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Autore: Ziggie    09/10/2011    2 recensioni
Ehylà, salve! Rieccomi a riempire il mondo di EFP con una shot sul mio (e, forse, vostro) beneamato capitan Barbossa, in attesa del mio continuo sui suoi frammenti... Non fatevi ingannare dal titolo, Hector è si in marina, ma è appena quattordicenne.
Non dico altro, a voi la lettura e spero in qualche recensione.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hector Barbossa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ehy, come ho anticipato nella presentazione,  dato che non voglio distogliervi da racconti Barbossosi, nel mentre sto lavorando al nono frammento, vi posto questa shot. Si tratta dei primi tempi di Hector in marina, un pò la sua formazione, parecchio difficile. Ho voluto provare a fare un analisi di quei suoi momenti, sapendo che non era facile per lui, stare in quelle file, a causa del suo rango sociale. Spero vi piaccia, buona lettura :) E recensite, se vi va.
 

   “Formazione tra le file della marina”
 

“I Greci sostenevano che, per non finire nell’oscurità dell’oblio, occorreva ricordare… Quanto è successo sono solo fatti e non verità, che il fiume Lete aiuta a dimenticare con le sue acque, che lente conducono l’uomo verso il buio e il vuoto di una vita senza ricordi”.

Era un pomeriggio torrido quello che si apriva sul mar dei Caraibi: il sole alto nel cielo picchiava e coceva le velature della nave raggrinzendole; non c’era un soffio di vento e il cielo era di un azzurro limpido, senza una nuvola.

Ogni marinaio era sottocoperta, era da pazzi affrontare quel caldo e l’unico che , di tanto in tanto, usciva sul ponte, era il timoniere, per aggiustare la rotta.

Era da qualche mese che ero in quelle fila, la marina mi stava insegnando molto, ma, nonostante ciò, non ero passato ad un ambiente migliore di quello della mia vecchia bettola.

Non mi importava fare lavori umili; non mi importava subire per imparare a migliorare, la mia condizione sociale non mi permetteva di volare alto là dentro e, perciò, ero soggetto di scherno da parte di tutti quei damerini dal faccino pulito, ma dall’anima subdola.

Stavo leggendo un passo di un libro sui Greci, quando mi sentii chiamare dal sottotenente.

- Barbossa! – la sua voce rimbombò tra le amache – a rapporto! –

- Signore? – chiesi sbrigandomi a raggiungerlo, gettando il libro, che stavo leggendo, giù dall’amaca.

- Mi hanno detto che siete agile nel muovervi sulle sartie – iniziò il discorso. Detestavo le persone che non andavano dritte al nocciolo della questione, ma rimasi calmo, quasi indifferente.

- Faccio  del mio meglio, signore – umili, ecco come si doveva apparire in marina, ma io di umile avevo giusto le origini.

- La vela maestra non mantiene il ritmo delle altre, quando si viaggia a bobina. Occorre dare maggiore cima e rammendarla -.

- Con il dovuto rispetto signore, andrebbe  portata sul ponte, e non lasciata lassù, per rammentarla -.

- Non è di una lezione di vita da parte di un misero allievo che ho bisogno. Arrampicati sul pennone di maestra e riassetta quella vela, adesso -.

Era da pazzi uscire con quel sole, equivaleva a dire fare il doppio della fatica e rimetterci la salute, a causa di un’insolazione.

Volli ribattere, ma non proferii parola, acquistavo più punti a starmene zitto e così uscii sul ponte, seguito dagli occhi soddisfatti del sottotenente, per l’ordine appena impartito, e dal vociare dei suoi sottoposti, che bisbigliavano come pettegole.

Mi rimboccai le maniche e iniziai il mio lavoro, rimanendo lassù per diverse ore. Il sole coceva la mia pelle come carne sul fuoco, la mia fronte era madida di sudore e la mia gola, secca, implorava acqua, ma dovevo portare a termine un lavoro e non avrei lasciato il posto.
Le forze mi stavano abbandonando e il mondo intorno a me prese a girare come una trottola. Stropicciai gli occhi più e più volte, ma, quando divenni vittima della nausea, fui accerchiato dall’oscurità.

Un tonfo sordo: il mio corpo inerme cadde sul duro legno del ponte facendolo vibrare, mentre un dolore lancinante mi colpiva la schiena. Avevo perso i sensi, ma le mie labbra si muovevano non emettendo alcun suono.

- Largo! – esclamò il tenente comandante – che diavolo è successo? Cosa ci faceva quest’allievo sul ponte? – ringhiò osservando tutti i presenti, in attesa di risposta.

Non una mosca fiatò.

- Il ragazzo è una testa calda, signore. Voleva riparare la vela di maestra, non c’è stato verso di fermarlo – mentì spudoratamente il sottotenente, che aveva impartito l’ordine.

- Signore! – chiamò poi uno degli allievi dal posto in cui mi trovavo poco prima – la vela è sistemata -.

- Scendete da lì e prendetevi cura di lui, mister Lonn -.

Non so dire quanto dormii, ma mi svegliai con un dolce profumo di frutta fresca, come appena raccolta.

- Ben svegliato, Hector – mi salutò Lonn – una mela? –

Lo guardai un po’ spaesato e mi misi seduto. Ero ancora incriccato e feci un po’ fatica, ma nulla di tanto grave, avevo giusto riportato qualche graffio qua e là. – Non mi dispiacerebbe – convenni e presi il frutto, sgranocchiandone una parte. – Per quanto ho dormito? –

- Due giorni…Amico mio, devi ritenerti fortunato, non hai riportato alcuna frattura -.

Evidentemente, il mio corpo aveva fatto scuola sotto le manate di quella bestia di mio padre: una caduta del genere avrebbe regalato diverse fratture a chiunque.

- La salsedine rafforza le ossa, mister Lonn – feci con fare saccente, mentre mi gustavo il frutto.

- Sei in mare da un anno – mi ricordò pacato.

- Si, ma lo conosco da una vita -.

Continuai quella routine per qualche anno, ma, nonostante divenni timoniere, quello non era affatto il mio ambiente. Dal giorno dell’incidente, il sottotenente aveva imparato a temere la mia figura, glielo potevo leggere negli occhi, a quanto pareva pensava di mettermi fuori gioco: un vero peccato che mi sia ripreso più forte di prima. Non denunciai quanto mi aveva riservato però, non ero il tipo che faceva la spia, era più divertente equiparare vendetta a piccole dosi.

Fu navigando in lungo e in largo e leggendo svariati libri, che venni a conoscenza di usi e costumi differenti, ed entrai a contatto con una dimensione di completa libertà, quando entrammo nelle acque del mare cristallino dei Caraibi.

Lì presi la decisione… In marina non sarei mai stato nessuno; il mio nome non sarebbe riecheggiato nei tempi a venire e non era quanto ambivo. Volevo qualcosa che lasciasse in disparte la mia situazione sociale; volevo diventare un comandante; un degno capitano e, facendo quattro calcoli, capitan Hector Barbossa, non suonava affatto male. 
  
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