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Autore: __Jude    02/10/2011    2 recensioni
"Queste gioie violente hanno fini violente, e muoiono nel loro trionfo, come polvere da sparo e fuoco, che si consumano al primo bacio."
Nina, 32 anni, ha vissuto un periodo meraviglioso della sua vita lavorando come fotografa per i 30 Seconds to mars. Poi però qualcosa ha ribaltato il suo mondo, costringendola ad allontanarsene e a dimenticarsene, nascondendolo a tutti. Fino a quando, una sera, decide di raccontare tutto a sua cognata Maggie. E tornare indietro è più doloroso di quanto sembri.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nashville, 28 Settembre 2016.

Ridere una volta era il mio forte. Ridevo e contagiavo gli altri, inconsapevolmente illuminavo il loro viso. Non è che adesso non ci riesca più, di certo gli anni non mi hanno trasformato in una persona noiosa e bisbetica. Nonostante i miei 32 anni suonati, ero convinta di essere ancora simpatica alla gente. Era una cosa di famiglia, l’ essere simpatici come il saper ridere bene. Mio fratello ne era un classico esempio.
Lo guardai, davanti a me, seduto a capotavola. Ecco, stava ridendo e sua moglie Maggie e sua figlia Heather ridevano con lui.Era cresciuto anche lui, aveva 37 anni, una famiglia e la barba (non ha mai avuto la barba, neanche un accenno).
“Ok, Heather, penso sia ora di andare a dormire adesso” le disse dolcemente quell’ uomo meraviglioso che era poi mio fratello Freddy.
“Ci vado solo se zia Nina mi racconta una storia!” rispose la bimba, che dai suoi 7 anni e un metro scarso di altezza sapeva già come ottenere ciò che voleva.
“Ha preso proprio da suo padre questa qui…” sbottai con ironia guardando Freddy.
“Ha preso il meglio infatti”. Risi notando piacevolmente che col passare del tempo non avevamo perso il nostro amore per le frecciatine.
Porsi nuovamente la mia attenzione verso la piccola Heather e le sorrisi prendendole la mano. Mi feci trascinare nella sua cameretta sotto gli sguardi rassegnati dei genitori. La aiutai ad infilarsi il pigiama e, dopo averle rimboccato per bene le coperte, le diedi un bacio sulla fronte. E come ogni sera in cui la venivo a trovare, la piccola mi fece la stessa solita domanda.
“Zia, mi racconti di quando facevi la fotografa per le persone importanti?”.
Sorrisi sedendomi su una sediolina accanto al letto. “Di chi vuoi che ti racconti? Dei Foo Fighters? Dei Muse?”.
Heather scosse la testa guardandomi negli occhi. “Voglio che mi racconti dei Mars”.
Socchiusi gli occhi mentre un sussulto mi attraversava. “Sai che la zia non ha voglia di raccontare quella storia. Dai, ti racconto di quando sono arrivata a New York e ho aperto lo studio, va bene?”.
La bambina, che ormai aveva imparato a non insistere quando rispondevo no a quella domanda, sbuffò e acconsentì con un cenno della testa. Essendo una bambina, quella delusione scomparve appena iniziai a raccontare la mia storia di riserva. Ero io che non riuscivo a scappare da quel pensiero che mi portava inevitabilmente a pensare al mio passato.
Dopo neanche venti minuti uscii dalla stanza lasciando una Heather addormentata placidamente. Raggiunsi il salotto e trovai Maggie seduta con davanti una tazza di tè fumante.
Sorrise. “Ti ha chiesto di nuovo dei 30 Seconds to Mars?”.
“Già, ho ripiegato su New York. E ha funzionato” ammisi soddisfatta.
Maggie mi guardò contrita, come si guarda un cerbiatto ferito che scappa nella boscaglia. “Prima o poi gliela dovrai raccontare”. Mi sedetti davanti a lei incrociando le braccia, colpevole. Mi limitai a sospirare, senza aggiungere altro.
Maggie sembrò improvvisamente sentirsi responsabile di quella mia malinconia e si affrettò a rimediare. “Sai, non importa. E’ solo una bambina e poi Freddy non avrebbe mai dovuto accennare a quella parte della tua vita. Non ne aveva il diritto”. Ci guardammo negli occhi, tentando entrambe di credere a quelle parole. “Non è colpa tua” mi disse regalandomi un nuovo sorriso.
Spesso mi chiedevo come quella donna riuscisse a gestire situazioni di cui neanche conosceva l’ origine. Sì, perché neanche a lei avevo mai raccontato del mio passato e della mia vita a New York.
Mi nascondevo da quei ricordi, cercando di cancellarle dalla mia mente. Eppure dentro di me sapevo che non sarei mai riuscita ad eliminare un periodo della mia vita che mi aveva resa felice e che, soprattutto, mi aveva trasformata in quello che ero attualmente. Di solito evitavo di pensarci ed ero diventata piuttosto brava. Ma quando ogni tanto cedevo al desiderio di contemplare di nuovo quei momento, lo stomaco mi si annodava con uno scatto violento. E brucia tutto, tutto di quei ricorda brucia e crea un rogo. Io ero la strega sopra quelle fiamme, rea del suo coraggio. E ogni volta era sempre peggio.
“Nina, stai bene?”. La voce di Maggie mi rimbombava nella testa.
Sbattei ripetutamente le palpebre, cercando di mettere bene a fuoco la stanza. La mia testa ruotava come una giostra impazzita. Tutti i miei pensieri e le mia paure sembravano girarmi intorno come avvoltoi affamati e famelici. Due erano le opzioni: farmi divorare dalle mie stesse emozioni o reagire. Scelsi, come spesso avevo fatto nella mia vita, di reagire.
La mia decisione mi riportò violentemente alla realtà, facendomi scontrare con i grandi occhi verdi di Maggie. “Tutto bene, Nina? Mi dispiace se ti ho messa a disagio…”.
Tirai fuori il sorriso più rassicurante che potevo. Non avrei potuto mai tornare indietro, ma di certo tenermi tutto dentro non avrebbe aiutato né i miei nervi, né il mio benessere spirituale. “Non scusarti. Hai fatto l’ unica cosa che mi avrebbe potuto portare a scegliere”.
Maggie mi guardò confusa, sbattendo le ciglia con espressione corrucciata.
“Sai, non ho mai raccontato a nessuno di quella parte della mia vita a New York. Non so neanche perché in realtà. Per paura? Per razionalità? Ma non ha importanza. Non ho giustificazioni. E penso sia ora che io lo faccia” dissi mettendomi comoda sulla sedia. “Perciò, armati di buona volontà e soprattutto sforzati di credermi. La mia storia ha dell’ incredibile, te l’ assicuro”.
La donna davanti a me mi guardava stupita. Io presi un bel respiro, come un sommozzatore che si sta per tuffare nell’ oceano. Sembrerà patetico, ma la prima cosa che ricordai furono i suoi occhi. La seconda fu New York.
  
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