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Autore: Marge    11/10/2011    3 recensioni
In cui si narra di come Markl giunse al Castello, e vi scoprì le magiche proprietà di moccio e sapone.
Rigorosamente Movieverse. La fanfic può essere letta come una storia a sé stante, ed è perfettamente fruibile da chiunque abbia visto il film; tuttavia, nella mia testolina fa parte della saga nata dalla mia fanfic “Flowers Wall”. Partecipante al contest "Red Hair Party" indetto da (_Armonia_), in cui si è classificata prima, ed al contest "Multifandom Prompt Contest" di Alister09 con il prompt "Graffi", in cui si è classificata settima ed ha ricevuto il premio Personaggi.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Calcifer, Howl, Markl
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Flowers Wall'
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Partecipante al contest "Red Hair Party" indetto da (_Armonia_) in cui si è classificata prima, ed al contest "Multifandom Prompt Contest" di Alister09 con il prompt "Graffi", in cui si è classificata settima ed ha ottenuto il premio Personaggi.







UN PO’ DI SAPONE
In cui si narra di come Markl giunse al Castello, e vi scoprì le magiche proprietà di moccio e sapone.


Markl rotolò letteralmente dentro il Castello. Erano giorni che non trovava un luogo decente dove dormire, per non parlare del cibo, che scarseggiava ormai da…beh, ormai da sempre, per lo meno, da quando era andato via dall’orfanotrofio. Per fortuna, i ricordi di quel posto orribile stavano man mano sfumando via, condensandosi in poche, grigie immagini. Inizialmente aveva pensato che la vita in strada fosse una vera meraviglia; e sicuramente, in quanto a colori ed odori a disposizione, batteva di gran lunga l’orfanotrofio. Poi, certo, c’erano anche dei lati meno belli: il freddo, tanto per cominciare, e la fame. Una zuppa dal dubbio colore e contenuto era pur sempre meglio di nulla, soprattutto se calda.
Un aspetto sicuramente non era cambiato: il fatto che Markl fosse un pavido ed un debole, ed in strada come in orfanotrofio, c’era la fila di bambini più grandi, o semplicemente più scaltri, pronti a sottometterlo, rubargli il poco che aveva, scacciarlo dai posti migliori dove dormire.
Nonostante fosse in pietra dura e fredda, quella soglia, di una rovinata porta in legno, era invitante, ed emanava un lieve tepore; la strada era silenziosa e tranquilla, e neppure dall’interno proveniva alcun rumore. Markl non si chiese come mai nessuno si avvicinasse a scacciarlo da lì, e vi dormì per due notti di seguito. A metà della terza notte, d’improvviso la porta si spalancò, e Markl rotolò dentro, andando subito a sbattere contro qualcosa di molto duro.
Protestò rumorosamente e gli venne da piangere, come si conviene ad un bambino, per il bernoccolo che si andava formando sulla sua testa. Quando finì di lamentarsi, decise di guardarsi attorno, e si asciugò il moccio che colava abbondantemente dal suo naso con il dorso di una mano, scoprendo le proprietà lenitive che tale liquido denso può avere su scorticature e graffi vari.
Si trovava in un luogo buio, illuminato a malapena da un tenue fuoco in una angolo; e ciò contro cui la sua fronte aveva sbattuto poco prima era solo il primo gradino di una scaletta che portava al piano principale della stanza. La salì con circospezione, fermandosi poi in cima a rimirarsi attorno.
Il silenzio era totale, esclusi gli scoppiettii del fuoco nel suo focolare. Nessun rumore di Kingsbury proveniva dall’esterno. Pian piano i suoi occhi si abituarono alla penombra, e riuscì a scorgere un lungo tavolo pieno fino all’inverosimile di libri, boccette, bicchieri ed altri strani oggetti non identificati; in fondo alla sala una scala in legno saliva verso l’alto, e davanti al focolare un divanetto faceva bella mostra di sé, invitante ed accogliente. Senza farselo ripetere due volte, Markl vi si accoccolò sopra, ben deciso a godere di quella insperata fortuna il più possibile. Se anche si fosse trovato in casa di gente mattiniera, mancava ancora qualche ora all’alba, prima che lo scacciassero di lì a pedate. O forse, si trattava di una famiglia di persone gentili, e gli avrebbero offerto la colazione.
Fantasticando su una dolce signora con la cuffia in testa che gli chiedeva di diventare il suo nipotino prediletto, offrendogli di vivere per sempre in quella casa, Markl si lasciò vincere dal sonno.

Quel che non si aspettava assolutamente fu la scena cui assistette non appena venne svegliato da un raggio di sole proveniente da una finestra. Aprì con prudenza un solo occhio, osservando leggermente stupito il pulviscolo danzante nell’aria. Lo richiuse immediatamente quando sentì un tramestio feroce per le scale, segno di qualcuno che le stava scendendo a perdifiato.
“Come sempre ho fatto tardissimo!” gridò una voce, mentre il suo proprietario si muoveva veloce per la stanza, producendo una serie di rumori indistinti dovuti al rovesciamento delle mille cose che vi si trovavano. Al suo passaggio vicino al divano, Markl sentì distintamente un profumo costoso, da gran signore. Non abituato a tali fragranze, aspirò con avidità sorridendo. Si aspettava comunque, da un momento all’altro, di essere scoperto e finire con il sedere per strada, e si raggomitolò quanto più possibile contro il divano, quasi a potersi rendere invisibile. Invece non accadde nulla, l’altro continuò a correre di qua e di là per prepararsi, ed infine urlò dalla soglia: “Calcifer, ti affido il Castello! Tornerò stasera!” La porta sbatté e Markl fu di nuovo solo.
“Non mi ha proprio notato” osservò alzandosi a sedere.
Il fuoco scoppiettò e fischiò con particolare veemenza.
Il bambino si guardò attorno, alla ricerca di qualcosa da mangiare. Quel signore non l’aveva scacciato, o perché non l’avesse notato, o perché aveva deciso di lasciarlo stare; Markl decise all’istante di avere, in entrambi i casi, il diritto di sfamarsi.
“Chissà se c’è qualcosa da mangiare…” mormorò mettendosi in piedi.

In un angolo del tavolo trovò un cestino con delle uova, del pane e del formaggio. Speranzoso si avvicinò al focolare, con l’intenzione vaga di cucinare in qualche modo un paio di uova, ma inspiegabilmente le fiamme si alzarono fino al soffitto; Markl, che era dopotutto solo un bambino, si spaventò, ed arretrò nuovamente fino al tavolo, risolvendosi ad accontentarsi di solo pane e formaggio, che era comunque un pasto decisamente migliore di tutti quelli dell’ultimo periodo. Mangiando sbriciolò un po’ sul pavimento, ma non si diede pensiero, perché quella stanza sembrava non vedere una scopa da diverso tempo, e le sue briciole sarebbero state indistinguibili da quelle che già tappezzavano abbondantemente il pavimento.
Rimase tutto il giorno in quella stanza, non osando muoversi per paura di non saper ritrovare il portone, senza neanche trovare il coraggio per esplorare il resto della casa. Quando alcuni bisogni urgenti si fecero sentire, aprì una porta a caso e scoprì un piccolo cortile, adattissimo all’uso. Per il resto del tempo, osservò ogni minuscolo anfratto della stanza, sfogliando libri pieni di polvere dai titoli bislacchi (Markl aveva imparato a leggere, con enorme divertimento, all’orfanotrofio, e quello era l’unico vantaggio che avesse mai riportato da quell’orrido luogo), soppesando nella sua manina pietre e piante secche d’ogni genere, annusando strane bottigliette ripiene di liquido colorato. Dormì anche per alcune ore, perché le notti in strada non erano mai molto ristoratrici, e si scoprì parecchio stanco. Il fuoco, tornato alle sue normali dimensioni, continuò a scoppiettare allegro senza che nessuno si preoccupasse di aggiungere legna, e non tentò più nessuno scherzo.
Quando scese la notte, Markl si rifugiò in un cantuccio sotto le scale, tra stracci e scope piene di ragnatele. Con un rapido ragionamento, aveva dedotto che sicuramente il signore padrone della casa non l’avrebbe scelto come primo luogo da visitare, non appena rientrato. Aspettò in quell’angolo, protetto da una tenda verde logora e piena di buchi, pazientemente, per più di un’ora, quando finalmente la porta si aprì. Markl si preparò a spiare attentamente la scena.
Una figura flessuosa e sottile salì le scale con lentezza. Il bambino notò dapprima un paio di stivali lucidi, poi dei pantaloni all’ultima moda, con un fine decoro argentato sul lato, ed infine una costosa giacca ricamata, nei colori del blu e del verde, risplendente per i ciondoli e le spille che la ornavano. Il padrone di tale guardaroba degno di un principe aveva incredibili boccoli biondi, acconciati con cura, e le narici di Markl riconobbero il costoso profumo della mattina. A dispetto di tutto ciò, la figura si rivelò avere un volto giovane e fresco, di un ragazzo che, calcolò il bambino, doveva avere poco più di vent’anni.
“Tutto bene, Calcifer?” chiese con dolcezza la stessa voce che quella mattina aveva sbraitato senza ritegno.
“Nessun problema. Ma abbiamo quasi finito la legna, devi sbrigarti a darcene un altro ciocco!” rispose, incredibilmente, una nuova voce. Markl rabbrividì al pensiero che qualcuno, forse invisibile, lo avesse tenuto d’occhio per tutta la giornata, e probabilmente stava per rivelare il suo nascondiglio al padrone di casa. Il ragazzo aggiunse legna sul focolare, e questo confuse ulteriormente il bambino.
“Mandami acqua calda in bagno” ordinò, con un tono sempre molto gentile, il signore, dopodiché scomparve al piano superiore, mentre l’altra voce, che evidentemente non apparteneva a nessuna persona umana, si lamentava sul lavoro che questo gli avrebbe comportato. Non osando muoversi, per paura di essere cacciato in strada, il bambino si accoccolò tra gli stracci, e dopo parecchie ore di silenzio assoluto, esausto, si addormentò.

Il motivo che spinse Howl ad andare a cercare una scopa non fu, ovviamente, di natura domestica. Aveva una naturale predisposizione a non far nulla che potesse essere, anche solo lontanamente, fisicamente faticoso, ed aborriva in particolare tutte quelle faccende che lo obbligassero a passare un panno bagnato in mezzo ad un lurido pavimento, con le sue delicate e curatissime mani. Non si sarebbe mai abbassato a tali umili lavori, e viveva aspettando l’ispirazione per compiere il giusto incantesimo di pulizia, come quelli che vigevano nell’Accademia. Ma il tempo gli scivolava via dalle mani senza che neanche se ne accorgesse, e l’incantesimo finiva sempre, inevitabilmente, tra gli appunti su ciò che avrebbe fatto, un giorno, quando ne avesse avuto l’occasione. Howl amava impiegare il tempo in maniera molto più divertente: in scommesse, ad esempio.
E fu proprio per questo motivo che si decise a cercare una scopa: un vecchio compagno dell’Accademia l’aveva sfidato in un particolare incantesimo, ed uno degli ingredienti, enigmatici come sempre, era indicato come “un oggetto umile ma indispensabile ad una dimora pulita”. Howl sapeva bene che raramente gli indizi negli incantesimi di magia si riferiscono esattamente a ciò che descrivono, tuttavia provare non gli costava nulla, e spalancò con gesto deciso la tenda verde costellata di buchi che copriva l’anfratto sotto le scale, luogo in cui aveva riposto con cura ogni attrezzo utile alla pulizia domestica, dopo averlo indebitamente sottratto ad una casa qualsiasi lungo la sua strada; ai tempi in cui aveva messo in piedi il Castello, la sua fama come mago ancora non era tale da permettergli un buon guadagno, e quasi tutto ciò che arredava il Castello era di dubbia provenienza.
Per poco non fece un balzo all’indietro per la sorpresa di trovare due luccicanti occhi neri che lo fissavano. Si trattenne solo grazie ad anni di studiato portamento, che gli impediva di compiere un gesto tanto sgraziato, ed al fatto che, nonostante qualcosa di vivo fosse, senza ombra di dubbio, acquattato sotto le sue scale, Calcifer non l’aveva nominato, e quindi era, in fin dei conti, inoffensivo. Queste considerazioni, tuttavia, non gli impedirono di assumere un’espressione arrabbiata e di rivolgere all’essere un’occhiata perforante.
“Mi spiace, signore, non avrei mai voluto mangiare il suo formaggio, signore, la prego, non mi cacci da qui!” piagnucolò una vocina esile.
Howl non lo degnò di risposta e si rivolse al focolare: “Calcifer! Ne sai qualcosa? Cosa ci fa qui questo essere?”
“Noi non lo sappiamo. È entrato ieri notte.”
“È qui da ieri notte?”
Evidentemente, la collera non era una posa ineducata, per Howl. Prese il bambino per la collottola e lo tirò fuori dal suo nascondiglio, mentre questi scoppiava in lacrime e si aggrappava con le sue manine alla tenda verde, strappandone un buon lembo. Il mago lo lasciò cadere schifato a terra.
“Un bambino, Calcifer, demone maledetto! Cosa fa un dannato bambino in casa mia? Nel Castello? E tu lo sai da ieri, e non mi hai detto nulla!”
Tra le lacrime, Markl vide un paio di occhietti roteare tra le fiamme ed una bocca larga rispondere: “Ci dispiaceva. È un bambino così carino…”
“Non è affatto carino! È cencioso, ed orrido, e puzza! E chissà quanta roba è riuscita a mangiare, in tutto questo tempo! Con tutta la fatica che faccio per lavorare e mettere da parte qualche risparmio!”
“Tu non metti da parte proprio nulla. Spendi tutto in abiti e profumi.”
“Oh, taci. Piuttosto…”
Si girò verso Markl che rabbrividì ed aumentò il volume del suo pianto.
Howl si premette due dita sulle tempie, mentre un gran mal di testa si faceva strada nel suo cranio.
“Non so come tu abbia fatto ad entrare, ma è sicuro, ora te ne torni subito a casa tua. E dimenticherai la strada per questo luogo, o te la farò scordare io a forza di pedate ed incantesimi.”
Il bambino tacque immediatamente. Lo strano essere che abitava il fuoco del camino, e la parola incantesimi, l’avevano ammutolito. Tuttavia, non avendo ancora l’età per aver paura di certe cose, in lui si fece strada la convinzione che doveva, ad ogni costo, rimanere in quella casa.
L’improvviso silenzio spinse il mago ad osservarlo con maggior attenzione. Si studiarono a vicenda per qualche secondo, quasi trattenendo entrambi il respiro.
“Vi prego” interruppe alla fine il silenzio Markl, “non mandatemi via. Non ho un posto dove andare. Non ho una casa.”
“Non è affar mio” ribatté deciso Howl, nondimeno colpito dal tono stranamente adulto e serio che il bambino aveva assunto tutto ad un tratto.
“Non darò fastidio. Posso stare nell’angolo sotto le scale. Mangio poco...posso anche non mangiare! Ma non rimandatemi in strada, ve ne prego.”
In quel momento, il fuoco mandò un lungo fischio, o forse fu causato solo da legna bagnata. Fatto sta che Howl si girò e se ne andò al piano di sopra, chiedendo dell’acqua calda in bagno. Markl si rintanò nuovamente nel suo cantuccio, avvolgendosi nel cencio verde.

“Credi che mi lascerà rimanere?”
“Diciamo che per il momento non ti scaccerà” rispose Calcifer. Markl mangiava con gusto un pezzo di pane, come fosse il cibo più buono mai assaggiato; e forse, per un bambino del genere, pensò il demone, non doveva essere poi così lontano dalla verità.
“Sono qui da tanti giorni. Eppure il signor mago non si è fatto vedere molto. Cosa ha da fare, là fuori?”
“Incantesimi, stupide gare, scommesse idiote…” sbuffò il fuoco. Markl rise fra sé e sé.
“Sembra molto divertente. Credi sia possibile che anche io diventi un mago? Visto che ora abito qui.”
Calcifer mandò su mille scintille per la canna del camino, sbraitando: “Se fossimo in te, mio caro giovanotto, noi non vedremmo l’ora di andarcene da questo buco! Non si sta affatto bene, qui! Dovresti avere un po’ di sale in zucca e renderti conto che Howl non è normale!”
“No, infatti, è un mago. Proprio per questo” ribatté convinto l’altro. Il demone lasciò perdere e chiuse gli occhi.
Poco dopo, la porta si aprì con il pomello sul verde, ed Howl entrò, zuppo dalla testa ai piedi.
“Maledettissima pioggia!” imprecò, incespicando sui gradini. Salì lasciando impronte umide sugli scalini.
“Date a me la giacca, vi aiuto” esclamò Markl precipitandosi ad aiutarlo. Cercava di fare il possibile per essere gentile e premuroso, in maniera da conquistarsi un posto in quel Castello. Non avevano forse un evidente bisogno di un assistente?
Prese il prezioso indumento dalle spalle del mago e lo adagiò su una sedia. Inevitabilmente, si ritrovò le mani bagnate. Chiazze di pelle rosa affiorarono quindi tra lo sporco.
“E quelle, cosa sono?”
Il bambino si voltò verso l’altro e vide che lo stava osservando con attenzione.
“Cosa?” chiese senza capire.
“Le tue mani.”
Se le rimirò con concentrazione, continuando a non comprendere. Erano mani normali, no? Con cinque dita e tutto il resto. Cosa non andava, in loro?
“Vieni subito qui.”
Il suo tono minaccioso gli suggerì di tenersi, invece, a distanza. Cominciò a fare dei minuscoli passi all’indietro.
“Ti ho detto di venire qui!”
Howl scattò verso di lui e Markl si girò e prese a correre; dopo un inutile quanto ridicolo balletto attorno al tavolo, sentì gli arti irrigidirsi e cadde lungo disteso come un peso morto; il mago subito lo afferrò per la collottola. Markl cominciò ad ululare come se lo stesse scorticando vivo.
“Howl, così lo spaventi, lascialo andare.”
“Quindi questo grigio topo diffuso non è il colore naturale della tua pelle! Ed io che pensavo fosse dovuto alla malnutrizione! Ecco perché puzzi così tanto!”
“Lasciatemi andare! Non sono sporco!”
“Oh, sì, invece! Sei talmente sporco che potresti avere la pelle blu, sotto tutto questo schifo!”
“Non te ne sei mai accorto perché non hai sprecato neanche un momento del tuo preziosissimo tempo ad osservarlo, Howl.”
“Tu, al contrario, non ti sei certo sperticato per dirmelo. Quale credi che sia il tuo compito, in questo Castello? Fare la bambinaia?”
“Noi difendiamo il Castello egregiamente. Non dobbiamo certo informarti di ogni minima cosa.”
“Manda acqua calda in bagno, forza. Ed abbondante, dopo aver lavato questo lurido esserino mi servirà un bel bagno per riprendermi dalla fatica. Mi toccherà perfino sprecare i miei costosissimi saponi per te.”
Nonostante le proteste verbali, Markl non poté fare nulla contro la magia di Howl, che lo immerse in una vasca e lo strofinò tanto da farlo diventare tutto rosso. I graffi e le ferite, trofei di giorni passati in strada, cominciarono nuovamente a far male, ed il bambino espresse vocalmente tutto il suo disappunto per il trattamento subito.
“Ma tu guarda, ha i capelli rossi” commentò Calcifer poco dopo, mentre Markl se ne stava rannicchiato in un angolo del divano, avvolto in un grande asciugamano. “Ed hai anche le lentiggini. Sei un bambino carino, senza sporcizia addosso.”
“Non ce n’era poi così tanta” bofonchiò il cumulo.
In quel momento, Howl riapparve da chissà dove con dei panni tra le braccia: “Provati questi; sono di quando ero bambino, dovrebbe esservi qualcosa della tua misura.”
“Che fine hanno fatto i miei vestiti?”
Calcifer ridacchiò: “Un ottimo pranzetto, devo dire. Un po’ faticoso da digerire.”
Markl si offese per la fine fatta fare ai suoi abiti, ma se ne stette zitto; aveva il terrore che, con un altro passo falso, sarebbe finito nuovamente in strada.
“Da oggi in poi, dovrai essere sempre pulito. Non voglio mai più vederti in quello stato, sono stato chiaro?”
Annuì controvoglia. Poi soppesò le parole nella mente, e capì che un lungo futuro lo aspettava tra quelle mura; e se doveva costargli un po’ di sapone, se ne sarebbe fatto una ragione.
“Puoi salire al piano di sopra ed occupare la stanza vuota. C’è un letto ed un armadio. Non avrò più una stanza per gli ospiti…ma non è grave, non ho mai avuto ospiti nel Castello. E mettiti questo sulle ferite, prima di vestirti, vedrai che non bruceranno più.”
Il mago gli lanciò un barattolo in grembo, poi sparì al piano superiore chiedendo ancora acqua calda al demone.
“Doppi inquilini, doppia fatica! Lo sapevamo, noi, che tutto il lavoro si sarebbe riversato sulle nostre spalle!” tuonò Calcifer, innalzando le sue fiamme fino al soffitto.
“Calcifer, tu non hai le spalle.”
“Sta zitto, e portaci altra legna.”
Mentre si alzava per aggiungere un ciocco tra la braci ardenti, un sorriso si aprì, largo e spensierato, sul viso di Markl.


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Ecco una storiella che avevo in mente da un bel po’, e mi ha causato grasse risate. Ha anche partecipato a due contest, riportando in entrambi ottimi voti e due giudizi molto belli, per cui ringrazio le due giudici! Questa fanfic può essere letta autonomamente, ma nella mia testa fa parte della saga nata dalla mia long-fic Flowers Wall, per cui se questa vi è piaciuta, vi consiglio di leggere anche l’altra. E se vi va, lasciatemi un commento, che fa sempre tanto piacere :)
Se invece vi va di farmi un po’ di fattacci miei, qui c’è il mio LiveJournal.
See you soon red children!
  
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