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Autore: Alechan Black Helsing    18/06/2006    1 recensioni
(NUOVO PERSONAGGIO)
Elle Vajolet ha vent'anni ed entra nella scientifica di Las Vegas quasi per caso.
Ma li qualcosa del suo passato torna a galla. Perchè non ha rivelato il suo secondo cognome?
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Sono presenti/citati i protagonisti di Csi, in più c'è un nuovo personaggio, Elle appunto.

Family Affair

D’altra parte lo si sapeva da tempo che Elle non sopportava gli autobus. Era seduta fra la gente dal capolinea, e il suo percorso era ancora lungo.
Rimase immobile a fissare una signora seduta di fronte per un buon quarto d’ora. Poi ella scese.
«Hei tu, il posto lì è libero?»
Chi la disturbava? Un ragazzo alto moro, gli occhi chiari ed una tracolla verde, fece cenno di si con la testa, e poi volse il capo dalla parte opposta.
I capelli biondi tagliati a caschetto erano spettinati come ogni giorno, la frangia un tempo blu elettrico ora era di un azzurrino pallido. Le mani lunghe e flessuose tamburellavano rapide un brano di un rock dei primi anni novanta.
Sentiva gli occhi del ragazzo e del compare brutto puntati sulla sua nuca
«Vuoi qualcosa?»
Domandò piuttosto irritata, nessun segno d’un sorriso sul volto magro e un po’ da bambina, aveva tante piccole lentiggini sul naso all’in su.
«Mattinata storta biondina?»
«Si, da dieci minuti a questa parte lo è diventata»
Il sarcasmo era sempre stato il suo punto debole. L’autobus sostò davanti al dipartimento di polizia, Elle raccolse le forze e si trascinò giù dal veicolo seguita da entrambi i ragazzi, finse noncuranza e si infilò nel dipartimento, tirò fuori il tesserino magnetico e lo passò sul lettore, una mano le si appoggiò sulla spalla:
«’Sera»
Si chiamava qualcosa come Sanders, ma non ne era certa, sapeva solo che doveva rivolgersi a lui se aveva problemi. Rispose con un cenno del capo e una volta che anche lui fece passare il suo tesserino entrambi accedettero ai laboratori della scientifica. Si incamminò nello spogliatoio ed aprendo l’armadietto assegnatole c’infilò dentro la borsa e ne tirò fuori il camice azzurro. Lo infilò e mentre richiudeva l’armadietto una donna entrò.
«Elle Vajolet?»
Annuì e la donna le porse la mano:
«Catherine Willows. Seguimi.»
Non se lo fece ripetere due volte, s’accodò alla donna, alla quale s’avvicinò quello che le si presentò come Warrick Brown, formavano una bella coppia, anche se non avrebbe mai osato dirlo loro. La fece entrare nella sala riunioni dove tutto il team del turno di notte, Sanders compreso l’attendeva; quello che il primo giorno aveva conosciuto: Gil Grissom, che era accomodato su una poltroncina girevole le rivolse un sorriso e le fece cenno di avvicinarsi:
«Sono sbalordito, sei giovanissima. Ti faccio i complimenti per il curriculum con cui sei entrata.»
Fece spallucce, non era un genio e lo sapeva bene, era furba, attenta, e pratica, non lasciava niente al caso, ed ovviamente s’era fatta il mazzo fin da piccola.
«Hai già conosciuto tutti, ma voglio scambiare due parole con tutta la mia squadra, devi integrarti al meglio»
Elle si sedette sulla sedia sotto la finestra, odiava Las Vegas, non sapeva perché, dopotutto ci era nata, ma la odiava fin da piccola. Tutti volevano vedere Las Vegas almeno una volta nella vita, lei l’avrebbe lasciata volentieri, poi per caso suo padre le portò il foglio per il concorso della polizia scientifica, tentò e passò anche.
«Mi sono permessa di dare un’occhiata ai tuoi test attitudinali, sono stupita, normalmente quei test li passano persone preparate da più di due anni» Catherine parlò rapida e dura, il suo sguardo era si gentile, ma allo stesso tempo autoritario.
Nick Stokes era appoggiato languido contro una libreria alle spalle di Sanders (ammesso quello fosse il nome corretto). Tutti la osservavano curiosi, lei prese la parola cercando di fissare la gomma da masticare ai lati della bocca.
«Grazie, ma, mi sono solo impegnata per superare quel test. Tutto lì, non avete davanti un genio o che so io. Sono solo una che si è fatta un gran mazzo.» Abbassò lo sguardo, aveva sempre paura di parlare troppo “da strada” quando si trovata in queste situazioni, Warrick sorrise:
«Già, ed a quanto pare il tuo impegno ha dato degli ottimi risultati, essere elogiati da Grissom ed Eickli è quasi un miracolo visto che non vanno d’accordo praticamente su niente.»
La risata si allargò, l’unico a rimanere serio fu proprio Gilbert Grissom.
Piegò la testa da una parte, un movimento quasi del tutto impercettibile, ma lei lo notò, rimase a fissarlo fino a quando non fu lui a togliere lo sguardo.
«Tornate tutti al lavoro, io rimango a fare altre quattro chiacchiere con la signorina Vajolet, non appena avremo finito l’affido a te Sara.»
La donna mora nell’angolo annuì e tutti si congedarono.
«In questa settimana ti sei data da fare, ma, non ti sei mai presentata nel mio ufficio, ho ricevuto tutti i tuoi rapporti da Greg. Hai una valida spiegazione?»
Elle, non rispose, riprese invece a masticare la gomma da masticare osservando alcuni libri sulla libreria; Grissom continuò a fissarla per un paio di minuti poi schioccò le dita
«Allora?»
«Non avevo niente da dire, e siccome Greg doveva venire nel suo ufficio ne ho approfittato. Tutto qui»
«Ne sei sicura?»
«Ha dei dubbi?»
Grissom tacque. Lei si alzò sistemandosi i jeans tagliati appena sotto il ginocchio.
«Se è tutto io andrei»
Grissom tacque ancora e lei si avviò verso la porta, stava posando la mano sulla maniglia quando Grissom riprese:
«Perché non dici la verità Elle Vajolet… Grissom?»
Rimase immobile, la mano sulla maniglia s-irrigidì improvvisamente, il respiro si vece corto e rapido, Grissom si levò gli occhiali e si passo una mano sugli occhi.
«In Nevada non si è obbligati a dichiarare il doppio cognome, basta quello che si usa più spesso» La voce di Grissom, era quasi un sussurro, Elle si volse lentamente e si mise a fissarlo spostando con le mani le ciocche bionde dal viso.
«Perché ha cercato informazioni? Non era suo diritto»
«Siediti.» La voce era pacata, ma per un’ascoltatrice come Elle era facile intuire che era un ordine più che una richiesta, così obbedì e s’accomodò di fronte all’uomo che nel frattempo si rimise gli occhiali.
«Non ho fatto ricerche, mi è arrivata la lettera col responso dei tuoi esami, quando si fa richiesta di entrare nella scientifica come sai viene richiesta obbligatoriamente una serie di esami per verificare l’idoneità del soggetto e, in questo caso il nome del soggetto è scritto per intero.»
Come aveva potuto tralasciare un dettaglio del genere? Ora si ritrovava davanti ad una persona che portava il suo stesso cognome e non sapeva cosa dire.
«Il fatto che mi chiami Grissom non…»
«Non vuol dire che siamo parenti? Sarebbe una presa in giro negarlo, lo sai tu e lo so io. E poi, sul tuo viso riconosco tutti i tratti di Agatha.»
Elle abbassò lo sguardo. Agata, nessuno la nominava mai da quando ebbe l’incidente, nemmeno suo padre. Sapeva a grandi linee la storia della sua famiglia, sua madre abbandonò tutti da giovane partì per il Canada e vi rimase fino a quattro mesi prima della sua nascita, poi tornò a Las Vegas, forse voleva riavvicinarsi a quel fratello che idolatrava tanto, ma che non osava chiamare.
Poi, non appena Elle compì quindici anni ebbe l’incidente che la uccise.
Lei e suo padre si diedero da fare, Elle sapeva a grandi linee che suo zio lavorava nella scientifica di Las Vegas, ma non lo immaginava così, quando glielo presentarono il primo giorno ebbe la tentazione di scappare, poi decise che non poteva essere così codarda. Che motivo avrebbe avuto?
”Scusate ma non posso lavorare qua perché pare che parte del mio codice genetico abbia qualche allelo in comune col supervisore del turno di notte?”
No. Doveva restare, ma mai si sarebbe immaginata tutto questo. Rapportarsi alla famiglia che sua madre vent’anni prima aveva abbandonato.
Grissom la osservava con quei suoi occhi imperscrutabili, non riusciva a decifrare le emozioni che provava il suo interlocutore, ma conosceva bene le sue.
Aveva paura delle conseguenze, non appena aveva saputo di essere passata, era stata contenta, finalmente suo padre avrebbe potuto diminuire le ore di lavoro perché anche lei avrebbe portato a casa dei soldi, non molti forse, ma abbastanza per vivere bene.
Non avrebbe mai immaginato che la verità sulla sua parentela sarebbe stata scoperta proprio da Grissom.
Tacque, ed abbassò lo sguardo, stritolando con le mani i lembi del camice azzurro.
«Perché non sei venuta da me?»
«A dirle cosa?! Che ero una sua parente? La nipote che non aveva mai conosciuto? Andiamo.»
Sbuffò; il tono della voce si era alzato e lei si spinse maggiormente contro lo schienale della sedia, avrebbe voluto sprofondarci dentro. Grissom continuò ad osservarla.
«Perché no? Sarebbe stato un inizio.» Il tono parve sarcastico, Elle fece finta di niente e scrollò nuovamente le spalle, lui si alzò prendendo anche il fascicolo:
«Sara ti stà aspettando.»
Come? Voleva chiudere così la discussione? Elle non ne poteva del suo atteggiamento, non le pareva giusto che lui chiudesse la cosa lì, scattò verso la porta e la richiuse con violenza, Greg e Sara che lavoravano poco distante si voltarono, ma non potettero capire molto del loro dialogo.
«Per te la cosa finisce qui?»
«Prego? Non mi pare ci sia altro da aggiungere.»
La mano di Grissom che teneva serrata la maniglia si sciolse, il suo sguardo era quello di un capo freddo e razionale, ma Elle riusciva a scorgere qualcosa in più.
«No. Lei non può andarsene così.»
«Non me ne andrò.»
«E’ possibile che non abbia niente da dire? Che non abbia NULLA da chiedermi su mia madre? Sulla mia vita? Non le interessa affatto?»
La voce della ragazza era spezzata, inizio a singhiozzare convulsamente, perché le faceva questo effetto?
Non lo conosceva, non l’aveva mai visto prima di quella settimana, e anzi, l’aveva reputato molto male, troppo freddo. E ora? Se ne stava lì, sbarrandogli la strada e piangendo.
«Al contrario, ma non voglio che questo pregiudichi il tuo lavoro. – Le sorrise, e la sospinse nuovamente verso le sedie, ma questa volta s’accomodò sulla poltroncina vicino a quella della ragazza – Se hai deciso di non scrivere il tuo secondo cognome, avrai avuto i tuoi motivi e lo rispetto. Dovrai lavorare con gente che lotta per mantenere questo posto, non è il caso che qualcuno infierisca in questa situazione non proprio normale, personalmente parlando, dicendoti che sei una “raccomandata”.»
Era sincero, era un capo giusto. Credeva nei suoi uomini, anche in quelli che non conosceva, come lei, ma le dava fiducia; s’asciugò le lacrime con la manica del camice e lo sguardo di lui si fece serio:
«Ti conviene cambiare quel camice, potrebbe compromettere qualche prova.»
Ancora una volta chiuse il discorso, ma questa volta Elle non fece niente, rimase li a guardare le sue spalle finchè non sparirono dietro le porte di un altro ufficio. Sara Sidle, sua compagna di lavoro per la giornata s’avvicinò alla sala con un camice pulito in mano, ticchettò un paio di volte sulla porta e si avvicinò sedendosi proprio dove poco vi era Grissom.
«Hey va, tutto bene?» Domandò cercando di non essere invadente e porgendo alla giovane il camice.
«Si, grazie tutto a posto – rispose slacciandosi il camice e levandolo – diciamo solo “problemi di famiglia”.»
Si infilò il camice pulito ed uscì per andare a portare quello bagnato di lacrime in lavanderia, Sara si alzò e uscendo dalla sala riunioni, volse il capo verso l’ufficio di Gil Grissom, che la osservava da dietro la scrivania, le sorrise, lei rispose ed entrò nel laboratorio analisi.
«Problemi di famiglia». Sorrise fra se e se.

***

«Non posso credere che non l’abbia mai fatto»
«Non credevo fosse una tappa obbligatoria della vita di qualcuno»
«Non lo è. Ma, andiamo, non farlo è come farsi mancare qualcosa.»
Elle si allungò a prendere i pop corn che Gil Grissom teneva appoggiati alla sua sinistra, erano seduti sul pavimento davanti al televisore, attorno a loro erano sparsi vari recipienti pieni di patatine, pop corn, salatini e altre schifezze di vario genere, il tutto contornato da bottiglie colorate contenenti le più stravaganti bibite gassate.
Gilber Grissom si versò un bicchiere di Coca Cola al limone. Ne sorseggiò qualche goccia e poi si rivolse alla piccola ragazzina bionda poco distante:
«E tu trangugi questa roba ogni giorno?»
Non rimase certo sorpreso dalla risposta positiva della giovane, scosse la testa e ne sorseggiò un'altra sorsata.
«Coraggio il bello stà per cominciare, sei pronto?»
«Certamente.»
Elle premette il pulsante play ed il lettore dvd si mise in moto con un flebile ronzio, poi rivolse uno sguardo a Grissom e disse:
«Io e mamma lo facevamo ogni fine settimana, ogni volta una serie di film diversa, oppure telefilm, per questo ne ho così tanti, ne compravamo a tonnellate, ma la sua preferita era senza dubbio la collezione supereroi.»
Si caccio in bocca un altro po’ di pop corn e lui volse il capo verso il televisore.
«Fin da piccola amava Superman.»
Elle alzò il volume del televisore e si accoccolò al divano, sullo schermo comparvero i titoli di testa di un vecchio film “Superman”-
“Si, è sempre stata una fan di Superman”.

 

  
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