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Autore: Quintessence    11/10/2011    13 recensioni
La prima neve!
appena da piegare
le foglie dell'asfodelo.

Pluto non ha mai scelto di ribellarsi. Pluto non ha mai scelto di contraddire Serenity. Pluto non ha mai scelto e basta. Gli ordini che le sono stati dati sono sempre stati abbastanza per lei. Ha sempre avuto fede. Non ha mai avuto bisogno di punizioni, per scegliere di ubbidire. Ma per la prima volta, in un giorno di lutto, la fede non basta più. Questa è la storia della nascita di un Tabù.
« Per la prima volta non ci sono scuse per un comportamento simile. Princess non ne ha nemmeno una, un sovrano luce di un popolo non dovrebbe avere prigioni. Di nessun tipo. Nemmeno invisibili come la mia. »
Questa storia ha ottenuto il primo posto al Contest "Quando il pairing canon ha dato assuefazione" indetto da veronica85
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mamoru/Marzio, Setsuna/Sidia
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Questa storia la volevo scrivere da un casino di tempo. Mi sono iscritta al contest perché così mi sono costretta a farlo. è stato un successo di cui sono felicissima perché ne ho curato ogni parola. Ho ottenuto un primo posto di cui sono molto fiera. Il contest è stato indetto da setsuna/veronica85, lo trovate QUI, ed è un concorso che imponeva la totale svicolata da Usagi e dai pairing di cui si parla sempre in fandom. Ho scelto Mamoru e Setsuna perché sono sicura al 100% che Pluto sia innamorata di lui, e vedere questa storia così trascurata mi ha sempre fatto male; eppure offre tanti spunti così meravigliosi! Strano che nessuno ci scriva, insomma... Forse perché Pluto è un personaggio sottovalutato. Ne "La prima Neve" è una Setsuna leggermente OOC soprattutto nel finale, ma la nota era consentita per fortuna ;) La storia racconta come nasce il Tabù di Pluto e perché Serenity le ha imposto una pena severa come la morte, addirittura, in caso di trasgressione. Naturalmente poi divaga un po', ma l'idea originaria è questa. Vi lascio le valutazioni e il commento qui subito, visto che non spoilera niente ma da' magari un'idea di quella che può essere questa storia.
Infine, due riferimenti. La pagina wikipedia di Matsuo Bashō, il più grande scrittore di Haiku del Giappone, e un piccolo approfondimento su che cosa è un Haiku. Ovviamente nessuna delle due è fondamentale per la lettura della storia, ma consiglio comunque di leggerle per curiosità e interesse personali. Direi che ho parlato anche troppo, potete cominciare a leggere ;) LoveLove ♡

Valutazioni complessive;


1° CLASSIFICATO 
La prima neve di Quintessence 
Sintassi e grammatica: 9,5/10 
Caratterizzazione dei personaggi (IC): 10/10 
Originalità: 10/10 
Stile: 10/10 
Gradimento personale:10/10 
Totale: 49,5/50 
Mi sono lasciata questa storia per ultima per cercare di essere il meno “di parte” possibile dato che la coppia era la mia preferita e non volevo rischiare di condizionare il giudizio delle altre. In grammatica non ti ho dato il massimo perché all’inizio ci sono un paio di sviste “lo spettacolo più raccapricciante che io abbia mai visto”, ci sta meglio “avessi” almeno per i tempi che usi e, sempre verso l’inizio "tutta LA notte” magari xd altrimenti sembra in dialetto. Ma sono solo due stupidaggini, per il resto mi è piaciuta davvero moltissimo: l’idea di collegare Basho a Mamoru e soprattutto a Pluto è davvero originale così come tutte le scene che ci mostri che ti lasciano incollata allo schermo a chiederti cosa accadrà. Hai uno stile che mi piace molto, ti spinge a continuare a leggere e ad arrivare alla fine. Davvero i miei complimenti, un primo posto meritatissimo.




You can choose a ready guide
In some celestial voice
If you choose not to decide
You still have made a choice
You can choose from phantom fears
and kindness that can kill
I will choose a path that's clear
I will choose free will.
RUSH ~ Freewill

LA PRIMA NEVE
 

Quello che più mi torna in mente, quando sono in riflessione, è una giornata di molti anni fa. Quando mi gettai nel milleseicentottantadue. Mi ci buttai a capofitto, senza riflettere, volando attraverso la porta, appena vidi le fiamme. E fu forse lo spettacolo più raccapricciante che io abbia mai visto, in secoli e secoli di osservazioni silenziose. Le fiamme si mangiavano il tetto del rifugio come se fosse pane, e il cielo era illuminato di luce innaturale, rossa. Faticavo a distinguere la cenere dalla neve, nell’inverno che diventava inferno. Mi coprii la faccia con le mani, mentre l’insolito calore delle fiamme si mescolava al freddo creando brividi incontrollati. Tutti e due mi bruciavano la pelle. Aprii subito la porta con il Rod, e mi fiondai dentro, dove lui era in meditazione. Sapevo che fosse in meditazione solo perché lo avevo osservato nel pomeriggio, e immaginavo che ci sarebbe rimasto tutta notte come suo solito. Probabilmente la sua trance era davvero profonda, se non si era accorto che un incenso caduto rischiava di ucciderlo. Svegliatosi troppo tardi, rischiava di soffocare nel fumo, svenuto in mezzo alla stanza, se nessuno lo avesse aiutato. E nessuno lo avrebbe fatto, se non io. Lo afferrai con impeto, lo trascinai fuori. Subito il cuore pulsante e il fiatone, insieme al caldo e alle bruciature, mi dissero con orgoglio che avevo appena salvato l’uomo che sarebbe diventato il maggiore scrittore di Haiku di tutto il Giappone. Matsuo Basho. Lo adagiai sulla neve, mentre riprendevo fiato. Voltandomi verso il rifugio, poi, spiccai una seconda corsa. Sul pavimento della casa avevo visto gli Haiku che aveva appena scritto, freschi di giornata. Non dovevano andare bruciati. Erano parole troppo meravigliose. Gli carezzai la testa, rassicurante, mentre cominciava a riprendere i sensi, e mi scagliai di nuovo sulla porta del rifugio, per affrontare di nuovo le fiamme. E a quel punto, Princess decise che era sufficiente.

*
Ricordo quelle parole una per una, nella mia mente.

La prima neve!
appena da piegare
le foglie dell'asfodelo.

Sospiro, e le scrivo ancora una volta per non dimenticarle. Ho osservato Basho per molte volte, da allora, temendo che non le avrebbe ricordate. Che sarebbero andate perdute. Così è stato. Non le ha riscritte; sono solo mie, adesso, queste tre righe solitarie. L’unico accenno di quello che poteva essere un segno di libertà. Non devo dimenticarle. Probabilmente quel giorno Basho pensava alla neve che cadeva fuori. Per questo ha scritto quei versi.
Princess mi ha impedito di salvarli, mi ha impedito di recuperarli richiamandomi in quel momento preciso, perché secondo lei il passato non bisogna cambiarlo. Non bisogna salvare le persone, non bisogna salvare le cose, soprattutto. Ma non capisce che queste non sono cose, sono parole. E non è riuscita a impedirmi di leggerle. Di farle mie. Bevo questa goccia di orgoglio, almeno per oggi, e torno a guardare lo specchio del tempo. Quali noie mi attenderanno, oggi? Bambini litigiosi, o qualche allarme preistorico? Comunque cose che potrò solo guardare. Da cui non potrò andare. Con cui non potrò parlare. Faccio un gesto con il Rod, per un attimo lascio stare le catastrofi naturali a cui, oramai, mi è proibito accedere –da quel giorno, da quella violazione; forse Princess teme che cambi troppi eventi- e guardo lui. Basho. Sono fortunata, oggi, perché sta scrivendo. E sono sfortunata, oggi, perché ho visto la sua morte. E questa sera, Basho morirà.

Il silenzio
penetra nella roccia
un canto di cicale.

Come può Princess anche solo pensare che queste parole siano vuote? Come può considerare il mio gesto di salvarlo una violazione? Voleva forse privare il mondo di questo immenso amore? Io non lo so, non lo capisco. Cambio immagine in un secondo, ed ecco il secondo volto che mi accompagna molto spesso nelle mie ore di solitudine. Questa volta è un viso che mi fa sorridere, ricordare. Oggi che sono in riflessione, oggi che Basho si sta spegnendo, più che mai. Capelli neri e occhi azzurri con punte di oro giallo –che scommetto che Princess non ha mai notato- zigomi alti, una fossetta sulla guancia mentre sorride. Sfioro la superficie che mi consente di osservarlo. Comunque lo chiami, è un volto. Endymion. Tuxedo Kamen. E poi, Mamoru.

La prima neve!
appena da piegare
le foglie dell'asfodelo

Le parole di Basho oggi per me hanno ancora più senso, perché l’asfodelo piegato sono io. La prima neve, oh, la prima neve. Quella. Per me credo fu amore a prima vista. Per lui, non lo so ancora oggi. Sospiro mentre lo vedo che suona un citofono ben noto. Casa di Usagi. Li vedo abbracciarsi. Si baciano, con dolcezza. Chiudo gli occhi. Se c’è una cosa che davvero rimpiango nella vita, è non avergli mai detto che lo amavo con ogni forza. Con ogni muscolo del mio corpo. Con tutte le fibre tese mentre mi sfiorava la mano, un guizzo di elettricità mi percorreva. Non mi è mai stato concesso di scegliere nulla, nella mia vita. Non mi è stato concesso di scegliere chi desiderare, chi amare. Non mi è stato concesso di scegliere chi salvare. Mi è stata proibita la scelta di usare il potere del tempo. Mi è vietato scegliere con chi stare. Solo la solitudine mi è stata assegnata. Ma non mi era vietato parlare, un tempo. Dovevo dirglielo allora, dovevo pregarlo di non andare via. Dovevo gridare quanto lo desiderassi quando potevo parlare. Quando potevo gridare. Forse sarebbe stato meglio un rifiuto, piuttosto che l’orrida consapevolezza di essere rimasta in silenzio. Oggi solo il silenzio mi è assegnato. Mi hanno legata. Mi hanno imbavagliata.
E la cosa peggiore, che mi logora ogni giorno, che mi uccide ogni secondo... È che nemmeno quando potevo parlare ho avuto il coraggio di farlo. Oggi più che mai, allo scadere di un altro anno dopo i nostri primi gemiti, non riesco a non ricordare. Oggi, che so che Basho mi lascerà per sempre, che non avrò più neppure lui ad alleviare le mie pene, non posso frenare la memoria.
Mi abbraccio le ginocchia e dondolo, incapace di smettere di guardare l’orribile scena che ho davanti. Una scena del ventunesimo secolo. Loro avvinghiati, loro perfetti, loro che si completano. Perché io non ho mai lottato. Perché io ho sempre rinunciato. Mi affondo le unghie nelle gambe, dovrei smetterla di guardare, dovrei smetterla di ricordare. Ma i ricordi arrivano, portati da un Haiku doloroso, e mi travolgono come un fiume in piena...

*

Nella mia vita non ci sono rimpianti, visto che non ci sono mai state scelte. Mi è stato messo in mano questo odioso scettro di Granato, e mi è stato detto sorveglia e custodisci. Io ero fiera del mio compito, servivo con orgoglio la Princess. Con il tempo, tuttavia, mi sono resa conto che la verità era del tutto differente. Nessuno con cui parlare. Visite sporadiche. Tutte per dare ordini, o rabbiose perché il mio compito era sorvegliare, non intervenire. All’epoca, credevo di essere ancora libera di scegliere. Incrociavo le braccia, chinavo la testa e chiedevo scusa, ma in segreto sapevo che l’avrei rifatto. Sarei tornata ad aiutare la povera gente. A che serve viaggiare nel tempo, se poi non puoi fare del bene? Solo per custodire? Il mio forte temperamento mi impedì di piegarmi. E fu la Piccola Lady a darmi forza. L’unica a visitarmi, mi spronava ad andare in giro a fare del bene, ad orari stabiliti, mentre lei distraeva la madre –o quando sapeva che la madre era in riunione. Un piccolo appoggio. Per fare solo piccole opere di bene. Salvare un poeta. Salvare un esploratore per fargli scoprire un nuovo mondo. Inculcare idee di progresso. Niente di importante sul serio, niente che cambiasse il destino dell’umanità. In disaccordo con Princess, io e la Piccola Lady cambiammo il mondo pezzo a pezzo. Le cose andavano meglio da quando aveva cominciato a venire, poiché la mia solitudine era lenita da una seconda voce. Non parlavo da sola ma con qualcuno che condividesse le mie posizioni, con una persona che viveva il mio stesso abbandono a causa delle continue assenze di una madre impegnata a governare, con tanto amore per tutti e quindi troppo poco per chi le stava intorno. Ebbi regali e dolci, e per la prima volta in vita mia conobbi il calore nel cuore e il pizzicore agli angoli degli occhi che mi faceva piangere ogni volta che doveva andare via.

E poi, un giorno, venne un uomo.

Venne solo, senza la Piccola Lady, e anche senza che dicesse una parola mi fece cedere le ginocchia. Un po’ per la sua figura maestosa, un po’ per il fatto che la sua aura mi diceva chiaramente chi fosse. Endymion. Per un momento, uno solo, uno rapido, temetti di essere stata scoperta. Che mi avrebbe detto che non avrei mai più rivisto la mia ChibiUsa, che ero condannata all’eterna solitudine. Che non avrei mai più potuto fare quell’unico, piccolo bene che mi spingeva a sopravvivere ogni giorno. Tremai, per un momento. Poi lui mi disse alzati, e allora compresi che nella sua voce e nel suo cuore non c’era traccia di quella freddezza che usava spesso Princess per rimproverarmi di essere intervenuta; lei non mi aveva mai chiesto di alzarmi, in sua presenza. Arrossii leggermente, perciò, e presi la sua mano con la mia. Non fosse stato che per il contatto con i guanti, credo che il mio corpo sarebbe stato invaso da elettricità così forte che sarei morta davvero.
Parlammo a lungo. Aveva davvero scoperto il nostro segreto, quel giorno, ed era per quello che aveva deciso di venire al posto della Piccola Lady. Mi disse che la bambina aveva raccontato tutto. Abbassai la testa e nascosi il viso rosso di vergogna, attendendo un giudizio che non sarebbe arrivato. Quando se ne andò, mi disse solo che sarebbe tornato. Non disse che non dovevo farlo più, e non disse che era sbagliato. Disse solo arrivederci, e io capii che approvava. Non mi servì altro, per amarlo improvvisamente e incondizionatamente. Come se fosse una cosa naturale. Sorrisi per tutto il giorno.
Tornò il giorno dopo, e mi portò un dono. Un foglio rubato. Sussultai rifiutandolo; non potevo tradire così la mia Princess; lui disse che era un ordine prenderlo. Non potevo nemmeno tradire il mio cuore. Lo lessi. Era un lungo elenco di numeri. Di date, mi suggerì la voce del Rod nella testa. Il tempo di alzare il volto, ed era andato via. Usai la porta immediatamente per visitare quei momenti.
1492, la scoperta delle Americhe. Sventai un naufragio. 1556, uccisi un attentatore di Motoyatsu. 1945, Hiroshima. Salvai molte vite. 1945, Nagasaki. Molte altre. 1989, la morte di Hirohito. Aiutai Akihito nella sua ascesa. Il Giappone prosperò.
Erano molti gli eventi che non conoscevo del passato, mi resi conto. A scuola non ci ero mai andata, e tutto ciò che sapevo lo sapevo per osservazione. Osservare gli infiniti tempi e le infinite dimensioni create da’ il mal di testa, però, così mi limitavo a guardare sempre le solite tre o quattro finestre sul passato, quelle più pericolose. Quelle che se sfondate potevano creare problemi seri. Da quando avevo la lista, saltellavo come una ossessa, bramosa di sapere ancora, e ancora.

Lui tornò.

Mi portò libri di storia che modificavo con un tocco qua e uno là. Mutavano leggeri sotto i miei occhi avidi di migliorie per l’umanità che era stata. E un giorno, capii che non potevo più continuare così. Quando lui venne, gli parlai davvero per la prima volta. Nemmeno salutai. Ma direttamente e senza preamboli, gli dissi di ciò che mi attanagliava il cuore. Da secoli ero relegata in un posto vuoto a custodire e proteggere, e avevo visto ciò che era accaduto nel XXX secolo. La catastrofe che Usagi non aveva scongiurato, creando Crystal Tokyo e lasciando morire tutto il resto delle persone. Perché, domandai? Non posso cambiare anche quello, salvare altre vite? 
Vidi compassione nei suoi occhi, e comprensione. Ma disse solo No, non si può cambiare. Io mi arrabbiai, dissi Tutte le piccole modifiche che ho fatto saranno inutili allora! Moriranno tutti comunque per la vostra NUOVA umanità! Mi disse Non puoi farci nulla. Io dissi Allora sono solo carne da macello, allora la lista era solo un pretesto! Solo un contentino, moriranno comunque! Disse Non era un contentino, dissi Allora salviamoli! Disse No, non si può.
Uscì e io non potevo inseguirlo.

E Lui non tornò.

La rabbia mi prese. Per qualche tempo, volli sfondare la porta della catastrofe del XXX secolo, ma ragionando capii che fosse impossibile. Probabilmente io stessa sarei rimasta coinvolta in un cambiamento troppo grande. Le cose mi sarebbero sfuggite di mano. Mi costrinsi a cambiare piano. Dovevo tornare più indietro. Molto più indietro. Cominciarono i viaggi nel ventesimo secolo allora. Coperta dagli orari che conoscevo, quelli delle riunioni settimanali, ogni giovedì e ogni lunedì sparivo nelle porte del tempo per andare a cercarlo. E lo cercai a lungo, prima di trovare il giusto anno. E poi, eccolo. Inconfondibile anche da bimbo.
Gli fui vicina due volte a settimana, all’inizio di nascosto, poi in modo palese. Alle scuole superiori lo incrociai più volte prima di riuscire a parlargli sotto copertura. Poi diventammo amici. E poi l’irreparabile. La peggiore delle mie non scelte. Il peggiore dei miei ricordi.

*

Stringo ancora le ginocchia e cancello tutto. Cancello l’enorme bolla in cui vedo i loro visi sorridenti, e torno a guardare il mio Basho.

La prima neve!
appena da piegare
le foglie dell'asfodelo.

Vorrei che ricordasse questi versi, adesso, che li scrivesse. Così il mondo li avrebbe. Ma Princess mi scoprì. Princess seppe dell’accaduto, e mi tolse la facoltà di viaggiare nel tempo. Dopo quell’ultimo episodio, quello in cui la peggiore delle mie paure prese forma, il viaggio mi fu vietato. Sfioro la bolla con una mano, e poi con la bocca. Basho, vorrei sfiorare le tue labbra e la tua mano, ora. Sussurrarti le tue parole, l’unica goccia di libertà che mi è rimasta. Anche venirmi a trovare è vietato, oggi. Ho perduto tutto, quel giorno. Mi chiudo le orecchie con le mani, non voglio sentire ancora i ricordi. Ma arrivano, li sento arrivare. Mi prendono, io che sono la custode del tempo dovrei sapere quanto fa male. E quanto tempo ci vorrà prima che svaniscano? Nemmeno io lo so. Mi prendono.

*

C'è un solo bacio, nei miei ricordi. È un bacio che sa di cannella e di menta, un bacio che sa che di pulito, di puro. Uno solo. Avvenne dopo due anni di viaggi nel tempo, dopo due anni di faticose e calibrate corse, dopo mille incontri di poche ore. Come una Cenerentola legata al suo orologio, fui costretta a piantarlo in asso molte e molte volte. E sempre, fu prima di quello che avrei voluto. Sempre, fu troppo poco tempo. Vissi quegli anni solo in attesa dei nostri appuntamenti, in attesa di poter essere anche solo per poco, solo Setsuna, solo una normale studentessa, solo un'umana. Niente di speciale, niente scettro di granato che mi guarda, ridendo di me. Perché che cosa ho, io, meno o più degli altri? Cosa mi ha fatto meritare questo destino? E cosa mi dice che io debba accettarlo? Che debba andarne fiera? Quel giorno, potevo trattenermi poco di più. E fu il giorno della prima neve. Avevamo appuntamento sul ponte, poco dopo la fine delle lezioni. Io ero in anticipo, come sempre. E lui era in ritardo, come sempre.

« Mi hai aspettato per molto? » -Come sempre.

« Solo cinque minuti » -Come sempre.

Lo guardai in un modo leggermente diverso dal solito. Forse non sapeva per quanto tempo l'avevo amato. Forse avrei dovuto dirglielo. Era ingiusto che fissassi le pieghe della sua pelle mentre sorrideva senza che lui sapesse quanto le amavo. Era ingiusto che l'amassi così tanto e non potessi dirglielo. Mi appoggiai al ponte, guardai giù. Lui mi affiancò e fece lo stesso. I fiocchi mi parlavano leggeri, di Basho e di noi, da lontano. Li sentivo raccontarmi di sere lontane, o di case calde, in cui il pane manda profumo di buono. Profumo d'amore. Racconti vuoti o pieni, non aveva particolare importanza. Tutti i miei sensi erano persi dentro la persona accanto a me.

« Dove andiamo, oggi? »

« Uh? » -Troppo persi, forse. In quelle settimane avevamo visitato oramai tutta Tokyo. Senza volerlo e con accenni solo brevi, avevo raccontato a quel ragazzo quasi tutto del futuro della città, e del suo passato. Racconti tanto vivi e tanto forti da affascinarlo, da volergli far sapere sempre di più, da tempestarmi di domande fino a sommergermi. La verità era che in lui vedevo me stessa. Forse per quello non riuscivo a togliermelo dalla testa. Ogni giorno mi dicevo che gli avrei narrato tutto. Che gli avrei detto del suo futuro, di Crystal Tokyo. Di quello che avrebbe avuto, e di quello che mi sarebbe stato negato. Che gli avrei detto che l'amavo, di tenermi con lui, di proteggermi. Di lasciare andare Princess e l'amore che il destino aveva voluto per loro. Di occuparsi del presente, non del futuro. Di non creare la mia prigione insieme a Crystal Tokyo. E invece, ogni volta, la mia gola si seccava. E io, io soffocavo.

« Ho detto; dove andiamo oggi? » -Lo fissai.

« A fare gli angeli sulla neve » -Rise, e io dovetti deglutire piombo bollente per non scoppiare in lacrime. Andammo davvero a fare gli angeli sulla prima neve caduta, e lui mi tempestò ancora di domande; il mio cuore in tempesta rispose a ciascuna di esse, con piacere ed eccitazione insieme. Il tramonto, quella sera, era del colore della lavanda.

« Se fossi regina, sceglierei un abito di questo colore per qualsiasi occasione importante. A mille sarti chiederei di riprodurre questa sfumatura » -Sussurrai mentre le gambe strisciavano bagnando i vestiti, sulla neve.

« Se fossi re, il mio mantello sarebbe di quel colore » -Lo guardai stupita. E poi, mi presi una di quelle piccole vittorie di cui Princess non avrebbe mai saputo.

« Giura che se lo diventerai, chiamerai un sarto e glielo farai cucire! »

« Giuro. » -Annuii soddisfatta. Sapevo che l'avrebbe mantenuto. Sorrisi fra me. Tornai al mio angelo con più precisione, battendo i tacchi per formare la gonna- « E così pensi che ci sia stato davvero, uno Spirito Protettore di Basho? »

« Non lo penso, » -Strofinai le braccia su e giù, dipingendo la tunica- « Ne sono sicura. Chi altri poteva salvarlo così tante volte? E chi altro poteva sussurrargli parole così meravigliose? »

« Quindi ce l'abbiamo tutti, uno spirito protettore, secondo te » -Lo fissai voltando la testa, di poco, e sollevando la schiena. Riflettei per un momento. Sì, ce l'abbiamo tutti, e sono sempre io, pensai. L'unica che non ce l'ha, sono proprio io.

« Tutti, tranne me » -Mi sfuggì con tristezza. E con mia grande sorpresa, lui non rise. E non mi prese in giro, forse i ricordi che affioravano nella sua mente gli regalarono una visione di me del tutto diversa, o forse il mio sguardo era troppo duro, e forgiato, e solitario per non prendermi sul serio. Mi guardò nel suo modo dolce e sincero, con una sorta di solitudine nella voce. Si alzò anche lui.

« Se vuoi, posso essere il tuo » -La confessione mi spaventò. Non tanto perché la vedevo come una cosa carina, tenera, e il fatto mi faceva scoppiare il cuore di gioia, quanto perché il mio senso del dovere urlava di dolore, trafitto dall'idea che Mamoru potesse provare per me sentimenti diversi dalla riverenza, dal timore, dall'amicizia, dall'indifferenza.

« Io... » -Qualsiasi volesse essere la prosecuzione della frase, la dimenticai un secondo dopo. Affondò una mano nei miei capelli e si gettò su di me, facendomi perdere tutti gli equilibri possibili. Mi chiuse la bocca con la sua. Presi fiato. Ne avevo bisogno. Mi avvicinai di più, approfondendolo mentre lui faceva lo stesso. Le mani attaccate alla sua giacca, alla ricerca di un equilibrio interiore ed esteriore, unite al profumo che emanava mi fecero perdere completamente il senno. Chiusi gli occhi in un automatico gesto di protezione, mentre univo anche i nostri corpi stringendo leggermente sulla sua vita. Quasi singhiozzai, la seconda mano adesso aveva stabilito un indispensabile contatto; fece il suo percorso verso l'alto, fino ad arrivare ai capelli. Ne sfiorò le onde, e affiancò l'altra prendendo il posto sul mio viso. Avevo tutte le dita avvinghiate alla sua giacca, e il fiato corto. L'odore emanato dalla sua pelle, un mix fra menta, cannella e un profumo sicuramente costato tanti Yen mi fece girare la testa vorticosamente. Interruppi il contatto solo per una frazione di secondo, per riprendere aria. Poi lui mi gettò di nuovo la testa leggermente indietro, e si abbassò di nuovo sulle mie labbra. Assolutamente incapace di formulare un qualsiasi pensiero che avesse un senso, le accarezzai con le mie con delicata decisione, le schiusi lentamente. Il pollice della mano destra mi accarezzò la pelle liscia, disegnando cerchi e fiori di sconosciuta provenienza. Affogavo nelle sue labbra, il mio viso fra le sue mani era una beata e meravigliosa illusione che sicuramente si sarebbe dissolta a momenti. Una voce gridò nel mio cervello. No. Un no deciso e consistente. Pluto, no. Dannato senso dell'onore, o qualsiasi cosa tu sia. Staccai le labbra con fatica incommensurabile, il sapore delle sue ancora fresco. Lui appoggiò la fronte sulla mia, muovendo lentamente le dita sulle guance. Lasciai che mi sfuggisse un gemito, un singhiozzo. Trattenni una lacrima con forza. Non volevo lasciare che fosse solo una foto nel fondo del mio cuore, da qualche parte, se un giorno ci avessi pensato... Avrei voluto avere di lui quel ricordo. Uno sfuggevole bacio sulla neve, un ragazzo che guarda da un'altra parte mentre cerchi di dirgli quello che provi; e che anche se solo per una sera, anche se solo per un secondo breve, è stato tanto vicino da sfiorarti. Quello mi sarebbe bastato per non farlo sprofondare. Per tenerlo all'altezza del cuore, e non in fondo all'anima.

« Mi dispiace » -Lo allontanai con un gesto.

« Cosa? Ti... dispiace? » -Il risentimento nella sua voce mi fece più male di quanto non mi avrebbe fatto un pugnale.

« Sì, insomma, io... » -Soffocai la voce in gola. Io che cosa? Di nuovo, avevo dimenticato cosa dire o non volevo ricordarlo.

« Tu, che cosa? » -Era più sorpreso, che non arrabbiato o triste.

« Noi, volevo dire, noi » -Non volevo parlare di me- « Noi non possiamo stare, insomma, insieme. Non va bene, non... Io non posso » -E invece ero tornata a “io”.

« Cosa? » -Per la terza volta aveva usato quella parola. Cosa? Come se non capisse, come se fosse troppo sorpreso per capire o forse troppo forte per voler cedere e capire. Scoppiò improvvisamente tutto, sulle mie labbra, nella mia testa, in un grido soffocato, in un tentativo estremo di confessione. In un tentativo fallito.

« Io vengo da un altro Tempo, Mamoru. Un tempo in cui tu sei un Re, e io sono... Prigioniera. Io sono una fuggitiva, sono una disonesta, sto tradendo la mia regina e non sono... Non sarò... Non posso essere ... » -Mi interruppe bruscamente.

« Non mi ami? »

« Cosa? » -Fu il mio turno di non capire- « No, io, insomma, voglio dire... » -Balbettai arrossendo. Sì, era palese che non mi avrebbe creduto. Mi alzai, spolverando via la neve dalla giacca. Mi ero presa troppo tempo. Troppo. Mi sarebbe stato fatale, e lo sapevo, ma gli ultimi secondi di quel momento mi bruciavano sulle labbra. Il mio primo bacio. L'unico bacio che avrei mai ricordato. « Devo andare, scusa » -Gli voltai le spalle.

« Aspetta! » -Non lo guardai, ma lui mi prese per il braccio, con forza- « Ti prego, dimmi qual è il problema. Sono sicuro, possiamo risolverlo »

« Non puoi capire »

« Prova a spiegare » -Spiegare cosa? Che a volte il tempo va all'indietro? Che a volte nemmeno una guardiana delle ere può fermarlo? Che essere immortali è una condanna? Che non si scappa al destino, non importa quanto ci provi? Oppure spiegare che fra un millennio tutto questo non esisterà più, distrutto da una grande catastrofe, e che io vorrei impedirla? E che per farlo sono tornata da lui, dall'uomo che amo? Sospirai con forza. Ero andata fuori tempo massimo. Princess avrebbe scoperto molto presto dov'ero. Guardai l'orologio. E così, avevo ancora qualche secondo per sputare fuori due parole. Due sole, ti amo. O anche una sola, tornerò. Invece, il silenzio mi prese. E in quei secondi, rimasi in silenzio. Assaporando un tocco che sapeva di addio quanto il suo sapore impastato sulle mie labbra. Incontrai i suoi occhi. E mentre Princess mi strappava da lui con forza, con violenza, con potenza, uscì solo un sussurro.

« Dimenticami. »

*

Così, se c’è stata mai una cosa per cui mi era dato scegliere, nella vita... L’ho lasciata andare. Ho lasciato che scegliessero altri per me, forse spaventata dall’idea che finalmente mi fosse data la possibilità di farlo. Per nulla abituata all’idea di decidere cosa fare, non l’ho fatto. Da allora, la mia segregazione è totale. Da allora se viaggio nel tempo, muoio. Avrebbe potuto uccidermi allora, Princess. Ma si fa chiamare clemente, e così non ha perso la sua guardiana del tempo. Oggi, festeggio la mia solitudine un'altra volta. Oggi, piango quella parola ancora una volta.
Ma oggi, è un’altra storia. Oggi per l’ennesima volta rifletto, oggi è l'anniversario di quel viaggio, e so bene che oggi Basho morirà insieme a tutte le mie speranze, a tutte le mie piccole vittorie, a tutte le mie piccole felicità. L'ho visto. Oggi è l'ultimo giorno per decidere di non ubbidire. Per decidere di sbagliare. E sbagliando, non sono io quella in errore, per la prima volta. Per la prima volta non ci sono scuse per un comportamento simile. Princess non ne ha nemmeno una, un sovrano luce di un popolo non dovrebbe avere prigioni. Di nessun tipo. Nemmeno invisibili come la mia. 
Sfioro la bolla, e sollevo il Rod. Forse tornerò anche nel diciannovesimo secolo, e cambierò ciò che è stato. Ma prima ancora, prima di quello, c’è una cosa che devo fare. Apro la bolla come fosse di vetro fuso, e atterro dietro Basho. Prima di morire, domani, dirà che uno spirito gli ha sussurrato parole d’amore, ma è falso. Gli ho solo reso le sue parole. Sussurro al suo orecchio quelle che potrebbero essere le mie ultime. Domani tornerò da te, Mamoru. Domani chiederò scusa, forse. Se ci sarà domani, domani sarà per te ma... Sarà domani. Non oggi. Oggi, basta ubbidire. Oggi finisce la mia fedeltà, insieme alla tua vita, Basho. Finisce con queste tre righe, conservate per Te. È un soffio di vento, e poi sparisce.

La prima neve!
appena da piegare
le foglie dell'asfodelo. 

   
 
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