Storie originali > Soprannaturale > Vampiri
Ricorda la storia  |      
Autore: My Pride    05/10/2011    6 recensioni
Impazzite con me e non lasciatemi sola.
Se alla fine del mio racconto non sarete più voi stessi, avrete tutte le ragioni del mondo per non perdonarmi e per inveirmi contro fino allo spasimo.
Ma credete davvero che potrà importamene? Io non ci metterei la mano sul fuoco, se fossi in voi.
[ Lewis Ride Point Of View ]
[ Prequel della storia «Under a bloody sky» ]
[ Vincitrice del Premio Pennello per la miglior ambientazione gotica al contest «Bitten by vampires» indetto da Illunis ]
Genere: Drammatico, Erotico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo
- Questa storia fa parte della serie 'St. Louis ~ Bloody Nights'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
When_1
[ Vincitrice del Premio Pennello per la Miglior ambientazione gotica
al contest «Bitten by vampires» indetto da Illunis ]


Titolo:
When the death comes
Autore: My Pride
Fandom: Originali › Sovrannaturale › Vampiri
Prompt scelto: Fuoco, Delirio, Cuore, Bara
Tipologia: One-shot
Genere: Generale, Vagamente Introspettivo, Drammatico, Vagamente Erotico, Sovrannaturale
Rating: Arancione
Lunghezza: 7105 parole escludendo specchietto introduttivo e note conclusive
Beta Reading: No
Nota1: Questa storia è il prequel di Under a bloody sky e fa parte della serie St. Louis ~ Bloody Nights
Nota2: Nel corso della storia, oltre a delle parole in spagnolo, potrebbero essere presenti espressioni come “Aye” e “Nay”, che significano rispettivamente “Sì” e “No” in italiano, e “Och”, che è un rafforzativo del “Sì”. Esse non sono un errore, bensì una scelta personale dell’autore, ormai affezionatasi a tale dicitura.
Avvertimenti: Vagamente nonsense, Slash, Non per stomaci delicati, Lemon, Accenni Threesome


DISCLAIMER:
All rights reserved © I personaggi presenti in questa storia sono tutti maggiorenni e mi appartengono, dal primo all'ultimo. Sono comunque frutto di pura immaginazione. Ogni riferimento a cose e persone realmente esistite e/o esistenti è puramente casuale.
This work is licensed under a Creative Commons Attribution-Noncommercial-No Derivative Works 3.0 License.


 
    Quando lo incontrai per la prima volta ero ancora una giovane vampira inesperta.
    Viveva in un castello ormai diroccato che la sua famiglia aveva ottenuto con l’inganno prima ancora che anche lui venisse trasformato, e in quei cinquant’anni che si erano susseguiti si era circondato di vampiri che, spesso e volentieri, creava lui stesso, scegliendo le vittime in base alle loro caratteristiche. Prediligeva gli uomini, aveva detto, sebbene non disdegnasse certe volte la dolce compagnia femminile. Io ero capitata lì per caso, eppure mi aveva accolta nella sua cerchia di prescelti come se fossi sempre stata una di famiglia.
    Forse ciò che l’aveva spinto a farlo era stata l’espressione sgomenta e quasi umana ancora dipinta sul mio viso spettrale, più che il mio aspetto scarno e per nulla attraente. E pensare che non ci vedeva nemmeno. Per oltre un anno avevo vagato fra paesaggi desolati e terreni impervi, cibandomi delle poche fonti di nutrimento che riuscivo a trovare sul mio cammino. Gli esseri umani scarseggiavano, in quei luoghi, e molto spesso ero costretta a non bere per giorni interi, se non settimane.
    Ero stata trasformata in un vampiro contro la mia volontà, venendo strappata dal seno della mia famiglia per essere condannata a vivere quella falsa eternità che mi aveva allontanata anche dal mio Dio. L’aver in seguito ucciso il mio creatore non mi aveva dato quella soddisfazione che tanto avevo sperato di ricevere, giacché il mio cuore tormentato aveva capito ancor prima della mia mente sconvolta ciò che avevo fatto: avevo ucciso. Anche se si era trattato di un vampiro, di un mostro sanguinario che mi aveva rapita e aveva orribilmente massacrato i miei genitori, avevo ucciso. Non avevo mai fatto del male a nessuno in tutti quei miei venticinque anni, e quel solo pensiero mi aveva fatta rabbrividire durante quel primo anno della mia esistenza, o almeno finché non incontrai lui, Miguel Rodríguez.
    Mi insegnò tutto ciò che so adesso, anche se forse avrei preferito restare all’oscuro di molte più cose di quante lui stesso non creda tuttora. Mi aveva mostrato cosa significasse realmente la parola crudeltà e le innumerevoli perversioni del mondo, plasmandole nelle sue mani e scrivendole con inchiostro insanguinato come se fossero stati fogli di carta svolazzanti dinanzi ai miei occhi; aveva fatto sì che godessi del piacere che il sesso poteva donare a noi creature della notte, quasi alla pari del nutrimento, sbattendomi in faccia l’ovvietà dei fatti e il suo modo di essere. Per quanto istruttivo fosse stato ne ero rimasta segnata, probabilmente perché non avrei mai creduto che esseri come noi potessero realmente essere capaci di tali atrocità.
    Se continuassi a raccontare in questo modo sconclusionato e privo di un vero e proprio periodo non capireste niente, però, dunque lasciate che vi guidi lungo quei luoghi inesplorati su cui avevo camminato, che vi faccia strada nei meandri più profondi di quella magione, che vi mostri le atrocità a cui avevo dovuto assistere per non divenire io stessa vittima e che vi presenti la moltitudine di vampiri in cui mi ero imbattuta stazionando lì per più anni di quanto io stessa credessi al principio.
    Impazzite con me e non lasciatemi sola. Se alla fine del mio racconto non sarete più voi stessi, avrete tutte le ragioni del mondo per non perdonarmi e per inveirmi contro fino allo spasimo. Ma credete davvero che potrà importamene? Io non ci metterei la mano sul fuoco, se fossi in voi.



 
    Il silenzio si protrasse per un lungo attimo prima che esso venisse infranto dai primi rintocchi lontani della campana di mezzanotte. Distesa fra l’erba alta a braccia spalancate, con lo sguardo vacuo fisso sul quel cielo nero e senza stelle sopra di me, tentavo invano di respirare regolarmente, così stanca e prosciugata da non riuscire più a muovere un passo.
    La città era distante altre sette miglia, e, nonostante alle mie orecchie fosse giunto il suono limpido e cristallino della campana, non avevo la forza necessaria per raggiungere quel luogo popolato di esseri umani dai cuori palpitanti. Il loro sangue mi avrebbe rimessa in sesto per almeno altri cinque o sei giorni, però non mi sarebbe servito a niente se non fossi riuscita ad arrivare in tempo. Mi ero dunque lasciata andare su quell’enorme distesa verde e umida, come se il guardare quel manto di pece avrebbe potuto lavare via tutti i miei problemi.
    Quanti anni erano passati da quando ero partita, fuggendo dal luogo che era stato testimone della mia morte e della colpa di cui mi ero macchiata? Troppi, forse più di tre decenni. Non ero più riuscita a vivere in quel luogo con la consapevolezza di ciò che avevo fatto, troppo spaventata da me stessa e dal mostro che ero diventata. Era stato proprio per quel motivo che avevo cominciato a vagabondare fra quei luoghi impervi, sporca e affamata come una povera derelitta.
    Adesso, però, ero stanca. Non avevo più la benché minima intenzione di andare avanti e di continuare quella vita che non mi apparteneva, quella vita che avevo rubato ad altre persone per far sì che il mio cuore continuasse a battere per altri dieci, cento, mille anni.
    Lasciai che quel silenzio surreale mi cullasse fra le sue gelide braccia, ignorando i richiami dei rapaci notturni fra la cappa di fogliame poco distante. Qualcosa di viscido mi strisciò lungo una gamba, ma non ebbi neanche bisogno di abbassare gli occhi per capire che si trattava soltanto di un serpente che tornava rapido alla propria tana. Avrei dovuto nascondermi anch’io? Avrei dovuto forse cercare riparo per la luce del sole che sarebbe sorto l’indomani? Nay, sarei semplicemente rimasta su quella chiazza d’erba ad attenderlo, sentendone il calore per un’ultima volta prima di finire definitivamente ridotta in cenere.
    Avevo un’irrefrenabile voglia di piangere, eppure le lacrime non scivolavano via dai miei occhi. Da quando ero diventata un vampiro avevo pianto una sola volta, ed era stato orribile vedere quelle lacrime di sangue sporcarmi le guance e imbrattarmi il viso con la loro vischiosa consistenza. Perché il mio Dio aveva voluto punirmi in quel modo? Se era vero che amava indiscriminatamente ogni sua creatura, perché aveva fatto sì che io meritassi quella fine? Non avevo mai dubitato di lui, la mia fede non era mai crollata, eppure... eppure mi aveva lasciata nelle grinfie di quel mostro e aveva permesso che i miei genitori morissero atrocemente per mano sua. Quale Dio avrebbe mai lasciato che una cosa simile accadesse? Un Dio perverso e vendicativo, avrei detto. E nessuno avrebbe mai potuto criticarmi per quelle mie parole.
    Sarei rimasta lì a rimuginare ancora a lungo se il fruscio di passi sull’erba non mi avesse allertata, e fu con le sole forze che mi restavano che rotolai a pancia in giù per issarmi a mezzo busto, scrutando i dintorni per quanto mi fosse possibile. La mia vista era debole a causa del poco sangue di cui mi ero nutrita, e mi era dunque difficile distinguere con l’esattezza forme che, in altre notti, avrei potuto vedere con la stessa precisione di un gatto. Ero però più che certa che lì con me ci fosse qualcuno, sebbene non avessi ben chiaro in testa di chi o cosa fosse. Era forse un animale? Oppure un essere umano? In entrambi i casi, per me avrebbe significato una sola cosa: sangue. In quello stesso momento mi sarei accontentata di qualsiasi cosa che respirasse, anche se pochi attimi prima avevo pensato di farla finita. Com’ero contraddittoria, certe volte.
    Un’ombra nascosta fra gli alberi, più scura delle altre e più sottile, si avvicinò a me ad una velocità disarmante, e io ebbi solo il tempo di sgranare gli occhi prima di venire atterrata, sentendo quello che supposi essere un artiglio serrarmi la gola come se volesse impedirmi di respirare. Boccheggiai, abbassando ed alzando le palpebre in maniera convulsiva, tentando al tempo stesso di allontanare da me quell’aggressore. Odorava di sangue fresco, ma quel sangue non era suo; con la poca luminosità presente riuscii a vederlo in volto, distinguendo a malapena due occhi vitrei e neri come il carbone e le fauci spalancate a mostrare oscenamente le zanne insanguinate. D’un tratto si fermò e arricciò il naso, cominciando ad annusarmi come se fosse stato un cane o la pessima imitazione di esso. Si allontanò da me con un uggiolio, quasi fosse stato d’improvviso schiaffeggiato, accucciandosi al mio fianco per girarmi intorno a quattro zampe.
    «Non sei umana». La voce con cui pronunciò quelle parole fu bassa e gutturale, una voce che non avevo mai sentito provenire da una gola umana. Tossii e mi tenni una mano sul collo, scuotendo la testa lentamente senza però perdere d’occhio quello sconosciuto. Sembrava un essere umano, ma non aveva affatto l’odore di uno di loro: aveva un vago odore di pelliccia ed erba bagnata, misto al sangue che gli incrostava la bocca e le mani artigliate. Cosa diavolo era?
    Tentai di rimettermi in piedi quando fra le fronde degli alberi si mosse qualcosa, e una seconda ombra discese rapida dai rami più alti, portando dietro di sé il profumo di fiori selvatici. Era lo stesso profumo di mia madre, e la cosa mi spaventò a tal punto che, sebbene sulle gambe malferme, provai ad indietreggiare per allontanarmi da quei due uomini, o qualunque cosa essi fossero, che stavano adesso discutendo animatamente. Non riuscii però a fare più di qualche passo che gli occhi del nuovo venuto si puntarono rapidi su di me, investendomi di un tale potere che quasi mi mancò il fiato. «Spero che Manuel non ti abbia spaventata», disse con voce chiara e piatta, diversa da quella del suo compagno. I suoi occhi avevano una strana sfumatura dorata visibile anche nella penombra in cui eravamo avvolti, e nonostante il vago sentore di pelliccia che aveva addosso sembrava molto più umano dell’altro. I capelli, scuri come la notte che ci circondava, erano legati in un codino che spuntava dalla sua spalla, drappeggiato su di essa come uno scialle. «Non è abituato a trattare con quelli della vostra razza».
    Deglutii e, senza che mi venisse impedito, feci qualche passo indietro. Qualsiasi cosa fossero quegli uomini, volevo trovarmi il più distante possibile da loro. «Voi... sapete cosa sono?» chiesi poi, anche se la voce che uscì dalle mie labbra fu tutto fuorché ferma. Avevo quasi gracchiato, in realtà, ma non avendo parlato per mesi, se non anni, con anima viva, era più che normale.
    L’uomo che mi aveva atterrata, Manuel, si limitò semplicemente ad annuire senza aprir bocca, leccandosi però le labbra sporche di sangue. L’altro gli lanciò uno sguardo obliquo che non seppi interpretare, però fu molto simile a quello di un serpente che guardava un topolino. Aveva forse intenzione di aggredirlo, oppure era l’odore del sangue a scatenare in lui quelle strane sensazioni? Non volevo saperlo, ma qualcosa si era mosso in quegli strani occhi dorati. Per quanto riguardava me, invece, quello stesso sangue stava diventato una vera e propria tentazione, forse proprio perché ero rimasta per troppo tempo senza nutrirmi.
    «Devi venire con noi», disse l’uomo dagli occhi dorati, distogliendomi dai miei pensieri e dalla momentanea brama che mi aveva catturata. E forse era stato un bene, altrimenti quella notte sarebbe finita in un bagno di sangue.
    A quel suo dire scossi la testa, umettandomi le labbra. «Non ne ho la minima intenzione», risposi, sentendo su di me gli occhi di Manuel. Si era nuovamente accucciato fra l’erba alta, i capelli arruffati intorno al viso sporco e i vestiti che indossava quasi ridotti a brandelli, come se fossero stati squarciati da qualcosa munito di grossi artigli.
    «Non abbiamo chiesto la tua opinione», sibilò, e nel muoversi a gattoni nella mia direzione scoprì un lembo di pelle, rendendo così visibile gran parte della coscia. «Eseguiamo solo ciò che ci viene ordinato. E tu obbedirai a tua volta a quegli ordini, forastera».
    Manuel avanzò ancora, ma il suo compagno alzò una mano per bloccarlo. Appariva tranquillo, come se quella situazione fosse irrilevante. «Non sarà necessario ricorrere alla forza, Manuel», gli disse, lo sguardo dorato ancora fisso su di me. «La senõrita ci seguirà senza opporre resistenza».
    «E se invece la opponessi?» rimbeccai, sfidandoli entrambi nonostante non avessi la forza necessaria per farlo. Ero troppo debole per fronteggiare quelle creature, qualunque cosa potessero mai essere.
    La risata che si levò dalla gola di uno dei due fu capace di raggelarmi il sangue nelle vene. Con lentezza esasperante, quasi non si muovessero affatto, si avvicinarono entrambi verso di me, simili a due ghepardi pronti a ghermire la propria preda. Non mi accorsi neanche dello scatto che compirono subito dopo: Manuel mi fu nuovamente addosso e mi afferrò per il collo, issandomi da terra quasi fossi stata una piuma; il ghigno che aveva sul volto fu terrificante, ma mi spaventai molto di più quando alla fine il mio mondo si ridusse ad un oscuro oblio e non vidi più nulla.
    Ripresi i sensi solo parecchio tempo dopo, confusa. Mi trovavo su qualcosa di morbido che solo in seguito capii essere un letto, avvolta da lenzuola di seta nera che dovevano di sicuro essere molto costose. La testa mi doleva come non mai, quasi fossi stata violentemente sbattuta contro un muro da una forza sovraumana. E, beh, probabilmente era andata davvero così.
    Dando un rapido sguardo in giro mi accorsi di trovarmi in una stanza dalle pareti di pietra, adorna di arazzi e di una sola grande finestra piramidale. Non c’era niente che la arredasse, fatta eccezione per il letto su cui mi trovavo e la bara di legno che occupava il lato nord. Un momento... una bara? Fino a quel momento avevo sempre dormito in caverne buie, durante il giorno, credendo che le bare fossero soltanto una diceria. E invece... invece eccola lì, una vera e autentica bara sul cui coperchio sembrava esserci seduta una persona.
    Nell’alzarmi cercai di fare meno rumore possibile, avendo tutta l’intenzione di andarmene da lì, qualunque posto fosse. L’ultima cosa che ricordavo era l’attacco di Manuel e del suo compare in quello sprazzo d’erba, poi soltanto un grande vuoto fino a quel momento. Dove mi avevano portata quei due mostri? E soprattutto, chi era la persona lì con me? Qualcuno che doveva sorvegliarmi, forse? Beh, chiunque egli fosse, se avesse tentato di fermarmi sarebbe morto, soprattutto perché, se il mio fiuto non mi ingannava, quella stessa persona era a sua volta un vampiro. Non avevo la benché minima intenzione di farmi trattare come una bambola per la seconda volta.
    Prima ancora che potessi raggiungere la porta, però, una voce pacata mi freddò, costringendomi a fermarmi di botto. «Vedo che ti sei ripresa, chica». Proveniva dal punto in cui si trovava la bara, e forse non me ne sarei neanche dovuta meravigliare. Lo vidi alzarsi, ergendosi in tutta la sua statura con un movimento così elegante che quasi mi mozzò il fiato. Il vampiro che mi aveva trasformata non aveva mai dato sfoggio a tutta quella grazia, ma era stato bensì rude e violento come una bestia. Lui, invece, era diverso. «Manuel ha esagerato come al solito, a quanto pare».
    Deglutii sonoramente, a maggior ragione quando si voltò piano verso di me. I lunghi capelli scuri gli incorniciavano il viso pallido e sottile, donandogli un’aria vagamente femminea; ma erano i suoi occhi, di un azzurro così chiaro da sembrare bianco, a richiamare l’attenzione di chi si soffermava a guardarli. Era forse... «Non riesco a vederti in viso, chica, ma sono più che certo che tu sia sorpresa dalla mia presenza», soggiunse in tono vagamente spassoso, confermando anche la domanda che non avevo espresso ad alta voce. Era cieco. «Ti aspettavi forse che lasciassi dormire da sola una sconosciuta nel mio letto?»
    «Chi sei?» chiesi in risposta, facendo qualche passo verso di lui con circospezione. Mi sentivo attratta da quella novità come una falena alla fiamma, giacché oltre al mio creatore non avevo veduto nessun altro vampiro. Quello era il primo in quasi trent’anni. «E dove mi trovo?»
    Sorrise brevemente, e il suo viso sembrò diventare ancor più bello di quanto già non fosse. Era davvero un vampiro o mi trovavo dinanzi ad un angelo caduto all’Inferno? «Questa è una domanda che potrei porti anch’io, chica», rispose allegramente, socchiudendo di poco gli occhi chiari. Si voltò del tutto nella mia direzione e fece qualche passo per raggiungermi, fermandosi esattamente a pochi centimetri da me. Trattenni il respiro quando lo vidi alzare una mano, d’un candore tale da sembrare una falce di luna, per sfiorarmi appena una guancia. «Sei giovane», soggiunse poi in un soffio, chinando il viso per toccare il mio anche con le labbra, «eppure viaggi da sola», inspirò a fondo, facendo scorrere due dita lungo la linea della mia mascella, «e sono pronto a scommettere che non sei mai stata da queste parti prima d’ora».
    Annuii automaticamente, quasi fossi stata stregata dalla voce con cui pronunciò quelle parole. Era bassa e densa come miele, una promessa di verità e calore che non mi sarei mai aspettata da un essere dalla pelle così fredda. «Perché sono stata portata qui?» domandai ancora, forse nella vana speranza che questa volta mi rispondesse. Quel luogo aveva tutta l’aria di una stanza di un castello, ma non poteva essere possibile, giusto? Nay, doveva di certo esserci uno sbaglio.
    «Jacque non te l’ha spiegato?» Parve sorpreso, giacché sgranò di poco gli occhi pallidi. «Questo è il mio territorio, chica. Nessun nuovo vampiro ha il permesso di girovagare da queste parti senza il mio esplicito consenso».
    Mi allontanai da lui per ristabilire le distanze e aggrottai la fronte, dimenticandomi per qualche attimo che non potesse vedere le espressioni del mio viso. Trassi poi un sospiro, guardando con attenzione quel volto immoto. «Jacque sarebbe il tipo che era con quel tale, Manuel?» chiesi in tono vagamente ironico, pentendomi immediatamente di averlo fatto. Non dovevo essere stupida. La mia vita sarebbe potuta dipendere dal vampiro che avevo dinanzi.
    Con mia sorpresa, però, lui sorrise. «Proprio lui, chica», mi disse tranquillo e pacato. Faticavo però a credere che quella che mi stava mostrando fosse la sua vera essenza, probabilmente perché avevo ancora ben chiara in testa l’immagine sanguinaria del mio creatore. Mi rifiutavo di credere che un vampiro potesse essere buono e onesto. «Lui e Manuel hanno il compito di sorvegliare la zona in mia vece. Se scovano qualche straniero, hanno l’ordine di portarlo qui seduta stante».
    «Anche a costo di attaccarlo?» Non riuscii a frenare quella mia nuova domanda e quel tono sarcastico, quasi fosse la sua stessa persona a far sì che esso fuoriuscisse. Forse il mio peregrinare solitario mi aveva fatta diventare un po’ cinica.
    Il vampiro diede vita ad una scrollata di spalle che avrebbe potuto significare tutto o niente. «Non necessariamente», mi informò, volgendo lo sguardo verso la finestra. Il cielo era ancora nero, e non brillava neanche la luna. Quella era proprio la notte ideale per ritrovarsi in una situazione tutt’altro che piacevole. «Manuel è con noi da soli sei mesi, chica. Deve ancora imparare a comportarsi da bravo lupo».
    Feci per aprir bocca e rimbeccare, ma il modo in cui aveva apostrofato quell’uomo mi bloccò seduta stante, tanto che mi ritrovai ad accigliarmi, come se non me ne capacitassi. Sbagliavo o aveva proprio detto lupo? Boccheggiai come un pesce fuor d’acqua, indietreggiando di qualche passo. «Come sarebbe a dire lupo?» gli chiesi incredula. «Che cos’erano quei tipi?»
    Divertito da quel mio sconcerto, il vampiro si lasciò sfuggire una grossa risata. «Non hai mai visto un licantropo?» L’espressione sul suo viso era sinceramente spassosa. «Noi vampiri non siamo gli unici esseri sovrannaturali su questa terra, chica. Ci sono entità che neanche nei tuoi incubi peggiori potresti mai immaginare». Fece un breve inchino, scostandosi dietro alle orecchie i lunghi capelli scuri che possedeva prima di alzare lo sguardo su di me. «Ma non temere, avrai tutto il tempo del mondo per conoscere i membri di questa grande famiglia, chica. Per il momento puoi considerarti mia ospite». Mi afferrò la mano destra senza che io lo vedessi, baciandomi il dorso con galanteria prima di spostarsi verso il polso, facendo esattamente la stessa cosa. Leccò poi la vena pulsante che palpitava attraverso la pelle, e, dopo avermi lasciata andare, ammiccò e si diresse verso una porta posta sulla destra. «Oh, dimenticavo le presentazioni». Diede vita ad un sorriso sardonico, mettendo in mostra le zanne scintillanti. «Miguel Rodríguez, per servirti»
.



    Non avrei mai immaginato di ritrovarmi in una situazione del genere. Per tutti quegli anni avevo solo pensato a sopravvivere come avevo potuto, stancandomi ben presto di quella vita che mi era stata imposta. Fino alla sera addietro mi sarei lasciata morire su quello sprazzo d’erba su cui mi ero accasciata, però, forse, l’essere stata accolta in quel castello avrebbe potuto farmi rivalutare quella vita eterna che stavo ancora continuando a vivere.
    Con la benevolenza di Miguel ero rimasta nella sua stanza, riposando per un’intera mattinata come non avevo mai fatto fino ad allora, avvolta fra quelle belle e fresche lenzuola e immersa nell’oscurità più totale. Non mi ero minimamente avvicinata alla bara - che sembrava tra l’altro appartenere al possessore della stanza stessa -, troppo impaurita anche solo per farlo di qualche passo. Forse distendermi in essa mi avrebbe fatto capire una volta per tutte che, seppur mi muovessi e respirassi, ero morta, e che niente avrebbe potuto farmi credere che quello in cui cadevo durante il giorno era semplice sonno. Sapevo fin troppo bene anche da sola che non era così e che si trattava più che altro di un annullamento dell’essere, ma dopo tutti quegli anni nascosta in buie caverne e in rifugi lontani dal sole, volevo almeno sentire la morbida consistenza di un materasso.
    Ero stata raggiunta da quel tipo, Manuel, solo a tarda sera, ed ero stata scortata da lui dabbasso, in un’ampia sala dai pesanti tendaggi scuri che cadevano come archi neri dall’alto soffitto di pietra. Mi soffermai ad osservare l’arredamento, la bocca quasi spalancata dallo stupore e dall’orrore: armature scintillanti erano poste ai quattro angoli della sala come a segnare un determinato territorio, intermezzato da arazzi raffiguranti scene di caccia in grandi boschi rigogliosi, dove uomini provvisti di pesanti archi di legno rincorrevano a cavallo cerbiatte e volpi; le finestre erano poco più di piccole feritoie dalle quali filtrava debolmente la luce della luna, ma l’illuminazione era stata resa possibile grazie a delle torce disseminate in punti strategici dei quattro muri; oltre la pesante stoffa nera, poi, sul soffitto ne era stata drappeggiata anche una color cremisi che ricordava vagamente il colore del sangue, ed ero certa che la simbologia fosse tutto, in quel posto. Ciò che mi aveva lasciata davvero sconcertata, però, era stata la presenza di un grande tavolo intagliato in legno di noce sul quale era stato riposto quello che, Dio mio, sembrava essere un animale sventrato. Intorno ad esso erano accomodati più vampiri di quanto mi sarei mai aspettata, ma non apparivano impazienti come gli altri commensali; avevano quasi lo stesso odore di Manuel, e mi stupii dunque di vedere quanti - un momento, come li aveva chiamati quel tipo, Miguel? - licantropi esistessero. Non me lo sarei mai aspettato.
    Nessuno, comunque, sembrava essersi accorto di me e del mio aspetto scarmigliato, o forse non interessava affatto. Tutti i presenti, nessuno escluso, sembravano intenti ad osservare con devozione quella carcassa sanguinolenta, gli occhi vagamente socchiusi e le bocche semiaperte, quasi stessero pregustando il momento di cibarsene. E io, sebbene fossi attratta dall’odore del sangue, non sapevo se essere disgustata o meno da quella scena. Non avevo mai visto niente del genere, e i miei occhi si rifiutavano di credere che stesse accadendo davvero. Cos’era, quello, una sottospecie di rito? E se così era, dove diavolo ero capitata?
    Indietreggiai senza volerlo, andando a sbattere contro qualcosa; mi voltai lentamente e vidi un vampiro alto quasi due metri squadrarmi con attenzione, la bocca piegata in un sorriso distorto a causa della cicatrice che gli deturpava metà viso. «Donde va, senõrita?» mi chiese con voce pacata, ben diversa da come ci si sarebbe aspettato da un tipo con una cassa toracica grossa come la sua. La gola vibrava, tesa, quasi si stesse trattenendo dall’alzare la voce o altro.   Deglutii, non riuscendo ad impedirlo. Più osservavo quell’uomo in viso, più mi chiedevo come avessero fatto a segnarlo in quel modo: la cicatrice partiva dal sopracciglio per discendere verso la palpebra, tagliandola a metà fino allo zigomo; qui ruotava intorno alla linea di esso, scendendo poi alla bocca, dove rovinavano la morbida curva delle labbra. Chi l’aveva fatto e, soprattutto, che cosa avevano usato per ferire un vampiro in modo così violento? Era uno spettacolo terribile, e non avrei mai voluto fare una fine del genere anch’io. Fino a quel momento ero guarita da tutte le ferite che mi erano state inflitte, ma dubitavo che sarei riuscita a guarire da uno sfregio del genere. Quel tipo che avevo davanti non c’era riuscito, eppure era di sicuro più antico di me; quante possibilità avevo io per farlo, dunque? Nessuna.
    «Miguel ci ha raccomandati di non farti muovere, senõrita», riattaccò quell’uomo, sorridendo ancora una volta in modo affabile. Peccato che il risultato fosse tutt’altro che rassicurante. «Potrai andare in giro solo quando lui sarà di ritorno».
    «Dov’è, adesso?» mi venne istintivo chiedere, giacché tra tutti i presenti il meno pericoloso mi era sembrato proprio Miguel. Difficile dire se fosse a causa della sua cecità o del modo in cui mi si era rivolto la sera addietro.
    Quel tipo mi spinse verso la tavola imbandita senza che io potessi impedirgli di farlo, sebbene stessi facendo resistenza puntando i piedi. «Non sono affari che ti riguardano, senõrita», mi disse semplicemente, gettandomi di malo modo su una sedia. Più di un paio d’occhi si voltò nella mia direzione per scrutarmi, e fu a quel punto che mi sentii decisamente fuori luogo in quel posto popolato da tutti quegli antichi vampiri. In che diavolo di situazione mi ero cacciata? Il peggio, però, venne quando i commensali ebbero il permesso di avventarsi sul cibo, affondando denti aguzzi e zanne nella carne di quello che un tempo era stato un animale, afferrando con entrambe le mani le interiora e mordendole come se fossero state succulente fette di agnello. Il sangue colava dai brandelli di carne e dalle bocche di ognuno di loro, macchiando vestiti, tavolo e pavimento senza remore.
    Se avessi potuto, avrei vomitato. Era una scena disgustosa, e fu con chissà quale coraggio che riuscii a reggere fino alla seconda portata, durante la quale anche il vampiro sfregiato partecipò. Io approfittai per allontanarmi di corsa, uscendo da quella sala per correre via nei corridoi illuminati dalle fiaccole, con i miei passi che rimbombavano contro le pareti di pietra. Mi accasciai contro uno di essi quando fui sicura di essermi allontanata abbastanza, respirando a pieni polmoni. Sentivo il sudore imperlarmi la fronte, e non avevo bisogno di portarmi una mano ad esso per asciugarlo e sapere che si trattava di sangue. Tentai solo di calmarmi una volta per tutte, cercando di scacciare l’immagine a cui avevo da poco assistito. Come se fosse facile, poi. Mi sembrava ancora di sentire il succhiare vischioso che provocavano e l’odore di mattatoio che aleggiava nella sala, persino le viscere che si contorcevano nelle mani dei commensali.
    Trassi un lungo sospiro e provai ad alzarmi a fatica, riuscendoci finalmente solo dopo svariati tentativi; quando ripresi a camminare, poi, poco distante, sentii qualcuno sussurrare parole che non capivo in tono basso e accorato, e fu dunque spinta dalla curiosità che seguii quei suoni, forse anche nella speranza che quella nuova scoperta potesse farmi dimenticare almeno in parte ciò che avevo veduto.
    Svoltai l’angolo e mi ritrovai in un vasto disimpegno completamente privo di illuminazione, ma dalle cui profondità provenivano quei mormorii che avevo precedentemente udito. Indecisa se avanzare o meno, non mi accorsi che le mie gambe avevano cominciato ad incamminarsi da sole, portandomi dinanzi ad una porta socchiusa. Lottai contro me stessa per non sbirciare, ma persi inesorabilmente; spiai all’interno e, con gli occhi fissi sul letto che scorgevo, faticai non poco a trattenere un’esclamazione sorpresa: avvinghiati l’uno all’altro, con i corpi sudati e nudi stretti in un abbraccio mortale, Miguel si stava nutrendo di Jacque, i visi stravolti da un’emozione che fino a quel momento non avrei mai creduto che esistesse. Il lupo mannaro sdraiato sul materasso aveva il capo reclinato sui cuscini, i lunghi capelli scuri, che avevo visto legati così ordinatamente la prima volta che l’avevo incontrato, erano disordinati e nettamente in contrasto con il candido colore della federa; la bocca era socchiusa e sporca di sangue, ma la sua espressione era di completa e assoluta estasi, come se le zanne aguzze che penetravano il suo collo fossero semplici carezze gentili. Aveva afferrato Miguel per le spalle con entrambe le mani, quasi graffiandolo, e le sue gambe erano stabili sul suo bacino, quasi volesse diventare un tutt’uno con il suo corpo.
    Era uno spettacolo affascinate e terrificante al tempo stesso. Il modo in cui Miguel si muoveva sopra di lui, la tenerezza con cui sembrava succhiare il suo sangue quasi si fosse trattato della sua pelle, la forza con cui lo ribaltava per far sì che si trovasse sul suo ventre, senza che quest’ultimo opponesse la benché minima resistenza... era spaventoso e bellissimo.
    Ad un tratto Jacque urlò, assordandomi, ansimando a bocca aperta e lasciando che un rivolo di saliva scorresse lungo il mento, mentre cercava al tempo stesso le labbra di Miguel per unirsi in un bacio al sapore del sangue. Miguel non glielo negò, lasciando che il lupo gli gettasse le braccia al collo e gli graffiasse la schiena, sopraffatto dalla brama selvaggia che stava cominciando a scorrere nelle sue vene e che sentivo come uno stridio alle mie orecchie. Jacque dimenò i fianchi e leccò la pelle candida della spalla destra di Miguel, e fu a quel punto che vidi il cambiamento che scaturì dal suo corpo: le mani dietro le scapole di Miguel si trasformarono in grosse zampe munite di artigli, la voce con cui dava vita a gemiti sempre più bassi e rauchi era ormai simile a quella di un animale, ma ciò sembrava non turbare affatto Miguel, che da dove mi trovavo potevo veder sorridere come non mai. Cosa diavolo...?
    In quel mentre mi accorsi di una terza figura appollaiata sul bordo del letto, che si torceva le mani e li osservava con fare bramoso, dondolandosi avanti e indietro con le gambe strette al petto. Potevo sentire l’odore muschiato del sesso sin da dove mi trovavo, dunque potevo solo immaginare quanto fosse terribile per lui avvertirlo da così poca distanza. «Carlos», lo chiamò Miguel con voce bassa e suadente, offrendogli una mano per far sì che lui la prendesse. La fissò guardingo, allungandosi poi per afferrarla e lasciarsi trascinare nel bel mezzo del letto, venendo attirato da Jacque che subito ne approfittò per baciarlo con le labbra sporche di sangue. Vedere poi le sue grosse mani animalesche correre lungo la sua spina dorsale e i suoi artigli che lasciavano profondi solchi rossi e che subito dopo squarciavano la pelle, fu una vera e propria tentazione. L’odore del sangue mi giungeva alle narici, soffocandomi, e una strana sensazione aveva cominciato ad impossessarsi di me, sebbene fossi certa che non si trattasse unicamente di nutrimento.
    «Per quanto ancora hai intenzione di stare lì fuori a guardare, mi corazòn?» La voce di Miguel mi risvegliò bruscamente da quella contemplazione, e mi allontanai di scatto da quella porta non appena lo vidi voltato nella mia direzione, correndo a ritrovo per distanziami il più possibile da quella situazione altamente imbarazzante. Non avrei mai creduto che sapesse della mia presenza, e quel che era peggio era che guardarli mi era piaciuto. Mi ero sentita una vera pervertita.
    Non seppi quanti anni passarono esattamente da quel momento, ma in quel lungo periodo avevo praticamente vissuto sulle spalle di quella congrega, nutrendomi delle loro vittime e vivendo sotto il loro stesso tetto, stando ben alla larga da tutti coloro che sembravano guardarmi con cupidigia e odio puro. Essendo stata anch’io l’amante di Miguel - ovviamente dopo aver superato il momento di imbarazzo che mi portavo dietro da quando l’avevo visto a letto con quel vampiro maschio e con quel licantropo -, in seguito, erano in molti i vampiri che credevano mirassi ad un potere più alto, un potere assoluto che avrebbe così fatto in modo che avessi il controllo delle menti dei più giovani; il sangue di cui mi nutrivo era prettamente quello di Miguel, e ogni qual volta affondavo le mie zanne nella sua carne sentivo il suo grande potere fluire nelle mie vene, così dolce e simile all’ambrosia degli Dei. La vampira che ero stata aveva lasciato pian piano posto a quella creatura più potente, sebbene non avessi abbastanza forza per sfidare chi aveva molti più secoli di me; mi guardavo bene dall’attaccar briga con questi ultimi, tenendomi alla larga per quanto concessomi.
    Durante gli ultimi giorni della mia permanenza lì, però, scoprii la terrificante verità che si celava dietro quello scambio di sangue: ero stata usata unicamente come contenitore, in modo che Miguel potesse accumulare il proprio potere dentro di me per rivolarlo poi contro chi tentava di sfidarlo.
    Non me ne sarei mai avveduta se proprio uno di quei vampiri non mi avesse attaccata. Mi trovavo nel salone, quel giorno, intenta a sfogliare senza un reale interesse uno dei libri contenuti nella grande biblioteca di quel castello; quella notte c’era ben poco da fare, e a causa della luna piena mi era stato proibito di uscire, tutto per non rischiare che i lupi mannari potessero attaccare anche me. A nessuno di noi era permesso di uscire quando i licantropi assumevano la loro forma animale, ma starmene chiusa lì dentro era peggio di quanto sembrasse.
    In quel mentre, un rumore alle mie spalle richiamò la mia attenzione; alzai lo sguardo dal tomo che avevo dinanzi e voltai la testa in direzione della porta, vedendo qualcuno avvicinarsi a me a passo malfermo. Carlos, il vecchio amante di Miguel, appariva stanco e spossato, quasi non avesse bevuto neanche una goccia di sangue per lungo tempo. Nere occhiaie gli segnavano il viso scarno, dove l’ossatura del cranio era ben visibile sotto la pelle incartapecorita; i capelli erano sottili come quelli di un bambino, di un bianco così accecante che quasi credetti stessi sognando. Cosa gli era successo? Era diverso dal vampiro dalla bellezza belluina che avevo visto la prima volta.
    «Carlos?» lo chiamai piano, ricevendo uno sguardo tutt’altro che intelligente. Era come se in quei suoi occhi profondi, che un tempo erano stati verdi e che adesso sembravano due oblii color pece, non ci fosse la benché minima traccia di attività celebrare.
    Avanzò piano, circospetto, ciondolando avanti e indietro come se fosse ebbro, fermandosi a pochi passi quando finalmente riconobbe la mia persona. Mi squadrò per lungo tempo con quei suoi occhietti da serpente, nei quali vidi passare un lampo rosso che non riuscii a definire; in un attimo mi fu addosso e tentò di graffiarmi, la bocca spalancata a mostrarmi le zanne e la gola contratta e tesa, dalla quale fuoriuscivano versi disarticolati che non avrei definito né umani né animali. Il tavolo dietro di me si rovesciò e libri e candele caddero sul pavimento, imbrattandolo di cera un attimo prima che la fiamma si spegnesse; tentai in tutti i modi di scrollarmi di dosso Carlos, senza capire cosa gli fosse preso così d’improvviso.
    «Carlos!» esclamai, quasi volessi far presa sul suo animo, ma non servì a niente, poiché per lui, in quel momento, probabilmente ero solo cibo. Non potevo credere che mi stesse attaccando a causa di un vecchio rancore, sebbene avesse potuto averne tutte le ragioni; pensavo piuttosto che, non essendosi nutrito abbastanza, avesse attaccato la prima cosa che gli era capitata dinanzi agli occhi. Peccato che la cosa in questione ero io.
    Sentii una sua mano lacerarmi la carne all’altezza della spalla, ed urlai con tutto il fiato che avevo in gola; lo colpii ripetutamente al capo con un pugno nel vano tentativo di farmi lasciare, ma le sue zanne affondarono nell’incavo del mio braccio, strappandomi un altro grido di dolore. I suoi denti raschiarono la pelle e la squarciarono, cominciando a spiluccare la carne e a mordicchiare l’osso ormai scoperto, succhiando e deglutendo il sangue che fuori usciva da quella ferita. Urlai ancora, cercando di afferrare Carlos per i capelli, tirandolo via dal mio braccio insieme a lembi della mia stessa pelle, senza riuscire minimamente a fermarlo. Sembrava che l’odore del sangue l’avesse eccitato maggiormente, e avrebbe di sicuro mirato al mio collo se non avessi reagito d’istinto. Non me ne resi neanche conto, ma gli artigliai il petto e lo vidi fermarsi d’improvviso, gli occhi neri ingigantiti dalla confusione; guardò il mio braccio all’altezza del suo cuore e fissò poi me, tornando a guardare verso il basso. Sentivo il suo cuore pulsare nella mia mano come se si fosse trattato di una farfalla catturata che batteva freneticamente le ali, e fu la sensazione più sgradevole che avessi mai provato fino a quel momento. Non ci pensai due volte, però, a ritirare quella stessa mano senza mollare la presa su quell’organo pulsante, vedendo Carlos accasciarsi nel suo stesso sangue nel momento esatto in cui io lasciai cadere il suo cuore sul pavimento, spaventata da ciò che avevo appena fatto.
    Mi portai entrambe le mani fra i capelli e mi misi ad urlare, chiudendo freneticamente gli occhi come se non volessi vedere quell’orrore; nemmeno con il mio creatore mi ero comportata in quel modo, e ciò voleva solo significare che il mostro dentro di me stava crescendo e diventava più forte, bramoso di altro sangue e altro dolore.
    «Non pensavo che avrebbe reagito così», esordì d’un tratto una voce, e fu con lentezza inaudita che alzai piano lo sguardo verso la direzione in cui l’avevo sentita arrivare, vedendo Miguel fermo sulla soglia. Non sembrava affatto turbato, e sebbene non fosse in grado di vedere ciò che stavo vedendo io, annusava l’aria come avrebbe fatto un segugio, con una mano poggiata sul dorso di un grosso lupo. Jacque, forse? Oppure era un vero e proprio lupo, giacché i licantropi erano a caccia? Diede le spalle a quella scena, scuotendo lentamente il capo. «Forse non era sufficientemente forte per affrontare la punizione che gli avevo inflitto».
    Era stato lui a ridurlo in quel modo? Era stato lui a far sì che non bevesse sangue per giorni, che mi attaccasse e che io lo ammazzassi? Non riuscivo a credere che avesse così poca considerazione dei vampiri che gli stavano attorno e che gli giuravano fedeltà.
    Lo guardai con odio, chiudendo le mani a pugno così forte che mi ferii con le mie stesse unghie i palmi di esse. «Che tu sia maledetto, Miguel!» gli urlai contro tutto il mio disprezzo, le labbra che tremavano per la rabbia che cercavo inutilmente di reprimere. «Che tu sia maledetto!»
    A quelle mie parole Miguel si voltò appena verso di me, poggiando una mano contro il muro di pietre. «Adesso mi disprezzi, chica, ma un giorno farai tesoro di queste tue esperienze e del dono che ti ho fatto. Credimi», mi sussurrò, schioccando le dita per richiamare il suo lupo.
    Io restai lì, sola, con le mie vesti lacere e sporche, in ginocchio nella pozza nerastra del sangue di Carlos e con le sue carni divenute ceneri che cominciavano a disperdersi nell’aria circostante, affranta e sconcertata da ciò che era appena accaduto. Fu a quel punto che decisi di scappare una volta per tutte, allontanandomi da quel luogo di morte e desolazione
.
 


    D
opo quel nostro incontro non ero più stata la stessa. Miguel, pur non direttamente, mi aveva praticamente addestrata e mi aveva fatta diventare un vero e proprio mostro, facendo in modo che conoscessi il piacere perverso che si provava durante una caccia e l’eccitazione innaturale che il sangue fresco poteva scatenare in esseri come noi. E quella era stata una cosa terrificante e meravigliosa. Nel primo periodo della nostra convivenza pendevo dalle sue labbra, assorbendo ogni sua parola come se fossi stata una spugna, vogliosa più che mai di imparare. Se avessi saputo prima cosa stessi imparando, però, probabilmente sarei scappata da quel luogo di morte seduta stante, senza fermarmi neanche una notte. Invece ero rimasta lì, avevo veduto la vita da incubo che conduceva la mia stessa specie, avevo ucciso centinaia di persone soltanto per cercare di restare a mia volta in vita. Ero diventata un assassino.
    Era stato soprattutto il rendermi conto di quella consapevolezza a spingermi a lasciare Miguel una volta per tutte. Non che non avessi più ucciso, in seguito. Lo facevo allora come lo faccio tuttora, ma solo per sopravvivere, non per puro e semplice divertimento. Una parte di me non si vergognava di dire che aveva goduto non poco nell’aver provato il brivido di quelle notti di caccia, ma l’altra si era opposta fermamente per quanto concessole da quella mia natura ormai corrotta. La mia vita era diventata un vero e proprio delirio, forse anche a causa di quel contrasto che era avvenuto nel mio animo durante quel mio primo secolo di vita.
    Adesso, però, sto bene. So qual è il mio posto in questo mondo e ho messo a tacere la parte umana che avevo conservato per più di cinquecento anni chiudendola in una maledetta bara, sebbene sia diventata piuttosto schiva e distante e, per quanto odi ammetterlo, anche particolarmente stronza. Quando si vive troppo a lungo e si vedono le epoche cambiare succede, suppongo.
    Ho anche lasciato le lande sperdute del Messico da così tanti secoli che non ho neanche un reale ricordo di quei posti lontani dalla rada vegetazione, integrandomi invece perfettamente in quella città che porta il nome di St. Louis. Un bel posto, non c’è che dire, popolato da oltre un migliaio di vampiri senza che gli esseri umani che la abitano se ne siano mai accorti. E’ il posto perfetto per ricominciare. Che ci sia arrivato anche Miguel, poi, è un discorso a parte.
    State attenti alla vecchia signora con la falce. Lei è ovunque, pronta a mostrarsi quando meno la si aspetta. Forse non lo sapete, ma lei è una signora che ha tutta l’eternità del mondo nelle sue fredde mani. Si limita semplicemente a pazientare prima di ghermirvi.
    Quando vi ritroverete da soli in luoghi bui, or dunque, ricordate queste mie parole: la morte non bussa, lei entra e basta.



WHEN THE DEATH COMES
FINE




_Note conclusive (E inconcludenti) dell'autrice
Questa storia è stata scritta per il contest Bitten by Vampires indetto da Illunis, e anche se non abbiamo raggiunto il numero è stato comunque bello partecipare. Mi è difatti piaciuto moltissimo scriverla, forse per il fatto di dovermi calare nel passato della protagonista e far capire dunque cosa l'avesse spinta a diventare così.
Come già accennato nello specchietto introduttivo, essa è il prequel della long fiction Under a bloody sky, facente parte della serie St. Louis ~ Bloody Nights.
Era ormai da tantissimo tempo che avevo intenzione di scrivere l’inizio di quel racconto, quindi il contest è servito allo scopo. Come già detto, scriverla per me è stato un vero piacere. Ho potuto così mostrare un lato di Lewis che non avevo mai accennato nelle restanti storie, sebbene esso emerga di tanto in tanto nelle sue azioni e nel modo in cui si pone.
Spero che la storia sia piaciuta.  ♥




VINCITRICE DEL PREMIO PENNELLO PER LA MIGLIOR AMIBIENTAZIONE GOTICA/LUGUBRE


Messaggio No Profit
Dona l'8% del tuo tempo alla causa pro-recensioni.
Farai felici milioni di scrittori.
  
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Vampiri / Vai alla pagina dell'autore: My Pride