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Autore: Revenge_Kurobara    04/10/2011    3 recensioni
Speravo che nulla di ciò che era accaduto fosse vero.
Speravo di essere impazzita, di aver immaginato tutto.
Speravo che fosse colpa della prolungata mancanza di sonno.
Speravo che i miei occhi e la mia mente mi avessero ingannata, che quelli distesi sul pavimento in un lago di sangue nella mia stanza non fossero i miei genitori.
Perché?
Perché ero sopravvissuta solo io?
Perché non mi era stato destinato lo stesso fato dei miei genitori?
Perché dovevo soffrire così tanto?
Genere: Avventura, Azione, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Ezio Auditore, Mario Auditore, Nuovo personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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CAPITOLO 1
 
 
Un giorno, due, tre...
Il tempo passa così velocemente.
Ma il dolore non scivola via come il tempo.
Il dolore è sordo e pesante.
Lento e inesorabile.
Forte e aspro.
Si può sconfiggere il dolore?
Si può colmare il vuoto nel cuore?

 
Camminavo lungo la strada con la testa china sul petto. I capelli color nocciola nascondevano il mio viso sconvolto, attraversato ancora da qualche lacrima. Lacrime che i miei occhi gonfi e arrossati non volevano fermare. Occhi verdi, spenti, incollati al terreno, persi nel nulla. Il nulla, il vuoto che avevo nel cuore, lasciato da persone a me care. Come poteva essere accaduto?!
Il cammino era ancora lungo e non riuscivo a non pensare a cosa fosse appena successo. Era reale? Speravo che fosse solo un brutto sogno, un incubo dal quale mi sarebbe bastato svegliarmi per tornare alla realtà e smettere di soffrire.
Speravo che nulla di ciò che era accaduto fosse vero.
Speravo di essere impazzita, di aver immaginato tutto.
Speravo che fosse colpa della prolungata mancanza di sonno.
Speravo che i miei occhi e la mia mente mi avessero ingannata, che quelli distesi sul pavimento in un lago di sangue nella mia stanza non fossero i miei genitori.
Forse stavo solo immaginando tutto. Probabile.  Ma dentro di me sapevo che la verità era quella. Potevo non crederci, cercare di auto convincermi che non fosse così,  ma la realtà mi sarebbe piombata addosso inesorabilmente, pesante come un macigno, pronto a schiacciare il mio mondo fatto di carta.
Ormai era tutto distrutto, cancellato, spazzato via. Dei bei momenti passati con i miei genitori non mi era rimasto nulla se non ricordi, ai quali mi aggrappavo con insistenza per non sprofondare nell’angoscia. Non avevo più nulla, nemmeno un posto in cui stare; la mia casa era stata inghiottita e mangiata dal fuoco,  appiccato dagli uomini che avevano ucciso i miei genitori.
Perché?
Perché ero sopravvissuta solo io?
Perché non mi era stato destinato lo stesso fato dei miei genitori?
Perché dovevo soffrire così tanto?
Avevo così tante domande a cui non riuscivo a dare una riposta.
Chi aveva ucciso i miei genitori? Chi aveva voluto la loro morte?
Ma soprattutto, perché?
Mi asciugai il viso con un gesto repentino del braccio. Sapevo che piangere non mi sarebbe servito a nulla ma in quel momento mi sembrava l’unica cosa che potesse alleviare il mio dolore.
:- “Hai intenzione di non parlarmi per tutto il tragitto?”-
La mia attenzione venne attirata dall’uomo che avevo al mio fianco, al quale, il fato mi aveva affidata.
Affidata.
Si, certo. Suonava meglio “costretta a seguire”, date le circostanze.
Mi girai per un istante verso il mio salvatore, il quale comprese dal mio sguardo che non avevo alcuna voglia di parlare.
Parlare.
Era l’ultima cosa che volevo fare in quell’istante. Cosa avrei dovuto dire?
La mia famiglia era distrutta, i miei genitori erano stati uccisi brutalmente o meglio, assassinati da qualcuno,  senza un motivo apparente. Io…ero rimasta sola.
Rievocai alla memoria i loro ultimi istanti di vita, il loro ultimo gesto di affetto nei miei confronti; un dolce “ti vogliamo bene” sussurrato all’orecchio mentre mi abbracciavano amorevolmente, cercando di infondermi più amore e coraggio possibile; i loro sorrisi rassicuranti, i loro occhi quieti prima di chiudere la porta del passaggio, celato dalle spesse mura di casa, che li avrebbe separati da me, per sempre. Sembravano così sereni, come se già sapessero cosa sarebbe accaduto. Come se si stessero preparando a quel momento da una vita.
Una piccola fessura nella parete mi permise di assistere alla loro morte.
Perché faceva male? Perché faceva così dannatamente male?
I miei occhi divennero lucidi e prima ancora che me ne potessi accorgere avevano ripreso a lacrimare.
Stavo piangendo.
Un pianto silenzioso, colmo di tristezza e dolore.
Un pianto che si perdeva nella mia gola, stretta in una morsa invisibile che mi impediva di respirare regolarmente.
Sentii sospirare e successivamente una mano si appoggiò saldamente alla mia spalla. Mi voltai pur sapendo di chi era.
Mario.
L’uomo che mi aveva salvato da quell’inferno qualche ora prima, mi stava sorridendo.
Lui era un piccolo bagliore di luce in tutta quella oscurità.
Il mio salvatore.
Colui che mi aveva strappato alle fiamme.
Colui a cui dovevo la mia vita.
Se non fosse stato per Mario probabilmente sarei bruciata viva insieme ai corpi dei miei genitori.
Perché non trovai alcuna via di fuga da quel passaggio nel muro: era un semplice nascondiglio privo di uscite secondarie. Forse i miei genitori non avevano calcolato che i loro assassini potessero dare fuoco alla nostra abitazione. Sconvolta com’ero non ero riuscita a razionalizzare che poco a poco le fiamme stavano avanzando nella mia direzione. Ero rimasta rannicchiata nel mio nascondiglio con le gambe strette al petto, incurante del pericolo.
Un boato.
La porta dello stanzino segreto che si apriva.
Il calore delle fiamme si era diffuso nel piccolo spazio angusto.
Sollevai il capo e i miei occhi si incontrarono nei suoi.
Azzurri. Uno splendido azzurro.
Non vidi altro, poi tutto si fece nero. A quanto pare qualche attimo dopo svenni, forse per il troppo fumo inalato.
Il mio salvatore mi ridestò dai miei pensieri con un lieve scossone. Sollevai il viso e mi ritrovai a fissarlo . Era la prima volta che lo guardavo direttamente in volto e notai una cosa che mi lasciò alquanto perplessa: non aveva gli occhi azzurri, bensì marroni. L’occhio sinistro era attraversato da una cicatrice che lo aveva reso cieco, forse una ferita che si era procurato durante uno scontro.
Ora che ci pensavo anche i lineamenti non erano gli stessi.
Forse avevo scambiato i suoi occhi marroni per azzurri durante l’incendio.
Forse le lacrime mi avevano offuscato la vista, ed era per questo che non avevo notato prima la cicatrice.
Forse il fumo mi aveva confuso e annebbiato i sensi.
Molto probabile.
:- “Dobbiamo sbrigarci. Non manca molto al tramonto e la foresta di notte non è certo luogo per bambine”- con la mano avvolta nel guanto si preoccupò di asciugarmi le guance umide con un movimento deciso.
:- “Ci sarà un grande banchetto”- a quanto pare stava tentando di sollevarmi il morale
:- “Avrai una stanza tutta tua, bei vestiti e una dama da compagnia. Potrai farti un bel bagno prima di andare a dormire e…..”- si bloccò a metà frase.
Mi sforzai di sorridergli.
A quanto pare l’uomo capì che non sarebbe servito a nulla cercare di consolarmi in quella maniera.
:- “....coraggio andiamo.” -
Mi diede qualche pacca sulla spalla poi riprese a camminare. Qualche attimo dopo mi decisi a seguirlo ma rimasi sempre a qualche passo dietro di lui. Sapevo che stava soltanto cercando di aiutarmi.
Ma…chi era in realtà quell’uomo?
Perché mi stava aiutando?
Conosceva i miei genitori?
Altre domande che per ora non avrebbero trovato risposta.
Non nascondevo che la sua figura mi incuteva un po’ di timore, ma il suo carattere bonario mi rassicurava.
Mi voleva fare del male?
Esclusi subito quell’opzione. Se solo l’ avesse voluto lo avrebbe fatto da un pezzo.
Nonostante l’età, forse una cinquantina, dava l’impressione di essere ancora nel bel pieno delle forze. Il fisico non era certamente quello di una volta ma avevo la netta sensazione che avrebbe potuto sbaragliare un gruppo di 20 uomini armati, da solo.
Sobbalzai nel sentire strani rumori provenire da dietro di me, avvicinarsi.
Aumentai il passo fino ad affiancarmi a Mario. Non appena lo feci, il mio salvatore si voltò a guardarmi e scoppiò in una grassa risata. Il mio gesto lo aveva divertito così tanto? Eppure ero terrorizzata all’idea che qualche brigante potesse attaccarci. Come faceva ad essere così tranquillo? Rimasi a guardarlo con una faccia che non doveva essere molto intelligente. Qualche attimo dopo capii come mai stesse ridendo così tanto: da uno dei tanti cespugli alle mie spalle, vidi sbucare un cerbiatto. Mi diedi della stupida da sola. Ecco spiegati quegli strani rumori.
Ma allora….come mai mi sentivo osservata? 


Ciao a tutti ^w^
grazie a quei pochi che leggeranno la mia FanFiction ^W^
è la prima che scrivo e, essendo consapevole della mia scarsa capacità nella scrittura, accetto molto volentieri critiche e suggerimenti ^^
spero a presto ^^

un grosso saluto da Revenge_Kurobara

  
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