si fa, a sorridere?
Ogni bambino impara principalmente a sorridere e a piangere, fuoriesce spontaneo, senza bisogno che ci sia qualcuno a insegnare loro come si faccia. Tu ne hai bisogno, Amanda?
I tuoi occhi non parlano più.
Scrutano, setacciano, ma non esplorano; non colpiscono.
Ti osservi allo specchio, ogni mattina, prima di uscire. Occhi negli occhi, non riconosci il fantasma che sei diventata.
Mi chiedo se così ti piaccia, la tua vita.
Sei felice, Amanda, d’essere diventata un fantasma col cuore ancora vivo?


Il tuo dito luccica.
Esplode la gioia dei sorrisi falsi di cui ami circondarti. Congratulazioni affiorano in compagnia di sfavillanti doni dai fiocchi pregiati. Le tue guance s’imporporano, quando sei al suo fianco.
Del resto, è l’uomo che ami; l’uomo che hai accettato di sposare.
Allora perché i tuoi occhi non brillano quanto quell’anello, Amanda?
Potrebbero sovrastare quella luce, se solo volessero.
Tu non vuoi.
E continui, passeggi sul filo di seta che ha accompagnato i tuoi talloni in momenti che hai sempre sperato di poter vivere, un giorno. E hai paura di rinunciarvi, se solo ascoltassi ciò che il cuore grida.
Un cerotto invisibile è depositato su quelle labbra palpitanti, sigillano le parole ricolme d’agonia che a sprazzi sussultano nella gabbia toracica e affondano nella tua anima. Nel cuore della notte, ti strappano una lacrima e poi un’altra, fino ad annebbiare quelle perle color della notte.
Il tuo dito luccica, ma dovrebbe essere la tua vita a farlo.
Invece non è così.


I gigli ti sorridono.
Il tuo abito intrappola i raggi del sole, mentre avanzi, sorretta dal braccio paterno, verso l’altare.
Un sorriso timido si affaccia sulle tue labbra, mentre i tuoi occhi scorrono tra le panche in legno.
Dovresti guardare il tuo sposo, colui che condurrà avanti i vostri percorsi.
E’ al futuro che devi guardare, non al passato.
Tua madre porta un tovagliolo agli occhi, tampona la lacrima e prega di non aver consumato il trucco che una donna di trent’anni ha elaborato per circa due ore intere quella stessa mattina. Tuo padre cammina, fiero d’aver messo al mondo una creatura come te.
Ti fermi, ruoti per guardare il tuo futuro marito negli occhi, ma non è lui che cerchi.
Un tacito appello rivolgi verso le panche, di nuovo.
Un addio, che pensi non verrà colto.
Io ci sono, Amanda.
Non sono mai andato via, per te.
Sei tu a non vedermi.




Osservi il tuo pancione.
Dubiti di te stessa, dubiti nelle tue capacità amatorie, dubiti di non riuscire.
Da quando, Amanda?
Hai sempre valorizzato le tue ambizioni, le tue scelte. Hai sempre vantato d’avere un briciolo d’amor proprio, hai spinto chi non credeva in se stesso di farlo. Chi ti ha ridotto così?
Sei triste, Amanda.
I tuoi occhi sono privi d’anima, le tue mani poggiano sul grembo dove custodisci il frutto del tuo amore, del vostro amore.
Eppure piangi.
Piangi perché hai paura, paura di sbagliare, ancora.
Tutti commettono errori, Amanda.
È perseverare che è sbagliato.



La bambina scalpita nella culla, si dimena e tu siedi ai piedi del letto, le mani premute contro le orecchie, incapace di reagire al tormento che affligge la tua vita.
La notte incombe sulle tue spalle stanche, dall’altra camera si odono le urla concitate del tuo bambino, che reclama attenzione nello stesso identico modo dell’altra, di appena tre mesi.
I tuoi capelli ricadono sul tuo volto, impastato di lacrime. Non li scosti, non ti ricomponi: sei in balia del terrore.
Terrore che la tua vita scivoli dalla tua presa scialba, terrore che la stessa sorte si abbatta sui tuoi figli.
Sei sola, ti senti sola.
Dove sei?,pensi.
Me lo sono chiesto anch’io in questi anni, sai?
Dov’eri, quando ero io ad aver bisogno di te.
Hai allontanato gli affetti sinceri per circondarti di bugie e illusioni, hai sostituito i castelli di mattoni per costruirne altri di sabbia, senza prevedere la potenza della marea, indomabile e crudele.
Tempo fa, ti dissi che se avessi bussato alla mia porta, l’avrei tenuta chiusa per non soffrire.
Era una bugia, Amanda.
Era il mio modo di comunicare con te, era l’unico mezzo che avessi per farti capire di voler appartenere anch’io al tuo mondo, se era quello ciò che volevi anche da me: menzogne.
Hai mentito persino a te stessa.
E mi hai sospinto via, non hai accolto il mio amore, pensando che fosse l’alcool a farmi parlare, quella sera.
Il mio cuore non era mai stato più sobrio di quel momento.


Corri.
Corri sempre più veloce, l’aria ti sfugge dai polmoni.
Gli occhi pungono, nubi nere li avvolgono e il cuore cigola.
Un tornado di confusione sovrasta la tua mente, l’istinto ti guida in quella corsa forsennata.
E ti fermi, quando la mia porta si apre.
Nonostante gli avvertimenti, nonostante gli adii.
Perché piangi, Amanda?
Piangi perché lui ti ha tradita o perché sei tu che senti d’aver tradito lui?
Perché in ogni caso, sarebbe un errore e tu lo sai.
Non è più tempo per noi.
Ma, nonostante tutto, ti abbraccio, ti accolgo di nuovo, permetto al mio cuore di strozzarsi nei suoi singhiozzi di dolore. Ti stringo forte e inalo il tuo profumo, sapendo che sarà di nuovo un addio.
Lacrime e dolore solcano il tuo volto.
Hai trent’anni ormai e sembri spoglia di ogni petalo, un fiore appassito che attende inesorabilmente d’essere estirpato.
Non arrenderti, Amanda.
Combatti, per coloro che confidano in te.
Combatti, per me.


La pioggia accompagna il tuo silenzio.
Lacrime invisibili accarezzano la tua pelle diafana, mentre i tuoi figli, stretti al tuo grembo, soffocano singhiozzi insanguinati.
Osservi la bara in legno che, lenta, scivola nella terra.
Le tue dita tremano, mentre avvolgi i tuoi figli sotto la tua ala.
Le tue labbra serrate, per timore che un singulto possa dissolvere la compostezza che ti sei imposta prima d’uscire di casa, quella mattina di Gennaio.
Gemi, nel cuore. Perdi pezzi d’anima, li osservi crollare dietro quella bara, li senti cascare nell’infinito e sparpagliarsi, non riesci a raggiungerli e la paura ti avvolge.
Non hai più forza di combattere, non hai forza per osservare un futuro.
Non vedi luce, Amanda.
E mi chiedo: l’hai mai vista sul serio, la luce?


Osservi il mare, dalla tua finestra.
Sai che è stato lui a porre fine al tuo matrimonio, sai che te l’ha strappato senza chiederti né come né perché farlo. E sai che non potrà mai farlo, non potrà darti le spiegazioni che il tempo allieverà.
I tuoi figli crescono, ma la tua vita rimane sospesa, senza scopi.
Accogli tutto come viene, diventi un automa e ogni mattina speri che qualcosa di migliore possa accaderti.
Quella mattina sopraggiunge, senza esiti positivi.
Un malore, improvviso.
Ospedale, medici, analisi.
Una malattia.
La vita ti scorre davanti agli occhi e improvvisamente capisci d’aver dato tutto ciò che potevi.
La accetti, quella malattia.
Cerchi di combatterla, per fare in modo che i tuoi figli possano divenire autosufficienti a tal punto da poter fare a meno di te, anche se sei tu, quella che non può rinunciare a loro.
Sopravvivi, ti aggrappi alla vita e sospiri vittoria.
E poi ricadi, di nuovo.
Cerchi di rialzarti, le mani ti sopraggiungono incontro, ma sono troppo lontane per far sì che tu possa arpionarle.
Invochi il mio nome e il mio cuore cigola, per te.


Non ho mai potuto averti.
E, nonostante tutto, non ho mai smesso d’amarti.
Ho imparato a conoscerti, Amanda, e avrei voluto che anche tu potessi fare la stessa cosa: conoscerti.
La tua sofferenza è stata radicata in quell’incompatibilità che provavi contro te stessa, se avessi imparato prima come fosse l’amor proprio, forse avresti osservato il mondo con la luce che ho sempre sperato di vedere in te.
Ho visto il tuo sorriso spegnersi, ma mi ritengo fortunato.
Hai ricordato come si fa.
Ho sostenuto il tuo dolore, l’ho condiviso e mi sono fatto forza per entrambi, dimostrandoti quanto il mio amore per te non sia cambiato, mai, dopo tutti questi anni.
Ho custodito la tua luce, Amanda.
E te la restituisco, affinché tu possa apprezzare la donna che i miei occhi hanno amato a lungo, seppur da lontano.


Ti sto amando anche in mezzo a queste cose fredde.
A volte vanno i miei baci su quelle navi gravi,
che corrono sul mare dove non arriveranno.
Mi vedo già dimenticato come queste vecchie àncore.
Sono più tristi le banchine quando ormeggia la sera.
Si stanca la mia vita inutilmente affamata.
Amo quel che non ho
.


Cris’ Corner.
Inizio quest’angolo col ringraziare Pablo Neruda per avermi donato l’ispirazione. La poesia alla quale mi sono rivolta è Quì io ti amo, a mio parere meravigliosa.
Ci sono molti punti interrogativi, che non verranno mai risolti, proprio perché non credo sia giusto spiegarli.
Non so neppure io come definire ciò che ho scritto, probabilmente sono una raccolta di pensieri dettati dal senso di vuoto che l’amore, talvolta, crea.
Ringrazio te, lettore, che ti soffermi su di lei.

   
 
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