Hai gli occhi
come i suoi ~
prompt: #009,
illusion
«Vuoi dire che... che non era vero? Che non eri... tu?»
Non lo guarda. Non potrebbe mai sopportare di vedere la confusione e la tristezza che gli sente nella voce.
«No, Sora. Era lei. È sempre stata lei.»
Non lo guarda. E si chiede se sappia quanto le faccia male dirgli la verità.
Sora si prese il tempo di guardarla.
La ragazza sedeva sulla sabbia, con un album bianco nelle
mani bianche; non era sicuro di cosa stesse disegnando, ma di tanto in tanto
sollevava il viso verso il mare e sorrideva – e non poteva che vedere
cose bellissime, se sorrideva così.
Sora si prese il tempo di raggiungerla, senza fretta;
con Riku si doveva sempre correre, ma lei lo aspettava. Era bello sapere che anche adesso lo stava aspettando.
«Non capisco.»
La voce di Sora è più combattuta che mai, un sussurro che uccide il silenzio del Castello dell’Oblio.
Sospira, chiude gli occhi. Come può, lei che non ha neppure un cuore, odiarsi tanto per ciò che gli sta facendo?
«Ma Sora, lo sai che non so
nuotare...»
«Be’, è ora che impari.
Dai, ti aiuto io!»
La ragazza non sembrava convinta, però
sorrideva ancora quando si lasciò prendere per mano.
«Ma non... Non è possibile.»
Lo sente muovere un passo avanti, in cerca della forza che non gli è mai mancata, della falsa certezza che lei ha costruito per lui – e lui non vede, no, non vuole vedere il male che gli ha fatto, non vuole accettare che lei abbia mentito, che sia tutto falso, che non sia mai successo, che di lei non ha mai saputo altro che il nome. Un nome sbagliato. Il nome che entrambi hanno dato a una persona che non esiste.
«Sora» lo supplica, piano, ma lui non si arrende. Non l’ha mai fatto.
«Non può essere. Io ti ricordo. C’era l’isola, e c’eri tu, ed eravamo insieme... Non è possibile che quei ricordi siano...»
«Sora» lo implora, ascoltandolo respirare sui suoi capelli, senza la forza di allontanarsi. «Non ero io, Sora. Non ero io.»
Sora non l’ascolta. La sfiora, la volta, e lei apre gli occhi e vede i suoi e vorrebbe non averlo fatto, perché vederlo piangere è la cosa più sbagliata della sua esistenza sbagliata.
«Non è poi così
terribile... Continua a tenermi, per favore.»
Sora ridacchiò. «Ma se
è già da un bel pezzo che non ti tengo più.»
La ragazza spalancò gli occhi: si
ritrovò priva di sostegni, e la sorpresa la fece quasi annegare. Sora
nuotò in avanti per sorreggerla, ridendo ancora, tacendo solo quando lei gli si aggrappò
al collo – ma non riusciva proprio a smettere di sorridere.
La ragazza ansimava. All’inizio lo
guardò con rimprovero, ma forse anche lei rimase confusa dall’essergli
così vicina.
Sora non perse tempo a pensarci su.
«Ripetilo.» Sembra un ordine, invece anche questa è una supplica. «Guardami e ripetilo.»
Sora trema mentre la tiene stretta a sé, troppo vicino, vicino come in un ricordo fasullo che è inutile rivivere perché non è accaduto mai. Piange, forse di rabbia, forse di delusione, e ogni lacrima le strappa un pezzo d’anima – perché quella c’è, c’è, altrimenti non farebbe così male.
«Non ero io» gli ripete. «Era lei.»
Sora la guarda a lungo, il respiro ansante, gli occhi che si schiariscono.
La lascia andare, ed è più doloroso ancora.
«Sì...»
Stringendola più forte, raccolse
con la bocca una goccia salata che le scendeva giù per la guancia.
La ragazza non si ritrasse.
«Cosa fai?» disse soltanto.
«Ti asciugo» scherzò
Sora.
E smise di sorridere solo quando lei lo guidò sulle
sue labbra.
«... Hai gli occhi come i suoi.»
Naminè corre via.
I singhiozzi di una persona che non esiste sporcano le mura bianche.
[ 620 parole ]
Nota: Perché Naminè mi ha sempre ispirato tanto angst e tanto nonsense, e perché questo è indubbiamente
uno dei miei pairing het
preferiti in Kingdom Hearts.
È un peccato che sia così sottovalutato.
Quello che si svolge a margine è, naturalmente, uno dei falsi ricordi creati da Naminè per Sora; l’immagine mi è venuta in mente grazie a un episodio di 15/love in cui Cody fa il ‘morto a galla’ senza accorgersi che Kyle l’ha lasciata andare, ma quando poi se ne rende conto perde l’equilibrio e lui deve prenderla in braccio perché non affoghi.