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Autore: crissi    02/10/2011    14 recensioni
Se Nanny si fosse rifiutata di accondiscendere il generale, andandosene a servizio altrove? Se avesse lasciato Oscar tutta sola a vedersela con l’educazione maschile imposta dal generale, senza che né lei né di conseguenza André, il suo punto fermo, potessero prendersene cura? Se André da piccolo fosse stato adottato da un nobile ed avesse mantenuto il suo carattere posato, ma spiritoso come da ragazzo? Se Victor non avesse dovuto sfidare Oscar diventando il suo innamorato, fedele, solitario vice? Se la bionda avesse scelto di non arruolarsi nella Guardia Reale, ma di ritirarsi ad Arras, arrivando a conoscere prima del tempo le condizioni di vita dei suoi contadini? Se questi due giovani uomini avessero saldato una amicizia ed Oscar ci fosse finita in mezzo? Ovviamente, più monelli, se non un poco libertini, in quanto ancora non conoscono la donna della loro vita, OOC per via delle diverse esperienze in gioventù e dello stato sociale.
“Re del mondo”, come Jack sulla prua del Titanic, quando la gioventù rende invincibili, quasi arroganti nella certezza di potere tutto, esponendosi di conseguenza. Tanti “se”, una sola grande svolta.” Con FAN ART
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: * Victor Clemente Girodelle, Alain de Soisson, Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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I re del mondo cap. 2
Capitolo 2 “Noi … Viviamo la vita”

Parigi, inverno del 1776, otto anni prima

Aprì d’un colpo la porta della locanda, spingendola col peso del suo corpo; ma, prima di uscire nella via, dovette poggiarsi allo stipide per ritrovare equilibrio e respirare a pieni polmoni l’aria non viziata dal fumo e dagli odori nauseabondi, di cucina ed umani.
Alle sue spalle il festoso frastuono degli avventori, continuava; davanti a lui, si apriva il vicolo, buio e silenzioso.
Si fece forza, si tirò su per bene ed uscì, richiudendo l’uscio dietro di sé.
Era riuscito a sganciarsi da Terése la quale, presa in piccole dosi, era un amore di ragazza, ma quando finiva vittima delle sbornie tristi, diventava più appiccicosa e noiosa di una moglie.
Almeno, così la definiva il suo nuovo amico Alain.
André più conciliante e soprattutto più pratico, sapeva d’aver raggiunto il limite per quella sera, sia in fatto di sonno arretrato che di vino in corpo. Pertanto, pagare una prostituta sarebbe solo stato denaro buttato.
Sì. Pagare per finire a sbavare su lenzuola luride, non era intelligente. E non era neppure divertente.
La caserma  non era distante dalla “Bonne table”, per questo quella locanda era il rifugio preferito dei militari.
Ma, si sa, quando le gambe non reggono e la testa pare un macigno, anche il tragitto più breve appare come una fatica insuperabile.
Ed il suo cavallo non voleva collaborare.
Aveva cercato di issarsi in groppa, ma quello continuava a girare in tondo, su sé stesso, e poi  in tondo attorno al cavaliere.
Appena André capiva il senso in cui quello ruotava, ecco che lo stupido animale, invertiva il senso di marcia, contribuendo alla rotazione dell’universo.
Almeno, così percepiva l’universo André, quella sera.
Il soldato cercava di infilare il piede nella staffa, ma non c’era verso di far capire al benedetto animale che doveva stare fermo per consentirgli ciò.
-    Sei ciuco, André! – ammise con sé stesso, con un tono quasi sorpreso, quando si trovò fronte a fronte col quadrupede, finalmente immobile, ma certamente pronto a ricominciare quel gioco.
Sospirando, si rassegnò a procedere a piedi, con le briglia tra le mani, scivolando lungo le mura della case del misero quartiere e poi, sorreggendosi alle cancellate delle abitazioni più signorili, nella via principale.
Non era solo il cavallo a girare. Pure il mondo attorno a lui pareva impazzito come una girandola in un giorno ventoso.
Perché le serate con Alain finivano sempre a quel modo?
E perché se lo domandava ancora!
Quello stupido cavallo, poi,  neppure ricordava la strada per la caserma!
“Dove siamo?… Accidenti …”
Lo aveva guidato in un quartiere elegante.
“Stupido, stupido animale!”, inveì sommessamente.
E proprio lì, in quel momento, gli parve di vedere qualcosa che come ufficiale dei soldati della Guardia Francese era suo dovere redarguire pesantemente.
Un’ aggressione.
Ad un nobile, a giudicare dal bellissimo cavallo bigio argento che nitriva spaventato poche decine di metri più avanti.
“Tre contro uno, complimenti! “
E la vittima era a terra, presa a calci e pugni.
“Redarguire, André!…”, biascicò a sé stesso.
-    Ehi! – strillò e l’urlo costò al suo cervello un dolore lancinante.
Strizzò gli occhi per il male, ma tornò alla carica, perché quelli continuavano a massacrare il malcapitato e lui non poteva permetterlo. Era pagato per intervenire in situazioni del genere!
“Oddio …”,  rifletté, il termine “pagato” era una definizione esagerata del compenso che percepiva.
-    Ehi! - Strillò ancora – Fermatevi! Vi ordino di fermarvi! In nome di Sua Maestà Cristianissima, Luigi… Luigi…
Inarcò un sopracciglio tentando di rammentare quale numero fosse quello abbinato al nome e ci rinunciò.
Si tastò la cinta in cerca della pistola. Inutilmente: l’aveva lasciata in caserma.
Quindi afferrò la spada e, faticosamente, la estrasse dal fodero per dirigersi ondeggiando verso l’assembramento.
Gridò ancora, riuscendo ad ottenere attenzione.
Il più furbo dei tre, fuggì col denaro.
Il più arrogante, incrociò la lama con André, il quale utilizzò tutto il peso del suo corpo ubriaco per tentare di sopraffarlo.
Il più vigliacco, smise di calciare la vittima, per portarsi alle spalle dell’ufficiale in blu ed alzare un pugnale mentre costui era ancora impegnato in duello.
Con una scossa di energia inaspettata, il giovane a terra agguantò il proprio fioretto, abbandonato sul selciato; si puntò su di un ginocchio, sulla mano sinistra ed allungò la destra affondando la lama nel ventre del vigliacco. Quindi, senza forze, preso dai tremiti dovuti al pestaggio, scivolò nuovamente a terra, mentre l’avversario di André si dava ad una fuga di convenienza.
Il rumore causato dal duello aveva attirato l’attenzione di alcuni cittadini, i quali si erano premurati di chiamare le guardie metropolitane di ronda.
-    Sto bene… - mormorò André agli uomini della sua stessa Arma. E si chinò sul malcapitato. – Riuscite a sentirmi? Signore? …
Il giovane elegantemente vestito aprì gli occhi, li richiuse subito, ma sollevò appena una mano, come a voler tranquillizzare il suo salvatore.
André si portò alle sue spalle e lo aiutò a mettersi seduto, mentre quello si toccava con la mano una ferita sulla tempia, che probabilmente non era grave, ma grondava sangue copiosamente e faceva dannatamente male.
André gli posò un fazzoletto sul taglio e lo aiutò a premere per fermare il fiotto.
-    Riuscite a parlare, signore? Riuscite a dirmi il vostro nome?
-    Sono Victor Clément, Conte de Girodelle … Capitano… ?
-    André Grandier, Barone di Plessis Bellière (1)
Il giovane malcapitato alzò la mano dal selciato e gliela porse.
-    Vi devo la vita … - mormorò.






Giardini di Versailles, 18 giugno 1784, mentre quasi tutti dormono ancora



André Grandier De Plessis Bellière. A volte perfino lui faticava a dirlo tutto d’un fiato.
Ma non aveva mai voluto rinunciare al nome del suo padre naturale, quello che non aveva mai potuto conoscere; quello che il destino si era portato via quando lui era soltanto un neonato.
Il poveraccio che aveva amato sua madre, anche lei finita troppo presto sottoterra.
Destino tanto bastardo con loro, quanto generoso con lui.
Un insieme di fatalità che aveva portato un orfano nella casa dell’ultimo barone di Plessis Bellière, anziano e senza eredi diretti.
Quella casa dove sua nonna aveva servito fino alla morte, prematura anche per lei, consunta da una delle tante piaghe così diffuse nelle città.
Marron, quella donna che il barone aveva adorato in vecchiaia, tanto quanto aveva adorato il di lei nipote. E adottare legalmente il ragazzo, pochi mesi prima di morire a sua volta, gli era parso naturale.
André teneva alle sue radici, ma non poteva che riconoscere quanta fortuna gli fosse capitata.
Victor Clément De Girodelle era stato anche lui una fortuna.
Senza i consigli del conte, non sarebbe riuscito a sopravvivere al suo novello stato di aristocratico.
Nonostante le differenze di vedute e di carattere, Victor si era dimostrato un vero amico, quasi un fratello.

Lasciò la vecchia ala del castello, dove i Girodelle avevano il loro appartamento sin dai tempi del Re Sole.
Il valletto che lo aveva atteso pazientemente nel cortile, gli porse le redini e lui, senza bisogno del suo aiuto, si issò sulla groppa e ad andatura lenta, s’inoltrò nel parco del castello.
Senza Victor, probabilmente non avrebbe mai potuto metter piede in quel posto.
Esser nobile non bastava a garantire l’accesso a Versailles.
Denaro. Serviva denaro per permettersi quel genere di vita e lui certo non era a tal livello.
E oltre a tanto denaro, serviva il potere. E lui, barone di Plessis Bellière non per nascita, non godeva né di uno, né ancor meno dell’altro.
Si guardò attorno, cullato dall’andatura tranquilla del suo animale.
Non si poteva non restare affascinati da quell’ immenso parco giochi per adulti che non volevano invecchiare e che, a tal fine, si incipriavano ed imparruccavano, sconfinando nel grottesco.
Percorrendo la via per l’Orangerie, ammirò il sole specchiarsi nel bacino d’acqua degli Svizzeri, attorno al quale si affaccendavano persone intente a rasare il prato.
Fra due giorni ci sarebbe stata la grande festa d’Estate, un evento atteso per il quale i preparativi erano in corso da tempo.
Era presto, ma i viali erano zeppi di giardinieri ed artigiani all’opera.
Tutti si chinavano al suo passaggio. Non ci avrebbe mai fatto davvero l’abitudine ai diritti del suo stato acquisito.
Tagliò tra i vialetti verso il Gran Canal ma si accorse con disappunto che la flotta era già stata messa in acqua per le prove delle finte battaglie a suon di fuochi d’artificio e lo specchio d’acqua era fin troppo trafficato per poterci nuotare senza incidenti.
“Pazienza”, pensò.
Versailles era stata costruita bonificando una palude. Tutta la zona era piena di laghetti più o meno balneabili. Una pozza dove rinfrescarsi in santa pace era certo l’avrebbe trovata, fuori dall’inusuale caos dei giardini.

Vagò per un po’ per la campagna ed i boschetti; un po’ troppo a dir il vero, perché cominciava a fare caldo e davvero la sua uniforme puzzava in una maniera vergognosa, ma trovò ciò che cercava, quando ormai non ci sperava più.
Uno stagno, un piccolo laghetto circondato da canneti.  Grazioso, a dir il vero.
Tolse la sella alla sua cavalcatura e lasciò che entrasse nell’acqua per abbeverarsi, quindi, si levò tutti gli abiti e si addentrò nella benvenuta frescura delle acque. Nuotò un po', prima di fermarsi a morto, a fissare il cielo azzurro di quel giorno di fine primavera.
Una strana sensazione lo colse. Non avrebbe saputo se definirla positiva o meno.
Fu come sentire che quel luogo gli appartenesse, come se fosse legato al suo destino.
Tornò a riva a prendere il panetto profumato di Victor e la sua uniforme, quindi si accomodò seduto nell’acqua bassa a lavorar di sapone, su di sé e su quella divisa blu che sembrava non voler tornar pulita.
A gambe incrociate, con l’acqua alla vita, strizzava gli occhi accecato dal sole ormai estivo che si rifletteva sulla superficie increspata dai suoi movimenti. I capelli quasi neri per l’acqua, gocciolavano ancora, freschi contro le sue guance, ma la pelle ormai asciutta, cominciava già ad arrossarsi.
“Le benedette zanzare di Versailles…”, pensò uccidendo con un colpo secco del palmo l’ennesima succhiasangue che lo aveva aggredito sul bicipite.
D’altronde, anche gli esseri umani che vivevano lì erano poco più di succhiasangue.
Il padre adottivo lo aveva messo in guardia da quella gente. Così come lo aveva messo in guardia contro notai ed avvocati, d’altronde.
“Ricorda, non un titolo, non una posizione… Un uomo nasce qui e qui”, si era raccomandato sfiorandogli la testa ed il cuore.
Conoscere Victor, però,  era stata la prova che Versailles non era così pessima come aveva creduto vivendo a Parigi.
Alzò il capo ad occhi chiusi.
Dio, quanto era piacevole starsene lì ad oziare, baciato dal sole e rinfrescato da quelle acque chiare, per nulla stagnanti… In santa pace e benedetta solitudine!
Il fragore di un galoppo fu improvviso, violento quasi quanto l’irrompere del candido animale nel lago, a pochi passi da lui.
-    Ehi! … Ma che …! – gridò scattando in piedi per lo spavento.
Il cavallo ed il suo cavaliere, giravano su sé stessi nell’acqua bassa, intorbidendola, schizzando in ogni direzione.
-    Ma che razza di modi! Potevate fare più attenzione! – esclamò André, tanto arrabbiato quanto spaventato.
Il cavaliere biondo appariva sorpreso di aver trovato qualcuno appena dietro i canneti; ma ancor più appariva furente.
Incitò il cavallo bianco nella sua direzione con passo arrogante ed aggressivo, tanto che André si trovò malgrado suo ad arretrare velocemente verso il centro del lago.
L’animale si alzò un paio di volte sulle zampe posteriori, nitrendo nervoso, e ricadendo nell’acqua, bagnando ancora André.
-    I miei modi?! – esclamò il cavaliere, violento e prepotente quanto il suo destriero. – Ma come osate recriminare sui miei modi, quando vi trovate, non invitato ed impresentabile, in casa mia! – esclamò. – Rozzo-villano-pezzente che non siete altro! Come siete arrivato qui e chi vi ha autorizzato? – gridò il nobile.
-    Provengo dal parco di Versailles ed ho ragionevolmente ritenuto di trovarmicisi ancora. – spiegò il moro.
-    Aberrante usanza di far transitare qualunque vagabondo per la reggia… - mormorò a denti stretti il cavaliere biondo. – Io sono Oscar Françoise  De Jarjayes, villano, e questo stagno si trova nelle mie terre. Voi non avete diritto di trovarvi qui.
Il giovane fissò lo sguardo nei due occhi di ghiaccio.
“Jarjayes…”
Quel nome suonava stranamente familiare ad André.
“Jarjayes…”
Ma sì, era la famiglia presso la quale nonna Marron aveva servito tanti anni prima!
Ricordava delle fanciulle che, accompagnate dalla madre, saltuariamente avevano fatto visita alla vecchina presso la casa dei Plessis Bellière. 
“Gran belle ragazze!”
Era piccolo, allora, ma certe cose le capiva già.
Eppure, ricordava che non c’erano figli maschi in quella famiglia…
Sorrise.
Che, forse, quell’arrogante pezzo di … “aristocratico” fosse la famosa pietra della discordia che aveva allontanato Nanny dai Jarjayes?
Che fosse la famosa figlia allevata come un maschio?
Guardò meglio il cavaliere che continuava con prepotenza ad inveire contro di lui; parole velenose che neppure stava più ad ascoltare.
I suoi occhi correvano su quella figura: i capelli biondi e ondulati, fermati appena da un fiocco color salvia e oro; i lineamenti spigolosi, ma minuti; la pelle bianca, liscia, priva di barba sul volto; e poi giù, polsi sottili, dita affusolate; un corpo esile e … beh, accidenti, riconosceva cosce femminili senza ombra di dubbio, in quelle che si stringevano come una morsa sui fianchi del purosangue.
Quella doveva essere l’ultimogenita del generale Jarjayes, senza dubbio alcuno; ed il carattere, a quanto pareva, era in tutto e per tutto quello del pazzo genitore.
-    Ehi, voi! Siete sordo, per caso,… villano? Dico a voi, fermo lì come un idiota con quelle lerce brache fra le mani! – stava abbaiandogli contro lei.
André si riscosse dai pensieri che accarezzavano le belle gambe fasciate dai pantaloni verdi della donna e dagli stivali neri.
La guardò fisso negli occhi blu e gli parve di notare il respiro di lei mozzarsi quando gli sguardi si incrociarono.
-    Intendete queste brache? – disse indicando i pantaloni che teneva davanti a sé, unico riparo per la sua mascolinità. Un sorriso beffardo gli apparve sul volto. – Se queste brache disturbano vossignoria… - mormorò e, detto e fatto, le lanciò lontano.
La donna, dopo un brevissimo istante di sorpresa, sostenne il suo sorriso beffardo con uno altrettanto canzonatorio.
-    Siete impavido, villano… Ma…Il sole oggi è molto aggressivo e, potreste bruciarvi in parti delicate… Prendete le vostre cose e andatevene! Non voglio ritrovarvi qui, né oggi, né mai!

Quindi tirò le briglia e, arrogante e veloce come era arrivata, sparì dalla sua vista.
“Ma non dai tuoi pensieri, André”, si disse il moro, tornando a  tuffarsi nell’acqua più alta, incurante della minaccia della bionda.

***

Oscar Françoise De Jarjayes galoppava verso il suo palazzo.
Era furibonda con sé stessa per aver perduto la calma, per aver reagito in maniera spropositata, come mai avrebbe voluto.
Furibonda, ma allo stesso tempo divertita.
“Che arrogante pezzo di … “villano”! “, pensava sorridendo suo malgrado, mentre frenava il bellissimo César dopo aver saltato una siepe.
Si fermò a riprender fiato.
Era forse fuggita?
Ma per favore! Non era mai fuggita davanti a niente! Semplicemente, era stata colta alla sprovvista da quell'intruso!
E se suo padre, il generale, non l’aveva ancora diseredata nonostante le sue continue ribellioni, i suoi continui rifiuti ad accondiscendere i desideri paterni, i suoi continui affronti all’onore della famiglia, era proprio perché, tutto sommato, non poteva non apprezzare il suo coraggio e le sue capacità.
Lei era la vergogna dei Jarjayes, l’esperimento fallito del generale.
Era la donna che non aveva voluto essere un soldato di Sua Maestà, ma che continuava a comportarsi come un uomo.
Era la figlia che non sapeva cosa fossero obbedienza, docilità e femminilità.
Almeno, non come concepiva queste caratteristiche il generale.
Da quasi due mesi era tornata da Arras, dove aveva vissuto, quasi ininterrottamente, negli ultimi quattordici anni.
Era tornata sorprendendo entrambi i genitori con un atteggiamento stranamente remissivo.
Si era dimostrata tanto educata e sottomessa da non aver trovato nulla da obiettare quando il padre aveva accennato un esitante “Sarebbe opportuno che tu ti sposassi”.
La cosa, però, non aveva sorpreso lei, che sapeva benissimo quanto non ci fosse di remissivo o accondiscendente o amorevole nelle sue decisioni degli ultimi mesi.
Le sue ultime decisioni…
Ecco, su questo doveva concentrarsi! Non doveva farsi distrarre da due occhi smeraldini e, beh …
Si concesse un ultimo sospiro d’ammirazione per quel corpo statuario dalla pelle uniformemente dorata.
“Sì, uniformemente…”, poteva affermarlo senza esitazione perché lo aveva osservato bene. Fin nei dettagli.
Sperò che l’uomo l’avesse ascoltata e se ne fosse andato.
In fondo, sarebbe stato un vero peccato se si fosse ustionato…
“Una donna meno forte avrebbe avuto un mancamento!”, si disse sorridendo della sua stessa sfacciataggine.

- continua


1)    Un nome che mi piaceva: Plessis Bellière, uno dei nomi della famosa Angelica marchesa degli Angeli, personaggio di fantasia dei coniugi Golon, ma anche una persona realmente esistita, amica di Fouquet, ministro di Luigi XIV.
Fouquet aveva fatto costruire il castello di Vaux Le Vicomte dagli stessi architetti che in seguito avrebbe costruito Versailles. Quando il Re sole gli fece visita, invidiò il suo palazzo ed il suo modo di vivere ed il ministro cadde in disgrazia. Chi ha visto il primo film di Angelica, sa che questa è la stessa cosa che accade al suo primo marito.
Qualcuno sospettò che dietro il famoso prigioniero dalla maschera di ferro ci fosse proprio lui, Fouquet, reo di aver suscitato invidia nel suo re. ... Eh, già ... l'invidia è una "brutta bestia"!


***
Grazie per i commenti e per la fiducia! Avrei voluto rispondere ai Vostri quesiti, ma avrei dovuto farlo con una serie di “no, si, mah!, forse, acqua, focherello …” : )
La storia dovrebbe generare domande e curiosità e, per via del “canguro temporale”, trarvi in inganno.
Sì, certo, è stato solo un capitolo introduttivo, come il secondo e come lo sarà il terzo. Sto “mettendo le carte in tavola”. 
Volevo porre l’accento sull’enormità di conseguenze che può comportare una singola decisione, in questo caso il “no” di Nanny.
Quindi gli avvenimenti saranno molto diversi,  ma spero vi divertirete a cercare le somiglianze coi personaggi originali anziché le differenze. Le loro personalità sono quelle dei primi episodi dell’anime, quando erano un poco più arroganti, impulsivi, egocentrici e litigiosi; erano più entusiasti, prima che la tristezza si impadronisse delle loro anime.
Oscar è più maschiaccio di come la conosciamo, come mi ha scritto un’amica, ma non è un caso: ho sempre creduto che se fosse cresciuta senza André a “tirarle il morso”, sarebbe diventata davvero insopportabile e … non solo (ma non dico altro!).

Solo una cosa riguardo l’OOC, su come lo vedo. Significa “fuori dal personaggio”
Ma cosa definisce un personaggio? Il suo carattere ed il suo modo di reagire agli stimoli, agli avvenimenti.
Un “what if” non stabilisce per forza un OOC, se il personaggio si comporta coerentemente col suo carattere ed il suo animo, anche se in situazioni diverse.
Per quanto riguarda L.O., l’OOC poi, lo si intende riferito al manga o all’anime? Sono differentissimi tra loro per il carattere e le reazioni; alcune scelte dell’anime non piacquero alla stessa sig.ra Ikeda (per esempio, Alain, l’uomo e le sue scelte, cosa che io ho adorato, invece; o certi atteggiamenti estremi che nell’anime non ci sono).
Sono convinta che l’unica a poter affermare l’OOC sia la stessa Ikeda che li ha creati ed “è nella loro testa”. Tutto il resto, è una valutazione soggettiva di come lo spettatore o il lettore ha interpretato il racconto, in base al vissuto ed alla sensibilità di ciascuno.
Per quanto mi riguarda, una volta mantenuti i punti base, quale la complementarietà di Oscar e André (luce ed ombra);lei testarda come un mulo e lui che la porta alla ragione; l'estrema pazienza di lui, l'esasperata cecità di lei; lui che darebbe la vita per lei e lei che lo farebbe per la giustizia ... (e ora non mi viene in mente altro, per fortuna!), la storia rimane una fic su L.O.
Non credo di aver mai realmente scritto personaggi OOC,  ma d’altronde, come dico spesso “devo aver visto un altro anime”.
Li scrivo come li vedo; ma come li farò vedere a voi, potrebbe ingannarvi. (???)

Ok… spero solo che la storia stia in piedi e che piaccia! : )

PS per Karmilla. Ho una gran cura dei tuoi pupilli! Ogni sera li pettino: ad uno faccio il codino, all’altro le trecce (che tengono le onde perfette!). E poi gli racconto la storia di una bimba bionda che ... : )








   
 
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