Capitolo
9
Salii
di corsa anch’io le scale e mi diressi subito in camera di
Claudine: il signor
Alberto stava strappando convulsamente le lenzuola del letto creando
delle
fasce e correva nel bagno, Emile era rimasto a guardare per la frazione
di un
secondo, poi si era precipitato giù a chiamare
un’ambulanza. Ascoltando le sue
parole capii cos’era accaduto: Claudine aveva tentato di
uccidersi tagliandosi
le vene!
L’ambulanza
come al solito avrebbe impiegato troppo tempo per arrivare al pronto
soccorso,
così decisero di portare personalmente la donna in ospedale:
aiutai ad aprire
gli sportelli dell’auto e ad adagiare la signora che per
fortuna respirava
ancora, anche se era incosciente e mi offrii di stare seduta accanto a
lei sul sedile
posteriore.
«Tu
stanne fuori!» urlò Emile in mia direzione.
«No,
io vengo con voi.» replicai senza battere ciglio.
«Non
è una cosa che ti riguarda!» si girò
improvvisamente a guardarmi con il volto
furioso per la preoccupazione, ma io non cedetti, ero seriamente
preoccupata
per Claudine e volevo stare accanto anche alla sua famiglia.
«No
Emile, io vengo con voi. Sono preoccupata anch’io e mi sento
coinvolta, dato
che ero qui quando l’avete trovata ed è meglio non
stare a perdere tempo in
inutili chiacchiere ora.»
Gli
parlai senza alzare la voce ma con tono deciso, pensando al modo in cui
Fede era
riuscito a farsi ascoltare da lui e sembrò fare effetto,
perché smise di
ribellarsi e mi permise di salire in auto.
Fu
una corsa senza fine: Alberto guidava, Emile gli era accanto, io ero
proprio
dietro di lui e non riuscivo a guardarlo in viso, ma dal silenzio
opprimente
che c’era in quell’auto si comprendeva la
gravità della preoccupazione di
entrambi. Avevo la testa di Claudine sulle gambe e scorsi i due polsi
insanguinati adagiati sul suo corpo. Emile mi aveva raccontato che sua
madre
aveva già tentato tre volte di uccidersi e con questo si
arrivava al quarto… Quante
altre volte avrebbero dovuto fare una simile corsa contro il tempo
finché non
fosse stato troppo tardi? Non osavo trovare una risposta a quella
domanda.
Arrivati
al Pronto Soccorso gli infermieri erano già pronti con la
barella; dissi ad
Alberto che mi sarei occupata io del parcheggio dell’auto, in
modo da
permettere a lui e suo figlio di correre dentro immediatamente: mi
diede una pacca
sulla spalla in tutta fretta e mi consegnò le chiavi.
Fortunatamente
trovai subito parcheggio e fui in grado di raggiungerli in poco tempo:
Claudine
era già sotto controllo medico, Alberto era andato a
sbrigare le pratiche di
ricovero, Emile era in piedi nel corridoio, immobile.
«Vedrai
che ce la farà, l’abbiamo portata qui in tempo,
tornerà presto a casa da...»
Emile ignorò totalmente quello che gli stavo dicendo e
dandomi le spalle si
allontanò. Volevo seguirlo, ma volevo anche sapere come
stesse Claudine: per
fortuna Alberto arrivò quasi all’istante e chiesi
a lui delucidazioni.
«Le
hanno detto qualcosa? Come sta?»
«La
stanno controllando ora, ma credo che sia fuori pericolo,
l’ultima volta c’era
molto più sangue in giro e si è
salvata» quindi anche la volta precedente aveva
tentato di dissanguarsi!
«Gliel’avevo
detto di togliere quelle forbici da lì, Sabrina lo sapeva
che non doveva
dimenticarle assolutamente in quel bagno!» Alberto
sprofondò su una sedia con
la testa tra le mani ed io rimasi per un momento impassibile, poi mi
accomodai
accanto a lui e gli poggiai una mano sulla spalla:
«Adesso
non ci pensi, per fortuna è stato velocissimo ad
accorgersene, se la signora se
l’è cavata in condizioni peggiori, stavolta non ci
saranno problemi, non si
disperi.»
Alberto
in tutta risposta alzò la testa e mi osservò per
un momento che mi parve
eterno, poi poggiò una mano sulla mia:
«Grazie,
sei una cara ragazza. Vai da Emile, avrà di sicuro
più bisogno di te in questo
momento.» Feci un cenno di assenso e mi precipitai in sua
ricerca.
Lo
trovai in una saletta d’attesa: mi dava le spalle e guardava
fuori dalla
finestra.
«Emi…»
«Si
dice che non ci sia due senza tre… a quanto sembra
è vero anche che non c’è tre
senza quattro e di sicuro ci sarà anche un cinque e un sei e
un sette... finché
arriverà il giorno in cui allenteremo la guardia o
arriveremo un secondo più tardi
e non ci sarà più scampo!» Emile stava
dando voce ai miei stessi pensieri, a
cui non riuscivo a dare una risposta che mi consolasse, per cui rimasi
in
silenzio.
«Per
quanto ancora dovremmo venire qui a “salvarla” se
lei non vuole più stare con
noi? È poi giusto farlo? È giusto legarla al
nostro desiderio egoistico di
averla con noi? Forse se la lasciassimo andare una volta per tutte,
sarebbe
finalmente felice!»
«Non
puoi parlare così Emile! Tu saresti il primo a soffrirne se
la perdessi!»
«Quello
che provo io non ha importanza, si è sacrificata abbastanza
per me, è ora che
abbia la sua pace.»
«Ma
anche tu ti sacrifichi per lei, come lo fa tuo padre, è il
vostro amore che ve
lo fa fare…»
Improvvisamente
si voltò:
«Non
capisci! È colpa mia! È tutta colpa mia! Se non
fossi nato, se non mi avesse
avuto non sarebbe caduta in depressione, se il suo amore per me non
fosse stato
così grande, avrebbe potuto abortire e rifarsi una carriera
ed oggi sarebbe
felice! È tutta colpa mia, io non dovevo nascere
dannazione!»
Il
suo viso era una maschera di tormento e disperazione, i suoi occhi
erano di un
azzurro intenso e mi apparivano più grandi del solito,
contornati da un
arrossamento che indicava l’inizio di un pianto a dirotto,
che di sicuro
cercava di trattenere, stringendo convulsamente le mani in due pugni
serrati.
Ero pietrificata, non l’avevo mai visto così
fragile e disperato e non avevo
ancora compreso davvero la tortura che viveva dentro, il conflitto
interiore e
il senso di colpa che sentiva per essere vivo: Emile colpevolizzava se
stesso
per essere nato!
Tante
volte mi ero sentita fuori posto nella mia famiglia, ma mai avevo
provato un
simile senso di colpa e disperazione! Avevo invidiato la sua famiglia e
il
rapporto così schietto con suo padre ed ora invece mi
rendevo conto che dentro
di sé, Emile aveva una disperazione profonda che non poteva
essere lenita.
Tornò
a darmi le spalle e vidi la sua schiena tremare: di sicuro stava
lottando
contro le lacrime e non voleva farsi vedere da me in quello stato.
A
quel punto persi ogni dubbio, ogni inibizione: corsi in sua direzione e
l’abbracciai appoggiandomi alla sua schiena tremante.
«Non
dire più sciocchezze simili Emile! La tua vita è
un dono, non è una punizione,
nulla di ciò che è fatto per amore è
sbagliato! E sono sicura che la tua
presenza è una gioia per molte persone, che si
dispererebbero se tu non ci
fossi! I…io ti amo Emile e se tu non esistessi, nella mia
vita ci sarebbe un
vuoto incolmabile.»
«No.
Non devi amarmi, non voglio che tu mi ami! Mia madre ha perso se stessa
per
amor mio, mio padre ha abbandonato il suo sogno e il suo talento,
spaccandosi
la schiena con un lavoro che non rende giustizia alle sue
qualità, solo per
amore. A che serve amare se si rinuncia a se stessi?»
Avevo
trovato la forza di accettare ciò che provavo per lui nel
momento in cui
speravo che le mie parole gli fossero di conforto, ma la sua reazione
fu più
dura di quanto avessi immaginato. Emile s’incolpava per
essere nato e metteva
distanza tra sé e gli altri perché temeva
l’amore! Temeva quel sentimento così
forte che trascinava via la razionalità e tutti i sogni
personali. Temeva di
perdere se stesso o che qualcuno lo facesse per amor suo: quanto
eravamo simili
e opposti nelle nostre paure!
Ciononostante,
aveva bisogno di sentirsi amato, come ogni essere umano,
perché non fece nulla
per staccarsi da me: le sue parole mi cacciavano, ma il suo corpo
tradiva ciò che
sentiva davvero.
«Io
non rinuncerò mai a me stessa per amore! Ho troppo orgoglio
per buttarlo al
vento e vivere solo in funzione della felicità altrui. E non
ho intenzione di
allontanarmi da te! Puoi anche cacciarmi, evitarmi, puoi tornare a
guardarmi
con astio come la prima volta che ci siamo incontrati, ma io non mi
allontanerò
da te Emile! L’amore non è una maledizione e te lo
farò capire in un modo o in
un altro!»
Lo
strinsi più forte a me, pronta a ricevere il contraccolpo
del suo corpo che voleva
allontanarmi, invece sentii i suoi singhiozzi e il suo corpo tremante
che
cedeva al pianto.
Rimanemmo
così per quello che mi sembrò un tempo eterno,
sospesi in quel momento di
dolore, conforto, e più pura umanità,
finché Emile cadde in ginocchio, cedendo
alla fatica e alla sofferenza troppo a lungo repressa ed io mi
accoccolai
accanto a lui, adagiando la sua testa su di me, in modo che potesse
appoggiarsi
e sfogare tutto il suo dolore.
*****
Emile
pianse tutte le sue lacrime: lo tenni stretto a me con la sensazione
che
potesse spezzarsi da un momento all’altro; mai prima di
allora provai un
desiderio così forte di proteggere qualcuno.
Tra
le mie braccia, quello che solo qualche settimana prima avevo
considerato un
saccente borioso pieno di sé, in quel momento aveva
l’aria di essere solo un
bambino impaurito, con un bisogno enorme di essere amato e una
solitudine
interna di proporzioni immani.
Restammo
in silenzio, ogni parola era superflua in quel momento:
c’eravamo solo io e lui
e il calore umano che stavamo condividendo. Sfinito dal lungo pianto,
Emile
finì per addormentarsi ed eravamo ancora in quello stato
quando Alberto ci
trovò: restò ad osservarci per qualche secondo
con la commozione negli occhi,
poi si accoccolò accanto a me e ci abbracciò. Ero
restia a smuovere Emile per
non svegliarlo, così rifiutai quando suo padre volle
spostarlo e rimanemmo per
un po’ seduti a terra, in quella saletta, a parlare.
«Ti
abbiamo rovinato la serata.» esordì Alberto in
tono dispiaciuto.
«Ma
che dice? Ho scelto io di venire con voi. So che può
sembrare assurdo ma… io
voglio davvero bene a sua moglie e sono preoccupata sul
serio!»
Alberto
sorrise dolcemente:
«Prima
di tutto, smettila di darmi del lei, mi fa sentire vecchio! E chiamami
Alberto!» ricambiai
il suo sorriso e feci un debole
cenno d’assenso «Grazie per essergli accanto. Credo
di non averlo mai visto
così vulnerabile come in questo momento…
finalmente è riuscito ad aprirsi con
qualcuno!»
Il
viso di Alberto emanava amore e preoccupazione e sentii il desiderio di
rassicurarlo, anche se non sapevo come:
«Vorrei
poter fare qualcosa in più per lui…»
«Stai
già facendo tanto, credimi! Emile non si apre
con nessuno. Io e lui parliamo sempre e sin da quando era
bambino ho
voluto instaurare un rapporto schietto tra noi, ma per quanto possa
parlarmi
apertamente, non mi ha mai mostrato il dolore che si porta dentro.
È sempre
stato un bambino tranquillo e responsabile… fin troppo!
Forse perché non
sentendosi protetto, ha deciso di contare solo su se stesso.»
Alberto
s’intristì, avvolto dal senso di colpa per non
essere stato un padre presente.
«No
si... ti sbagli! Emile ha capito benissimo i sacrifici che
ha…i fatto per lui!
Io credo che non volesse essere un peso, comportandosi da
irresponsabile senza
rispetto per il tuo duro lavoro!»
In
quel momento all’improvviso vidi con gli occhi della mente
mia sorella e
ricordai le sue parole: “Devo
farli
gioire perché loro mi hanno messo al mondo e si prendono
cura di me da sempre e
voglio essere degna del loro amore”, ma accantonai quel
pensiero che in quel
momento rappresentava solo un fastidio.
Gli
occhi di Alberto si velarono per un attimo di commozione:
«Claudine
era una cantante all’inizio della sua carriera, ma aveva
già ricevuto dei
riconoscimenti per la sua musica, stava per lanciare l’ultimo
album quando ci
siamo conosciuti. Era bella ed eterea, venne ad una mostra che stavo
tenendo a
Parigi: ero arrivato in Francia in cerca di successo e quella doveva
essere il
mio trampolino di lancio.»
Il
padre di Emile stava tornando indietro nel tempo con la mente e vidi il
suo
volto illuminarsi al ricordo di quei momenti.
«Appena
ci conoscemmo, capimmo che eravamo fatti l’uno per
l’altra e lei me lo disse
seduta stante. Era così vitale, così felice! Il
solo vederla o anche il
pensarla mi faceva stare bene… in tre mesi decidemmo di
sposarci! Ma non
avevamo fatto i conti con la stampa e il giudizio popolare. La casa
discografica non gradì questa decisione: Claudine aveva
appena vent’anni e
volevano dare di lei l’immagine di una ragazza fresca e
“pura”, quest’idea di
sposarsi non collimava con quelle della casa discografica,
così le imposero di
scegliere tra carriera e amore: non batté ciglio e scelse
me, convinta di
riuscire a riprendersi in futuro la sua carriera… Ma dopo
poco rimase incinta,
così decise di dedicarsi alla famiglia. Ce ne andammo dalla
Francia: la
famiglia di Claudine non l’aveva mai amata poiché
era la figlia di un
adulterio. Sua madre l’aveva avuta con un altro uomo e la
testimonianza è qui
accanto a noi: nella famiglia di Claudine nessuno ha i capelli
rossi.»
Guardai
la testa fiammeggiante di Emile: si portava addosso anche
quell’eredità allora!
«Claudine
si innamorò della casa in cui viviamo e la comprò
su due piedi: la serra venne
trasformata in un laboratorio, in modo da ricavare uno spazio per me e
la mia
arte.» ripensai a quella stanza luminosa tappezzata di tele e
a quel cavalletto
abbandonato in un angolo, testimonianza di un sogno accantonato...
«Eravamo
felici, ma sapevo che Claudine sentiva la mancanza del
canto… poi arrivò Emile
e dopo il parto iniziarono le crisi depressive. All’inizio
erano normali sfoghi
di pianto: aveva sognato di essere una madre perfetta, come quella
madre che
aveva avuto accanto per pochi anni, ma Claudine era giovane e non aveva
mai
avuto figli: alle prime disattenzioni iniziò a sentirsi
incapace… Dopo
le prime crisi di pianto iniziò a
rifugiarsi in salotto per ascoltarsi, senza più badare al
bambino. Un giorno
trovai Emile che
piangeva disperato
nella culla e lei che cantava in salotto felice. Decisi allora di
ricoverarla e
di abbandonare la carriera artistica: la mia famiglia aveva bisogno di
me ed
era più importante di qualsiasi ambizione.»
Non
vidi traccia di rimpianti sul viso di Alberto: aveva rinunciato a se
stesso
anni prima, ma il suo amore era così grande da essere felice
della sua scelta anche
a distanza di tanto tempo. Com’erano state infantili e
sciocche le mie storie
d’amore in confronto ad un sentimento così grande
e puro! Sarei mai stata in
grado di rinunciare così a me stessa senza rimpianti? Forse
aveva davvero
ragione Simona, ero un’immatura egoista!
«La
stampa iniziò ad incuriosirsi sulle nostre vicissitudini
familiari, stuoli di
paparazzi e curiosi iniziarono a bussare alla nostra porta con finta
solidarietà
solo per poter spettegolare… Quando Emile frequentava le
scuole elementari,
alcuni suoi compagni di classe furono spediti a casa nostra, per
permettere ai
loro genitori di venire a curiosare e da allora mio figlio non permette
a
nessuno di oltrepassare la porta di casa. E se si verificava
un’eventualità
simile, ha sempre fatto sì che andassero via
presto.»
Ripensai
alle battute sarcastiche sulle condizioni di sua madre che fece quel
giorno al
parco quando litigammo: il suo era un modo di testare la
sincerità degli altri,
voleva spaventare i curiosi allontanandoli con frasi plateali, in modo
che non
disturbassero la sua famiglia! Emile si era costruito una spessa
corazza
intorno a sé…
«Alberto…
tu sei stato un padre eccezionale, non devi accusarti di nulla!
Ciò che Emile
conserva dentro di sé è frutto del suo carattere
e non del tuo comportamento! I
genitori fanno quello che possono, ma i figli sono persone indipendenti
con
caratteri spesso differenti e non per questo manca l’amore o
il riconoscimento
dei meriti verso
chi ha dato loro la
vita!»
Mi
guardò con affetto e mi poggiò un braccio intorno
alle spalle:
«Sei
proprio una ragazza saggia!» sì certo, a parole
ero saggia ma perché non avevo
mostrato la stessa saggezza e comprensione verso la mia famiglia?
*****
Claudine
rimase ricoverata all’ospedale e Alberto restò
lì per la notte: avrei voluto
dargli il cambio ma il giorno dopo avrei avuto il mio primo giorno di
lavoro e
non potevo assentarmi o presentarmi senza aver dormito; così
il padre di Emile
chiese a suo figlio di accompagnarmi a casa. Quest’ultimo da
quando si era
risvegliato non mi aveva rivolto la parola… Non che ce ne
fosse stata
occasione: ci dirigemmo direttamente nella camera di Claudine e dopo
poco
Alberto ci disse senza troppe cerimonie che era inutile che noi due
restassimo
lì. Così volenti o nolenti, ci ritrovammo insieme
soli in quell’auto. Non
volevo che Emile scoprisse che non abitavo con i miei, ma del resto non
conoscendo l’ubicazione della casa in cui avevo abitato fino
a qualche giorno
prima, nessuno poteva impedirmi di fingere che l’appartamento
di Rita fosse la
mia vera abitazione. Ero immersa in quelle elucubrazioni machiavelliche
quando il
mio accompagnatore, finalmente si decise a parlare:
«Ti
chiedo scusa per la scena pietosa a cui hai assistito, ti prego di
dimenticarla,
non ero molto in me prima.»
Il
suo tono era formale e rigido, stava
rialzando la barriera tra noi:
«Non
c’è niente di cui scusarsi, hai avuto una
reazione più che normale, chiunque si sarebbe sconfortato in
una situazione
simile...»
«Non
io. Ormai dovevo esserci abituato, invece sono stato patetico e
debole!»
strinse con forza il manubrio dell’auto.
«Non
è vero, non sei stato debole! Sei umano e tutti gli esseri
umani hanno bisogno
di esternare qualche volta le loro sofferenze…»
«Non
sono tutti come te, Pasi! Io non amo aprire bocca per dire il primo
pensiero
che mi passa per la testa! Ho sempre usato la razionalità
per domare certi
pensieri assurdi e quello di oggi non ero io!»
«Io
invece credo che fossi più tu in quel momento che nel
quotidiano.» ignorai la
velata offesa che sentii nelle sue parole, perché mi ero
ripromessa di non
cedere all’ira e dimostrami forte… anche se non
avevo idea di quanto del
sarcasmo di Emile sarei riuscita a sopportare prima di andare in
escandescenza!
«Tu
non sai niente di me Pasi! Come puoi dire di sapere chi sono, se
nemmeno mi
conosci!?» già, come potevo dirlo…
eppure ne ero convinta!
«Io
credo che non serva conoscersi a fondo certe volte per capirsi
e...»
«…E
innamorarsi? Come hanno fatto i miei romantici genitori? Seguendo un
sogno che
poi li ha uccisi? Vivendosi questo grande amore che ha portato loro
solo
sofferenza e li ha annientati? Puoi credere davvero a cose
simili?»
«Sì
Emile, ci credo, perché ho visto gli occhi di tuo padre e ho
visto quanto lui
ancora ami tua madre e quanto ami te! Se non credi in qualcosa che hai
davanti
agli occhi tutti i giorni, in cosa credi allora?» arrivammo sotto casa di Rita
in quel momento:
Emile spense l’auto prima di rispondermi.
«Nella
musica. Credo nella musica. È la mia sola ragione di vita,
ciò che darà un
significato alla mia esistenza sulla terra! Sono nato con questo
talento, mia
madre mi ha trasmesso l’amore per il canto e per la musica e
finché avrò vita,
il mio unico obiettivo sarà diventare famoso. Lo scopo della
mia vita è quello
di riscattare i miei genitori e farli conoscere a quel mondo che ha
ucciso i
loro talenti! Non ci sarà altro prima per me. La mia vita
è votata alla musica
e al riscatto di chi mi ha messo al mondo.»
Rimasi
a guardarlo senza parole mentre mi apriva il suo cuore: quale spirito
di
sacrificio imperversava in quel ragazzo che stava accanto a me? Emile
vedeva la
sua vita come uno strumento di riscatto per i suoi genitori, aveva
trovato un
modo per sopportare il senso di colpa per essere nato, attraverso la
musica,
per realizzare ciò che sua madre non era riuscita a fare:
diventare famosa. E
questo includeva rinunciare a tutto il resto, soprattutto, mi resi
conto in
quel momento, significava rinunciare ad amare…
«Sono
felice che ti stia a cuore la salute di mia madre Pasi e potrai venire
a
trovarla quando vuoi, ma non venire con un secondo fine,
perché mia madre è la
sola persona che beneficerà della tua presenza nella mia
famiglia!» mi stava
dicendo chiaramente e senza troppi giri di parole che non aveva
intenzione di
dare peso a ciò che gli avevo detto, che
l’amavo… A quel punto non ressi più e
replicai:
«Emile,
io non ho intenzione di essere una bimbetta appiccicosa che ti ronza
intorno
tutto il tempo, quello che ti ho detto è ciò che
sento, ma questo non significa
che coglierò tutte le occasioni per seguirti e toglierti
l’aria che respiri! Tu
credi che io non conosca te, ma ancora un volta, devo farti presente
che sei tu
a non conoscere me, quindi cerca di non trarre conclusioni troppo
affrettate e
piuttosto cerca di aprire gli occhi su quelle idee strampalate che ti
frullano
nella testa! La musica potrà essere importante per te
perché, e solo Dio lo sa quanto
me ne pentirò a dirlo, sei straordinariamente bravo e meriti
tutta la fama del
mondo, ma la musica non è tutto nella vita! E un giorno ti
guarderai allo
specchio e ti renderai conto che non ti basterà! Magari
sarai ricco,
multimiliardario e famosissimo, magari riscriverai la storia del Rock,
ma quel
giorno ti renderai conto che l’amore che tu vuoi gettare al
vento ti mancherà e
ti scaverà un buco nell’anima che non ti
darà mai la serenità! Nemmeno la
musica ti appagherà come vorresti, perché
ciò che ti può donare il cuore di un
essere umano, non lo potrai mai avere da nient’altro al
mondo!» Cercai
di essere più calma possibile mentre
gli rivolgevo quelle parole esasperata, ma contavo poco sulla pacatezza
del mio
tono: se c’era una cosa che mi costava fatica, era parlare
con calma quando
esprimevo un concetto che mi stava a cuore! «E adesso
scusami, ma devo proprio
andare, buonanotte!»
Scesi
dall’auto senza guardarlo: se avessi lasciato agire il mio
istinto, avrei
cercato di stare il più possibile con lui per non lasciarlo
solo con i foschi
pensieri che di sicuro gli avrebbero fatto compagnia quella notte, ma
sapevo
che sarei stata solo un peso per lui in quel momento. E poi dovevo
pensare
anche alla mia di vita, che stava cambiando repentinamente e sembrava
quasi che
mi stesse lasciando indietro: avevo rinunciato ad una pizza con gli
amici, alla
festa per il mio nuovo lavoro, per stare con Emile e la sua famiglia;
non ne
ero pentita, ma ancora una volta avevo messo i miei desideri in secondo
piano e
mi resi conto di temere di non essere cambiata affatto. In compenso,
quando
aprii la porta dell’appartamento di Rita, la vita che avevo
lasciato indietro
quella sera, era
lì che mi attendeva.
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NDA
Vi è piaciuto il capitolo? Avete voglia di dare due ceffoni ad Emile per la sua cocciutaggine? Vi sentite in totale empatia con Pasi? Niente di tutto ciò? BENE. xD
Questa parte della storia è una di quelle che ho abbozzato mentre ero alle prese con i capitoli precedenti: scriverla prima di giungerci cronologicamente mi ha aiutato a delineare gli eventi che avrebbero portato alle situazioni qui descritte, che rappresentano uno dei climax più importanti di tutto il racconto poiché viene alla luce ciò che Emile si porta dentro.
Aspetto di sapere le vostre considerazioni e reazioni e spero di avervi intrattenuto piacevolmente anche questa volta ^ ^
L'Angolo dei Doverosi Rigraziamenti come sempre è dedicato alle mie sorelle speciali che mi sostengono e mi pubblicizzano anche!!!
Sono davvero commossa per l'affetto che mi dimostrate tesore mie, ad iniziare dalla mia Beta desaparecida (torna Tomodachi, tornaaaaaa!!! ç_ç) Iloveworld che per prima mi ha incoraggiato a pubblicare, a Saretta che mi sta ospitando nel suo blog per pubblicizzarmi, Niky che non perde occasione per dire al mondo quanto le piaccia questa storia, e la Cicci che pur rimanendo indietro con la lettura, crede in me e mi pubblicizza persino in pagina!
A voi va il mio più grande e immenso ARIGATOU GOZAIMASU!!!!
Un grandissimo Arigatou va anche a tutte le altre sister affezionate che mi seguono sempre e il cui sostegno è di vitale importanza per me: Vale che prima o poi avrò sulla coscienza (ti prego non mi morire ancora!!), Concy che nonostante quello che dica, si è rivelata un'eccellente scrittrice (e guai a te se dici il contrario!) Ana-chan che con i problemi di salute che si ritrova, pensa a quanto le dispiaccia aver dovuto interrompere la lettura (amore pensa prima a guarireee!!!)!
E ne approfitto anche per fare gli auguri di compleanno alla sister Ely, che oggi fa cifra tonda!! Auguroni Baldry del mio cuor <3
Grazie mille a tutti coloro che si fermeranno a leggere, chi mi segue silenziosamente e anche a chi dopo la lettura non ha apprezzato.
Grazie a tutti per essere passati di qui!