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Autore: Rorycita    03/10/2011    2 recensioni
Jeswei una ragazza come molte finchè non conobbe Jordan.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo





Il dolore.
La luce.
Il dolore di nuovo.
Verificai le mie gambe. Si muovevano, le mie mani. Anche quelle insieme alle braccia si muovevano.
Mi alzai, o per lo meno ci provai, ma ero bloccata, era buio, e io non vedevo niente.
- La mamma ci ucciderà - una voce, dietro la mia schiena.
Mi girai e mio padre era ancora sul sedile dell'auto, tenuto dalla cintura della sicurezza.
A quel punto realizzai.
Ricordai la luce, accecante. Era un camion.
Sbandai per non prenderlo e poi il mio ultimo ricordo era dedicato a un albero.
- Papà - mi girai, ma le mie gambe erano bloccate, il sedile mi era caduto addosso, la macchina era sottosopra, provai a scansarlo, ma l'unica cosa che ottenni fu in contrario: il manubrio si stacco e il sedile mi cadde completamente sulla schiena, creandomi un dolore non troppo insistente sulla schiena.
- Non muoverti, non ce n'è bisogno - la sua voce era debole, stanca, strozzata e triste, ma ugualmente con un barlume di felicità e speranza.
- Scusa papà, è tutta colpa mia, vi ricomprerò una macchina, anche più bella,m mi troverò un lavoro e... - le parole mi morirono in gola.
- Sono sicura che tua madre ne sarà più che felice - accennò una risatina roca
- ... e tu? - Volevo aggiungere qualcos altro, ma la voce mi morì nuovamente in gola, quando un pensiero si fece largo tra la mia mente
- tesoro, io... - 
- non dirlo ! Non pensarlo! - Urlai, poi sentii una fitta lancinante sulla schiena
- mi dispiace amore, ho resistito più di un' ora aspettando che ti svegliassi, ricordati.. - prese un lungo respiro - ... che non è colpa tua -
- smettila, papà, noi usciremo vivi da qui, tutti e due vivi, capito?! – Urlai fra le lacrime
- Ricordati che io starò sempre accanto a te e tua madre, e vi veglierò. Sempre –
 
 
 
 
Una settimana dopo i funerali.
 
 
 


 
Un anno dopo.
 
 
Il corridoio era sempre più stretto e, la cosa mi inquietava al quanto.
A destra e a sinistra si allungavano verso di me varie piante, più marroni che verdi, e delle sedie.
La parete era blu, un blu acqua e le lampade al neon, una era rotta, si accendeva e spengeva come in un film dell’orrore.
Percorsi tutti il corridoio, fino alla tanto odiata porta che avrei dovuto raggiungere 3 volte a settimana.
Attaccata a essa c’era un targhetta Josh Conghei psicologo.
Bussai e una voce ovattata mi chiese di avanzare.
Entrai.
- Buon pomeriggio signorina… - diede una veloce occhiata ad una cartella - … Medlines, Medlines Jeswei giusto? – Feci si con le testa e, resta in piedi, vicino alla porta.
Esami la stanza, al mio lato sinistro c’era una scrivania di vetro con sopra vari documenti, ed un computer a schermo piatto, una foto ed una piccola piantina, un cactus. Alla mia destra una armadietto marrone, davanti a me una finestra e al centro una poltrona blu con vicino un'altra poltrona, nera.
Le pareti erano verniciate di arancione e sotto hai miei pedi si estendevano delle mattonelle rossicce a forma di rombo.
- Siediti – mi sorrise gentilmente.
Mi sedetti sulla poltrona che, si apri sollevandomi le gambe e abbassandomi la schiena.
- Allora, Jeswei, come mai ti trovi qui? – Chiese alzando gli occhi da quello che doveva evidentemente esse il mio fascicolo.
- Perché mia madre crede che io avrei bisogno di un punto di sfogo – Corrugai la fronte
- Mmmm… come ti trovi in questa scuola? È il tuo primo anno? – Era veloce, sbrigativo, formale.
- Si, è il mio primo anno, mi sono trasferita circa un mese fa –
- Hai un’amica? –
- No -.
- L’avevi? –
- Avevo… -
- e com’è stato il distacco da lei? –
Misi la testa da un lato e mi misi seduta accompagnata dalla sedia – dolorosa, strana, ma necessaria -.
- Necessaria per le i per sua madre… - si tirò su gli occhiali, incuriosito
- Non ha importanza, andava fatto punto – incomincia a innervosirmi.
- Va bene per oggi abbiamo finito qui, dato che è il tuo primo incontro e fuori orario, al prossima vota di prego di essere più puntuale, la seduta durerà un'ora – Mi alzai feci un cenno con la testa e uscii. 
Rifeci lo stesso corridoio, per poi svoltare a destra e fare il percorso dell'atrio scolastico, aprii la porta dell’ edifici che avrei rivisto il giorno dopo e, un’aria ghiacciata mi colpi dritta il faccia, seccandomi le labbra e facendomi uscire una lacrima dall’occhio sinistro. Mi portai una mano sulla sciarpa e corsi fino alla mia macchina, l'accessi e corsi a casa.
 
 
 
Tornai a casa e buttai all'ingresso lo zaino, vicino al porta ombrelli, feci le scale e posai il resto dei miei vestiti, per poi mettermi comodamente in piagiama, infine decisi di farmi una cioccolata calda, ma la cucina era sottosopra, si sentiva la mancanza di mia madre, così mi rimboccai le maniche, accesi il camino e lo stereo poi, iniziai quella che si chiamava una vera impresa.

Lo straccio strofinava forte sui piatti e i bullet for my valentine schizzavano sullo stereo, inizia a cantare.
Poi il gelo, mi bloccai, sentii una mano, sulla spalla, guardai con la coda dell’occhio a sinistra, poi a destra, un coltello.
Mi girai e, a occhi serrati tirai il coltello.
Sentii un scintillio, segno che il colpo era andato a vuoto.
Aprii un occhio.
Nessuno.
Raccolsi velocemente da terra il coltello e feci il giro dell’isolotto che avevo al centro della cucina, non c’era nessuno, ma non ne ero convinta.
Suonarono alla porta, sobbalzai, andai ad aprire, ma prima guardai dentro lo spioncino… nulla.
Girai maniglia con il coltello nell’ altra mano, ma sempre tenendola chiusa.
- Chi è? – Domandai con voce apparentemente ferma
- dai apri Jess! – Tirai un sospiro di sollievo.
- Mamma! -.

Cenammo e io sparecchiai mentre lei si adagiò sul letto al piano di sopra, lavai i piatti e misi le bevande in frigo, poi salii anch’ io.

La mia stanza era buia, l’unica luce che trapelava era quella della luna piena che faceva capolino dalle mi tende rosa. Mi sdraia e aprii un libro da leggere, che ormai non toccavo da mesi dato lo scarso tempo e la voglia pari a zero di entrare in una storia che non era la mia.
Il libro narrava di una ragazza che si innamora di un vampiro e delle pene che affronta per stare con lui…
Ad un tratto mi sentii accarezzare la schiena da un tocco gelido, simile a quello di prima, come se qualcuno mi avesse ficcato un ghiacciolo nella maglia, restai ferma per un paio di secondi ad esaminare la situazione, sempre con la coda dell’occhio notai che la porta e le finestre erano chiuse, inizia a pensare di essere paranoica e che in realtà non c’era niente.
Ma c’era qualcosa, forze la parte razionale del mio cervello rifiutava questa convinzione, ma io lo sapevo.
Mossi un braccio, poi un altro.
Visto? Non c’è nessuno.
Mi resi subito conto che quel pensiero non era mio.
Jess sei troppo paranoica, te lo ripeti sempre.
E neanche questo.
Il panico stava prendendo il possesso del mio corpo, le mani mi sudavo il corpo tremava e sentivo una grande pressione al livello della pancia.
Alla fine mi decisi, trasportata dal pensiero che non potevo stare tutta la notte il quella posizione.
Mi girai, velocemente, verso il lato della porta. Ma non c’era niente.
Mi girai dall’altra parte. La finestra era stata aperta.
Impossibile.
Pensai.
Era stata chiusa da me questa mattina e fino a 10 minuti fa era ancora chiusa.
Decisi che quella notte l’avrei passata sveglia.
 
Il mattino seguente, anche se in realtà non aveva senso definirlo così per una che è stata ad occhi aperti tutta la notte, mi preparai e andai di sotto per la colazione, ma mia madre mi precedette, allara non feci altro che sedermi, quindi mangiai le frittelle al cioccolato che aveva preparato.
- Ehi, il buon giorno a casa nostra non è un optional – disse portandosi i pugni sui fianchi.
- Scusami, ma credo di non aver dormito abbastanza – dissi ingozzandomi, dato che a dire le bugie ero una schiappa
- Vorrà dire che ti accompagnerò a scuola, non voglio che mi figlia guidi con la sonnolenza sulle spalle –  e mi madre era una credulona, comunque si sedette di fronte a me
- dopo dovrei tornare con gli autobus, se mi addormento mi derubano e non arrivò più a casa, prenderò 5-6 caffè e andrà tutto bene – prima che potesse rispondermi scappai fuori da casa e salii sull’auto, prendendo al volo la borsa.
 
Le lezioni erano appena iniziate e io già mi ero stufata.
Essendo la nuova arrivata, ovviamente stavo al primo banco, di fronte al professore che, con aria severa controllava il compito da svolgere che aveva assegnato pochi secondi prima.
Bussarono alla porta, ma io non alzai lo sguardo e dedicai tutta la mia attenzione al compito.
- Avanti – fece il professore
- Salve, sono Jordan, sono nuovo – una voce profonda, calda, solida e, un tono cortese fece capolino nel mio orecchio.
- Bene, puoi sederti li vicino alla signorina Jeswei – non alzai lo sguardo, decisi di alzarlo solo se mi avrebbe salutato, in quel caso per cortesia l’avrei alzato.
Si sedette.
Alzai d’improvviso la testa.
Quella sensazione di freddo, di paura di pressione… la stessa che avevo provato ieri.
Mi girai.
Mi sorrise, un sorriso consapevole.
- Jordan – era il tipo da morirgli dietro.
- Jeswei – dissi con aria sbigottita.
Sorrise di nuovo, divertito.
Arrossii e non sapei neanche il perché.













*Non so cosa dire... mi è semplicemente uscito così un capitolo, non so nemmeno se continuerò.
Se ci sarà, alla prossima.
  
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