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Autore: Mana Sputachu    10/10/2011    5 recensioni
“E’ solo una delle tante prove che affronterai ragazzino, solo una pedina sulla grande scacchiera che diventerà la tua vita. Le mosse che farai ti porteranno al compimento di quella che sarà la tua vendetta. E la mia gloria.”
Quinta classificata al Multifandom Prompt Contest di alister_
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Devil Jin, Jin Kazama, Jun Kazama
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia arrivata quinta al Multifandom Prompt Contest indetto sul forum da alister_, con i prompt “Fiamma” e “Occhi vitrei”. Sono soddisfatta del mio quinto posto, soprattutto perché la storia l’ho scritta davvero al limite della scadenza, nonostante fosse già delineata da un po’, e non mi sono accorta di alcuni errori davvero stupidi. Ma sapete com’è, real life stuffs and all.
By the way, spero vi piaccia! :)
EDIT DEL 17/07/2013: In occasione dell'inserimento di Fuoco cammina con me nelle Scelte di questa sezione, ho deciso di darle una sistemata - sia a livello grafico, con il font che uso ultimamente e un nuovo html, sia a livello grammaticale, sistemando sviste, errori e altre brutture che mi erano sfuggiti. Non so se qualcuno la leggerà dopo tutto questo tempo, ma in tal caso, ancora una volta, buona lettura!

Mana Sputachu  
 
 
 
 
 
 
 

Fuoco.

Un fuoco che bruciava ogni cosa e che lentamente devastava tutto ciò che aveva attorno.

Fiamme che avanzavano senza sosta, e due occhi vitrei che lo seguivano costantemente nella sua fuga.

Cercò di urlare ma il grido gli morì in gola, trasformandosi in un flebile suono.

Corse a perdifiato tra la boscaglia – credeva di correre, in realtà stava solo arrancando a fatica, inutilmente; le fiamme stavano per raggiungerlo, e con loro quello sguardo spettrale.

Sentì il calore dietro di sé, senti che il fuoco stava bruciando ciò che rimaneva di quel bosco…

“…E fra poco brucerà anche te.”


Jin si svegliò di scatto, trattenendo a stento un urlo.

Si guardò attorno. Era nella sua stanza, nel suo letto, al sicuro. Forse.

Quel sogno maledetto. Ancora…

Diede uno sguardo alla sveglia sulla sua scrivania. Le cinque. Nel giro di mezz’ora avrebbe albeggiato – e il cielo si sarebbe tinto di rosso, la luce del sole nascente avrebbe accarezzato i profili del paesaggio, dando l’impressione di bruciare ogni cosa.

Tornò ad accoccolarsi tra le coperte, contento di non doversi preparare per la scuola; era già da qualche giorno che si assentava, dopo essere svenuto un paio di volte durante le lezioni. Il medico aveva detto che poteva essere un po’ di anemia, e che qualche giorno di riposo più qualche esame, per precauzione, avrebbero risolto tutto…

…ma quel medico ovviamente non ha idea di cosa mi sta succedendo. E ad essere sinceri non lo so nemmeno io.

In effetti quei mancamenti erano stati solo l’inizio di qualcosa ben più preoccupante, di cui non aveva ancora trovato la causa.

Era cominciato tutto con alcuni sogni piuttosto strani diventati ormai ricorrenti.

Incubi in cui si trovava a correre in un bosco in fiamme, o in corridoi lugubri che sembravano infiniti; in ogni sogno, c’era sempre qualcuno o qualcosa ad osservarlo.

Inizialmente erano stati sogni sporadici che non sempre era riuscito a ricordare una volta sveglio. Ma pian piano avevano iniziato a diventare più frequenti, più nitidi, riuscendo a ricordare sempre più particolari. E in ogni sogno, c’era lui.

Non sapeva chi fosse. All’inizio era solo la presenza che lo seguiva ovunque e lo osservava; poi aveva cominciato a interagire con lui, senza però mostrarsi in volto.

Poi decise infine di palesarsi. Non più solo nei suoi sogni.

Lo vedo ovunque, per strada, tra la gente… mi ossessiona e continua a parlare nella mia testa!

È… è impossibile, sto impazzendo…

Provare a spiegare tutto questo ad altri era impossibile: chi avrebbe mai potuto credere a qualcosa – qualcuno che dai tuoi incubi riesce a manifestarsi anche nella realtà?

Mi prenderebbero per pazzo. E anche io comincio a credere di non essere molto sano…

Si rannicchiò ancora di più nelle coperte, sentendo un improvviso bisogno di piangere. Aveva accumulato troppo stress, e non potersi sfogare con nessuno lo stava lentamente logorando.

Stava asciugandosi le lacrime quando sentì bussare alla porta della sua stanza.

“Posso entrare?” Era la voce di sua madre, Jun.

Non fece in tempo a risponderle, era entrata comunque. Era una sua abitudine.

“Jin sei sicuro non vuoi che rimanga a casa? Non vorrei ti sentissi male mentre sono a lavoro…” chiese, ma lui fece cenno di no con la testa. “Sono solo un po’ debole, vai. Non puoi permetterti di stare a casa altri giorni.”

Sua madre lo guardò per un momento, poi annuì: “Ok. Quando hai fame scendi in cucina, ti ho lasciato il pranzo pronto. Chiama sei hai bisogno di qualcosa.”

Detto questo andò via.

La freddezza di sua madre istigò di nuovo a scendere quelle lacrime che aveva tenuto a bada a fatica, mentre parlavano.

Di solito sua madre era una persona dolce ed affettuosa, ma da qualche tempo i rapporti tra loro erano diventati tesi.

La mancanza di una figura paterna per Jin non era mai stata un problema. Sua madre aveva fatto davvero di tutto per non fargli mancare nulla, e casa sua era sempre rallegrata dalla presenza degli amici di lei, ex partecipanti di un vecchio torneo di arti marziali a cui aveva preso parte da giovane. Ne aveva sentito parlare spesso, e non si stancava mai di ascoltare i loro racconti – spesso romanzati e “riadattati” per risultare più avvincenti agli occhi del piccolo Jin, ma a lui poco importava se venivano esagerati. Adorava quei racconti.

L’unica cosa di cui nessuno gli aveva mai parlato era suo padre.

Quando da bambino aveva chiesto dove fosse il suo papà, Jun aveva risposto in maniera piuttosto evasiva. Per un bimbo piccolo quella risposta può anche andare bene… ma crescendo aveva maturato una naturale e legittima curiosità sull’identità del genitore assente, e aveva più volte chiesto spiegazioni ricevendo però le solite mezze risposte, che avevano finito per infastidire sia lui sia sua madre. Ma mentre il suo fastidio era dato dal non riuscire ad ottenere le informazioni che voleva, quello di sua madre gli era incomprensibile. Poteva capire che per lei potesse essere forse una ferita ancora aperta, una parte del suo passato che le faceva male dover ricordare… ma anche lui aveva il diritto di sapere! Era una richiesta così assurda?

Perché non vuole raccontarmi nulla? Mi sta forse nascondendo qualcosa?

Era ormai certo che doveva esserci ben altro dietro al rifiuto di sua madre di rivelargli qualcosa su suo padre. Purtroppo affrontarla apertamente per l’ennesima volta aveva portato alla fase di stallo in cui si trovavano ora, entrambi arroccati sulle proprie posizioni e senza intenzione di cedere. Sapeva che prima o poi la tensione si sarebbe sciolta, era sempre così nelle loro discussioni; però era davvero pesante da sopportare, soprattutto in un momento in cui avrebbe davvero voluto poterle parlare di quegli incubi che lo tormentavano e lo stavano sfiancando mentalmente e fisicamente. Avrebbe potuto farlo comunque, ovviamente, ma era pur sempre un adolescente in piena fase di ribellione, cosa che insieme alla testardaggine – difetto di famiglia – aveva la meglio sul buonsenso.

Si girò su un fianco, sperando di riaddormentarsi e sprofondare in un sonno senza sogni.


Quando si svegliò erano le due del pomeriggio.

Era riuscito a dormire a tratti, ma nel complesso aveva recuperato qualche ora di sonno. E soprattutto non aveva avuto incubi, per quel che poteva ricordare.

Il pasto abbondante lasciatogli da sua madre, più qualche snack non previsto che si era concesso approfittando della sua assenza, lo aveva rimesso in forze.

Decise di concedersi un bel bagno. Aveva bisogno di rilassarsi un po’, e soprattutto era il caso che facesse una doccia, dopo aver sudato tutta la notte per via del sonno agitato.

Entrò in bagno, e nel passare davanti allo specchio si fermò ad osservare il suo riflesso. Era visibilmente stanco e sciupato… ma non solo. C’era qualcos’altro nel suo sguardo, qualcosa che non riusciva a cogliere…

“Probabilmente perché non è ancora il momento.”

Scosse la testa violentemente. Non di nuovo, no!

“Che c’è, non sono più il benvenuto nella tua testolina?”

Tutto questo non è reale, non è possibile, non… eppure lui era lì che lo fissava.

La cosa che lo aveva inseguito nei suoi incubi era tornata a tormentarla anche nella sua mente… e lo osservava dallo specchio.

Jin guardò terrorizzato quel riflesso che non era più il suo: era sempre lui, con la sua fisionomia, i suoi capelli, i suoi lineamenti. Ma allo stesso tempo non lo era più, era quell’altro; era identico a lui, ma aveva un pallore spettrale e occhi vitrei che lo scrutavano, cerchiati di nero come avesse delle profonde occhiaie. L’espressione che aveva perennemente dipinta sul volto era melliflua, sorridente in una maniera quasi perversa. Aveva l’aria di chi era in attesa di qualcosa… o di qualcuno.

“Oh su, smettila di guardarmi come se avessi appena visto il mostro sotto al tuo letto!” lo apostrofò.

Si avvicinò allo specchio, tremante. “Chi sei, c-che cosa vuoi da me?!”

“Chi sono? Ma sono TE, sciocchino!” disse il suo riflesso, lasciandosi sfuggire una risatina isterica che gli gelò il sangue. Jin continuava a non capire, come poteva quella cosa essere lui?

“E’ ancora presto per le spiegazioni, ragazzino, non capiresti… ti manca ancora qualche tassello della storia, che al momento ti viene negata” disse, e Jin non potè fare a meno di pensare a tutte le risposte evasive di sua madre riguardo l’identità di suo padre. C’era forse un nesso?

L’altro sembrò leggergli nel pensiero. “Forse sì, forse no, chi lo sa? Davvero piccolo, non crucciarti troppo su questo… arriverà il tempo delle risposte. Devi solo maturare un po’ di rabbia e di follia nel frattempo, per completarci…” disse quasi sussurrando. Jin era più confuso e spaventato di prima. “I-io non capisco, come puoi essere me? E perché serve la rabbia per… completarci?” chiese. L’altro sorrise, un sorriso folle, e fece cenno di si con la testa, con un movimento quasi isterico. Nel frattempo, l’ambiente intorno a loro era cambiato; le pareti del bagno sembravano vecchie di anni, annerite come se fossero sopravvissute ad un incendio. Poteva sentire distintamente l’odore di fumo, e un rumore che gli ricordava il crepitio delle fiamme…

“Certo che si, la rabbia e la follia sono la mia... la NOSTRA linfa, il NOSTRO potere! Ma capirai più avanti, piccoletto, tranquillo… per ora, limitiamoci a dare il via ai giochi, e facciamo scattare la prima scintilla di rabbia dentro di te!” “Cosa intendi…?” chiese, pentendosene quasi subito. L’altro sorrise, mettendo in mostra i canini come una bestia. Raddrizzò la schiena e allargò le braccia in un gesto teatrale.

“Dimmi una cosa amico mio: danzi mai col diavolo nel pallido plenilunio?” (1).

E la stanza venne inghiottita dalle fiamme, che divamparono all’improvviso. Il fumo gli impedì di urlare, potè solo tossire e cercare di difendersi inutilmente dal fuoco che avvolgeva ogni cosa.

Da dietro lo specchio lui osservava, con quegli occhi che sembravano cataratte. E rideva.


Si svegliò di colpo, e maledisse mentalmente l’ennesimo incubo.

Per la frustrazione afferrò il primo oggetto a portata di mano sulla scrivania, e lo lanciò in fondo alla stanza. Non lo fece sentire meglio, ovviamente, ma doveva in qualche modo scaricare la tensione.

Sto impazzendo. Sto lentamente impazzendo, confondo realtà e incubi… e lui è sempre lì, e si prende gioco di me! Che vuol dire che lui è me? Danzare col diavolo… nel pallido plenilunio? Cosa vuol dire?

Si portò le mani alle tempie e trattenne a stento un singulto. Tutte quelle frasi sconnesse, quei giochi di parole, lo stavano mandando in confusione. Non capiva, eppure sembrava che tutto, per lui, avesse un filo logico.

Ma qual è questo nesso? E perché c’è sempre il fuoco?

Non fece in tempo a domandarselo, che un odore di bruciato gli invase le narici. Non lo aveva notato subito, ma si stava facendo più intenso.

Viene dal piano di sotto?

Scese di corsa al pianterreno. Aveva notato poco prima, dalla finestra della sua stanza, che era ormai buio. Sua madre doveva essere ormai rientrata.

“Mamma?”

Nessuna risposta.

“Mamma…?”

Ancora silenzio. Arrivato nei pressi della cucina l’aria era quasi irrespirabile per il fumo.

Proveniva dal giardino.

Si fiondò fuori dalla porta sul retro, e venne investito da un calore insopportabile. Le fiamme stavano invadendo il giardino, ma non capiva da dove era partito l’incendio. Mentre si guardava attorno alla ricerca di qualcosa con cui spegnere le fiamme, il suo piede poggiò su qualcosa di umido, vischioso, caldo.

Guardò in basso.

Sangue.

E sua madre, stesa su quella pozza, che rantolava a fatica.

“Mamma! Mamma!”

Urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, ma il crepitio delle fiamme copriva la sua voce, mentre il fumo lo faceva tossire. Si accasciò accanto a lei, che debolmente cercava di parlare e dirgli qualcosa, ma non capiva cosa…

Non può essere, non sta accadendo a me, non…

“Certo che sta accadendo a te. Tutto accade per una ragione ragazzino, persino questo.”

Non mancò di farsi vivo nemmeno in quegli istanti. Sembrava addirittura che sapesse che sarebbe accaduto – forse era causa sua? Non lo sapeva.

“E’ solo una stupida vita umana, un piccolo sacrificio per qualcosa di immensamente più grande, per il potere!”

Jin cercò di ignorare quei deliri, e concentrarsi su sua madre. Doveva aiutarla, chiamare qualcuno – ma chi? E poi non poteva allontanarsi, non con lei in quelle condizioni.

La donna gli fece un debole cenno col braccio, ma continuava a non capire.

“Cosa mamma, cosa vuoi dirmi?! Mi dispiace, mi dispiace, è colpa mia…” disse, anche se la colpa non era sua si sentiva in colpa per tante altre cose: per quella stupida discussione, per la sua insistenza – per non averla abbracciata un’ultima volta.

Il viso di lei si deformò improvvisamente in una smorfia terrorizzata.

“V… ia… va via…”

Jin riuscì a sentire solo questo, poi un dolore atroce lo colse alla schiena, e si ritrovò steso per terra a molti metri di distanza.

“E’ solo una delle tante prove che affronterai ragazzino, solo una pedina sulla grande scacchiera che diventerà la tua vita. Le mosse che farai ti porteranno al compimento di quella che sarà la tua vendetta. E la mia gloria.”

Fu l’ultima cosa che sentì.

Poi un’imponente figura gettò un’ombra su di lui, avanzando lentamente.

Mentre le fiamme danzavano attorno a lui- nel pallido plenilunio, con quella voce diabolica che ancora gli ronzava nelle orecchie, perse i sensi.

E scese il buio.


Fu il picchiettio leggero della pioggia contro i vetri a risvegliarlo.

Si guardò attorno, sperando di svegliarsi ancora una volta nella sua vecchia stanza. Ma sapeva di sbagliarsi. Il suo ufficio della Mishima Zaibatsu lo accolse così come l’aveva lasciato prima di perdere i sensi – immerso nel buio, i mobili distrutti, documenti sparsi ovunque. Era uno dei segni del suo passaggio.

“Buongiorno, raggio di sole.”

Ovviamente non mancò di farsi sentire nemmeno in quel momento – perché non lo lasciava mai in pace.

Jin non rispose, e si limitò a osservare il paesaggio fuori dalla finestra, rannicchiato in un angolo. Pioveva, una pioggerella leggera. Il cielo iniziava a tingersi di rosso, segno che l’alba stava per arrivare –e avrebbe accarezzato i profili della città, dando l’impressione di bruciare ogni cosa. Ancora e ancora.

Quella metafora gli fece venire i brividi. L’incubo di prima non era altro che un dettagliato racconto del giorno in cui sua madre morì; di come l’altro sé stesso iniziò a manifestarsi – di come il fuoco iniziò a segnare il suo cammino, a seguire i suoi passi, a bruciare ogni cosa che toccava, ogni suo legame, ogni persona a cui si legava.

Fuoco cammina con me… (2)

Le fiamme lo avevano accompagnato per tutta la sua vita, e avevano distrutto tutto ciò che aveva provato a costruire.

“…dimostrando come io e te in fondo siamo molto più simili di quanto credi, ragazzo.”

Gli bastò voltarsi verso il vetro della finestra, per vederlo – lì, nel suo riflesso, identico a lui. Vide quegli occhi vitrei che lo fissavano come avevano fatto per tutta la sua esistenza, quel sorriso falso che prometteva solo l’inferno in cui già viveva.

Con un gesto colpì la finestra, come a voler cancellare quel riflesso.

Io non sono come te. Tu non sei me!

Per tutta risposta, una risata gli risuonò nelle orecchie.

“Ne sei davvero sicuro? Sai, anche se ero io a muoverti come una marionetta, era la tua faccia quella che il mondo ha visto! Sei colpevole tanto quanto me!”

Jin lanciò un grido disperato, che sapeva non sarebbe servito a zittire quella voce, né a lenire la sua sofferenza.

“Puoi continuare a negarlo quanto vuoi, ma lo sai benissimo che non siamo poi così diversi! Sai, si dice che il fuoco attrae l’uomo che vi si identifica.(3) Io e te siamo le facce di una stessa medaglia, ragazzino. Accettalo.”

Lui rise più forte, mentre Jin continuava a urlare il suo dolore.

E mentre l’alba arrivava a illuminare la città, le tenebre avvolsero la sua mente ancora una volta, facendolo sprofondare di nuovo nei suoi incubi senza fine.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
NdA:
Ho usato diverse citazioni da film, che trovate elencate qui di seguito.
 Inoltre nella storia ho dato per assunto che Devil Jin sapesse in qualche modo dell’arrivo di Ogre e dei suoi piani, e di quanto stesse per succedere a Jun. Namco non ha mai specificato nulla su una possibile correlazione tra le due cose, ma mi piaceva l’idea che lui potesse saperlo e usarlo come prima “scintilla” per la rabbia di Jin – che è la causa del risveglio di Devil Jin nel suo finale in Tekken 3, come sappiamo (non solo la pallottola in testa ecco XD). La mia idea era di creare una sorta di incubo alla David Lynch in forma scritta; non so se ci sono riuscita, e davvero ne dubito, ma spero vi sia piaciuta comunque.
     
(1) Citazione da Batman, il primo film del 1989, con Jack Nicholson nei panni del Joker; questa frase la dice proprio Joker a Batman (Michael Keaton): può sembrare slegata dal contesto della mia storia, ma mi piaceva l’immagine del diavolo-Devil Jin che “danza nel pallido plenilunio” con il piccolo Jin… una metafora che indica Devil Jin che osserva il ragazzino assistere impotente alla morte della madre e iniziare a covare odio e desiderio di vendetta, il tutto alla luce della luna di quella notte maledetta. Ok, nella mia testa aveva più senso, spero si capisca lo stesso <.<
(2) Questa frase, che fa da titolo alla storia, è anche il titolo di uno dei miei film preferiti di David Lynch, prequel della famosa serie tv Twin Peaks, che amo follemente. Visto il prompt scelto era adatto, e mi ha dato anche una guida su come usare l’immagine del fuoco – l’incendio ma anche il fuoco che distrugge qualunque cosa/Jin che distrugge tutto ciò che ha attorno sotto l’influsso del Gene Devil.
(3) Aforisma di Elias Canetti, scrittore e saggista bulgaro e premio Nobel alla scrittura nel 1981. Anche in questo caso la frase era molto adatta all’immagine che avevo scelto di seguire: il fuoco attrae l’uomo che vi si identifica, e così Jin, che pur cercando di allontanarsene finisce per venirne attratto e travolto (in senso fisico e metaforico).
   
 
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