The best birthday of my life
Erano
passati otto anni dall’ultima volta che avevo rischiato di perdere tutto per
colpa dei Volturi; la mia famiglia, i miei amici, la mia vita, il mio Jacob... era da un
po’ che non riuscivo più a considerare Jacob come un semplice amico. Non che i
suoi comportamenti nei miei confronti fossero cambiati eppure c’era qualcosa in
lui che mi attraeva. Forse erano i suoi occhi scuri, oppure la sua pelle
bronzea, ma a me non importava il motivo, a me preoccupava il risultato.
Tutte
le volte che lo vedevo mi sentivo in paradiso tutte le volte che ci sfioravamo,
anche se per sbaglio, il mondo cominciava a girare e la mia pelle sembrava
prendere una leggera scossa che mi faceva sentire…mi dispiace ma non trovo le
parole adatte nemmeno io per descrivere le mie emozioni. Farse in fondo mi
stavo innamorando di lui. No, impossibile! Eravamo amici da quando ero nata,
eppure la mamma mi aveva raccontato molte volte come si sentiva quando papà le
si avvicinava o semplicemente la guardava. Era una coincidenza che io provassi
le stesse identiche cose con il mio migliore amico?
Un
esempio pratico fu quando, durante il mio sesto compleanno, lui mi augurò tanta
gioia e felicità e mi diede un bacio sulla guancia. Ok di per sé non successe
niente, ma quel semplice bacio...
Cavolo!
Mi
sembra di sentire ancora le sue labbra morbide e perfette sfiorarmi lo zigomo!
Non
era una cosa normale, o almeno a me non sembrava giusto.
Mi
capitava sempre più spesso di sognarlo, di vedermelo comparire accanto con
addosso la solita canottiera bianca e i jeans corti strappati, i capelli corti
spettinati e il suo sorriso perfetto, quello che aveva il potere di fermarmi il
cuore.
Nel
sogno non accadeva nulla di strano,
parlavamo per ore e ore in una piccola radura, circondati dagli alberi e dai
profumi della foresta. Ad un tratto lui decideva di iniziare una gara di
velocità e incominciavamo a correre. Insomma il sogno mi faceva tornare in
mente i tipici pomeriggi che un tempo, quando vivevo ancora a Forks, passavamo
insieme e che mi mancavano terribilmente.
L’unico
particolare, quello che faceva parte della mia fantasia e non dei miei ricordi,
era il bacio, quello che mi scoccava dolcemente sulle labbra appena arrivati
vicino alla mia ex-casetta.
Tutte
le notti lo stesso sogno e tutte le mattine mamma e papà mi svegliavano proprio
in quel preciso istante, quando le labbra di lui sfioravano appena le mie...
«Tesoro?»,
dissero scuotendo leggermente il letto.
Io feci una
smorfia, non volevo alzarmi, ero stanca!
«Sai che giorno è
oggi?», chiese la voce melodiosa della mamma.
Io sbuffai.
Certo che sapevo
che giorno era, non avevano fatto altro che ricordarmelo per una settimana
intera!
«Buon Compleanno!»,
esclamarono insieme.
Di per sé non era
triste come avvenimento, dato che non sarei invecchiata mai, ma non avevo
voglia di andare a fare shopping con zia Alice.
«Gli altri sono
sotto che ti aspettano», sussurrò mamma, baciandomi la fronte e uscendo dalla
stanza senza far rumore, seguita da papà.
Mi alzai con
calma, rifeci il letto e indossai quel vestitino celeste ai piedi del letto che
dovevano aver scelto per l’occasione le zie.
Legai i capelli
color rame in una coda alta e poi indossai il medaglione che mi aveva regalato
mamma quando ero piccola.
Scesi la scale
timorosa.
Non sapevo cosa
avrei potuto trovare, anche se più o meno un’idea ce l’avevo.
Arrivata al piano
terra vidi tutti raggruppati davanti ad alcuni pacchi regalo che mi augurarono
buon compleanno, appena spuntai.
Io sorrisi.
La mia famiglia
era strana e piuttosto numerosa; c’erano nonna Esme e nonno Carl con i loro
sorrisi dolci e abbracci sinceri, zio Em e zia Rose che mi trattavano come una
principessa, zia Ali e zio Jazz che non avrebbero mai smesso di viziarmi e poi
mamma e papà che mi volevano un mondo di bene, lo sapevo.
Mentre mangiavo i
biscotti alle nocciole che aveva
preparato la mamma, scartai tutti i regali; una maglia del mio gruppo
preferito, dei trucchi, delle scarpe, un computer nuovo, un libro e un
portagioie.
La mattina passò
così e poi, verso mezzogiorno sentii arrivare un’auto.
Nonno Charlie con
nonna Sue.
Pranzai insieme a
loro, chiacchierando e ricevendo un altro regalo; una maglia color verde prato
comprata a Seattle e un paio di orecchini d’argento.
La giornata passò
così veloce, che non me ne resi nemmeno conto, tranne che per un piccolo
particolare che mi aveva stupita e rattristata: Jake non era venuto a trovarmi.
Era due mesi, se
non di più, che non ci vedevamo e lui non si ricordava nemmeno del mio
compleanno?!
Quella sera,
quando nonno Charlie partì con Sue, uscii di casa e camminai a lungo nel
boschetto vicino casa. Nessuno osò seguirmi e questo mi fece piacere, dato che
non avevo voglia di dare spiegazioni in giro. Inoltre era inutile, insomma papà
leggeva nel pensiero, zio Jazz sapeva ciò che provavo...
Era impossibile
che non sapessero che cosa avevo, no?
Quando mi stancai
mi fermai in una piccola radura ai piedi di un albero, appoggiandomi alla sua
corteccia consumata dal tempo.
La temperatura si
stava abbassando, ma io non ci feci caso e guardai il cielo stellato, nel quale
spuntò presto la luna piena.
Stavo giocando
con alcuni fili d’erba, quando sentii alcune foglie secche scricchiolare in una
zona in penombra, vicino ad alcuni alberi che delineavano la radura.
Mi alzai in
piedi, allarmata, guardandomi intorno e distinguendo il luccichio di due occhi
assolutamente non umani, che mi scrutavano.
«Chi c’è?»,
domandai, a denti stretti, pronta ad attaccare chiunque si fosse avvicinato
troppo.
Poi, una folata
di vento mi sbatté – letteralmente – in faccia l’odore del nuovo venuto e per
pochi istanti rimasi senza fiato dalla sorpresa, prima di esclamare: «Jake!»
Mi fiondai verso
la figura nascosta e mi ritrovai davanti gli occhi dolci del mio lupo gigante
preferito. Gli gettai le braccia intorno al collo peloso e incominciai a ridere
come una matta, quando incominciò a leccarmi conteno il viso.
Gli feci una
carezza sulla testa, pensando a quanto avevo temuto di non vederlo e a quanto
ero felice in quel momento.
I suoi occhi
sembrarono volermi dire qualcosa, ma poi l’espressione scomparve e si allontanò
da me, nascondendosi dietro ad un albero.
Pochi secondi
dopo non avevo più di fronte il mio peluche vivente, ma Jake; pelle bronzea,
capelli scuri, spettinati e corti e occhi luccicanti.
Indossava il
solito paio di jeans corti, ma – cosa che mi distrasse parecchio – non aveva né
una canottiera né una maglietta.
«Scusa il ritardo»,
disse sorridendomi e aprendo le braccia.
Io mi fiondai su
di lui, sentendomi protetta in quell’abbraccio così familiare e bollente.
Era venuto, era
lì con me...
... il mio Jake.
«Com’è andata la
festa di compleanno, Nessie?», mi chiese, mentre ci sedevamo ai piedi di un
albero, ancora mezzi abbracciati e sorridenti.
«Bene, perché non
sei arrivato prima? Pensavo ti portasse Charlie, come l’anno scorso. Cos’è
successo?», domandai, preoccupata.
Lui scosse la
testa infastidito: «Niente, tranne il fatto che un paio di sanguisughe hanno
deciso di passare un po’ di tempo a Forks in vacanza, sono riuscito a partire
solo un’oretta fa, quando le cose si sono un po’ calmate, inoltre gli altri
possono cavarsela anche senza di me per una sera»
Io aggrottai le
sopracciglia: «Non è successo nulla alla riserva, vero? Oddio, non dirmi che è
morto qualcuno?!»
Lui scosse la
testa: «Tranquilla Nessie, non è successo ancora niente, per fortuna. E poi io
non permetterò a nessuno di fare del male alle persone a cui voglio bene»,
disse tranquillizzandomi.
Io annuii appena
e poi sorrisi: «Che ne dici di una gara di velocità?»
Lui alzò gli
occhi al cielo, fingendosi infastidito: «Non ti sei ancora stancata di perdere?»
Io ridacchiai,
alzandomi in piedi e poi offrendogli una mano, per aiutarlo a sollevarsi: «Se
non ricordo male sei tu quello che perde sempre»
Lui prese la mia
mano e io percepii i battiti del mio cuore aumentare a quel contatto, sperai
che non se ne accorgesse e poi ci mettemmo in posizione, uno accanto all’altro.
«Non abbiamo un
percorso e un arrivo», fece notare lui e io mi morsi la lingua per non ridere: «Jake,
non ne abbiamo mai avuto uno, se non ricordo male, abbiamo sempre
“improvvisato”»
La sua risata mi
riempì il cuore di calore e dolcezza, il suo viso rilassato e sereno era così
bello, che sentivo le gambe molli.
«Pronti?», dissi.
«Partenza...»,
continuò lui.
«Via!»,
esclamammo nello stesso istante, incominciando a correre.
Il vento tra i
capelli, l’aria che mi ghiacciava il viso, il mio vestito azzurro che mi si
gonfiava intorno mentre correvo, le foglie e i rami che toccavano la mia pelle
come delle carezze dolorose che non lasciavano segni dietro di loro e il
respiro di Jake vicino al mio; erano le sensazioni più belle che avessi mai
sentito in tutta la mia vita.
Avrei potuto
continuare per sempre, se solo non mi fossi distratta un attimo e Jake non
fosse riuscito a farmi lo sgambetto che mi fece finire a terra lunga distesa.
Mi alzai subito, ricominciando
a correre, mentre sentivo la sua risata divertita ormai distante.
Appena recuperai
terreno e me lo ritrovai davanti decisi di fargliela pagare, saltandogli
addosso e facendogli perdere l’equilibrio.
Finimmo entrambi
a terra, io a cavalcioni su di lui, i nostri respiri accelerati appena a causa
della corsa.
«Chi ha vinto?»,
chiesi, dopo un paio di secondi.
Era la prima cosa
che mi venne in mente in quel momento da dire.
Insomma non mi
ero mai sentita così in imbarazzo con lui e avrei tanto voluto alzarmi,
mettendo distanza tra i nostri corpi, ma sentirlo così vicino era piacevole, necessario.
«Non lo so»,
ammise, mentre mi osservava con uno sguardo enigmatico, che mi confuse dato che
non riuscii a decifrarlo.
«Pari?»,
domandai, con il cuore che batteva come un pazzo.
Lui annuì,
appoggiando le mani sull’erba, pericolosamente vicine alle mie cosce.
«Jake...»,
incominciai, non trovando però le parole con cui continuare la frase.
In quell’istante
incominciò a piovere, eravamo nel centro esatto del bosco eppure molte gocce
riuscirono a raggiungerci, bagnando i nostri corpi, ancora troppo vicini.
Non so quanto
tempo passai a fissarlo negli occhi scuri, cercando di capire se fosse giusto
allontanarmi o no, quando vidi un lampo nelle sue iridi.
Quel sentimento
lo conoscevo e mi stupì trovarlo sul suo volto.
Lui mi voleva.
Sentii le sue
mani appoggiarsi sulle mie cosce, lentamente, coma una carezza lieve e poi
salire.
Buttai la testa
all’indietro, sentendo le gocce d’acqua scivolarmi ovunque sulla pelle e
provando un piacere incredibile, provocato dalle sue mani possessive ma dolci,
sul mio corpo.
«Nessie...»,
sussurrò, mettendosi a sedere, sempre con me sopra e prendendomi il viso tra le
mani
Lo guardai negli
occhi, perdendomi.
«Baciami», mi
lasciai scappare, mentre stringevo le dita tra i suoi capelli.
Lui non se lo
fece ripetere e si avventò sulle mie labbra, stringendomi possessivo a sé.
Io risposi al
bacio, mentre gli accarezzavo le guance e mi lasciavo toccare dalle sue mani
curiose.
«Jake», mormorai,
mentre lo sentivo leccarmi le gocce d’acqua dal collo e dalla spalla: «Non ti
fermare»
Lui gemette a
quelle parole, mentre abbassava le spalline del vestitino leggero e lo lasciava
scivolare fino alla vita, scoprendo il mio semplice reggiseno color blu notte.
Ciò che accadde
dopo fu semplicemente magnifico.
Non esistevano
più Renesmee e Jacob, la mezza vampira e il mutaforma, ma solo un ragazzo e una
ragazza che si amavano e si desideravano intensamente.
E quando quella
notte mi risvegliai tra le braccia del mio
Jake, mi sentii in paradiso, felice.
Io ero sua e lui
era mio e il nostro amore sarebbe durato per sempre...
... Cosa avrei
potuto desiderare di più dalla vita?
Fine
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My Corner:Ciao a tutti!:)
Spero che questa one-shot sia piaciuta e che riusciate a trovare il coraggio di lasciare un commentino, mi piacerebbe sapere le vostre opinioni con le quali potrei solo migliorare!^^
Lazysoul