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Autore: My Pride    10/10/2011    10 recensioni
Per quanto sapessi che, almeno in parte, fossi riuscito a lenire il dolore che si portava dietro da allora, ero conscio del fatto che non fosse ancora abbastanza.
«Vorrei solo che tu sappia che, qualunque cosa accada, io ti sarò sempre vicino»
«Tu e queste tue stronzate romantiche, dannazione»
[ Roy&Ed ♥ Mariage ~ Wedding Planning ※ 2010/10/10 ]
[ Partecipante alla challenge «Contest of Passions» indetta da ellacowgirl ]
[ Settima classificata e vincitrice del Premio Ambientazione al contest «Pair520: Celebrate Roy/Ed Day!» indetto da Setsuka ]
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Edward Elric, Roy Mustang | Coppie: Roy/Ed
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Tra i bagliori del fuoco'
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Winter Maze 520
[ Settima classificata e vincitrice del Premio Ambientazione al contest
«Pair520: Celebrate Roy/Ed Day!» indetto da Setsuka ]

Titolo: Winter Maze 520: An old promise
Autore: My Pride
Fandom: FullMetal Alchemist
Tema scelto: I want to exorcise the demons from your past, I want to satisfy the undisclosed desires in your heart › Undisclosed desires, Muse
Tipologia: One-shot
[ 4260 parole [info]fiumidiparole ]
Genere: Generale, Forse vagamente Malinconico, Sentimentale, Vagamente Introspettivo
Avvertimenti: Shounen Ai, Slice of life, Missing Moment, What if?
Characters: Roy Mustang, Edward Elric
Pairing: Roy/Ed
Rating: Giallo / Arancione
Winter challenge: 30° Luogo › Luogo libero: Montagne di Briggs
Vitii et Virtutis: Accidia Malinconia
Binks Challenge: 6° Grotta › 55° Sincerità
Prompt challenge: 9° Argomento: Clima › Gelo
Challenge in love: #19. Passione
Nota: Questa storia può vagamente collegarsi a quelle raccolte nella serie Tra i bagliori del fuoco, nello specifico a One day, who knows [ For now, nothing else matters ] e a Please, take me out of here


FULLMETAL ALCHEMIST © 2002Hiromu Arakawa/SQUARE ENIX. All Rights Reserved.



I want to reconcile the violence in your heart
I want to recognize your beauty's not just a mask
I want to exorcise the demons from your past
I want to satisfy the undisclosed desires in your heart
[ Undisclosed Desires, Muse ]
 
    Se qualcuno mi avesse detto che, a distanza di ben due anni, mi sarei ritrovato ancora una volta sulle gelide ed innevate montagne di Briggs, non ci avrei mai creduto.
    Giacché l’anno addietro la solita esercitazione fra quelle lande sperdute era catastroficamente saltata - con sommo dispiacere del General Maggior Armstrong, desiderosa più che mai di dare una bella batosta a noi dell’Est -, avevo falsamente sperato che anche stavolta me la sarei cavata e me ne sarei potuto restare nel caldo del mio appartamento. Invece eccomi lì, con il culo nella neve e i piedi gelati nonostante gli stivali foderati all’interno.
    Scossi il capo per scacciare quei pensieri e mi passai una mano fra i capelli, frustrato, liberando al contempo qualche ciocca dai fiocchi di neve che continuavano a scendere dal cielo. Fortunatamente non ci eravamo trovati in una violenta bufera - e da quelle parti accadeva piuttosto spesso -, ma il freddo era intenso e si faceva sentire, pungendomi naso e guance come se si fosse trattato di piccoli pugnali acuminati.
    Un fruscio alla mia destra richiamò la mia attenzione e mi affrettai dunque a ripararmi dietro al tronco di un albero per non farmi vedere, con la pistola in pugno premuta contro il petto. Ovviamente quella era soltanto una simulazione e quelle armi non avrebbero fatto male ad una mosca - sempre se il colpo non veniva sparato a distanza troppo ravvicinata, e il livido che mi era rimasto sotto al costato per un paio di mesi, durante le prime esercitazioni, ne era stato la prova -, ma parecchi soldati, soprattutto le nuove leve, erano fin troppo zelanti; non si poteva mai sapere come potevano reagire quei piccoli idioti. Il loro marchio era l’impulsività, e su quel punto di vista mi ricordavano quello scemo di Acciaio.
    I passi nella neve si fecero più netti e vicini, e riuscii ad udire persino lo scricchiolio di essi sul suolo ghiacciato; il rumore di un ramo spezzato risuonò qualche attimo dopo nell
aria, e fui sul punto di gettarmi all’attacco quando mi resi conto che lo scalpiccio che avevo sentito non apparteneva ad una persona, bensì ad un animale. Gli occhi neri e impauriti di un cerbiatto ricambiarono il mio sguardo, sgranandosi ancor più non appena focalizzarono del tutto la mia figura; corse via fra la neve prima ancora che potessi capirci qualcosa, lasciandomi interdetto e, aye, anche un po’ scocciato. Avevo sperato di avanzare almeno di qualche gradino e di stendere uno dei soldati di Briggs, invece ero stato bellamente fregato.
    Con uno sbuffo, inserii la sicura e ficcai la pistola alla cintola, cominciando ad avanzare cauto fra quella fitta vegetazione. Qualche raggio di sole filtrava timidamente dalla cappa di fogliame sopra di me ed illuminava la zona sottostante, creando chiazze più chiare sulla neve candida; seguii le tracce lasciate dal cerbiatto - quasi del tutto certo che stesse scappando da qualcuno giacché erano troppo ravvicinate fra loro, come se avesse proceduto al galoppo fin lì - e mi inoltrai nel sottobosco, sentendo intorno a me soltanto il silenzioso suono della montagna.
    Di tanto in tanto, la quiete veniva interrotta da qualche incerto cinguettio proveniente da punti imprecisati della boscaglia, ma nient’altro sembrava levarsi per dare almeno la parvenza che nei dintorni ci fossero altre forme di vita oltre a me. Che avessi sbagliato strada? Eppure avevo consultato la mappa prima ancora di mettermi in viaggio, dannazione. Mi sarei già dovuto trovare nei pressi delle tende allestite per l’occasione, con tanto di pomposi Generali e ufficiali al seguito ad assistere alle nostre esercitazioni.
    Imprecai a denti stretti quando la neve accumulatasi su uno dei rami degli alberi mi cadde in testa, imbrattandomi da capo a piedi; già infreddolito di mio, rabbrividii nel sentirla scivolare dietro al collo, scrollandomela ancora una volta dai capelli con foga. Perfetto, maledizione. Ci mancava soltanto quello. Stavo per togliermi il cappotto e liberarlo dalla neve quando udii nuovamente un rumore alle mie spalle, e non feci in tempo a voltarmi che qualcosa di pesante mi venne addosso, facendomi cadere; riuscii appena a scorgere un vago baluginio argentato prima che mi rotolassi nella neve, con lo scricchiolio del ghiaccio nelle orecchie e il rumore di rami spezzati.
    Provai ad estrarre la pistola nel momento esatto in cui mi ritrovai disteso di schiena, ma, prima ancora che potessi farlo, mi resi conto di avere una lama d’acciaio alla gola e sgranai gli occhi, incredulo. Ma che diavolo...? «E tu cosa diamine ci fai qui, dannato Colonnello?» sbottò una voce fin troppo familiare, e alzando lo sguardo potei ricambiare quello dorato di Acciaio. Beh, avrei dovuto capirlo subito.
    Gli poggiai una mano sul petto e lo scansai da me con ben poca grazia, sentendolo imprecare a mezza voce quando si ritrovò seduto nella neve. «Tu, piuttosto», sbuffai scontroso, «cosa credevi di fare lanciandoti in quel modo? Con una lama sguainata, per giunta».
    Acciaio si massaggiò il sedere e, guardando altrove, borbottò, «Credevo fossi uno dei soldati di Briggs», come se quello potesse giustificarlo, e io non potei fare a meno di sbuffare ancora. Atterrato da uno dei miei uomini, perfetto. Già mi sembrava di sentire nelle orecchie le risate della Regina delle nevi.
    «La prossima volta conta fino a dieci, Acciaio», ironizzai, rimettendomi in piedi per spolverarmi i calzoni. Feci poi per allungare una mano verso di lui per aiutarlo, però ci ripensai, ricordando l’ultima volta in cui ci avevo anche solo provato. Non era sembrato molto entusiasta di quella mia galanteria, ma in fondo non c’era da stupirsi: Acciaio era pur sempre Acciaio. Difatti si alzò da solo, non prima di aver ritrasmutato il proprio auto-mail.
    «La prossima volta mi assicurerò di beccarti davvero, caro il mio Colonnello di merda», replicò scorbutico, sistemandosi la coda in cui teneva legati i lunghi capelli biondi - che tra l’altro, in quegli ultimi due anni, erano cresciuti in modo spropositato e non aveva mai preso in considerazione il mio consiglio di tagliarli - prima di darmi le spalle. «Io continuo da solo, tu arrangiati».
    «In teoria dovremo andare nella stessa direzione», gli tenni presente in tono di sufficienza, ricevendo un’occhiataccia a dir poco infuocata. Il che era ironico, specialmente se tenevamo conto che l’Alchimista di Fuoco ero io.
    «Puoi benissimo prendere un’altra strada», sembrò ironizzare, cominciando ad avviarsi senza aspettarmi. Lo vidi scansare i rami dei cespugli con fare indispettito, e non potei fare a meno di alzare lo sguardo al cielo e sospirare pesantemente. Quel ragazzo era decisamente una spina nel fianco, quando ci si metteva: assurdamente testardo e sempre propenso a fare di testa propria senza volerne sapere di ascoltare qualcuno. A quei miei stessi pensieri, però, sorrisi. Essere attratti da un bisbetico fagiolino nevrotico aveva anche i suoi vantaggi, in fin dei conti.
    Seguii Acciaio tenendomi a pochi passi di distanza da lui, lo sguardo fisso su quella coda bionda che ondeggiava sulle sue spalle ad ogni minimo movimento; il giaccone che indossava gli stava grande ed era piuttosto lungo, tanto da farlo sembrare un bambino che, per gioco, si era preso gli abiti del padre dall’armadio e aveva cominciato a correre per casa. Ridacchiai fra me e me per quel paragone, rimediandoci una rapida occhiata indispettita come se si fosse accorto che ce l’avevo con lui. Quando si trattava della sua altezza era davvero perspicace.
    La sua compagnia migliorò decisamente quella lunga traversata, per quanto non avessimo aperto bocca nemmeno per un attimo. Le sole cose che rompevano la quiete erano i bassi cinguettii degli uccelli e lo strisciare sulle foglie secche di qualche serpente ritardatario che tornava alla tana, e la cosa stava diventando alquanto monotona. Odiavo le esercitazioni invernali anche per quel motivo. Perché ci fossi costretto a parteciparvi, poi, per me era un vero e proprio mistero. In quanto ufficiale d’alto rango mi sarei dovuto trovare come gli scorsi anni ad addestrare le truppe composte dai nuovi soldati, non di certo fra la neve in mezzo ai boschi. Eppure, a quanto sembrava, era andata esattamente così e ci vedevo lo zampino del General Maggiore. Non ci eravamo mai sopportati, io e lei.
    Sentii degli schiamazzi provenire in direzione ovest e, facendo cenno ad Acciaio di fare il minimo rumore possibile, mi avvicinai ad un gruppo di alberi sempreverdi che avrebbero potuto nascondermi, permettendomi al tempo stesso di guardare oltre. Facendomi largo fra i cespugli, aguzzai la vista e sbirciai attentamente, notando una piccola truppa composta da soli tre uomini seduti a ridosso di un paio d’abeti; stavano chiacchierando amabilmente e sorseggiavano quello che aveva tutta l’aria di essere del liquore, o almeno così mi parve dato il colorito dorato che possedeva. Stavano facendo una pausa, a quanto sembrava.
    Portandomi una mano alla cintola, afferrai la pistola e, dopo lo scatto della sicura, presi la mira con quanta più attenzione possibile, socchiudendo di poco un occhio per non sbagliare. Però Acciaio mi distrasse, accovacciandosi immediatamente al mio fianco. «Che diavolo vuoi fare con quella cazzo di pistola?» sibilò aspramente. «Hai intenzione di ammazzarli?»
    Imprecai a denti stretti, sbuffando. «Abbassa la voce e rilassati, dannazione», rimbeccai in un sussurro nervoso e annoiato. «Queste sono semplici scacciacani che utilizziamo durante questo tipo di esercitazioni, non è mai morto nessuno e non c’è dunque bisogno di agitarsi. Parli tu, poi, che volevi usare il tuo auto-mail come arma impropria?»
    Acciaio incassò il colpo con una sorta di grugnito disgustato, distogliendo lo sguardo. «Aggiriamoli e basta, Colonnello di merda», replicò con il medesimo tono, sebbene avesse alzato un tantino la voce. «Oppure andiamo lì e affrontiamoli faccia a faccia, senza usare metodi come questo», soggiunse seriamente, e dal modo in cui si alzò sembrò pronto a fare anche da solo ciò che aveva appena detto.
    Maledizione. Forse sarebbe stato meglio continuare senza di lui, visto il suo essere così testardo anche quando si trattava di addestramenti di quel tipo. Chi era il soldato con più esperienza in campo, tra noi? Io o lui? Che mi ascoltasse per una buona volta, accidenti. Borbottando qualcosa fra me e me, inserii la sicura della pistola e scoccai una rapida occhiata ad Acciaio. «Vediamo di allontanarci senza farci scoprire, allora», gli sbottai contro in un sussurro, stando attento a non fare troppo rumore mentre sentivo nelle orecchie gli schiamazzi che provenivano da quei tre soldati. Avevano cominciato a ridacchiare, ignari del pericolo che avevano rischiato di correre.
    Sebbene avesse ricambiato quella mia occhiata di sfida, Acciaio si allontanò da quel gruppo di alberi con attenzione, guidandomi nel bel mezzo della foresta e, nello specifico, lontano dai tre uomini che stavano ancora festeggiando in barba al fatto che erano lì per addestrarsi, non per fare una scampagnata in mezzo alle montagne.
    Fu una vera fortuna quando, al calar della sera, Acciaio riuscì a scorgere il piccolo ingresso di una grotta nel folto della boscaglia. Avanzando fra arbusti secchi e spezzati dalle intemperie, fra la neve che ci arrivava ormai alle caviglie e i rami più bassi degli alberi che ci ostruivano il passaggio e rischiavano pure di cavarci un occhio, giungemmo infine a destinazione, ringraziando un qualunque dio per quell’inaspettata botta di culo.
    Mi lasciai cadere seduto sulla pietra con un lamento, sfilandomi gli stivali per massaggiarmi le dita dei piedi. Erano piuttosto freddi e mi facevano un po’ male, ma fu con sollievo che, una volta liberatomi anche di un calzino, vidi che non vi era traccia di geloni. Meglio così. Perdere le dita era proprio l
ultima cosa che volevo, in mezzo a quel posto sperduto.
    Stavo infilando nuovamente calzini e scarponi quando mi resi conto che Acciaio non mi aveva seguito, vedendolo raggiungermi solo qualche attimo dopo; reggeva un mucchietto di legna che doveva aver raccolto nei dintorni e persino qualche ramo che aveva strappato dagli alberi, viste le foglioline ancora verdi su di essi. Sarebbe stato alquanto difficile bruciarli per bene, quelli.
    Intercettando il mio sguardo, Acciaio bofonchiò «Alcuni sono umidi e altri freschi, ma vedi di farteli bastare», quasi mi avesse letto nel pensiero. Beh, almeno era da apprezzare il fatto che li avesse raccolti senza che gli dicessi io di farlo. Lasciò quel mucchietto al mio fianco e andò a prendere posto poco distante, osservando ogni mio movimento quando, una volta rimessomi in piedi, cominciai a sistemare la legna per accendere il fuoco. Recuperai persino qualche pietra, ringraziando il fatto che l’Accademia mi avesse istruito abbastanza bene, su quel fronte. «Dannazione, quanto ci metti ad accendere quel fuoco?» sbottò d’un tratto, passandosi le mani sulle braccia con fare nervoso. «Mi si sta gelando il culo».
    Gli scoccai appena un’occhiata e, mentre accatastavo la legna e sistemavo intorno ad essa delle pietre per creare un bivacco, replicai, «Se non ti si è ancora congelata la lingua, non morirai di certo assiderato se attendi un altro po’».
    Sbuffò e si poggiò con la schiena contro la parete rocciosa, sfregandosi le mani guantate l’una contro l’altra per quanto la cosa fosse infruttuosa. «Per una volta che la tua alchimia può rivelarsi utile...» bofonchiò sarcastico, lasciando la frase in sospeso. Un modo come un altro per dirmi di darmi una mossa, supposi.
    «Anziché startene con le mani in mano, Acciaio», cominciai, allungandomi per afferrare qualche altro ceppo di legna da gettare nel centro, «potresti andare a prendere un po’ di sterpaglia per far attecchire meglio il fuoco».
    «La mia parte di lavoro l’ho già fatta», replicò immediatamente, osservandomi con fare piuttosto scettico. «Ho trovato questa caverna e raccattato la legna, no? Il resto spetta a te, mangia-stipendio a sbafo».
    Uno a zero per lui. «La tua è stata soltanto fortuna», volli aver ragione, dando un’ultima sistemata al falò prima di infilare una mano in tasca alla ricerca di ciò che mi sarebbe servito, con la speranza di averli portati davvero e di non averli lasciati in camerata. Per una volta la sorte fu dalla nostra e tirai fuori uno dei miei guanti, calibrando la concentrazione d’ossigeno nell’aria quel tanto che bastava per accendere il fuoco; quando schioccai le dita, le fiamme attecchirono immediatamente alla legna senza bisogno di un qualunque supporto, e un piacevole calore cominciò a propagarsi nella grotta, riscaldandola. Mi lasciai sfuggire un sospiro di appagamento nel sentire una vampata salirmi al viso, e, dopo essermi liberato del guanto ed averlo riposto nuovamente in tasca, mi puntellai sui calcagni per farmi più vicino, riscaldandomi le mani e crogiolandomi al fuoco.
    Con la coda dell’occhio, vidi Acciaio gattonare svelto verso di me per fare esattamente lo stesso. I bagliori delle fiamme e il calore delle stesse gli tinsero immediatamente le guance, donandogli un sano colorito rosato che contrastava non poco con il naso arrossato dal gelo. Mi venne da ridere, ma mi trattenni per chissà quale fortuna, sentendomi pian piano avvolto da quel calduccio piacevole e confortante.
    Non seppi quanto tempo passammo accanto al fuoco, scambiando giusto qualche parola e alternandoci nel compito di alimentare le fiamme per evitare che si spegnessero. Forse trascorsero due ore, forse di più, però ciò che sapevo con certezza era che il calore aveva fatto più volte sì che abbassassi le palpebre, sebbene fossi riuscito a restare sveglio. Chi si era accucciato lì accanto era stato Acciaio, e l’avevo lasciato dormire
facendo più silenzio possibile, conscio che aveva bisogno di riposo. E adesso mi trovavo lì fuori, con i bagliori del fuoco che coloravano la notte e la neve che imbiancava i dintorni. In realtà non ero certo del perché fossi uscito, se proprio dovevo essere sincero con me stesso. Per quanto facesse freddo e il sonno avesse appesantito le mie palpebre, non ero comunque riuscito a chiudere occhio, ed uno dei motivi era forse da imputare al luogo in cui ci trovavamo. E non mi riferivo a quella grotta, bensì alle montagne di Briggs e ai pericoli che celava nel suo ventre. Se contavamo poi il fatto che, attirati dalla luce, i soldati avrebbero potuto capire la nostra posizione e attaccarci nel sonno, era meglio stare svegli e controllare i dintorni il più possibile.
    «Che cosa stai facendo qui fuori?» mi domandò con voce distratta e assonnata Acciaio, appena sopraggiunto a sua volta. Trattenne qualche sonoro sbadiglio, stiracchiandosi amabilmente come un grosso gatto.
    Abbozzai giusto un sorriso e lo guardai di sottecchi, tornando ben presto ad osservare la volta celeste sopra di me. «Niente», risposi semplicemente. «Guardavo soltanto le stelle. Non credi anche tu che siano meravigliose, quando non sono offuscate dalle luci della città?»
    Non potei vederlo in viso, ma fui quasi certo che avesse inarcato un sopracciglio con fare scettico per il tono con cui mi rispose qualche istante dopo. «Capisco che tu voglia perderti dietro a sfere di plasma che brillano di luce propria a milioni e milioni di chilometri nell
universo, ma anche in mezzo alla neve devi essere sempre pieno di stronzate romantiche?» ironizzò, lasciandosi sfuggire uno sbuffo prima di sedersi accanto a me. «Con l’età che hai dovresti stare accanto al fuoco, stupido Colonnello di merda. Il freddo ti gela il cervello», disse, e stavolta gli scoccai una vera e propria occhiataccia.
    «E i bambini dovrebbero essere a letto, caro il mio Acciaio», rimbeccai, già pronto alla sfuriata che si sarebbe lasciato sfuggire e che, come previsto, non tardò ad arrivare. Puntuale come al solito, cavolo.
    «Chi sarebbe così piccolo da non essere visibile neanche con una lente di ingrandimento, eh?!» sbottò nervoso ed agitato, al che io non potei davvero fare a meno di ridere di gusto. Stuzzicarlo per sentire quelle sue risposte campate per aria era una passione perversa e bizzarra, lo sapevo, ma era un ottimo passatempo per rompere la monotonia, il più delle volte.
    Gli diedi una pacca su una spalla e gli passai un braccio dietro alla schiena, provando a calmarlo nonostante mi lasciassi sfuggire qualche risatina di tanto in tanto. «Per quanto mi diverta sentirti blaterare, Acciaio, preferirei evitare che la tua soave voce provochi una valanga», lo presi in giro, e lui non si risparmiò dall’appiopparmi una gomitata al fianco con il braccio d’acciaio, strappandomi un goffo lamento.
    «Sta’ un po’ zitto, Colonnello di merda», borbottò, scansandomi senza tanti complimenti prima di sollevare lo sguardo verso il cielo, cominciando così ad osservarlo con blanda attenzione.
    Nonostante tutto, mi scappò un altro sbuffo ilare; decisi di tornare a mia volta a guardare la volta celeste puntellata di stelle, godendo di quella quiete che attorniava la montagna. Grazie ai bagliori delle fiamme che provenivano dall’interno della grotta dietro di noi, la neve che ci circondava aveva assunto una vaga sfumatura arancio-dorata, illuminandola come se si fosse trattato di un piccolo sole. Appariva persino calda, per quanto fosse ovvio che al tatto avrebbe solo arrossato dal freddo le mani di chi, stoltamente, avrebbe tentato di toccarla senza guanti. Tutto sommato, però, era uno spettacolo da mozzare il fiato: se si alzava anche solo di poco lo sguardo, si riuscivano a scorgere i profili lontani delle cime innevate e le punte dei pini che si confondevano fra le ombre se non si scorgeva con attenzione, e di tanto in tanto il volo di qualche rapace e il suo stridulo canto notturno.
    «Era una notte come questa», disse d’un tratto Acciaio, richiamando la mia attenzione ed interrompendo al contempo i miei pensieri più disparati.
    Voltandomi verso di lui, chiesi, «Cosa intendi dire?»
    Sorrise amaramente, un sorriso che mi sembrava di non avergli mai visto. «La mamma», rispose in un basso sussurro appena percettibile. «É morta in una notte come questa».
    Dire che ero rimasto spiazzato sarebbe stato un vero e proprio eufemismo. Di solito non era il tipo da parlare di quel determinato argomento del suo passato, né tantomeno gradiva quando era qualcun altro a chiedergli che cosa fosse successo con esattezza. Se lo teneva per sé e basta, racchiudendo nel suo cuore tutti i demoni che aveva affrontato durante la sua infanzia e il peso della colpa con cui aveva sempre convissuto in seguito. Per quanto sapessi che, almeno in parte, fossi riuscito a lenire il dolore che si portava dietro da allora, ero conscio del fatto che non fosse ancora abbastanza. Più volte, da quando quella nostra relazione era cominciata, ci eravamo ritrovati a colmare l’uno il vuoto che provava l’altro, ma erano ancora troppe le cose che preferivamo tenere nascoste per non ferirci a vicenda. Su quel punto di vista eravamo uguali, proprio come una volta ci aveva detto suo fratello Alphonse. Due idioti grandi e grossi che il più delle volte anteponevano gli altri a se stessi e il proprio passato al presente. Ishvar, la trasmutazione di sua madre... crimini diversi che avevano l’egual peso, per noi. E forse era proprio per quel motivo che tentavamo in tutti i modi di cancellare quelle ombre del nostro passato, chi poteva dirlo.
    «Era tutto così... dannatamente tranquillo, quella sera», continuò, senza che io dicessi niente né tanto meno aspettandosi che lo facessi. «Non un richiamo d’un qualche animale, non un grillo che friniva... niente. Assolutamente niente di niente. Persino i sussurri delle persone che erano venuti a trovarci sembravano inesistenti, quasi non ci fosse proprio nessuno giù in salotto». Trasse un lungo sospiro e affondò le mani nella neve, lo sguardo ancora fisso verso il cielo buio. «Io e Al eravamo di sopra con zia Pinako e la mamma, sai», soggiunse, quasi si sentisse in dovere di farlo. «L’ultima cosa che mi ha chiesto è stata di farle una composizione con l
alchimia... una composizione floreale come quelle che quel vecchio bastardo creava per lei. E, dannazione, per tutto il tempo ha continuato a sorridere».
    L’amarezza con cui pronunciò quelle ultime parole fu disarmante e a dir poco straziante. Sembrava che quel passato che aveva tanto cercato di tenere nascosto stesse cominciando a pesare nel suo animo e a premere contro le pareti del suo cuore, spingendo e sussultando per tentare di uscire anche senza il suo consenso. Aveva però deciso di affrontarlo con solenne distacco, o almeno all’apparenza. Era fin troppo palese il fatto che quella decisione lo facesse ancora soffrire.
    «Acciaio», provai infine a chiamarlo, umettandomi le labbra, ma mi interruppi pochissimi istanti dopo. Che cosa avrei potuto dirgli, d’altronde? Che ormai era acqua passata e che non avrebbe più dovuto pensarci? Che tutto ciò che era successo nel corso di quegli anni l’aveva ampiamente pagato con un prezzo altrettanto alto? Se avessi anche solo provato a farlo, sarei stato soltanto un ipocrita. Io stesso non riuscivo a dimenticare tutti gli orrori che avevo veduto e provocato con le mie mani ad Ishvar, ed era anche per quel motivo che tentavo in tutti i modi di raggiungere il mio obiettivo per far sì che non si ripetessero più stragi di quella portata.
    Acciaio agitò distrattamente l’auto-mail e abbozzò un altro mezzo sorriso, quasi volesse alleggerire la tensione; nonostante tentasse, però, si vedeva lontano un miglio che quel sorriso, in realtà, non significava assolutamente niente. Era lo stesso principio dell’indossare una maschera. La gente vedeva ciò che c’era in superficie, non ciò che avevi deciso di nascondere. «Lascia stare», disse poi, lanciandomi appena una rapida occhiata. «Non è esattamente il genere di discorsi che si dovrebbero fare in luoghi tranquilli come questo».
    «Invece credo sia proprio il luogo adatto, Acciaio», replicai di getto, forse senza neanche pensarci davvero. «Ci siamo soltanto noi due e la montagna, nessun altro. Ma se non vuoi parlarne, beh, io ti capisco. Anche per me ci sono cose che non riesco a raccontare, non ancora. Vorrei solo che tu sappia che, qualunque cosa accada, io ti sarò sempre vicino».
    Mi aveva guardato per tutto il tempo con quei suoi occhi dorati, persino un po’ ingigantiti dalla confusione iniziale; però poi, scuotendo la testa, sollevò un angolo della bocca e si scompigliò i capelli con una mano. «Tu e queste tue stronzate romantiche, dannazione», rimbeccò, picchiettandosi i palmi sulle cosce prima di alzarsi in piedi. «Non fare promesse che non sei sicuro di mantenere, Colonnello di merda. Il futuro è incerto, no? Fosti tu stesso a dirmelo».
    Come dimenticarle quelle parole? Le avevo pronunciate il giorno stesso in cui, dopo aver fatto sesso - sesso... che brutta parola, era stato ben più di quello - per la prima volta, mi aveva chiesto che cosa ne sarebbe stato di noi se ci saremmo stancati l’uno dell’altro. Beh, da allora era passato ancora parecchio tempo, e a quanto sembrava quella nostra relazione andava ancora avanti, anche se con i suoi alti e i suoi bassi comuni in ogni coppia. Così mi limitai semplicemente a dar vita ad una scrollata di spalle, di quelle che potevano significare tutto o niente. «Touché, Acciaio. Questa volta hai vinto su tutti i fronti», ironizzai, sentendo subito dopo un suo sbuffo ilare.
    «Alzati e torna dentro, muoviti», borbottò in tono vagamente divertito, appioppandomi una pacca su una spalla con la mano d’acciaio. «Mettiamo da parte questi discorsi tristi, te lo do io qualcosa su cui riflettere prima di rimetterci in marcia».
    In un primo momento mi accigliai, non comprendendo immediatamente di che cosa stesse parlando tutto d’un tratto. Quando la mia mente assonnata riuscì a mettere insieme le informazioni frammentate che Acciaio mi aveva lanciato, però, ghignai, scuotendo il capo. «Chiedo il permesso di considerarla una proposta indecente, signore», borbottai in tono sarcastico, vedendolo arcuare un sopracciglio.
    «Permesso negato, Colonnello dei miei stivali», replicò ilare. «E adesso porta dentro il culo».
    Beh, ci avevo quasi sperato. Scrollai dunque le spalle e mi limitai semplicemente a seguirlo quando lui cominciò ad avviarsi dentro alla grotta, sbadigliando sonoramente e grattandosi dietro al collo come se nulla fosse, quasi non avesse minimamente esternato i suoi sentimenti e i suoi pensieri fino a pochi attimi prima.
    Era un suo modo come un altro per dire che ciò che avremmo dovuto fare sarebbe stato solo attendere che la notte scemasse, portandosi via ogni vana parola.
 
 
 
«A proposito di promesse... mi devi ancora quei 520 cenz, Acciaio».
«Tu pensa a diventare Comandante Supremo e te li ridarò con gli interessi, Colonnello di merda».






_Note conclusive (E inconcludenti) dell'autrice
Questa storia è stata scritta per il contest Pair520: Celebrate Roy/Ed Day! indetto da Setsuka, e si è classificata settima vincendo il Premio Ambientazione/Descrizioni.
Mi preme inoltre dire che, al di là del contest e della posizione, questa storia è stata scritta specialmente per celebrare il Roy/Ed Mariage che l'anno scorso, in questo stesso giorno, si è tenuto in Giappone.
Voglio dunque festeggiare con voi con questa piccola storia, sperando che, in qualche modo, la apprezziate semplicemente per quella che è: un omaggio ad una coppia che tutte noi, vecchie e nuove frequentatrici del fandom, abbiamo imparato ad amare.
Mi piacerebbe anche segnalarvi dei piccoli sketch che feci l'anno scorso proprio per questo evento - e che alcune persone già conoscono -, quindi eccoli qui di seguito nell'ordine corretto:

Se tutto va bene, vorrei persino provare a far diventare questa storia un romanzo a tutti gli effetti, e mi piacerebbe davvero sapere che impressione vi da il primo capitolo postato.
Non spenderò altre parole, giacché tutto ciò che volevo dire l'ho detto in questa storia, attraverso le parole di Ed e Roy. Spero soltanto che, per quanto pecchi moltissimo di originalità, vi sia piaciuta in qualche modo.
Alla prossima. ♥



_Undisclosed Desires

Voglio riconciliare la violenza che c’è nel tuo cuore,
voglio riconoscere che la tua bellezza non è solo una maschera.
Voglio esorcizzare i demoni del tuo passato,
voglio soddisfare i desideri nascosti nel tuo cuore.



WINTER MAZE 520: AN OLD PROMISE
SETTIMA CLASSIFICATA CON PREMIO AMBIENTAZIONE/DESCRIZIONI



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