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Autore: Princess of the Rose    06/10/2011    2 recensioni
Si chiese se Dio l’avrebbe mai perdonata per i suoi peccati, per quelli commessi e quelli che avrebbe commesso in futuro.
Volle credere di si.
[Partecipante all'One Prompt Project di BlackIceCrystal]
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Lucy/Nyuu
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Princess of the Rose
Titolo: Miserere Mei, Deus
Personaggi: Lucy
Prompt: 94. Perdono
Desclaimer: Elfen Lied non mi appartiene, così come tutto ciò che riguarda l'opera. Detengo solo la fanfiction.

Note: Ispirata alla bellissima cantica di Giovanni Allegri, il "Misere mei", che ho avuto la fortuna di ascoltare per la prima volta grazie al rifacimento dei Machine in the Garden. Lo trovo uno dei più bei canti cristiani, e mi è sembrato appropriato per descrivere i sentimenti di Lucy dopo la sua cattura e la morte della sua unica amica.
Qualche precisazione:
1)Lucy non è mai nominata perché, se ci pensate, lei non ha un nome: gli scienziati la chiamano Lucy, Kouta e Co la chiamano Nyuu, ma lei non ha mai detto il suo nome ne nel manga ne nell'anime. Ho voluto rispettare questo particolare. Pertanto: la 'voce' è la coscienza di Lucy, e lei verrà identificata solo come 'lei'.
2)Spero vi piaccia ^^

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Miserere mei, Deus,
Secundum magnam misericordiam tuam
Et secundum multitudinem miserationum tuam
Dele iniquitatem meam.

(Giovanni Allegri; Miserere Mei, Deus)




“Mi spiace, la ragazza che era con te non ce l’ha fatta.”
Una sola frase, e quel poco di sanità mentale che le era rimasto viene spazzato via.
Lacrime scendono sulle sue guance, sono così tante che alcune escono dal casco che indossa. Le spalle strette dentro una camicia di forza neanche ce la fanno a sussultare.

Quanto tempo era che non piangeva? Anni, sicuramente.



Perché sprechi lacrime? E’ inutile.



La voce nella sua testa non ha un tono consolatorio. Sembra quasi prenderla in giro.

“Va via” le sussurra tra i singhiozzi. La voce ride.



Dove vuoi che vada? Sono dentro di te, lo sai.



Non risponde stavolta. La testa è bassa, per quanto glielo permettano le restrizioni.
“E’ colpa mia” pensa. “Non l’ho saputa proteggere. Io le avevo promesso che non le sarebbe più accaduto nulla!”



Smetti di sentirti in colpa. Poteva evitare di mettersi quel berretto.



La giovane si acciglia. Il berretto! Il berretto di Kouta! Dov’era il berretto?
Era rimasto nel magazzino, probabilmente nessuno lo aveva raccolto.

Altre lacrime.

“L’unica ricordo di Kouta! Era l’unica cosa che avevo di lui!”

La voce sbuffa.

Andiamo, dopo quello che ti ha fatto, e quello che gli hai fatto? Perché tenere il ricordo di una persona che ti odia?



Continua a piangere, ma ha smesso di singhiozzare. Ora che avverte il cuore venire avvolto da una coltre fredda, quel movimento spontaneo delle spalle le sembra solo uno spreco di energie.



Se proprio ci tieni a vendicare quella ragazetta… Potrei aiutarti.



“Siamo prigioniere.” La voce ride.



Niente può tenermi in catene. E, se mi lasci fare, anche tu ti libererai di questa prigione.



Sa di averle fatto una proposta allettante. Sente i flussi di pensieri nella sua mente, le macchinosi associazioni di idee cercano i risvolti negativi di una simile offerta.

“Dovrò uccidere?”



Solo se necessario.



Le mente. Sa che, se le spiega le sue vere intenzione, lei non le darà mai il permesso di agire.

Altre considerazioni.



Ci vendicheremo di questi sciocchi esseri. Uccideremo chiunque ci intralci o chi attacchi. Sarà legittima difesa.



Lei non risponde. Sa che non andrà così: l’odio che cova dentro di sé ha ormai sviluppato una sua personalità, sadica e sanguinaria. Sa anche che è l’unica cosa rimastale al mondo, quella sua seconda personalità.

Doveva accettarla e conviverci, era l’unica cosa rimasta da fare.

Ma era stufa di uccidere, le sue mani era già abbastanza sporche di sangue: c’era quello dei bambini all’orfanotrofio, delle famiglie massacrate per poter avere un tetto temporaneo una cui stare, della sorella e del padre di Kouta…

Per tutti i suoi dodici anni, era stata costretta a uccidere per sopravvivere; non voleva continuare quella carneficina.



Non dovrai farla tu, lascia fare a me.



Se ne avesse avuto le forze, avrebbe riso di quella voce: la sua coscienza capiva che era lei ad uccidere comunque, anche se ‘lasciava fare a lei’?

Si, probabilmente lo capiva. Forse diceva così solo per prenderla in giro.



Aspetteremo il momento opportuno, e ci vendicheremo.



Lei tace, silenziosa acconsente a versare altro sangue.



Nel suo ormai arido cuore, un ricordo si fa strada: un chiesa, e la statua raffigurante un uomo ferito appeso ad una croce. Un prete gentile le aveva raccontato la storia di quell’uomo, prima la sua testa si riversasse sul sacro pavimento: Gesù, il figlio di Dio, era morto per salvare l’umanità dai suoi peccati.

Era rimasta affascinata da quella figura, tanto che era scettica sul credere davvero che potesse essere esistito davvero una persona del genere: perché sacrificarsi per delle creature così stolte come gli uomini? Perché perdonarli, sapendo che ti stanno uccidendo per un peccato che non hai commesso?

Quel prete l’aveva chiamata misericordia: la capacità di perdonare.

Lei non aveva mai conosciuto la misericordia.


Si chiese se Dio l’avrebbe mai perdonata per i suoi peccati, per quelli commessi e quelli che avrebbe commesso in futuro.

Volle credere di si.

   
 
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