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Autore: vampirella    05/10/2011    1 recensioni
Questa fanfic nasce dopo aver visto la prima serie di Camelot e dopo essermi innamorata perdutamente di Clive Standen ^^. Ho mischiato gli elementi di Camelot con qualche nozione appresa dai libri della Bradley. Spero vi piaccia!
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Posso entrare?”
Sbucai con la testa dalla porta della sua camera, in attesa di risposta. Galvano era seduto su una sedia, accanto al fuoco. Faceva freddo quella sera.
“Sì.” Si tolse la camicia, in attesa della medicazione: era stato ferito durante l’ultimo scontro e così facendo mi aveva salvato la vita.
“Sai, questa è l’ultima. Sei ormai completamente guarito.” Gli dissi, mentre toglievo l’occorrente per medicarlo. Lui guardava il fuoco, aspettando pazientemente. Cercai uno spunto per fare conversazione con un uomo così chiuso.
“Ho incontrato Merlino oggi. Era crucciato.” Iniziai, mentre gli toglievo la vecchia benda.
“E perché mai?”
Tentennai un attimo: “Ginevra è sterile.” Dissi ad un fil di voce. Lui mi guardò stupito, per la prima volta quella sera: “Non è possibile.”
“Non riesce a rimanere incinta. Troppe lune sono passata e mai ha concepito…”
“Sarà un caso. Non è possibile che questo possa accadere.” Tacque. “Non è possibile che il sacrificio di tante persone svanisca così, che un uomo buono e giusto e il suo operato possa terminare in tale modo, senza discendenza…” mi guardò, fiducioso, come se potessi in un attimo smentire ciò che avevo affermato.
Non trovando alcuna risposta da parte mia, il suo sguardo si indurì: “Artù dovrà ripudiarla.”
Lo guardai, sconvolto. “Artù non ripudierà mai l’amore della sua vita.” Avevo fatto cadere le bende. La bacinella era a mezz’aria. “Dovrà farlo! Per Camelot, per il suo popolo!”
“E verso sé stesso? Verso sua moglie?”
“Artù sa cosa è giusto per tutti. E’ un uomo valoroso e intelligente.”
“E’ vero, ma è anche innamorato. Tu non capisci cosa significa provare qualcosa per una persona tanto da stare male e desiderare di concederle ogni minuto della tua vita. Non capisci cosa significa soffrire per una persona che non ti reputa alla sua altezza, che ti tratta con sufficienza anche se le hai salvato la vita, che dovresti disprezzare ed invece sei lì, ogni volta, a sperare che si salvi e che non gli succeda nulla.” Arrossii mentre gli arrotolavo attorno al braccio l’ultima benda e riprendevo in fretta e furia le mie cose. Lui però mi bloccò per un braccio e mi costrinse a guardarlo negli occhi.
“Non capisco…”
“Certo, perché sei un uomo di guerra. Le uniche cose che contano per te sono le strategie e le battaglie. Ma esistono uomini con un cuore, che sanno amare, e restano fedeli a chi con coloro han stretto un sacro giuramento davanti a Dio.” Presi le mie cose ed feci per uscire, ma lui parlò ancora.
“E sia, ma qualcosa dovrà pur fare. Camelot non cadrà per… eccesso di amore.”
“No, non cadrà.” Affermai io, senza voltarmi. “Anche senza un erede, Artù troverà il modo di mantenere la pace sui suoi territori.”

Il giorno dopo, mentre compivo i preparativi per recarmi insieme a delle serve nel bosco per raccogliere alcune erbe, Merlino si avvicinò con il suo solito ghigno strafottente. Mi salutò cordialmente e mi chiese se andasse tutto bene.
“E’ inutile che tu me lo chieda. Lo sai benissimo. Quando hai avuto la visione?”
“Stanotte. Ma non è la cosa che più mi preoccupa adesso. Dove vai?” “A raccogliere le erbe che scarseggiano nelle mie scorte. Gli infusi per la gotta e l’orticaria sono quasi finiti.”
Merlino scrutò tutt’intorno a me, osservando le ancelle che prendevano posto sui loro piccoli cavalli.
“Dovresti chiedere a Ginevra di accompagnarti.”
Accarezzai il mio cavallo: “Ginevra si rifiuta di uscire dalle sue stanze.”
“Allora tu convincila.”
“Ci ho già provato! È sempre più triste, neanche la visita ai bambini ammalati la distrae.” Sospirai. “Non so cosa fare.”
“Ci proverò io. Attendi un poco, ti prometto che scenderà.”
Merlino otteneva sempre quello che desiderava. Poco dopo smontammo dalle nostre cavalcature, nei meandri della foresta, e cominciammo a cercare le erbe che ci occorrevano per i vari decotti. Io e Ginevra cominciammo a cercare alcune bacche, mentre le ancelle scherzavano tra loro e si prendevano in giro.
“Da qualche giorno vedo Gabriella un poco giù.” esordii, mentre Ginevra tagliava alcuni arbusti da mettere nella sua bisaccia. “Sta male?”
“No, a meno che tu consideri il mal d’amore una vera e propria malattia.” Rispose, senza enfasi.
“E’ innamorata? E per causa di Sir Kay, magari?”
Ginevra sorrise un poco. “Quei due” continuò “Si cercano e si evitano, si scherniscono e si ingelosiscono, eppure non hanno il coraggio di cadere l’uno nelle braccia dell’altro.”
“Forse dovremmo aiutarli, in qualche modo.”
Lei si chiuse improvvisamente: “Non sono affari miei.”
Lasciai andare la mia bisaccia.
“Mi dispiace per quello che stai passando ma non possiamo farci niente. Ho chiesto consiglio a Merlino, ma anche lui non può intervenire sulla fecondità della donna. Ho domandato consiglio alle sacerdotesse di Avalon ma mi hanno risposto che non esiste infuso o medicina che permette di donare fertilità. Io…”
Ginevra cadde a terra, piangendo. Questa cosa la stava dilaniando ormai da troppi giorni.
La abbracciai: “troveremo una soluzione, vedrai.”
“Quale? Quale? Presto il popolo lo capirà e Artù non mi amerà più e mi ripudierà!”
“Non lo farà, vedrai. In pochi uomini ho visto negli occhi l’amore che Artù hai nei suoi per te.” Pensai alla sera precedente. “Tuo marito ha un cuore, è un uomo buono.”
“Ma allora la casata si estinguerà! Non ci saranno più Re della stirpe dei Pendragon e sarà tutta colpa mia!”
“No: la casata non si estinguerà. Se fosse così, Merlino avrebbe già fatto qualcosa.”
Ginevra si sedette, guardandomi. “Cosa intendi dire?”
“Ginevra, mio fratello vede il futuro.” Lei sussultò: non lo chiamavo mai così. “E’…una cosa che faceva già da bambino. Non lo vede sempre, ma sogna i fatti che cambieranno la storia dell’umanità. Non so come dirtelo, ma sapeva di Artù…di tutto, quando venne ad Avalon da me, prima di raggiungere il castello di Pendragon il giorno in cui re Uther fu assassinato. Me lo disse e giurò di non rivelare nulla, perciò ti prego…”
“Non lo dirò a nessuno.”
“Neanche a tuo marito?”
“Sì.”
Mi sedetti anche io, vicino a lei. “Egli non mi rivela mai gli esiti delle sue visioni, ma capisco quando qualcosa lo turba. Eppure adesso sembra soddisfatto. E’ vigile e ci osserva, ma la calma regna in lui. E’ come se aspettasse….qualcosa. So di essere una traditrice a parlarti di queste cose, ma se tu ostacolassi i suoi sogni di pace ed armonia nel regno avrebbe già parlato con Artù e gli avrebbe consigliato di cacciarti.”
“Ma se io non darò un erede ai Pendragon, chi lo farà?”
A questo non sapevo rispondere.
“Forse ci sbagliamo entrambe. Insomma, chi siamo noi per arrogarci il diritto di conoscere la nostra natura?” appoggiai la mano sulla pancia dell’amica. “Forse, mentre parliamo, una nuova speranza sta sbocciando nel tuo ventre.”
Ginevra arrossii, soddisfatta: le era tornato il buonumore. Finalmente, dopo tanti giorni, sorrideva di gioia.
“Allora, che facciamo con Gabriella?” disse lei, cambiando discorso.
“Ho un piano.”
Tornammo alla corte e passammo il pomeriggio a sistemare ed essiccare le erbe. L’atmosfera era allegra e la corte era indolente: i confini erano tranquilli e le sacerdotesse di Avalon avevano dichiarato la loro protezione su Camelot e il regno di Artù.
A cena, mentre mangiavamo, Brastias tirò fuori la questione.
“Certo, abbiamo selvaggina in tavola, ma per quanto continuerà quest’indolenza? Se continueremo a non combattere non ci ricorderemo più come farlo!”
“Non esagerare, Campione” rise il Re. “Un guerriero non dimentica la guerra in tempo di pace.”
“E anche se fosse? Non è il nostro obiettivo quello di portare pace imperitura?” esclamai.
“Dillo tu ai nostri nemici” mi rispose Brastias, agitando nella mia direzione una coscia di pollo.
“Ora i nemici sono tranquilli. Cosa consigli di fare, dichiarare guerra per scacciare la noia?” rispose Merlino, e tutti risero.
“Brastias mi ha fatto venire un’idea.” esordii e tutti mi guardarono, eccetto Galvano che continuava a tenere lo sguardo sul piatto. Dal giorno prima mi ignorava.
“Che ne direste se voi valorosi guerrieri ci insegnaste l’arte della guerra in questi tempi così tranquilli?”
“Cosa intendi dire?” mi rispose Kay, curioso.
“Tirare di spada, usare arco e frecce, come vincere ad un corpo a corpo…”non riuscii a finire la frase che i Campioni cominciarono a ridere. Brastias si strozzò con il vino e ci vollero alcuni istanti prima che potesse tornare a parlare.
“Volete che noi…vi insegniamo a combattere?” ripetè Artù, incredulo.
Ginevrà gli toccò il braccio “Beh, a noi sì. Dubito che Selene abbia bisogno di insegnamenti.”
Anche io ero un Campione.
“Ma…volete veramente farlo?” disse Brastias guardandosi in giro.
Gabriella rispose: “Perché no? Potrebbe essere utile un giorno.”
“Nel caso di assedio potremmo anche noi impugnare le armi, e nei casi più infelici opporci agli stupri e alle violenze.” Insistette Ginevra.
“Non potreste nulla contro la forza dell’uomo.” Ribadì Kay.
“Ma almeno avremmo lottato e avremmo salvo il nostro onore!” gli rispose Gabriella, che lo sfidò con gli occhi. Lui abbassò lo sguardo.
Artù, che guardava la scena sorridendo, interpellò Merlino. “Che cosa ne pensi?”
“Penso che sia un’ottima idea, sire.” Merlino mi fissava e questo mi metteva a disagio. “Le nostre splendide fanciulle ci dimostreranno così di che pasta sono fatte.”
“E sia!” Brastias sbatté la coppa di vino sul tavolo. “Non si dica mai che un cavaliere di Camelot abbia paura di una donna!”
Tutti risero eccetto Galvano. Non aveva proferito parola, ne alzato lo sguardo. Gli rivolsi la parola, anche se era dall’altra parte del tavolo.
“Naturalmente dovrà essere presente il miglior insegnante di combattimento, vero Galvano?”
Tutti si girarono a guardarlo. Lui alzò il viso dal piatto e mi fissò, poi alzò il bicchiere e assentì con la testa “sicuramente, speziale.”
Sentii stringersi lo stomaco. “Speziale” era il termine dispregiativo che utilizzava quando era in collera con me, o non condivideva quello che dicevo o pensavo. Feci finta di nulla. Alzai il mio bicchiere. “Un brindisi alla scuola di combattimento!”
Tutti mi imitarono.
Il giorno dopo, appena dopo l’alba aiutai Ginevra, Gabriella e qualche ancella ad indossare gli abiti che alcuni giovani garzoni ci avevano prestato per l’allenamento. Esse dovettero riconoscere che quegli abiti erano molto comodi ma vacillarono quando impugnarono la prima volta una spada. Eppure la versione che avevo procurato per loro era più piccola rispetto a quella che usualmente utilizzavano i cavalieri.
Raggiungemmo il Re e i Campioni nell’atrio del castello: parecchia gente era intorno a loro ed era curiosa di assistere ad uno spettacolo unico nel suo genere. Capii che le cameriere avevano parlato della serata precedente.
Sapevo anche che Merlino era presente: non lo vedevo, ma sentivo la sua presenza.
“Siamo pronte.” Disse Ginevra, inchinandosi davanti ai cavalieri che si era radunati come noi. Anche noi la imitammo.
“Bene. Per la prima parte Galvano e Brastias vi spiegheranno i rudimenti del combattimento.” Le rispose il re.
Finita la spiegazione, condita da Brastias con battute da taverna e incitazioni gratuite alla olla, che rispondeva gioiosa, decidemmo di dividerci a coppie in modo che ogni donna potesse allenarsi con un uomo.
“Sceglierò io le coppie.” esordii “Come Campione conosco abbastanza bene gli uomini, e come donna conosco abbastanza bene le donne. Sarò più che imparziale. Per prima cosa Ginevra combatterà con il suo sposo, poiché essi conoscono l’uno le debolezze dell’altro e sanno quando è giusto porre fine all’incontro.”
Artù e Ginevra si misero al centro dell’atrio.
“Amore mio, cercherò di non farti fare brutta figura.” la canzonò il Re.
“Non ti preoccupare per me. Che vinca il migliore.”
Artù fu molto blando e non attaccò mai la sua Regina: d’altra parte Ginevra era determinata e riuscì con uno scatto a puntare la spada al fianco del marito. Tutte le donne del castello esultarono per la vittoria. Mentre Artù abbracciava la moglie io mi misi vicino a Brastias e Galvano: “le donne non sono così male vero?”
Brastias si limitò a sbuffare, ma Galvano mi sorrise, complice. Girai lo sguardo verso la coppia, confusa.
“Molto bene. Per il secondo scontro Gabriella si confronterà con sir Kay, poiché essa è la più debole tra le donne e il Campione è il più magnanimo tra gli uomini.”
I due si misero in centro alla piazza. Anche Kay non attaccò mai, ma Gabriella faceva fatica a tenere con entrambe le mani la spada e i suoi fendenti erano poco potenti. Kay, rendendosi conto che non l’avrebbe mai sguarnito con una finta le girò intorno e la prese per la vita da dietro, togliendole velocemente la spada di mano.
Gabriella non si era praticamente resa conto di quello che aveva fatto, eccetto per il fatto che il Campione era dietro di lei e la teneva stretta a sé. I due si guardarono poi si allontanarono tra loro, sorridendosi.
Brastias mi scimmiottò: “Allora, che dici adesso?”
Sbuffai.
Gli incontri andarono avanti fino all’ora di pranzo. Parlai con Artù e decidemmo che per quel giorno poteva bastare: le donne erano stanche e gli uomini si stavano annoiando. Stavo per mettere fine ufficialmente alla giornata quando Galvano prese la parola: “Aspetta! Manca un incontro.”
Contai le donne: “Non mi pare: tutte hanno combattuto.”
“Manchi tu.”
Tutti mi guardarono.
“Ma lei è un Campione, non è…”Kay si bloccò.
“Una donna?” sorrise Galvano. “Le regole non era che ogni donna combattesse contro un Campione?”
Ressi il suo gioco.
“Va bene. Ma non potrò decidere contro chi combattere. Sire, quale sarà il mio avversario?”
“Galvano avrà questo onore.” Merlino comparve nell’atrio. “Siete d’accordo Artù?”
“Sì, direi che così potrà rivelarsi un combattimento alla pari.” Artù si sedette su un masso, vicino alla moglie. “Cominciate.”
Ci disponemmo uno di fronte all’altra, con le spade in posizione.
Attaccai io per prima, ma me ne pentii: mi ero fatta guidare dalle emozioni. Mi sentivo rifiutata e per questo combattevo con troppo ardore, mentre il mio avversario risparmiava energie e indovinava ogni mia mossa. Fu inevitabile ritrovarmi la spada alla gola.
“Avete vinto, Galvano.” Artù mise fine all’incontro e gli uomini esultarono. La folla si disperdette, ognuno diretto al proprio desco, mentre io mi rialzavo e Galvano rinfoderava la spada. Restammo uno davanti all’altra, incerti su cosa fare.
“Mi dispiace.” Mi disse.
“Non fa niente.” Non sapevo se parlasse dell’incontro o della discussione di qualche sera prima, ma non avevo intenzione di tirare fuori l’argomento. Mi girai e feci per seguire gli altri, ma lui mi bloccò.
“Non lo sapevo, te lo giuro. Io pensavo mi odiassi!”
“Non ti ho mai odiato. Ti trovo a volte irritante, ma non ti odio.” Lo guardai stancamente. “Mi hai salvato la vita, e per questo ti devo riconoscenza. Ma poiché conosco il tuo valore e il tuo coraggio il mio cuore è tuo."
Lui non rispose perciò ci dirigemmo al pranzo in silenzio.
Ci sedemmo molto lontano fra di noi, consapevoli di non poter affrontare altro discorso all’infuori di quello. Io mi sedetti vicino a Ginevra e commentammo gli eventi di quella mattina. Donne e uomini parlavano animatamente e si punzecchiavano sui fatti accaduti e molti brindisi si alzarono per questa e quell’altra ancella. Io e Ginevra concordammo soddisfatte che Kay e Gabriella non si staccavano gli occhi di dosso e si erano isolati dal resto della compagnia, mentre Brastias continuava ad affermare che la bravura di una donna in una camera da letto era tale e quale di una donna brava in battaglia.
Alla fine del pranzo, mentre il Re e i Campioni convocarono i messi per discutere delle notizie provenienti dalle varie parti del regno io andai con la Regina e Gabriella nel mio laboratorio a preparare alcuni medicinali.
Gabriella era euforica: “…poi Sir Kay ha detto che il mio fendente era ottimo. Capite? Il mio fendente! Ha detto che non fosse stato per il piede messo in fallo, probabilmente lo avrei battuto!”
“Io credo che tu sia un po’ troppo ottimista sulle tue qualità di guerriera , mia cara cugina.” disse Ginevra. “Hai dato scena ad uno spettacolo disastroso, solo che Kay è troppo galante per farlo notare.”
“Tu dici?” sorrise Gabriella, annusando delle lavande appena colte.
Io risi: “Sento che questo combattimento avrà un seguito, e dicendola nel modo volgare di Brastias “…avrà un seguito nella camera da letto”. Imitai la sua voce cavernosa.
Ridemmo tutte e tre di gusto, ma Gabriella tornò subito cupa. “Kay non è interessato a me.”
“Ma andiamo!” Ginevra mise le mani sui fianchi. “Non vedi come ti guarda? Aspetta solo un tuo gesto gentile per poter respirare!” Ma Gabriella non era convinta. Le dissi: “Se non ne siete sicura, fate un esperimento.”
“E quale?”
“Dunque, stasera a cena tornate sul vostro combattimento. Incalzatelo facendogli notare i vostri errori. Vedrete che cercherà in tutti i modi di non darvi della debole ma prima o poi non riuscirà a contraddirvi. Udite la sua risposta e capirete cosa pensa di voi.” Ginevra mi guardò sorniona.
“Voi dite…”
“…non so cosa dirà, ma sono sicura che quello che dirà ti farà piacere.” Le presi la mano. “ E se avrai una risposta a te gradita rispondetegli ciò che lui vuole sentirsi dire!”
“Ma cosa?”
“Non vi preoccupate, il vostro cuore ve lo dirà.”
Mentre le mie due amiche salivano le scale per andare a dar ordine per la cena, io ripulii il bancone dagli scarti delle erbe. Stavo riponendo gli ultimi barattoli al loro posto quando sentii qualcuno scendere le scale.
“Ginevra, sei tu? Arrivo subito, ho quasi finito..”
“Non sono Ginevra.” Galvano si mise vicino a me, osservando i barattoli allineati e le varie erbe messe ad essiccare al soffitto. “E così questo è il tuo laboratorio magico.”
“Non è magia, è scienza.”
“Perdonami, non volevo offenderti.”
“Non importa.” ricominciai a mettere i barattoli in fila, mentre lui girava per gli scaffali.
“Cosa vuoi?”
“Oggi i messi venuti dal Nord erano piuttosto inquieti, ma non ho capito perché. Non riuscivo a concentrarmi, un pensiero continuava a distarmi. La nostra conversazione mi distraeva.”
“Se ti ho turbato ti chiedo perdono.”
“Selene.” Mi girai, a guardarlo. “Per anni ho votato la mia vita alle più mostruose efferatezze. Il mio cuore è di ghiaccio poiché essere sensibili verso gli altri mi avrebbe portato alla pazzia durante le guerre.” Si sedette sul tavolo, e si guardò le mani “Quante persone che chiedevano pietà ho ucciso? Eppure non ho sentito nulla, poiché ho messo a tacere i miei sentimenti.”
“In guerra siamo guerrieri. Difendiamo noi, i nostri cari, il nostro popolo. Non ci è concesso essere deboli. Ma in tempo di pace siamo uomini e donne e abbiamo il diritto di ascoltare il nostro cuore. Abbiamo il diritto di fidarci l’uno dell’altro e di sostenerci nei momenti più difficili.”
Lui mi guardò: “Non so se ce lo posso fare.”
Tacqui. Sentii le lacrime inondarmi le guance.
“Selene..”
“Voglio la rivincita.”
“Cosa?”
“Un altro combattimento. Fuori. Adesso.”
“Non credo tu sia pronta…”
“ADESSO!” urlai, sfidandolo con lo sguardo. Sguainai la mia spada e uscii nell’atrio. A quell’ora non c’era nessuno se non qualche cane ed alcune oche.
Lui mi aveva seguito, titubante. Lo attaccai senza aspettare che potesse armarsi.
Lo sfidai con tutta l’energia che avevo in corpo. Quando mi mancò e si chinò per riprendere lo slancio lo colpii col ginocchio al fianco e lui cadde in ginocchio. Gli puntai la spada contro il collo e mi resi conto di aver vinto.
Poi, fu come se mi risvegliassi. La rabbia se n’era andata e mi sentivo svuotata. Feci cadere la spada e caddi in ginocchio anche io, guardando il terreno. Ansimavano entrambi. Lui si avvicinò e mi baciò, circondandomi con le sue braccia. Io restai li, stupita, poi risposi al suo bacio. Alla fine ci guardammo a lungo, senza dire una parola.
“Perché?” dissi io.
“Non lo so.” Mi sorrise. “Non ne ho idea. Ma per la prima volta nella mia vita ho sentito che sarei potuto morire ma non avevo paura perché tu saresti stata l’ultima persona a cui avrei rivolto lo sguardo.” Risi, e nascosi la testa sul suo petto. Stranamente nessuna guardia ci vide e nessuno venne a cercarci. Pensai che Merlino avesse già visto quello che sarebbe successo e mi venne in mente senza motivo la frase di Ginevra: “Ma se io non darò un erede ai Pendragon, chi lo farà?”
Rientrammo in tempo per la seconda portata. Non so che aspetto avessi, ma l’unica che se ne accorse era Ginevra. Gli altri erano troppo allegri e ubriachi per fare qualsiasi osservazione.
Artù parlava sottovoce con Merlino e sembrava assorto su strategie di guerra. Ginevra rideva all’ atroce canzone che Brastias cantava con qualche cavaliere mentre Kay e Gabriella erano spariti.
“Gabriella si è sentita poco bene e Kay l’ha accompagnata nelle sue stanze. Mi rispose qualcuno.
Mangiammo finalmente vicini, io e Galvano. A volte mi metteva la mano sulla gamba e mi sorrideva. Guardai intorno alla tavola: niente era cambiato. Tutto scorreva come al solito, eppure…
Alla fine della cena Artù ci convocò nella sala della tavola.
“I messi giunti dal Nord richiedono i nostri servigi per scongiurare una terribile battaglia. Partiremo all’alba, domani, perciò preparatevi, perché Camelot è in pericolo.”
Mi agitai sulla sedia: che cosa era successo di così grave?
Nei corridoi incontrai Merlino, che cercò di evitarmi. “Dove stai scappando così in fretta, mio caro fratello?” lo canzonai. Lui si fermò, incerto se rispondere alla mia provocazione.
“Non devi partire domani.” Mi disse preoccupato, mentre si guardava intorno.
“Non posso disobbedire agli ordini del re, e poi perché non dovrei?”
“E’ pericoloso, ti voglio qui.”
“Io sono un Campione!” sbottai. “Il pericolo è parte del mio mestiere. Perché dovrei rimanere qui?” ripetei con più intenzione.
Lui mi guardò e notai un velo di angoscia nel suo volto: “Parlerò io con Artù, ma voi non partirete.”
“Ma cosa…?” feci per rispondergli ma lui si era già volatilizzato.
Andai nelle mie camere e trovai Galvano che guardava nella finestra, verso il buio della notte.
“Domani sarà una giornata fredda, ma non vedo nuvole all’orizzonte.”
“Allora non farete fatica a raggiungere i confini.”
Galvano si girò: “Tu non vieni?”
“Merlino me lo ha proibito.”
“E da quando ascolti le parole di tuo fratello?”
Sospirai, giocando con una ciocca di capelli: “E’ angosciato, e questo non è un buon segno.”
“Merlino è sempre preoccupato. E’ convinto che se le cose non andranno come lui ha stabilito tutto il mondo cadrà in rovina.” Mi abbracciò: “So che non dovrei essere qui ma qualcosa mi ha impedito di far ritorno alle mie stanze.”
Sorrisi. “Qualcosa?” lo baciai. “Potete restare stanotte, se volete.
Lui mi lasciò. “Preferire foste mia moglie, prima.”
“Cosa?” lo guardai, stupita.
Lui si diresse verso la finestra ma poi cambiò idea e si rimise davanti a me: “Ho parlato con Artù. E’ un po’ stupito, ma acconsentirà a sposarci, al nostro ritorno.” Abbassò gli occhi: “Sempre se tu lo vorrai.”
“Io…” non sapevo che dire. “…ti prego, resta stanotte. Posso essere tua moglie anche ora, senza che Artù ci consacri a Nostro Signore.”
Lui non rispose ma non accennò a lasciare la stanza. Io chiusi la porta, felice.

All’alba gli uomini partirono. Il Re decretò che il castello non poteva rimanere sguarnito e io ne presi il comando. Ci furono molti pianti e molte promesse d’amore, tra cui quella di Sir Kay per la sua Gabriella. La dama piangeva a dirotto e non si calmò neanche quando il suo cavaliere le promise amore eterno e il ritorno sicuro a Camelot.
Merlino mi prese da parte: “Hai giaciuto con Galvano ieri notte?”
Arrossii ma non riuscii a rispondergli.
“Selene, lo so che non dovrei dirtelo, ma ho visto nel futuro e non sono sicuro che vivrò a lungo per vederlo di persona.” Tacque, cercando le parole: “Sei incinta. E tuo figlio sarà Re.” Spalancai la bocca: “Ma come…?”
“Ascoltami: non perdere il bambino e non parlarne a nessuno finchè la cosa non sarà evidente. Questo bambino deve nascere o la Britannia cadrà nel caos.” Merlino guardò Ginevra. “Dio ha voluto questo e noi ci atterremo alle sue decisioni. Il bambino verrà adottato dal Re e dalla Regina e solo così eviteremo una sanguinosa guerra. Faremo ciò che è stato fatto ad Artù in modo tale da perpetuare la leggenda. Mi aiuterai?”
Non gli risposi. Come in un sogno mi diressi senza meta quando mi ritrovai nell’atrio mentre gli uomini ultimavano gli ultimi preparativi. Mi diressi verso Galvano che stava urlando ordini ai suoi paggi.
“Che cosa c’è?” disse appena incontrò il mio sguardo.
“Nulla. Stai attento, per favore.”
Lui sorrise. “Non temere: terrò fede al giuramento che ho fatto la scorsa notte.”
Ci baciammo. Lui salì sul cavallo e seguì al trotto i cavalieri che uscirono dal portone accompagnati dai saluti della gente. Presto sparirono nella foschia mattutina.
Io mi sentivo sola, unica custode di un segreto troppo grande.

   
 
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