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Autore: Black Ice    04/10/2011    3 recensioni
Pausa.
Armistizio.
Time out.
Silenzio interrotto dai respiri affannosi di quei due uomini, che ora continuavano a fronteggiarsi unicamente con gli sguardi.
Tutto, nella stanza, pareva in attesa, spaventato e sconvolto da ciò che era appena successo.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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(Took all my strength)

"Avevamo ancora la scorza da ragazzi, quel giorno.
Ragazzi senza certezze e con la vita davanti, ancora arrotolata su se stessa da non permetterci di vedere il corso e il cammino che essa ci riservava.
Ma quel giorno, forse, cambiò qualcosa. Qualcosa di invisibile da vedere ma fondamentale all'esistenza del gruppo e alla nostra.

Fù Matthew..."

 

Drops of Jupiter

 
"Smettila di fingere.", fù l'esclamazione arrabbiata di Dominic mentre si sedeva sul divanetto opposto al mio, i gomiti sulle ginocchia.
Fissandomi.

Sospirai, perchè far finta di dormire, con lui, era inutile.
Restai sdraiato senza aprire gli occhi con il viso rivolto al soffitto, aspettando che qualcosa di sconvolgente calasse da quest'ultimo sopra di me per smorzare quell'inutile traccia di conversazione non voluta da entrambi, o almeno che non facesse continuare la monotonia che andava costantemente a braccetto con le ore prima dell'inizio di un concerto.
Ma non era certo per il fatto che stessi fingendo di dormire, che mi aveva rimproverato. E lo sapevo benissimo.

"Che c'è Dominic, devi farmi la stessa lavata di cervello degli scorsi dieci anni?"
Veleno.
Perchè, in fondo, lo sapevo che lui lo faceva per me, perchè mi voleva bene.

"Mi costringi.", ribattè infastidito, digrignando i denti. "Più passano gli anni e più non capisci ciò che dico e perchè lo dico. Che cazzo credi di risolvere così?"

Risolvere: parola abolita dal mio dizionario da più di dieci anni ormai. Non c'era più niente da risolvere, ormai, non più.

Strizzai le palpebre e aprii gli occhi, scontrando le mie pupille con la luce del lampadario appeso sopra di me. Mi misi seduto e lo guardai, assottigliando le palpebre.

"La devi smettere di trattarmi come un incosciente."
Lo odiavo, mi infastidiva quel suo modo di parlare con me. Era come se tutto d'un tratto Dominic si dimenticasse di chi fossi.

"Ti parlo per ciò che sei, Matt, e non sei un incosciente. Sei solo dannatamente stupido."

Ci guardammo, poi Dominic sospirò e congiunse le mani, portandosele alla fronte. Sembrava stesse pregando un Dio che non esisteva e nel quale non credeva.

"Sono il tuo migliore amico, voglio che superi questa cosa."

"Risparmiami la tua laurea in psicologia, Dominic, non ne ho bisogno."

"Smettila di fingere."

"E tu smettila di rinfacciarmelo ogni santa volta!" Sbottai alzandomi in piedi, guardandolo con odio e con i pugni che si contraevano regolarmente.
Non doveva capirmi, non aveva il diritto di sondarmi l'anima.

Abbassò le mani portandosele sulle ginocchia e puntò gli occhi nei miei, assottigliandoli quando vide il mio volto teso.

"E' inutile che fingi di fare l'insensibile quando te ne importa più della tua stessa vita."

"E cosa dovrei fare, invece, eh? Piangere tutte le volte? Maledirmi perchè è successo a lei invece che a me? Dimmelo, Dominic, e giuro che lo farò."

"Voglio che superi questa situazione. Va avanti da più di dieci anni, è durata fin troppo."

Ancora, ira.

"L'ho superata.", sputai fra i denti, trattenendomi dall'urlargli contro.

"No. Non stai bene, lo sappiamo tutti."

"Sto bene, cazzo, sto bene! Smettila di ripetermi che non è così o giuro che ti prendo a pugni!"

Gli gridai contro, alla fine. Davanti a lui che non mosse un muscolo, solo scosse impercettibilmente la testa socchiudendo gli occhi.
Calmo. Dannatamente calmo.

"So che la vedi, quando dormi. So che ti fa male. So che non è di vecchiaia la ruga che solca la tua fronte di notte."

"Piantala."

"E' così difficile ammetterlo? Ti sto solo chiedendo di non limitarti."

"Piantala, Dominic, smettila cazzo! Cosa credi, che sia facile? Che il desiderio di morire al posto suo, di morire in questo istante per lei, per farla ritornare indietro, non sia costantemente nella mia testa? Che mi faccia piacere vivere con addosso una stupida faccia da clown sorridente? Morirei in questo momento per lei, lo capisci? Darei qualsiasi cosa per poterla riavere indietro!"

"E allora fà qualcosa! Muovi il culo fuori da questo cazzo di stanzino e fà qualcosa!", ribattè Dominic alzandosi dal divano e ponendosi di fronte a me.

"Non ci è rimasto nulla da fare Dominic, è tutto passato! Lo vuoi capire? E' inutile rifugiarsi in un mondo di desideri e speranze vane, non ti fà sentire meglio!"

"E' reale la sua tomba, Matthew, e non sei mai andata a trovarla!"

"E' proprio una delle cose che mi fà sentir male!"

"Non ti costa niente anda-"

"Non il fatto che non vada alla sua tomba, cazzo, ma il fatto che esista quella dannata lastra di marmo!"

Pausa.
Armistizio.
Time out.
Silenzio interrotto dai respiri affannosi di quei due uomini, che ora continuavano a fronteggiarsi unicamente con gli sguardi.
Tutto, nella stanza, pareva in attesa, spaventato e sconvolto da ciò che era appena successo.

Dominic si voltò e si risedette sul divanetto, prendendosi la testa tra le mani.
Mi risedetti anche io e lo guardai, cercando di perforargli la testa con gli occhi.

Non serviva chiedere scusa, non serviva un abbraccio. Non serviva niente di niente, era già tutto a posto.

"Lo sai che giorno è oggi.", mormorò debolmente.

Certo che lo sapevo. Era il 4 Ottobre, non potevo ignorare un giorno così.
Oggi era il suo giorno.
E non serviva che lui me lo ricordasse.

"Smettila."

"Smettila cosa?", ribattè alzando lo sguardo.

"Di essere incoerente, Dominic. Sei tu che non riesci ad andare avanti. Scaricare i tuoi problemi su di me non ti farà sentire meno in colpa."

Lo vidi tremare impercettibilmente e capii tutto quello che mi ero rifiutato di vedere in quegli anni.
Non saprei dire, però, se tremò per rabbia, per tristezza o perchè stava infine cedendo, schiacciato da tutto quel peso che entrambi avevamo sulle spalle.

"Non ha senso quello che dici, Matt."

Lo guardai.
Amavo i suoi occhi, ma in tutti quegli anni non avevo trovato occasione -coraggio- di dirglielo.

"Ho realizzato la sua morte quando in questo giorno preciso, dodici anni fa, le ho fatto il mio regalo. Questo è il mio modo di reagire."

Digrignò i denti, "Far finta che non te ne importi più nulla?", mormorò con rabbia.

"Si, Dom.", ammisi con il rammarico nella voce e nel cuore. "Ma il tuo?"

Ci guardammo per qualche secondo, e i rumori di sottofondo attorno a noi cessarono per un attimo, permettendoci di capire e studiarci.
Mi guardò impassibile, e dopo qualche attimo si alzò e uscì dalla stanza.
Uscì, sbattendo prevedibilmente la porta dietro di sè.

 

 
"... Seppi dopo che era stato per settimane intere a lavorare per conto suo, per farci quella sorta di regalo, che, anche se non lo ammetteva, era più per se stesso che per noi.
Eravamo tutti stanchi, in quei giorni. Eravamo reduci da mesi di lavoro sul nostro primo vero album di debutto.
Sarebbe uscito in un giorno speciale, sarebbe uscito dopo un anno esatto la sua morte, e questo implicava un senso di religiosità al quale non riesco ancora bene ad affidare gli aggettivi che descrivevano il mio stato d'animo, anche dopo tutti questi anni.
Il tre Ottobre del 1999, alle dieci di sera, Matthew entrò nello studio di registrazione con un foglio in mano e sul volto una maschera di stanchezza.
Calò il silenzio, alla sua entrata in scena.
Mi ricordo che pensai che potesse svenire da un momento all'altro.
Ci guardò spento uno a uno, nel silenzio generale. C'eravamo tutti.
Poi sorrise debolmente -mi sorrise- accentuando le macchie nere sotto gli occhi e sventolò in foglietto che teneva in mano, mormorando stancamente: "E' questa. E' questa la copertina."
Quindi camminò barcollando in avanti fino a raggiungere un tavolo, mentre tecnici e aiutanti gli aprivano un varco per permettergli di accasciarsi sulla sedia.
Del seguito, ricordo solo che lo affiancavo, le mani appoggiate al suo stesso tavolo e lo sguardo che percorreva il foglio stropicciato che Matthew stava lisciando stancamente con le mani, mentre vedevo chiaramente il mezzo sorriso orgoglioso con la coda dell'occhio.
C'era una stampa, sul foglio. Un quadrato colorato curato nei minimi dettagli.
Lo osservai, e quando capii ciò che era raffigurato sentii il naso pizzicarmi leggermente e qualcosa bloccarmi le vie respiratorie, prima che tornassi in me e seppellii l'improvvisa necessità di piangere.

"E' per lei, è per lei.", sentii mormorare Matthew di fianco a me, stregato dal disegno.

Quel disegno raffigurava una giovane donna -ventenne, era ventenne, Dominic- con un vestito bianco e i capelli corvini -i suoi capelli corvini, Dominic- raccolti sulla testa, mentre camminava scalza su un altro pianeta e guardava al passato, la testa girata per fuggire agli sguardi.
Era lei. Ed era là: il luogo nel quale doveva essere per forza."

  
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