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Autore: Chu    08/10/2011    2 recensioni
Da un’attrazione ad un’amicizia profonda: l’evoluzione di un legame dalla sua fine fino al suo inizio.
[Seconda classificata al contest "Only Slash" indetto da Only_Me e giudicato da Joey Potter.]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bill Weasley, Fleur Delacour, Remus Lupin
Note: Lime, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Personaggi: Remus Lupin, Bill Weasley, (in maniera minore) Fleur Delacour e Ninfadora Tonks
Pair: Remus/Bill (sottintesi: Bill/Fleur, Remus/Tonks e Remus/Sirius)
Prompt: profumo - ottone
Rating: R
Avvisi: angst, het (come da canon XD), missing moments, lime, raccolta, slash
Parole: 5.792 W (Word)
Note: La storia ha partecipato al contest Only Slash di Only_Me, poi giudicato da Joey Potter, classificandosi seconda (con mio grande stupore e mia grande gioia *_*).
Per capire questa storia si deve conoscere bene il canon, perché ho seguito passo passo quello, prendendo spunti a partire dal V fino al VII libro (epilogo escluso); tutto quello che è sott’inteso nella storia è perché ho dato per scontato la conoscenza del canon :) inoltre la particolarità della storia è che non è scritta dall’inizio alla fine, ma dalla fine all’inizio (prompt preso da questa lista), quindi mi sono sì concentrata sull’evoluzione del rapporto tra Remus e Bill, ma partendo da dopo la morte del primo per procedere a ritroso fino alla morte di Sirius. “Backwards” vuol dire proprio “a ritroso” XD
Vorrei inoltre precisare che la raccolta è disomogenea, in quanto la prima è una drabble, mentre le seguenti sono flash-fic (tranne le parti intitolate Giugno 1997 e Natale 1997 che sono di 1000 parole precise – come se fossero due flash-fic di 500 parole). Per contare le parole mi sono servita di questo contatore e tutte le flash sono di 500 parole esatte, perché sennò non mi divertivo abbastanza a farmi del male XD
E' tutto penso... Il giudizio alla fine, come al solito ♥

Backwards


"Tutti quelli che se ne vanno ti lasciano sempre addosso un po' di sé. È questo il segreto della memoria."
(La finestra di fronte)


C’era sempre qualcosa di malinconico in Bill da quando la guerra era finita; il viso sfregiato dalle cicatrici che Greyback gli aveva inferto era sempre sorridente, affettuoso, un po’ ironico come Bill era sempre stato, ma spesso i suoi occhi restavano incantati a guardare qualcosa. Non era qualcosa di concreto, Fleur aveva la sensazione che stesse osservando qualcosa oltre, ma non riusciva a capire dove fosse quell’oltre.

Quei momenti erano rari, ma c’erano e lei continuava ad avere la netta sensazione di aver già visto quella malinconia, su un altro volto, nello sguardo di un’altra persona; una persona morta anni prima.


Maggio 1998
Gli occhi di Andromeda ci misero un po’ a riempirsi di lacrime; prima furono attraversati da un lampo di consapevolezza, come se già sapesse. Bill capì che quello che diceva spesso sua madre era vero: una mamma certe cose le sente, le sa.

L’abbracciò istintivamente, senza nemmeno pensarci, e fu allora che sentì le lacrime bagnargli il collo e l’urlo che aveva rischiato di venir fuori essere soffocato sul suo petto. Cosa provava Andromeda in quel momento Bill poteva bene immaginarlo, perché la morte di Fred gli continuava a bruciare nel torace – ed aveva idea che quel dolore non si sarebbe mai sopito –, ma a lei non restava nessuno, se non il piccolo Ted ed una sorella con la quale doveva avere molti conti in sospeso.

All’improvviso il pianto del neonato li raggiunse dal piano di sopra e Bill, dopo aver lasciato Andromeda nell’abbraccio di Fleur, andò dal bambino.

Ted non aveva ancora un mese, ma aveva un ciuffo di peluria morbida che cambiava colore quasi istantaneamente sulla testolina altrimenti nuda; Bill non l’aveva mai visto prima di quel giorno, il giorno delle cattive notizie, il giorno della morte dei suoi genitori. Lo prese in braccio con delicatezza, cullandolo e cercando di non sporcargli il pigiamino di polvere, sporco e guerra.

“Mi dispiace,” sussurrò, mentre il bimbo continuava a piangere, con gli occhi stretti ed i pugnetti chiusi. “Mi dispiace per la tua mamma e il tuo papà…”

Bill chiuse gli occhi e ingoiò una bolla di dolore e rimpianto; poggiò la testa di Ted sulla sua spalla, dondolandolo piano fra le braccia e sentendo il corpicino caldo rilassarsi adagio contro di lui.

“Non devi preoccuparti, piccolo… Tua nonna si prenderà cura di te,” continuò a bisbigliare, mentre il bambino afferrava debolmente la sua maglia ed i suoi capelli. “Ed anch’io avrò cura di te, perché l’ho promesso a tuo padre. Me l’ha fatto giurare…”

Perché lui lo sapeva, Remus sapeva che sarebbe morto in quella battaglia finale e forse, pensò Bill mordendosi poi il labbro, lo voleva.

Ted gli strattonò i capelli per poi metterli in bocca. Il ragazzo rise, tirandolo indietro e sistemandolo di nuovo nella culla, ormai calmo; si guardarono a lungo, Bill con un sorriso tenero e sconsolato sulle labbra e il bambino con occhi attenti, curiosi, lo stesso nocciola degli occhi di suo padre. Poi sbadigliò e lentamente i suoi occhietti pieni di interesse si chiusero.

Il giovane gli accarezzò piano la guancia, con le dita che sembravano ancora sporche di battaglia. “Non avrai nulla da temere, Teddy. Ora sei al sicuro,” gli sussurrò, prima di sporgersi e baciargli la fronte; l’odore di neonato, di borotalco e pulito per un attimo vennero sopraffatti da un altro profumo, che gli ricordò immediatamente Remus, altri luoghi, altri tempi, altre emozioni. C’era profumo di selvaggio fra quei capelli radi e morbidi, di bosco e di polvere. Ma durò appena un attimo, come se per un solo istante Remus fosse stato lì presente; poi tornò l’odore buono di bambino, l’odore di talco e di bagnetti.


Qualche settimana prima
Remus era entrato in casa con gli occhi che brillavano d’emozione ed un’espressione euforica che mai nessuno gli aveva mai visto sul viso; Bill era sconvolto da tanta irruente felicità in un uomo che solitamente guardava tutto da dietro un velo di nostalgia, qualcosa d’irraggiungibile nei suoi occhi.

Gli aveva stretto la mano con forza e poi l’aveva visto sparire di nuovo.

Dopo che Harry, Ron ed Hermione furono andati via, chissà dove, Bill lo incontrò di nuovo, poco lontano da Villa Conchiglia, a pochi passi dal mare.

Parlarono a lungo di quello che sarebbe potuto succedere di lì a poco, di bollettini di guerra, agguati improvvisi, battaglie; poi Remus si sedette sulla sabbia, osservando il mare burrascoso davanti a loro.

“Pensavo che sarebbe stato terribile avere un figlio,” confessò senza guardarlo.

Bill diede un calcio ad una piccola conchiglia, poi si sedette accanto a lui: le loro spalle si sfioravano appena, senza tuttavia toccarsi davvero. “La guerra-”

“No, non solo per quello. Lo sai.”

Il primogenito Weasley annuì lentamente, guardandosi le mani giunte a trattenere le ginocchia. “Cos’è cambiato adesso?”

“Adesso?” ripeté Remus, poi rise brevemente. “Adesso Ted è nato: tutto è cambiato. Vorrei poterlo vedere crescere in un mondo migliore di questo.”

“Accadrà. Deve essere così.”

Il licantropo annuì con un unico cenno; afferrò della sabbia e poi la lasciò andare via lentamente. “Ma io non ci sarò.”

Bill si voltò finalmente a guardarlo, gli occhi arrabbiati. “Non dire così!”

Remus scosse la testa con un sorriso inquieto, ma non rispose. “Devi promettermi una cosa, Bill. Nonostante abbia chiesto ad Harry d’essere il padrino di Ted, lui è solo un ragazzo ed ha troppo di cui preoccuparsi. Gli devo molto, ma ho bisogno di sapere che qualcuno si prenderà cura di mio figlio quando-”

“Se ti accadrà qualcosa, Remus, ci saranno Tonks e Andromeda a prendersi cura di lui. Ed anch’io farò la mia parte. Ma non dare per scontato che morirai,” affermò Bill duramente, guardandolo con severità.

“Grazie. Ti devo qualcosa anche per questo, oltre che per tutto il resto.”

Il più giovane scosse la testa, guardando altrove; il suo sguardo vagò per un momento sulle dune di sabbia che li circondavano, poi avvertì la mano dell’altro scivolargli calda e sicura sul braccio, stringendolo. Non si voltò a guardarlo, ma poggiò la mano su quella di Remus, mentre le loro spalle finalmente si incontravano.

Era strano toccarsi di nuovo dopo tutto quel tempo e Bill quasi rimase sconvolto dalla mancanza di malizia in quel gesto; erano uomini sposati e mai lui avrebbe tradito Fleur, ma c’era ormai un legame indissolubile fra loro. Se sua moglie era sua perché così sanciva il matrimonio, Remus era in qualche modo “suo” ad un livello molto più sottopelle, molto meno comprensibile: era l’unico uomo da cui si era mai sentito attratto, anche sessualmente, era stato un amante appassionato ed era un amico prezioso; l’aveva aiutato in più di un’occasione, guidandolo con il savoir-faire di un mentore. Eppure non c’era modo di spiegare oltre quel legame: solo quel tocco caldo e sicuro sul suo braccio gli sembrava chiaro.


Otto mesi prima
“Non posso avere un figlio! Non nella mia condizione, non in questa situazione!” Remus camminava nervosamente lungo la cucina, una bestia in gabbia.

Bill aveva guardato Fleur e le aveva fatto cenno di uscire; la ragazza li aveva lasciati velocemente, torcendosi i capelli con le dita. Rimasti soli, l’uomo più giovane si era seduto, osservando il licantropo che continuava a ripercorrere i suoi passi con furia.

“Ti rendi conto della follia di quella donna?!” gli aveva chiesto all’improvviso, cercando comprensione nei suoi occhi.

Quella donna è tua moglie, Remus!” commentò sconvolto Bill.

“Già...” ringhiò il più anziano, fissandolo con rabbia. C’era qualcosa di così poco Remus in lui, in quel momento; Bill non riusciva a ricordare dove aveva già visto quello sguardo folle di rabbia, ma sapeva che era appartenuto a qualcuno che conosceva.

“Cos’hai intenzione di fare ora?” gli chiese, cercando di sembrare meno sconcertato di quel che si sentiva. Lo era per un sacco di motivi, primo fra tutti perché considerava la prossima nascita di un bambino un evento felice: era nato e cresciuto in una casa piena d’amore per la famiglia, e quello stesso amore l’aveva usato per crescere i suoi fratelli.

Era sconvolto anche perché una piccola parte di lui ancora reclamava quell’uomo per sé.

“Cosa dovrei fare?” Remus allargò le braccia, frastornato dalla furia. “Sono un licantropo, Bill! Una bestia, un reietto, pensi che io voglia condannare mio figlio a questo? Ma lei vuole tenerlo.”

“Le possibilità che il bambino nasca infetto sono molto basse, Remus. Lo sai bene.”

“Ma è comunque possibile.”

“Tu non volevi nemmeno sposarti e sei arrabbiato solo perché hai paura,” si sforzò di dire il più giovane, nonostante sentisse il cuore battergli d’ansia nel petto. Non aveva mai avuto paura di Remus, ma il suo istinto – il tarlo – lo metteva in guardia.

Il licantropo lo fulminò con lo sguardo, poi si avvicinò al tavolo lentamente, come se stesse lottando con tutte le sue forze per non aggredirlo. Quando lo raggiunse, però, si sedette di fronte a lui, prendendosi la testa fra le mani. “Puoi biasimarmi?”

Bill ricacciò indietro un boccone d’agitazione, sporgendosi e afferrandogli saldamente una mano. “No. Mai,” disse con serietà, poi ammorbidì il suo tono di voce, che rimase comunque fermo e severo. “Ma a questo punto non puoi lasciarli, Remus. Tonks ed il bambino sono la tua unica famiglia.”

“Non serve che me lo ricordi.”

“Al contrario, Remus, serve, perché continui a dimenticarlo. Continui a cercare non so cosa…”

Le parole gli morirono in bocca quando il licantropo lo fissò. Il suo sguardo intenso, arrabbiato, spaventato era come quello di un folle, come quello di Sirius Black. E stava guardando lui.

“Sai benissimo cosa cercavo. Chi cercavo. Ma devi aver dimenticato entrambe le cose, perché in questa stanza io non sono l’unico codardo.”

Bill non poté rispondere, perché il pomello d’ottone della porta ruotò e Tonks entrò nella stanza piangendo. Ne seguirono accuse urlate in tutte le direzioni ed infine la porta si chiuse dietro le spalle di Remus, come una condanna per tutti i presenti, ma soprattutto per Bill.


Luglio 1997
“È la più grossa cazzata della mia vita.”

Bill non aveva mai sentito Remus dire parolacce e sentirne una proprio mentre si vestiva da sposo gli sembrò un cattivo presagio.

“Non dovresti dirlo,” mormorò, alzandosi dalla poltrona sulla quale si era accomodato. Teso, si avvicinò alle spalle dell’altro per sistemargli il collo della camicia, ma Remus scansò la sua mano, rivolgendogli un’occhiata tagliente dallo specchio.

“Non capisco perché non l’abbiate voluto dire a nessun altro, Remus,” disse Arthur, entrando nella piccola stanza ridacchiando. “Comunque la sposa è su di giri! Ho sentito urla disperate oltre la porta… Oh, scusa Ted! Voglio dire, tua figlia è molto emozionata e-”

Ted Tonks sorrise semplicemente, rivolgendo un’occhiata nervosa ai presenti nella stanza. “Penso che tornerò di là. Qui non c’è bisogno di me, Bill è più che sufficiente.”

Il signor Weasley guardò suo figlio, poi Remus, ed infine seguì l’altro uomo fuori dalla stanza, con un sorriso imbarazzato. Bill sospirò, sedendosi di nuovo sulla poltrona.

“Spero che non ti abbia sentito…”

“Ted sa già come la penso…” mormorò il licantropo, scuotendo la testa e ridendo amaramente. “Lo sanno tutti. L’unica a non volerlo sapere è Ninfadora.”

Il ragazzo lo guardò attraverso lo specchio. “Perché lo stai facendo allora?”

Remus ricambiò l’occhiata, poi si voltò; chiuse i pugni strettamente, ma non c’era rabbia nei suoi occhi, solo un’immensa rassegnazione. “Per lo stesso motivo per cui tu hai cercato di convincermi a farlo, Bill.”

Non c’era biasimo nelle sue parole, ma il giovane Weasley abbassò la testa, come se un masso estremamente pesante gli fosse caduto sulle spalle. Il motivo per cui aveva insistito era molto più complicato di quel che Remus lo faceva sembrare; non era un unico perché, ma un insieme di cause, di sentimenti contrastanti che li avevano portati a quel giorno, in quella stanza minuscola.

“Non è un rimprovero, Bill.” Disse il licantropo, facendo qualche passo verso di lui, vicino, ma non abbastanza per toccarlo. In ogni caso non l’avrebbe fatto: Remus aveva smesso qualsiasi contatto fisico con lui tempo prima.

Il più giovane continuò a guardare a terra, stringendo i denti e sentendoli stridere fra loro; sapeva che nelle intenzioni dell’altro non c’era davvero accusa. L’unica persona che Remus era capace di biasimare era sé stesso, questo l’aveva capito tempo addietro, anche se non era mai riuscito a comprenderne il motivo. Ciononostante quella situazione era qualcosa che anche Bill aveva contribuito a creare.

“La scelta era mia. È mia.”

“Vuoi farmi credere che mi hai scelto come testimone perché ti sono simpatico?” sputò fuori Bill, sollevando repentinamente la testa, guardandolo dal basso, come aveva sempre fatto.

Lo sguardo di Remus divenne ancora più duro, ma il suo volto continuò a tradire solo rassegnazione. “Ti ho scelto perché sei già testimone di questa storia,” lo guardò ancora per qualche attimo, poi s’incamminò verso la porta e, afferrando la maniglia, si bloccò nel gesto di aprirla. “E perché non mi è rimasto nessun altro.”

Bill strinse gli occhi, sentendolo uscire. “La cazzata che stai per fare è anche un po’ la mia cazzata,” disse, ma nessuno lo ascoltò.


Qualche settimana prima
“Continui a scappare?” domandò il ragazzo affacciandosi dalla porta. Remus non gli rispose, continuando a guardare dalla finestra, la bacchetta stretta in mano. “Hey, rilassati. È pieno di barriere qui intorno.”

“Siamo in guerra. Nessuna barriera è sicura,” fu la risposta categorica del licantropo. Aveva le spalle tese e l’altro uomo pensò che probabilmente non si trattava solo d’agitazione per quel conflitto.

“Mi dispiace. Non avrei dovuto dirti che scappi.”

“No, non avresti dovuto.”

“Però continui ad evitarla. Al funerale di Silente-”

Remus lo fermò voltandosi verso di lui. “Eravamo tutti sconvolti. Non significava niente.”

“Gliel’hai spiegato?” domandò Bill animatamente. “Le hai spiegato che non significava niente il fatto che le hai tenuto la mano per tutto il tempo? Che ve ne siete andati insieme e che la mattina dopo lo eravate ancora?”

Il licantropo rise brevemente. “Sei forse geloso, Bill?”

Il ragazzo strinse lo schienale di una sedia, poi la sbatté a terra; qualche nugolo di polvere rotolò via dolcemente, imperturbabile. Quel gesto sembrò calmarlo, perché sospirò e rimise in piedi la sedia, accomodandosi su di essa.“Io… io ho Fleur. Dobbiamo sposarci ad Agosto…” si prese il viso fra le mani. “Volevo… Non voglio che tu rimanga solo.”

Remus tornò a guardare fuori dalla finestra per un istante, poi abbassò il capo e si voltò a guardarlo. “Io sono solo. Lo sarò comunque, Bill”

“Pensavo… Lei può starti accanto.”

“Ninfadora è una ragazzina.”

“Ma ci sei stato a letto, no?” ringhiò Bill, mordendosi poi le labbra. “Io non posso-”

“Non te l’ho mai chiesto. Siamo stati compagni di letto, è stato bello, ma non ho mai avuto la presunzione che sacrificassi il tuo matrimonio per me.” Remus scosse la testa, ridendo piano. “Il fatto è che non capisco cosa vuoi. Arrivi qui accusandomi di scappare, quando l’unico che scappava eri tu. Non ti biasimo per aver avuto vergogna d’essere stato con un uomo – più di una volta; non ti biasimo di preferire la stabilità di una famiglia ad una relazione incerta. Ma non venirmi a dire che scappo, perché mi aspetto coerenza da un uno come te. E non dirmi che non vuoi che resti solo, perché è qualcosa che tu non puoi impedire. È qualcosa che mi sono scelto, Bill.”

“Perché?” gli chiese il più giovane, ferito in tutti i punti giusti. “Perché preferisci la solitudine a…”

“Non lo capisci?” gli domandò, tra il sorpreso e il divertito. “I miei amici, i miei punti di riferimento… sono tutti morti. Ma non è questo il punto. Il punto è che sono un fantasma da quell’Ottobre del 1981: ho continuato a sopravvivere per tutto questo tempo e quando ho creduto che qualcosa potesse ancora salvarsi, quando ho pensato che la mia sopravvivenza potesse tornare ad essere vita… sai cos’è successo. Il punto, Bill, è che ho imparato la solitudine talmente bene che stare senza di lei è come stare sott’acqua.”

Il ragazzo non disse nulla per qualche attimo; poi si alzò in piedi, indugiò un momento, infine si piegò in avanti. “Lei ti ama. È una ragione più che valida per continuare a stare sott’acqua.”


Giugno 1997
Il giovane uomo aprì gli occhi, avvertendo sul viso la sgradevole sensazione di bende calde e umide, impregnate di pozioni. Prima ancora di capire dove si trovava, ricordò d’essere stato aggredito da Greyback.

“Come ti senti?” gli chiese Remus.

Bill non capì immediatamente che fosse lui, ma il calore della sua mano gli sembrò familiare, intimo. “Meglio. Meglio di ieri, almeno,” disse, cercando di sorridere sprezzante.

L’altro sorrise a sua volta e rimase a guardarlo mentre Bill mutava la sua espressione.

“Perché sei qui?” domandò perplesso, poi un barlume di consapevolezza gli illuminò gli occhi. “Mia madre! Non ti avrà per caso-”

“Non importa. Sa che non sei stato infettato, ma pensa comunque che sia meglio che io ti parli. Lo penso anch’io.”

“Perché?” chiese Bill, aggrottando la fronte – avvertì una fitta di dolore lungo tutto il viso.

“Perché nemmeno io so cosa succede quando si viene aggrediti da un licantropo in forma umana a pochi giorni dal plenilunio,” rispose Remus, stavolta guardandolo molto seriamente negli occhi. “Senti qualcosa di… diverso?”

Bill lo guardò confuso. “Cosa dovrei sentire?” domandò, cercando di concentrarsi su ciò che lo circondava, andando per tentativi. Poi all’improvviso avvertì qualcosa: il suo corpo si tese, la sua testa si spostò in avanti e le narici si dilatarono lasciando entrare quel profumo conosciuto. Remus rimase in silenzio, notando subito il cambiamento: il giovane non lo sapeva, ma le sue pupille si erano dilatate e la sua espressione si era fatta tesa, guardinga e in qualche modo remissiva.

“Sento il tuo odore…” bisbigliò il ragazzo meravigliato, mentre un brivido gli colava sinuoso lungo la schiena, come una carezza seducente.

“Come?” chiese Remus, aggrottando la fronte.

“Il tuo odore,” ripeté Bill con urgenza nella voce, mentre gli afferrava di slancio le braccia. Confuso, lo lasciò andare dopo un istante, portandosi una mano sulla fronte. “Cos’è, Remus? Perché sento il tuo profumo e…” ad un livello irrazionale, del tutto istintivo ne era spaventato e attratto; una minuscola parte della sua mente gli diceva di temere quell’uomo – no, quel lupo – perché era più forte di lui. “Mi ha trasformato?”

Il licantropo fu svelto a scuotere il capo in segno di diniego. “No, Bill, non sei un Lupo Mannaro… Ma qualcosa della Creatura Oscura ti dev’essere entrato dentro, penso. Come se fosse un tarlo. Avverti qualcosa, come… un conflitto? So che è difficile da capire, ma-”

Il giovane lo interruppe. “No, no… niente del genere, penso. È solo… Il tuo odore. È la stessa sensazione che ho provato poco dopo che Greyback mi aveva ferito: sentivo l’odore del lupo e ne ero terrorizzato, perché sapevo che era più forte di me.”

“Sei spaventato adesso?” domandò Remus; se c’era amarezza nella sua voce, Bill non lo capì, ancora confuso da quella percezione disumana e al contempo affascinato dalle implicazioni della stessa.

“Sì,” ammise, senza pensarci. “Ma è strano, perché lo avverto come… qualcosa di sessuale.”

“Prego?”

Bill guardò in basso, non osando fissare lo sguardo negli occhi inquisitori dell’altro. “Mi… eccita.”

Remus esclamò sorpreso, poi guardò altrove. “Questo potrebbe semplicemente essere per colpa della nostra relazione,” commentò conciso, poi proseguì. “E probabilmente riesci solo ad avvertire la pericolosità del licantropo, perché è come se fossi… incompleto.”

“In che senso?”

“Greyback non era trasformato quando ti ha ferito, ma il fatto che manchi poco alla luna piena rende il lupo più forte e più presente nel corpo e nella mente dell’uomo; se poi consideri che Greyback non lotta contro la bestia, ma si lascia dominare da essa, allora deve in qualche modo averti trasmesso qualcosa. Non ti trasformerai mai in Licantropo, ma a livello istintuale riuscirai sempre ad avvertire il pericolo, se ti avvicinerai ad uno di essi, in qualsiasi forma sia,” spiegò Lupin, poi scosse la testa, sospirando. “Queste tuttavia sono solo supposizioni, Bill. Ma se questo è l’unico cambiamento non potrà fare altro che giovarti: il tuo istinto ti avvertirà in caso di pericolo.”

“Penso che vada bene. Voglio dire, se sentire un odore è l’unica conseguenza allora sono stato fortunato,” tentò di sorridere, ma non riuscì a farlo, colpito da un altro pensiero. “Beh, a parte essere sfigurato.”

Remus gli sorrise simpatetico. “Questo non fermerà Fleur dall’amarti.”

“Già… mi vuole ancora…”

Per un momento gli occhi del primogenito Weasley fissarono un punto imprecisato della stanza, mentre con la mente accarezzava il bel viso della sua ragazza. Ma l’odore di Remus era troppo forte, troppo vicino per essere ignorato ed avvertì di nuovo quel brivido corrergli lungo la schiena. Tremò impercettibilmente, mentre i suoi occhi si focalizzavano di nuovo sul licantropo. “Remus…”

“Ne abbiamo già parlato,” lo interruppe perentorio.

“Non è questo…” disse, agitandosi sul materasso, cercando di nascondere la sua mezza erezione.

Il licantropo però fu più svelto a capire quale fosse il problema e scansò lo sguardo.

Bill imprecò, sbattendo la testa sul cuscino, pentendosene quando le ferite tirarono sulla pelle aperta. “Sarà sempre così?” domandò, disperatamente. “Ogni volta che ti vedrò, sarà sempre così?”

“Non lo so,” ammise Remus, stringendo i pugni sulle ginocchia. “Ma lo puoi controllare.”

“Ora non riesco a controllarmi. Ora vorrei solo che tu-”

“Vado via.”

“Inizierai ad evitarmi adesso?” chiese, aggrappandosi alla manica del suo mantello, trattenendolo. “Mi eviterai per questo e perché ho scelto di sposarmi?”

Lo sguardo di Remus si fece affilato per un momento, poi il licantropo scosse la testa. “No, Bill. Ti eviterò perché questo ti mette a disagio.”

“E mette a disagio te, come ti mette a disagio la corte di Tonks, vero?” domandò, improvvisamente furioso, fingendo di non capirne il motivo; ma sapeva bene che a renderlo rabbioso era stato il rifiuto dell’altro. “Scapperai anche da me, come sei scappato da lei?”

“Non mettere di mezzo Ninfadora, adesso.”

“Anche lei ti vuole lo stesso! L’ho sentito, mentre ero mezzo svenuto!” esclamò, incapace di contenere quell’improvvisa e insensata disperazione.

“Bill!” lo riprese Remus, guardandolo con severità.

Quel tarlo dentro di lui – come l’aveva chiamato l’altro – tremò.

“Sei agitato e sconvolto per quello che ti è successo, lo capisco. Per questo ora uscirò dall’infermeria e ci rivedremo quando sarai di nuovo calmo. Fino ad allora non cercarmi.”

Bill non riuscì a rispondere; guardò semplicemente la schiena di Remus sparire oltre la porta della stanza.


Natale 1996
Bill uscì all’aperto, raggiungendo l’uomo seduto sotto la fredda notte dicembrina. Calcò i passi per annunciare la sua presenza, ma l’altro non fece nessun cenno; gli si sedette accanto, guardando le stelle.

Rimasero in silenzio per qualche attimo, mentre Bill avvertiva le dita del licantropo sfiorare le proprie, in un gesto assolutamente non voluto. “Mia madre avrebbe voluto invitarla, ma lei ha detto che era meglio di no. Sarebbe stato snervante per tutti, ha detto.”

“È una ragazza sensibile, non voleva mettervi a disagio,” rispose Remus, senza guardarlo.

“Perché non-”

“Non iniziare questo discorso con me, Bill. Mi ama per tutte le ragioni sbagliate e non voglio farle male.”

“Va bene,” annuì il più giovane, limitandosi al silenzio. Dalla cucina venivano i rumori delle stoviglie che sua madre stava mettendo a posto; rabbrividì nel cuore della notte fredda, quasi inconsciamente tendendosi verso l’altro, sapendo quanto fosse caldo il suo corpo.

Per un momento si sentì privilegiato: lui non era mai stato rifiutato com’era successo a Tonks. Ma certo lui non amava Remus; non allo stesso modo, almeno.

“Tu invece?” chiese all’improvviso l’altro, rompendo il silenzio.

“Io cosa?”

“Tu e Fleur,” Remus non lo guardò; aveva il capo ancora rivolto verso l’alto.

“Io…” Le aveva chiesto di sposarlo. Era semplicemente naturale che lo facesse: si amavano e lui voleva una famiglia sua. Amava troppo i suoi per non voler ricreare con le sue mani quello stesso ambiente, quello stesso calore.

“Bill…” lo interruppe l’altro, sorridendo. “Lo so già.”

Non ne era davvero sorpreso; quell’uomo sembrava sapere sempre tutto, soprattutto di lui. Era talmente bravo a studiare le persone che a volte si sentiva troppo esposto e vulnerabile di fronte a lui.

“Mi dispiace,” mormorò il più giovane, passandosi stancamente una mano sulla nuca. Sarebbe stato difficile fare quel discorso, ma ormai era inevitabile affrontarlo.

“Di cosa?”

La domanda del licantropo lo confuse perché era davvero sorpresa. “Come di cosa?” chiese a sua volta. “Noi-”

Noi?”

“Io e te, Remus! Abbiamo…” abbassò la voce, lanciando una fugace occhiata verso la Tana. “Abbiamo una relazione.”

L’altro finalmente lo guardò, studiandolo per qualche attimo, come incredulo. Poi sorrise, scuotendo la testa. “Le relazioni tra uomini non sono fatte per durare, Bill. Almeno non con me,” disse, alzando di nuovo il capo.

“Cosa…? Io credevo…”

“Cosa credevi?” domandò Remus, il volto indecifrabile. Poi sospirò, chiudendo gli occhi. “Tu non vuoi avere una relazione con un uomo, Bill: tu vuoi una famiglia tua. Lo so, perché hai cresciuto i tuoi fratelli e non ti è ancora bastato,” rise, scherzando solo a metà.

“Sì, ma tu? Cosa farai?” Bill era incredulo, spaesato.

“Cosa farò io non è importante. Ricordi cosa ti ho detto quando tutto questo è iniziato, no? Non è cambiato niente da allora.”

“No, solo che sei scomparso per quasi quattro mesi e sei tornato distrutto!” esclamò Bill, agitando le braccia concitatamente; poi sbuffò e posò le mani sulle gambe. “Cosa stavi cercando di fare? Silente non voleva che tu t’infiltrassi come spia…”

“Silente mi detto che potevo andare. Mi ha solo ordinato di tornare se le cose si fossero messe troppo male ed io l’ho fatto.”

Bill scattò in piedi, esasperato. “Piantala, Remus. Pensi che lui sia felice di quello che hai fatto? È stata una follia, ammettilo e basta!”

“Non dire sciocchezze! Lui non può essere felice, Bill. Non ha nemmeno senso parlarne…” disse il licantropo, scuotendo la testa, nervoso.

“È perché non ne hai mai parlato che ti sei lanciato in una missione suicida! Se tu ti togliessi il peso-”

“Non ne ho mai parlato e non voglio farlo ora,” ringhiò Remus, guardandolo con rabbia.

Il ragazzo rimase a fissarlo in silenzio, poi alzò le mani in segno di resa. “Va bene… Io comunque non ne sono stato felice. Nessuno di noi è stato felice della tua stupida decisione. Ci hai fatto preoccupare.”

“Mi dispiace, ma ne avevo bisogno,” disse semplicemente l’altro, imperturbabile.

“Potevi venire da me! Potevi-”

“Bill, non voglio la tua pietà, non voglio niente da te e da nessun altro.”

“Beh, però il mio culo te lo sei preso, vero?” chiese pungente e arrabbiato Bill, guardandolo con furia; quando si rese conto di aver quasi gridato si voltò velocemente verso casa, ma niente diede segno che qualcuno l’avesse sentito.

“Mi pare che tu fossi d’accordo, o sbaglio?” Remus lo guardò con altrettanta furia, ma mantenendo il tono di voce basso.

Aveva sempre avuto riguardo per il suo imbarazzo, per la sua vergogna e Bill si sentì uno stupido. “Non è questo il punto,” borbottò, guardando a terra impacciato. “Non sono solo un… una specie di bambola gonfiabile. Sono tuo amico: puoi contare su di me.”

Solo allora Remus mutò la sua espressione: da dura che era si sciolse in una smorfia malinconica ed in qualche modo indulgente. “Lo so. Lo so, Bill, non pensare che non ti consideri un amico. Ma anche il tuo appoggio sarebbe stato inutile, perché non era di quello che avevo bisogno,” gli sorrise appena, piegando le labbra in modo così innaturale che la sua faccia sembrò sgretolarsi, per un attimo. “Arriverà il momento in cui mi appoggerò a te e allora lo saprai.”

Bill avrebbe voluto chiedergli cosa avrebbe saputo a quel punto, ma decise di non domandarlo, perché Remus era tornato a guardare le stelle con espressione attenta, e non avrebbe risposto comunque. Cosa ci trovasse di così interessante nel cielo dicembrino non lo capiva. Scosse la testa, infilando le mani in tasca e calciando a terra.

“È assurdo, vero?” chiese all’improvviso il licantropo, senza nessuna logica apparente.

Il ragazzo aggrottò la fronte, sollevando le spalle. “Cosa?”

“Quanto siamo fragili. Passiamo tutta la vita a lottare, costruire barriere e poi ci accorgiamo che non valgono niente, perché alla fine non importa quanto uno creda d’essere forte: scoprirà che si può cadere sempre più in basso di quanto immaginava.”

Bill lo guardò ancora, senza dire una parola; lo osservò ridere delle sue parole e lo udì schernirsi con un “lascia perdere, sono solo parole senza senso”; lo vide alzarsi, rivolgere un’ultima occhiata al cielo e poi andar via.

Rimasto solo, il ragazzo guardò in alto, fissando la stella più luminosa che brillava proprio sulla sua testa. “Senza senso un corno,” commentò, digrignando i denti.


Agosto 1996
Remus lo sbatté al muro con una tale violenza che Bill non era più sicuro di quello che stavano facendo. Lo guardò negli occhi, scoprendo che l’altro lo fissava di rimando: c’era qualcosa di spaventoso e infiammato dietro quello sguardo ed il ragazzo si sentì tremare d’ansia, d’aspettativa, di desiderio.

Non aveva mai provato attrazione per un uomo, ma Remus era diverso; non avrebbe mai saputo dire cosa esattamente l’attirasse di quella persona così triste, forse la sua forza inaspettata, forse la sua intelligenza, forse quella stessa malinconia. Qualunque fosse la ragione, lui era lì, a casa sua, spinto dalla smania irruente di toccarlo.

“Sei davvero d’accordo?” gli chiese il licantropo, allentando la presa su di lui. Gli stava dando la possibilità di tirarsi indietro, l’occasione di fuggire come aveva fatto fino a quel momento.

Basta scappare, si disse Bill, sporgendosi in avanti e baciandolo; solo quando l’altro gli prese la nuca, avvicinandolo ulteriormente a sé, mollò ogni titubanza e si lasciò andare a quella follia.

Non cerco un amante, aveva chiarito; gli aveva detto che tutto quello che cercava era un piacere effimero, una pillola contro il dolore: qualcosa che lo placasse momentaneamente.

Nemmeno Bill voleva un amante, perché aveva già Fleur, ma voleva aiutarlo e, molto più egoisticamente, voleva andarci al letto. Sapere che Remus non si aspettava niente da quell’incontro e che quello poteva essere un utile sfogo contro il suo dolore non solo aveva rassicurato Bill, ma l’aveva anche invogliato a scoprire meglio quell’uomo complicato.

Remus sembrava dello stesso avviso, anche se in una maniera molto più letterale. Gli abbassò i pantaloni, portandosi dietro anche le mutande; osservò la sua erezione con gli stessi occhi famelici con cui l’aveva guardato poco prima, poi lo voltò contro il muro, baciandogli il collo scoperto.

“Ti avviso fin da ora che farà male all’inizio, ma cercherò di evitarti quanto più dolore possibile,” gli sussurrò nell’orecchio, masturbandolo con una mano e preparandolo con l’altra.

Bill non riusciva a parlare, confuso dalla sensazione meravigliosa che quelle mani gli davano ed insieme dall’impressione fumosa che quello fosse un errore. Ma non pensò più nulla quando Remus lo penetrò lentamente, perché faceva male, sì, ma era pronto al dolore e ciò su cui era concentrato, in quel momento, era solo la sensazione di calore che lo pervadeva, che gli stava intorno. Il licantropo continuava a toccarlo con movimenti lenti, attento, e non smise di spingere finché non si fermò e tornò indietro.

Bill strinse i denti, quasi volendo protestare, perché anelava quel calore ed avrebbe voluto non finisse mai. Quando Remus gli morse il collo, muovendosi di nuovo dentro di lui, sospirò estasiato. Il resto fu confuso, perché semplicemente troppo, persino troppo piacevole, più di quanto aveva immaginato. Raggiunse l’orgasmo con un grido sorpreso quando l’altro venne e poi si accasciarono entrambi a terra, scivolando sul tappeto.

“Lascia che lo ripeta,” mormorò Remus, ripreso fiato. “Non cerco niente di più di questo e non voglio niente di più.”

Bill annuì, indolenzito e attento. Andava bene: quel prurito strano nel suo petto sarebbe passato presto.


Giugno 1996
Chi lo conosceva poco aveva detto che a Remus non interessava niente di quello che era successo; anche dopo che avevano frettolosamente lasciato l’Ufficio Misteri del Ministero non aveva detto una parola riguardo quel che era appena accaduto.

A distanza di qualche giorno Bill ancora si sorprendeva nel vederlo attivo ed efficiente come al solito; eppure sapeva che si stava solo tenendo occupato per non pensare a Sirius.

Bill l’aveva osservato a lungo, durante quell’anno di collaborazione per l’Ordine, e poteva dire di conoscerlo abbastanza da capire che il più delle volte Remus indossava una maschera; la toglieva solo davanti al vecchio amico e non perché volesse nascondere qualcosa agli altri. Semplicemente perché, nonostante Black fosse sempre nervoso e di cattivo umore, con lui il licantropo riusciva a rilassarsi. E, più di ogni altra cosa, quei due erano amanti.

Bill lo sapeva perché non poteva fare a meno di seguire Remus con lo sguardo, di osservarlo, di trovarlo in qualche modo attraente. Ma adesso che Sirius era morto, pur non avendo perso il suo fascino, la malinconia che Remus si portava sempre dietro era aumentata e lui avrebbe voluto poter fare qualcosa.

“Non c’è bisogno che mi assistiate. Quello che ha davvero bisogno di conforto è Harry,” diceva, ripetendolo come un mantra, come se volesse convincersene lui stesso.

Ma Bill continuava a stargli intorno, fino a che un giorno non ebbe il coraggio di afferrargli un braccio e stringergli la mano; non lo guardò con compassione, né con comprensione. Lo guardò e basta. Remus lo chiamò per nome, sorpreso, poi gli sorrise e strinse la presa per un momento, prima di lasciarlo andare ed accettare quello che gli stava offrendo: una spalla su cui piangere o anche solo una presenza accanto a lui.

“Voi eravate amanti,” disse Bill, prendendo il coraggio a due mani.

Il licantropo lo guardò, impassibile; poi sorrise stancamente. “Non voglio parlarne, Bill. Ma grazie lo stesso.”

“Va bene.”

“Ci osservavi, vero?” domandò Remus dopo un po’.

Il ragazzo non rispose subito, scegliendo con cura le parole. “No. Osservavo te.”

L’altro sollevò le sopracciglia, perplesso; poi fece una mezza risata. “Ti stai forse proponendo? Ma sappi che non cerco un amante. Non più.”

“Non ho detto questo,” rispose in fretta Bill, ansioso. “Ho detto che solo che ti guardavo.”

“E la signorina Delacour?”

“È la mia ragazza. Non vedo cosa c’entri con questo.”

Remus annuì, come se se lo aspettasse; poi si avvicinò a lui con cautela, stanco, ma stranamente seducente. “E allora cos’è, esattamente, che mi stai proponendo, Bill?” domandò, accostando il suo viso a quello del giovane Weasley.

L’altro sentì un tremito percorrergli la schiena, quasi pentendosi delle sue parole. Non sapeva nemmeno perché l’aveva detto, sopraffatto da quella specie di infatuazione. “Io non… non ne sono ancora sicuro,” rispose sinceramente, scuotendo poi la testa per l’imbarazzo.

“Va bene. Quando sarai sicuro, sai dove trovarmi,” affermò Lupin, tirandosi indietro lentamente; fece per uscire dalla stanza, poi si voltò a guardarlo ancora. “Non voglio che tutto questo ti confonda, Bill. Non pensarci troppo.”

Il ragazzo aggrottò al fronte. “Perché?”

Remus sorrise. “Perché io morirò.”



Fine

Note finali:
Ho notato ora che la parte in cui Bill dice a Remus che sente il suo odore mi ricorda terribilmente Doug in "Up" XDDD va beh, niente. Sono affezionata a questa storia, tutto sommato, perché mi ha fatto penare tanto e il suo giudizio ha avuto una storia travagliata XDD a proposito, eccolo qui *____________*

Seconda classificata

Backwards; di Chu


Grammatica: 20/20

Caratterizzazione dei personaggi: 10/10

Originalità: 5/5

Gradimento personale: 14.75/15

Inserimento della citazione e dei prompt scelti: 10/10;

Eventuali punti bonus: 2/3

Totale: 61.75/63

La prima cosa che mi è saltata all’occhio (oltre alla vergognosa perfezione grammaticale, voglio dire) è l’originalità della struttura: questo andare a ritroso e a ritroso e a ritroso. Mi ha dato l’idea di un precipitare nei ricordi, di un movimento contrario, di dolore; lo trovo davvero innovativo e si sposa alla perfezione con la storia narrata.
Remus e Bill sono perfetti. Ho apprezzato il tuo cercare in tutti i modi di riallacciarti ai momenti della saga, di rendere verosimile una relazione tra i due, creando dei punti di contatto in quelle poche righe che la saga dedica a entrambi.
Inoltre hai dato a tutti e due il giusto spazio: sì, è Bill il vero protagonista, ma Remus vive attraverso i suoi ricordi e non è rilegato in un angolo, e davvero, risultano molto credibili. Ma non solo loro: anche Andromeda e Fleur (pur solo accennate) sono splendide: l’una nell’atroce perdita, l’altra nel quieto sospetto.
Solo Dora mi è sembrata un po’ fuori dal personaggio, e mi ne dispiaccio, perché – malgrado io sia una fedele Wolfstar – lei mi piace.
Anche i prompt (e soprattutto la citazione) sono perfettamente incastrati in questo racconto malinconio di una storia d'amore che ha avuto la sola sfortuna di nascere nel momento sbagliato.
Una storia davvero bella, i miei complimenti.
  
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