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Autore: Atelo_Phobia    04/10/2011    4 recensioni
Stavolta persino il titolo di ciò che ho scritto di disgusta profondamente, per la serie non c'è mai fine al peggio. Ho iniziato questa oneshot ispirata dalla seconda puntata della terza stagione, e l'ho finita nel tentativo (quantomai vano, ma questo è più che evidente a chiunque legga la fic)di riaccendere l'ispirazione, che, come si dice, aveva fatto le valigie, ma forse non si dice affatto. Niente, spero di fare meglio la prossima volta.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Quinn Fabray, Rachel Berry
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Debiti 








 

“Quinn...” mormorò Rachel in piedi di fronte alla ragazza, che se ne stava malamente appoggiata al muretto, intenta a fumare.
“Berry.” borbottò Quinn fingendo disinteresse “che piacevole incontro. A cosa devo l’onore?”
“Da quando hai ripreso a chiamarmi per cognome?”
Quinn ridacchiò con cattiveria "Da quando ho riacquistato la ragione, suppingo."
Rachel scosse la testa, delusa. “Sai, ero venuta per parlare, ma se non sbaglio abbiamo un piccolo conto in sospeso, ed è giunto il momento di saldare il tuo debito, Quinn.” disse. Sembrava ferita, e arrabbiata, come se il fumo della sigaretta tra le labbra della ragazza fossero un torto, un insulto, nei suoi confronti.
“Che stai dic...?” iniziò l’altra, ma fu interrotta da uno schiaffo in pieno viso.
Rimase immobile per un momento, sfiorandosi la guancia con le dita, senza sapere che dire; poi scattò verso Rachel, come se volesse colpirla, ma si bloccò all'improvviso, come rendendosi conto di cosa stava facendo.
"Come osi!? Tu, piccola, schifosa puttana!?" sussurrò minacciosa digrignando i denti. Rachel continuò a fissarla con decisione, incrociando le braccia al petto, come se volesse sfidarla.
La mora non disse nulla, mantenendo quel sorriso finto e congelato. "Ti ho chiesto come ti permetti?" disse Quinn con la voce che tremava di rabbia "Sei sorda, per caso?"
Rachel si strinse nelle spalle, con aria noncurante: "Te lo dovevo da un sacco di tempo, e ho pensato che fosse giunto il momento di saldare il mio... debito. E ringrazia" aggiunse poi con aria ad un tratto sprezzante "che non ti faccia pagare gli interessi."
"Perché l'ha fatto?" fissò Rachel, il volto una maschera di rabbia. “Perché?” sussurrò cercando di controllare il rancore.
“Per i capelli, tanto per cominciare” rispose la mora. Sembrava furente almeno tanto quanto Quinn. “Per il fumo. Perché trascorri il tempo minacciando delle ragazzine per ottenere i soldi del loro pranzo. Perché hai lasciato il gl...” ma non fu capace di terminare la frase.
Quinn riuscì con fatica a ridacchiare di nuovo, ma sentiva la gola secca, e la rabbia che le ribolliva dentro sempre più forte.“Oh... ma quindi lo fai per una patetica schiera di oche? Rachel Berry, la paladina della giustizia, schierata in difesa dell’umanità...”
“No, non per loro...” mormorò la mora, abbassando per la prima volta lo sguardo come se fosse in difficoltà. Quinn lo notò, ma fece finta di niente, perché era più facile fingere che nel silenzio non fosse risuonato il suo nome. Sapeva che Rachel era lì per lei, per cercare di aiutarla, e per quanto fosse facile deriderla, non voleva ferirla, non avrebbe potuto sopportare di farle del male.
Rimasero così, senza parlare, per un istante, cercando di allontanare tutta la sofferenza che si nascondeva dietro a quelle parole taciute; sostenendosi a vicenda sebbene così distanti, ognuna intrappolata la lacrime che era incapace di piangere..
“Tu non sei così.” Sussurrò ad un tratto Rachel, scuotendo la testa. Qualcosa nel suo tono era cambiato; sembrava più una carezza ora, che uno schiaffo.
“Davvero?” chiese Quinn, la voce improvvisamente roca, alzando lo sguardo sull’altra. La mora non lesse ombra di sarcasmo, di malizia nei suoi occhi, solo il bisogno di una conferma. I capelli rosa, i piercing, gli occhiali da sole, le sigarette, scomparvero, o forse non erano mai esistiti; e Rachel vide una Quinn impaurita, debole e sola.
“E come sono allora? Chi sono?” domandò con sincerità.
Per la prima volta Rachel sorrise, e gli occhi di Quinn parvero illuminarsi e tornare, anche solo per un istante, a scintillare come avevano fatto un tempo, brillando del riflesso di quel sorriso.
“Tu sei...” ma si bloccò, assaporando sulle labbra il sapore di tutto ciò che Quinn significava per lei, e guardandosi intorno, come alla ricerca di parole con cui descriverla. “Sei... sei il profumo di un vecchio orsacchiotto polveroso che la mamma vuole buttare via perché siamo diventati troppo grandi per giocarci; e facciamo finta che vada bene così, ma alla fine lo nascondiamo per poter continuare a ricordarci cosa significa essere bambini. Sei il fiore più bello del prato che nemmeno l’innamorato, cercando conferma del suo sentimento tra i petali di una margherita, ha il coraggio di cogliere, perché troppo raffinato e flebile, sotto le sue dita. Sei la pioggia lieve ed inaspettata che penetra i raggi del sole più caldo, ticchettando sull’asfalto e riempiendo le pozzanghere in cui sguazziamo fradici fino alla punta dei calzini, cercando invano di ripararci con le braccia, mentre corriamo a perdifiato verso casa. Sei...” ma di nuovo si bloccò, spezzando un sospiro, incapace di continuare.
Quinn rimase in silenzio, lo sguardo fisso di fronte a sé alla ricerca del profumo dell’infanzia di cui Rachel aveva parlato; aspettando che la pioggia accarezzasse il fiore più bello del prato.
Ma non v’era traccia di ciò di cui la mora raccontava; risuonava nelle sue orecchie come l’eco di una favola lontana, ma per lei era arrivato già da tempo il momento di diventare grande: l’avevano abbandonata tutti quanti, uno dopo l’altro, dimenticandosi di problemi che lei non poteva scrollarsi di dosso.
Forse guardandosi allo specchio non avrebbe più visto Lucy, ma gli insulti, i soprannomi, gli sforzi compiuti per riuscire a rinnegare se stessa, non avrebbero mai smesso di offuscare i suoi occhi,  di farli brillare con meno intensità; i pianti di Beth avrebbe anche potuto non essere udibili per lei, ma così il suono della sua risata.
Deglutì a fatica.
L’avevano abbandonata. Tutti.
Scosse il capo, di nuovo arrabbiata. “Sta’ zitta.” ordinò a Rachel “Tu non sai niente. Niente. Tu mi giudichi, come se mi conoscessi, ma non puoi nemmeno immaginare quello che ho dovuto passare."
“Quinn, io...” mormorò Rachel, dispiaciuta “io non...” continuò cercando di avvicinarsi a lei, ma Quinn la respinse, malamente.
“Vattene.” ordinò nuovamente fissando il suolo e controllando la voce “vai via.”
Ma Rachel non si mosse. Alzò lo guardo verso di lei, osservandola intensamente, senza spostarsi di un solo millimetro.
“No.” asserì. “Non sono più quella di una volta, Rachel. Se dico che te ne devi andare, lo devi fare. Non mi va più di recitare il ruolo della brava ragazza; personalmente ho sempre pensato che come le parti fossero state mal distribuite. Vattene, o potrei farti male.” disse duramente alzandosi e avanzando verso Rachel.
Ma la mora rimase immobile, continuando a fissare Quinn negli occhi.
“Non mi faresti mai male.” disse in un sussurro scuotendo il capo.
“Tu credi? E come mai?” chiese Quinn con voce tremante e una punta di cattiveria avanzando ancora di un passo verso di lei e spingendola delicatamente contro il muro.
Rachel inspirò lentamente. “Be', perché sei innamorata di me.” mormorò con il respiro spezzato.
Quinn si immobilizzò. Sembrava così ovvio, all'improvviso. Certo che la amava. Lei era...
Dopo quella che parve un’eternità, aprì la bocca, come cercando di negare, ma la richiuse subito.
Fissò Rachel, si specchiò senza paura nei suoi occhi, e nello sguardo dell’altra non scorse né il puzzo di fumo, né i piccoli tagli che le solcavano le braccia. Vide solo il riflesso dei suoi stessi occhi verdi; gli occhi di Lucy, gli occhi di Beth.
Rachel le sorrise, incantata, e Quinn chiuse gli occhi, posando le sue labbra su quelle della mora, regalandole il proprio respiro, perché senza di lei si sarebbe limitata a sopravvivere, per sempre incapace di vivere.



“Adesso sei tu ad essere in debito con me.” sussurrò Quinn, stringendo ancora Rachel.
La mora le passò un dito nei capelli sistemandole il ciuffo che le copriva gli occhi. Poi, di nuovo, si chinò sulle sue labbra, sfiorandole appena appena. “Ora non più.”
  
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