Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: Holly Rosebane    12/10/2011    3 recensioni
Dal PoV di Harry:
« – Quindi ti piace? – Chiesi, senza troppi preamboli. Ero abbastanza coinvolto da prendermela, ma cercai di non darlo a vedere. Silenzio.
– Non ho detto questo. – Rispose, spegnendo i fari, arrivato di fronte casa mia.
– Ma non hai nemmeno precisato il contrario. – Commentai, immobile. Perché doveva fare il filosofo, seminando dubbi e non lasciando mai risposte precise? Si passò lentamente una mano sulla faccia, sospirando. E dai, Louis, sputa la carota.
– Già. Il problema è che neanche io so cosa pensare. Non posso negare di essere interessato, questo sì. E a quanto vedo, anche tu lo sei parecchio. – Disse.»

Dal PoV di Lucy:
« Harry, invece… beh, lui era Quello. Quello con la “Q” maiuscola. Quello che riconosci subito, appena lo incontri. Quello che quando sei con lui, non sapresti immaginarti di meglio. Quello che ti appaga con la sua presenza quasi quanto un gelato al doppio cioccolato. Quello, era Harry Styles. »
Lucy ed Harry, due vite diverse, due punti di vista. Che s'intrecceranno in un'unica, segreta realtà.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Nota dell'autrice:

Alloooraaa!!! Come promesso, ecco il primo capitolo! Spero che vi piaccia, nonostante le parti migliori debbano ancora arrivare! E' un po' come tutti gli inizi, ogni cosa è nuova, si da sempre una prima impressione (non sempre giusta!) a qualunque cosa ci capiti sotto mano... e per Lucy non sarà diverso! Ho anche deciso di aggiungere una frase di una canzone all'inizio di ogni capitolo, per "dare quel tocco in più", che lascia intendere scorci della storia! Volevo ringraziare in modo particolare AllyStyles, che ha recensito il prologo!! E anche tutti quelli che hanno letto e basta la storia, e chi l'ha inserita nelle seguite :)!! Alla prossima!!!
Un grosso bacio, Holly.


-------------------------------------------------------------------------------------------------




Chapter 1: Bad Day for Meetings – Lucy's PoV



«I could be hanging on the beach with my toes in the sand,
I could be anywhere else, anywhere else, anywhere else but here
.»

Simple Plan- Anywhere Else But Here

 
 

Entrai nel taxi sbattendo forte la portiera.
– Madison Street, 132. – Dissi, di umore nero come il cielo fuori. Quella giornata cominciò male fin dall’aeroporto. Il volo aveva ritardato di due ore, e grazie a delle meravigliose turbolenze, avevo seriamente avuto paura di morire.
Finalmente, ero arrivata a destinazione, ma aveva cominciato a piovere alla grande. L’ombrello, inutile dirlo, era finito infondo alla valigia, perché: “Ti pare che in Inghilterra ai primi di Giugno piove??”, ed ecco che ben presto mi ritrovai zuppa fino alle mutande.
E in quel momento battevo i denti sul sedile posteriore, incrociando le braccia e accavallando le gambe, per accumulare quanto più calore possibile. I capelli gocciolavano, e li sentivo freddi e bagnati sulla schiena. Un po’ mi dispiacque per il tassista, avrebbe avuto quel posto fradicio entro dieci minuti, ma ehi, e a me chi ci pensava?
Cercai di distrarmi guardando fuori dal finestrino, mentre il conducente mi lanciava occhiate risentite. Le case erano tutte uguali, in quel punto si susseguivano una fila di condomini, bar e ristoranti vari. Forse era a causa della pioggia, ma mi sembrava tutto così grigio e spento.
Perfino i passanti, a testa china con ombrelli nelle mani e giacchette leggere sembravano indifferenti a quanto capitasse attorno a loro. Mi sentii una vera estranea. Insomma, cosa c’entrava un’italiana, abituata al sole, al caldo, all’allegria… in Inghilterra, in un freddo e piovoso tardo pomeriggio, dove tutto, e dico tutto, sembrava volermi scacciare via, additandomi come un’intrusa?
Sentii la mancanza della mia famiglia, e di casa. Ci eravamo separati da non molte ore, ma già mi sembravano anni. Sarei dovuta restare lì per ben tre mesi, e iniziai ad avvertire una sorta di ansia claustrofobica stringermi gola e stomaco.
Notai che il paesaggio condominiale era stato sostituito da cottage e villini, di quelli che si vedevano nei film d’importazione. Dove il padrone di casa lavava l’auto fuori dal garage in un soleggiato sabato mattina, mentre i figli scorrazzavano felici e contenti dietro il cane in giardino. E la moglie preparava con amore il pranzo, senza mai arrabbiarsi, sempre perfetti. Però, la pioggia sembrava intaccare un po’ quei quadri idilliaci, dando alle casette un che di malinconico.
Sperai vivamente che la famiglia che avrebbe dovuto accogliermi fosse buona. Una ragazza del quinto che ci era già stata, mi aveva detto che erano persone fantastiche. I coniugi avevano anche un figlio diciannovenne, ma non era mai a casa, sempre in viaggio. A diciannove anni? Sicuramente sarà stata una testa calda, o uno scansafatiche. Troppo presto per spostarsi per il globo per lavoro.
Il taxi fece una brusca frenata in prossimità del vialetto d’accesso di una delle tante casette stile cottage. Questa aveva un ampio portico, con colonnine bianche strette da spirali di piante rampicanti, e due piani con terrazza. Il giardino, ben curato ma deserto, ostentava una bella coltivazione di rose e lillà, e dietro l’abitazione scorsi un gazebo. Mi dava tanto l’idea delle case che costruivo su The Sims, e quel pensiero mi fece sorridere.
– Fanno venti sterline, ragazza. – Disse burbero il tassista, voltandosi. Uscii dalle mie fantasticherie, e rovistai nella borsa -altrettanto fradicia- alla ricerca del portafogli. Avevo fatto il cambio di moneta qualche giorno fa, e ancora non sapevo orientarmi bene. Porsi le banconote all’uomo, che le intascò con un cenno d’assenso, e scese dall’auto per prendere i bagagli dietro.
Mi feci coraggio, e uscii a mia volta. Per qualche strano segno divino di humor nero, aveva smesso di piovere. Ebbi un brivido di freddo, mentre una breve folata di vento mi ghiacciava l’acqua addosso e sulla canottiera bianca incollata al corpo. Gli shorts non erano in condizioni migliori e nemmeno le Converse. Pareva che avessi attraversato l’oceano a nuoto, per arrivare lì.
Vidi la porta d’ingresso aprirsi, e un uomo sulla quarantina farsi avanti sorridendo. Una donna dall’aria benevola e i lunghi capelli castano chiaro attendeva accanto allo stipite, guardandomi incoraggiante. Lui era una di quelle bellezze un po’ vintage, con grandi occhi azzurri, capelli brizzolati, naso leggermente aquilino ed espressione serena. Indossava una semplice maglietta azzurra a mezze maniche e dei bermuda neri, tuttavia sembrava perfettamente a suo agio. Solo io potevo essere reduce da una gita al polo nord senza cappotto. Mi tese la mano.
– Piacere, io sono Mark Tomlinson. E tu devi essere… Lucia! – Disse, pronunciando il mio nome con forte accento inglese. Gliela strinsi, sorridendo incerta. La scosse con vigore.
– Benvenuta a Londra! Ti aiuto a portare dentro i bagagli. – Proseguì, prendendo per il manico la pesante  valigia rosa shocking di Carpisa con una mano, e il borsone da palestra pieno zeppo con l’altra. Il tassista scaricò anche due zaini e un beauty case, salutò la signora e ripartì.
Agguantai ciò che restava delle mie cose, e mi feci avanti verso l’ingresso della casa. Strascicai i piedi sullo zerbino, per non sporcare il pavimento, e la signora Tomlinson mi accolse gentilmente, posandomi una mano sulla spalla.
Era molto bella, con profondi occhi verdi e naso piccolino e diritto. La bocca, dalle vermiglie labbra carnose, sorrideva affabilmente. Avrà avuto una quarantina d’anni, ma se li portava straordinariamente. Indossava un prendisole a fiori, dai colori caldi del rosso e dell’arancione, la pelle abbronzata.
– Tesoro, sei fradicia! Hai freddo, vero? Ascolta, ti mostro la tua stanza, così potrai subito farti una doccia. Poi ci sarà tutto il tempo a cena, per fare conoscenza. Anche mio figlio Lou dovrebbe tornare a breve, ha portato Ted a fare un giro… – commentò, avviandosi su per le scale.
Lou? Magari era quello sempre in giro per il mondo. Mi guardai attorno, attenta a non inciampare sui miei stessi piedi. La carta da parati era bianca con ghirigori marroni e disegni crema, la scalinata in legno, scricchiolava assieme ai nostri passi. Molte foto di un bel bimbo piccolo con gli occhi chiari campeggiavano attaccate alla parete, facendo compagnia a chiunque salisse. Ecco che il pargoletto sorrideva alla fotocamera, a due mesi, mentre faceva il bagnetto, o a quattro anni, mentre correva nel vialetto.
Arrivati al secondo piano, percorremmo un corridoio di parquet, le pareti verniciate d’intonaco azzurrino. Alla seconda porta, ci fermammo. La signora l’aprì, rivelando una cameretta molto accogliente, con bagno annesso e vista sul retro. I muri erano di un bel pervinca chiaro, le tende coordinate al colore del copriletto, un delicato blu cobalto, digradante nel verde acqua.
Un grosso armadio in legno di betulla era attaccato alla parete di destra, di fronte al letto vi erano una libreria e una scrivania. La prima era vuota, mentre un grosso paio di cuffie da Deejay giacevano abbandonate sulla seconda.  Sorvolai su di loro, e immaginai che di anno in anno gli studenti  riempissero gli scaffali con le loro cose, per poi svuotarli magicamente alla fine dei tre mesi.
L’aria sapeva di buono, un misto di bucato fresco ed essenza di lavanda. Un lampadario moderno pendeva dal soffitto. Le valige erano già state messe accanto al letto, e mi feci avanti, incerta.
– Questa è la tua camera, cara. Di là c’è il bagno, fa come se fossi a casa tua! Capisci bene quello che ti dico? – Chiese, rallentando visibilmente. Sorrisi. Mia madre era madrelingua inglese, ero abituata fin da piccola a parlare un’altra lingua. Tuttavia, benché l’inglese mi piacesse, non ero onnisciente. Anch’io avevo bisogno di studiarlo.
– Mamma è madrelingua, comprendo perfettamente ciò che mi dice, signora Tomlinson. – Risposi, affabilmente. La donna si stupì.
– Davvero? Da dove viene?
– Londra, anche lei. – Dissi, posando cautamente gli zaini ai piedi del letto. Le ciocche bagnate mi sbatterono in faccia, quando mi abbassai.
– Perfetto, allora! Ti lascio un po’ d’intimità… oh, chiamami pure Marie e dammi del tu. – Consigliò, sorridendomi. Annuii con vigore, e si richiuse la porta alle spalle. Mi tolsi maglietta e shorts fradici, lanciandoli sul davanzale della finestra, e mi fiondai nella doccia. Dopo li avrei sistemati per asciugarli.
 

*

 
Riemersi dopo un’oretta abbondante, il bagno caldo era così rilassante che avevo perso la cognizione del tempo. Mi asciugai i capelli, che ripresero la loro bella forma a boccolo, decisamente meglio degli spaghetti al pomodoro scotti che avevo prima. Scoccai un sorrisone a trentadue denti tipo pubblicità della Mentadent alla ragazza che mi fissava nello specchio, ed uscii sbadigliando dal bagno, in intimo.
Aprii la valigia, in cerca dei miei pantaloncini Hollister, e della maglietta comoda che in genere indossavo in casa, a Roma. Ti pareva che l’avevo ficcata proprio infondo… dopo cinque minuti di lotta, riuscii ad estrarre i pantaloncini, stringendoli come la Statua della Libertà con la sua torcia, trionfante.
Avevo i capelli per aria, ma non si può sempre volere tutto dalla vita. Sentii un trambusto fuori dalla porta, e immediatamente qualcuno entrò nella stanza, irrompendo senza bussare.
Un ragazzo bellissimo rimase immobile sull’uscio, con il cappuccio della felpa rossa ancora alzato, paralizzato dallo stupore. Sicuramente era più alto di me di dieci centimetri, con profondi occhi azzurro cielo. I capelli castani con la frangia spostata da un lato, come li portavano i ragazzi americani che mi piacevano tanto, i lineamenti del volto perfetti, nasino piccolo e dritto, mascella quadrata, fisico da urlo. Improvvisamente, quando il suo sguardo passò dai pantaloncini stretti nella mano al reggiseno, ricordai di essere praticamente mezza nuda.
Ecco, qualcosa mi diceva che lui era “Lou”. E che io avevo fatto la mia prima colossale figuraccia made in Italy.
– Scusami, scusami, scusami!! – Esclamò, voltandosi di botto e richiudendo la porta.
Abbassai il braccio, ancora incredula. Mi aveva appena vista senza vestiti, e tutto quello che riuscivo a pensare era: “wow, proprio un bel tipo!”.
E avrei dovuto averlo davanti per ben tre lunghi mesi. Proprio una giornata di merda, fino alla fine!
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Holly Rosebane