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Autore: SummerRestlessness    10/10/2011    2 recensioni
Ariana, tutto quello che è stata nella sua breve vita e tutto quello che non abbiamo mai saputo su di lei. Con un unico mistero: chi sarà il narratore di questa storia?
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Altro personaggio, Gellert Grindelwald
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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La domanda che mi sono fatta prima di scrivere questa storia è stata: sarei in grado di scrivere una storia non romantica?

La risposta che mi sono data è stata: no.

È anche triste; e spero che vi piaccia.

È anche ispirata ad una canzone (ovvio): in fondo trovate il link alla versione che ho usato.

Uh, spero che il finale vi spiazzi almeno un po' :P
Fatemi sapere ;)

 

 

Alla fine di questa storia probabilmente penserete di conoscere me, o lei. Ma sarà soltanto un’illusione, come la maggior parte delle cose belle della vita.

 

Lei aveva i capelli talmente fini e biondi da sembrare quasi bianchi e occhi azzurri sempre spalancati e chiarissimi, tanto da farti pensare che quelle iridi fossero in realtà solo un vetro incastonato attorno alla pupilla. Era diversa dai suoi fratelli, soprattutto fisicamente, ma non solo. Sembrava la loro fotocopia rimpicciolita e lievemente sbiadita, ma il suo sguardo era sfuggente, come se fosse sempre alla ricerca di qualcos’altro, non era penetrante e profondo come il loro. I suoi capelli erano liscissimi e sempre naturalmente in ordine, non costantemente arruffati. Era snella, forse fin troppo e quando camminava sembrava sempre che lo facesse in punta di piedi, perché non faceva alcun rumore. La sua pelle era chiarissima, quasi trasparente, soprattutto da quando non le era più permesso uscire di casa.

Ariana.

Da quel maledetto e stupido giorno non aveva messo più piede all’esterno. Mai più. Era solo una ragazzina, avrebbe dovuto essere fuori tutto il tempo a giocare con i suoi coetanei, maghi e non, avrebbe dovuto essere ad Hogwarts a studiare come tutti gli altri, come i suoi fratelli prima di lei…

E invece no. Ariana restava sempre a casa. Da sola. Aveva solo sei anni.

E poi ne aveva sette, otto, nove e poi dieci, undici… non era più uscita da quella casa.

A volte, quando era un po’ più grande, a tarda sera mi materializzavo nella sua stanza. La trovavo sempre sveglia. Non sapevo se mi aspettasse ogni sera o se non riuscisse mai a dormire. So solo che col passare del tempo andavo da lei sempre più spesso, finché “spesso” non diventò ogni sera.

E poi parlavamo, scherzavamo, ridevamo; lei con quella sua voce che sembrava il rumore di una campanella di cristallo, io con la mia che si stava trasformando a causa dell’adolescenza. Avevo solo due anni in più di lei. Eppure sembrava così piccola, così fragile, quando metteva la sua mano lieve e candida sulla mia per rassicurarmi che non ci avrebbero scoperti.

Parlavamo a voce bassa, io e Ariana, e quei sussurri segreti ci facevano sentire così grandi, così invincibili. E lei era calma quando stava con me. Non aveva mai avuto crisi, durante quelle notti. Ogni tanto i suoi occhi si facevano assenti, sembravano guardare per un attimo oltre gli oggetti, oltre il mondo, oltre tutto; ma erano solo attimi. Poi tornava sé stessa.

Non era per niente fragile come sembrava. Era serena, consapevole, ma non rassegnata. Era già matura: sapeva cos’era meglio per lei e per gli altri; si dava persino pena per chi doveva badare a lei. Per chi era costretto a badare a lei. Sentiva di togliere qualcosa a tutti coloro che le stavano intorno, sentiva di essere un peso. Per me non lo sarebbe stata, spero che sapesse anche questo.

E poi c’era quella scintilla. Quel bagliore nei suoi occhi che avevano anche i suoi fratelli, quell’intelligenza fuori dal comune, la capacità di capire tutto prima e meglio degli altri. Un lampo indomabile che avrebbe potuto condurla chissà dove, se fosse rimasta in vita.

Sono sicuro che oggi sarebbe la più grande strega di tutti i tempi.

La mia Ariana.

Ma era stata rovinata. Qualcosa dentro di lei si era rotto quando era solo una bambina. La crudeltà umana aveva spezzato la sua magia, l’aveva costretta ad esserne schiava. Quando aveva una delle sue crisi, sua madre tentava di tranquillizzarla con parole dolci, abbracciandola, cullandola; ma, mentre lo faceva, non poteva fare a meno di piangere.

Quando aveva una delle sue crisi, Ariana faceva davvero paura. Si trasformava in un’altra. Non era più dolce, non era più serena, non era più se stessa. Persino i suoi lineamenti cambiavano, gli occhi sembravano farsi più scuri. E sorrideva, di un sorriso terribile e di scherno.

Ed io ne ero affascinato e spaventato al tempo stesso. Era solo una ragazzina esile, ma racchiudeva un potere enorme, indomabile che mi faceva fremere il sangue nelle vene. Quando era in quello stato, non era lei ad usare incantesimi e maledizioni, ma era la magia stessa ad impadronirsi di lei.

Ariana era magia pura.

E poteva succedere in ogni momento, non importava che fosse triste o felice, che stesse mangiando o dormendo, che fosse in compagnia o da sola. E tutto iniziava con un rumore metallico, simile ad una scarica di elettricità che si accumulasse nel suo corpo, per poi esplodere in saette di ogni colore che distruggevano tutto ciò che trovavano sul loro cammino. Ma erano incantesimi di tutti i generi, non solo distruttivi. Un lampo blu mandava in mille pezzi un piatto su una mensola mentre una saetta gialla trasformava un tavolino di vetro in un rospo. Una luce verde e il piatto era riparato, un bagliore rosso e una finestra andava in frantumi. Tutto senza bacchetta e senza pronunciare una formula ad alta voce. Era straordinario e al tempo stesso orribile. Perché c’erano anche lampi neri e quelli significavano una sola cosa: morte.

Perché Ariana non aveva un destino normale. Era destinata a qualcosa di grande oppure a qualcosa di terribile. E tutto fu deciso in un giorno solo, quando aveva appena sei anni, da dei crudeli ed ignari ragazzini Babbani.

Da allora, Ariana mi diceva di riuscire a dormire solo quando fuori pioveva. Alle tre di notte mi diceva con gli occhi ancora accesi e le guance colorite che me ne dovevo andare, perché erano le tre di notte. Che doveva rimanere sola.
Mi sussurrava che avrebbe fatto freddo fuori e mi passava il mio mantello ed io le dicevo sempre che non ne avevo bisogno, che mi sarei materializzato in casa e lei rideva ogni volta del nostro piccolo gioco. Era così premurosa, si preoccupava per me, non poteva farne a meno. Lei, rinchiusa in casa fin da bambina, prigioniera di quelle quattro mura da sempre, si preoccupava per me.

Una volta, mi disse che tutto sarebbe finito e che sarebbe stata colpa sua. Una volta, mi disse che certe volte non poteva evitare di avere paura. Ma che forse un giorno la pioggia avrebbe lavato via tutto e si vedeva che credeva davvero che sarebbe successo.

Quel giorno, quello in cui tutto finì, pioveva. Non so ancora come accadde che un semplice diverbio si trasformò in litigio e poi in battaglia furiosa di bacchette puntate l’uno contro l’altro.

So solo che alla fine fui io a stringere Ariana tra le mie braccia, inerme. Poco prima, l’avevo vista scendere dalle scale con quel suo passo felpato e silenzioso e in quella frazione di secondo avevo pensato che, anche se non sembrava, probabilmente era stata svegliata dal frastuono che stavamo facendo.

Non avevo avuto nemmeno il tempo di sussurrare il tuo nome per l’ultima volta.

Ariana.

Ti sarebbe bastato poco per essere felice.
Una notte mi hai giurato che la luna era appesa nel cielo un po’ più in basso del solito.
Ed io ho alzato una mano verso la finestra, anche se sapevo che era ancora troppo in alto per raggiungerla.
L’ho fatto anche se non ci credevo.
Non ti ho creduto.
Per te non lo era, troppo in alto.
Sono le 3 di notte e non ci credo ancora.
E fuori ha smesso di piovere.
Sono già le 3, dovrei essere solo.
Tu però non mi lasci mai, sei sempre con me.
Solo nei miei pensieri.
E a quest’ora non ci riesco proprio, ma ogni tanto ci credo anch’io che la pioggia un giorno si porterà via tutto.
Ancora.
Ma adesso non piove.
E dovrei essere solo, lo sai che ore sono?

Il tuo orologio, quello che avevi appeso alla parete, è ancora fermo alle 3 di notte, come quando c’eri tu…

E non so davvero chi sia stato ad ucciderla, chi di noi abbia scagliato su di lei la maledizione mortale, quale bacchetta le abbia tolto il respiro per sempre; per quanto mi sforzi non riesco a ricordare…

Non è solo per il fatto di non sapere che non mi do pace. Quello che mi turba più di ogni cosa è che una sola cosa è certa.

Ariana è stata di sicuro uccisa da una delle tre persone che l’amavano di più al mondo.
Albus, Aberforth, oppure io.

 

and she says baby
it's 3am I must be lonely
when she says baby
well I can't help but be scared of it all sometimes
she says the rain's gonna wash away I believe it

(Matchbox Twenty, 3 am)

   
 
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