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Autore: Nebula216    12/10/2011    2 recensioni
Maledisse sé stessa, maledisse la signora Dawson, la società intera: era questo il prezzo per la sua libertà? Era questa l’umiliazione che doveva sempre ricevere? Aveva vinto una somma cospicua quella sera, poteva pagare ambedue le bollette, però quella racchia sembrava non volerne saper più di lei.
Tutto il mondo sembrava contro di lei.
Si sentiva sempre più soffocata, stritolata dalla sua stessa routine: cosa doveva fare?
Accettare la proposta di Zabuza e diventare un cane addestrato, pronto a mangiare un biscottino o mordere il nemico al minimo segnale?
Oppure continuare a lottare e vivere la sua libertà? Quella libertà che odorava di alcool, lotta, sangue… di bassifondi?
Genere: Azione, Generale, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akatsuki, Hidan, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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A Demon’s Fate

 
Capitolo 1: Fighters
   


Aveva piovuto a dirotto, e i quartieri bassi di Konoha apparivano ancor più grigi di quello che già erano di loro.
La sirena di una pattuglia le fece intuire che qualcuno si era fatto beccare, uno alle prime armi probabilmente: poco le importava se tossico, ladro o omicida, non era in vena di pensare sinceramente.
Stava fissando il soffitto da una quarantina di minuti buoni, aspettando il momento giusto per uscire da quello squallido bilocale che osava chiamare casa sua: una stanza con un letto a due piazze e un armadio, una cucina con salotto e un bagno piccolo.
Sbuffò: che vita di merda.
Si alzò con un colpo di reni, vedendo che la sveglia digitale segnava mezzanotte meno cinque minuti: era ora di uscire, per lei iniziava la vita, per la gente altolocata era ora di dormire.
Si mise gli stivali neri con il tacco alti fino al ginocchio, più le cinture che era solita portare su quei pantaloni di pelle del medesimo colore delle scarpe. Ancora non aveva capito come non si rompessero ad ogni scatto che faceva, doveva ringraziare la commessa di quel negozio per averglieli consigliati.
Si aggiustò la coda di cavallo, controllando il suo riflesso a quello specchio mezzo fracassato che aveva trovato in quel bilocale; quando fu soddisfatta del risultato, ovvero subito, afferrò il cappotto stracciato in fondo, infilandoselo ed uscendo da quel condominio mezzo decaduto.
Odiava quella vita, odiava tutto quello che faceva, eppure era costretta dalla società stessa: se nascevi in una “classe” adeguata potevi cavartela con i soldi dei genitori… se invece eri come lei, una “disgraziata”, dovevi accontentarti dei primi lavori che ti venivano offerti… il più delle volte lavori in nero.
Sotto i tacchi alti una decina di centimetri, con tanto di platò, le pozzanghere si infrangevano come pezzi di vetro vecchi; doveva radunare le altre, altrimenti addio lavoro, e quei bigliettoni facevano comodo.
Svoltò in un vicolo stretto, bussando a una porta mezza arrugginita che, un tempo, doveva essere verde bottiglia. Scostandosi il ciuffo tricolore, così come il resto delle punte dei capelli, vide una testa dai capelli corvini corti e ritti, tinti qua e là da meches color sabbia. Una ragazza di colore le sorrise decisa, mentre si sistemava il cappotto color cuoio.
-Eccomi!-
-Meno male Keira, non fa caldo stasera… stavo gelando.-
-Su non ti lamentare Furia Scarlatta! Non sono io la ritardataria del gruppo!-
Già, l’amica aveva ragione: nel gruppo c’era una ritardataria cronica che, sicuramente, l’avrebbe portata all’esaurimento nervoso. Sospirò, preparandosi psicologicamente per non perdere quella poca pazienza che la caratterizzava: un suo punto di forza a volte, una sua debolezza in altri momenti.
Fece un cenno col capo, il segnale che era tempo di chiamare le altre, che non potevano più perdere alcun secondo: nella loro situazione, il tempo era davvero denaro… più ne perdevano e meno guadagnavano.
Keira Taylor era una ragazza di colore americana, decisa e riflessiva, la mente del gruppo: sebbene avesse soltanto diciotto anni, il suo sguardo era quello che più si avvicinava al concetto di materno e responsabile. Persino lei, capo di quella banda tutta al femminile, faticava a capire il motivo di tanta responsabilità nelle iridi color nocciola dell’amica; in compenso, Keira era una di quelle che non faceva troppe domande, sapeva quando era il momento giusto per starsene zitta.
Arrivarono ad una piccola palazzina color grigio chiaro, suonando un paio di volte al citofono mezzo scassato.
-Se non si muove giuro che…-
-Stai calma Lara, sai com’è fatta Alissa.-
La mora con le sfumature blu-viola trattenne un ringhio, osservando l’asfalto ancora umida per l’acquazzone che, la notte precedente, aveva invaso Konoha. L’amica sapeva benissimo che il suo carattere non era dei migliori, ma fra di loro era quello che più rispecchiava, se così si poteva dire, l’elemento alfa: cocciuta, determinata, a volte dotata di un cinismo spropositato, ecco come si presentava Lara Scarlett, detta nel quartiere “La Furia Scarlatta”. Se si incaponiva su una cosa, doveva riuscire a concluderla, in un modo o nell’altro, con qualsiasi mezzo necessario.
Volse uno sguardo furente, con i suoi occhi smeraldini, verso la porta del condominio, biascicando bestemmie degne del peggior scaricatore di porto; alzò la testa, sbraitando a gran voce e fregandosene di tutta quella gente che stava dormendo.
-ALISSA FIRE VEDI DI MUOVERE IL CULO!-
-Arrivo arrivo!-
Una ragazza dalla carnagione leggermente abbronzata, con i capelli castani chiari lunghi fino al fondoschiena ed occhi neri da cerbiatta, uscì al volo dall’ingresso di casa, infilandosi il cappotto con altrettanta velocità e sorridendo alla mora dalle sfumature color zaffiro e ametista.
-Sorry Lara! Credimi stavo per uscire!-
Keira rise nel vedere la capo squadra tremare per contenersi dall’esplodere dalla rabbia: Alissa era una perfetta attrice, e quando sfoderava la vocina zuccherosa o gli occhi da cucciolo bastonato nessuno, nemmeno la temibile Lara Scarlett, poteva non perdonarla. Quest’ultima poteva sembrare senza cuore, ma comprendeva che l’unità di quel gruppo si basava sull’amicizia che le legava da anni.
-Eddai Lara! Lo sai benissimo che mi piace esser pronta anche esteticamente per il nostro lavoro!-
-Diavolo Alissa! Siamo street fighters, non ragazze che aspirano al titolo di miss universo!-
La castana mise il broncio da bambina piccola, costringendo Keira a mordersi le labbra per non ridere sguaiatamente: iniziava lo show.
Alissa guardò Lara, iniziando a far tremare le labbra coperte da un lucidalabbra color pesca, parlando con una vocina strozzata e singhiozzante, senza mai fermarsi, costringendo Scarlett a sospirare e dire le paroline magiche: sei perdonata per questa volta… cosa che accadeva sempre e comunque.
Il trio riprese a camminare, fino a quando non incrociò le ultime due componenti della banda: gemelle monozigoti, sebbene il loro aspetto facesse pensare il contrario. Ambedue avevano i capelli biondi, quasi platino, ma una li aveva fatti sfumare, sulle punte, di blu, l’altra di un verde acceso, e questo permetteva a tutti i conoscenti di non confonderle.
-Ciao ragazze! Siamo in orario?-
Dissero insieme, creando una sola voce.
Keira annuì sorridente.
-Certo, ma che domande fate! Siete sempre puntuali Rebecca e Kelly… per la fortuna del nostro capo impaziente.-
Lara sbuffò sonoramente, seria in volto, uno sguardo che richiamò al dovere le amiche: andava bene ridere, certo, anche lei apprezzava delle sane risate, ma in quel momento sentiva il bisogno di riportare dei soldi a casa… un’urgenza che legava tutto il quintetto.
Camminarono verso un locale, l’unico che offriva loro un lavoro ben pagato: l’Imperial Force, una semplice scatola color mattone che ospitava uno dei giri di soldi più succulenti ed ambiti per i disgraziati che partecipavano alle “competizioni”.
Le varie sfide si svolgevano sempre nello stesso modo, come se avessero uno stampo industriale: i disgraziati che si erano arricchiti, conosciuti nel luogo come “falsi ricchi”, scommettevano su una squadra o, il più delle volte, sui singoli elementi. Questi ultimi affrontavano gli altri, salendo sempre di più di grado e, quindi, guadagnandosi più possibilità per diventare padroni del montepremi finale; il più delle volte le sfide prevedevano una lotta, raramente si poteva assistere a giochi di logica ed intuito.
Si fecero largo tra la folla degli scommettitori, avanzando sotto i loro occhi come quei purosangue inglesi che, tenuti dai proprietari, venivano fatti sfilare in attesa dei fantini.
Loro non avevano certo nomi nobili, non avevano un “pedigree” invidiato, ma erano conosciute, si erano fatte le ossa lì dentro e sempre erano state ricompensate: non mancavano mai ad una sfida, e mai i soldi venivano a mancare. I ragazzi puntavano volentieri i gruppi femminili, sperando in qualche modo di poterle “consolare” per la possibile sconfitta, magari con qualche drink.
O con una stanza.
Un letto con lenzuola pulite e fresche.
Riuscirono ad entrare, il tempo sufficiente per vedere un uomo dai capelli castani scuri ed occhi neri fissare Lara: Zabuza Momochi, lo scommettitore baciato dalla fortuna in quelle mura, il benefattore di quel gruppo.
Si era arricchito attraverso i traffici di armi o lotte clandestine, e mai era stato preso dagli sbirri: poteva vantare una schiera di avvocati pronti a parargli il culo e una catena di palestre nei paesi circostanti. Come tutte le sere, indossava dei jeans sbarazzini con scarpe da ginnastica, vecchio ricordo della sua precedente vita da mercenario, con l’aggiunta di una camicia bianca che sembrava volerlo soffocare tant’era aderente al fisico allenato.
-Arriva il cocciuto.-
Disse canticchiando Alissa, mentre le gemelle guardavano preoccupate Lara: tutti quanti, in quel locale, sapevano quanto la Furia Scarlatta interessasse a Momochi, il quale voleva arruolarla tra le file dei suoi scagnozzi.
Le sorrise, offrendole il suo B-52 come segno di pace.
-Allora, la combattente è pronta? Ho puntato tutto su di te, come sempre.-
-Rischi di diventare monotono Momochi, lo sai?-
-Tu sai cosa voglio, e sai che non mollerò tanto facilmente questa idea.-
La mora lo fissò, con sguardo di sfida, prima di rubargli da sotto il naso il cocktail  e scroccarne un sorso: non aveva paura di trovarlo drogato, sapeva benissimo che Zabuza non avrebbe mai giocato un tiro mancino del genere alla sua squadra preferita… ci avrebbero perso entrambi.
Le descrisse il suo avversario, punti forti e punti deboli, le disse a quanto stavano le quote e che bastava una vittoria per garantir loro il titolo di campionesse interne e, di conseguenza, il bottino.
-Pronta?-
-Sono sempre pronta Momochi.-
Keira la trattenne per un polso, prima che potesse salire sul ring e quindi diventare intoccabile.
Le due amiche si scambiarono sguardi d’intesa, codici silenziosi che nessuno, se non il gruppo stesso, comprendeva. Quando tutto fu chiaro, almeno per loro, la ragazza di colore lasciò l’amica, che salì sul ring e gettò a Kelly il suo cappotto: l’avversario non era niente di speciale, il classico armadio a due ante colmo di steroidi dalla prima all’ultima cellula del corpo. Capelli ridotti a una schifosa cresta stile gallo del pollaio, tatuaggi su tutto il corpo e faccia simile a quella di un maiale… uno meglio non poteva capitarle eh?
Sospirò, attendendo con calma l’inizio dello scontro: lì dentro non utilizzavano il gong, bensì una canzone, sempre diversa, a seconda di chi si scontrava su quel ring. Quella sera, le era capitata una composta tutta con basso elettrico e chitarra, quello che le serviva per caricarsi a dovere.
L’uomo attaccò, come un toro scatenato, permettendole così di schivare un pugno e colpirlo, con un calcio, all’addome; scappò nuovamente dalle sue grinfie, giocando sulla sua impazienza ed impetuosità. Continuò a tirargli calci, pugni, schivò e fece delle finte, fino a quando non lo vide urlare dalla rabbia: quello era il momento giusto.
Corse verso un angolo, attendendo che il suo avversario facesse altrettanto: conosceva quegli elementi, tutti fatti della solita pasta… con lo stesso stampo.
Rimase sull’attenti, vigile, osservando accuratamente le falcate di quell’uomo, isolandosi dal resto del mondo.
Quattro falcate.
I Cavalieri dell’Apocalisse.
Tre.
Il numero perfetto.
Due.
Gli elementi per formare una coppia.  
Una.
La vita che era concessa nel mondo.
Una sola, misera, vita.
Scivolò alla sua sinistra, piegando un poco la bocca e il sopracciglio sinistro: gomitata al mento, ginocchiata allo stomaco, calcio alla schiena… una danza cruenta che ripeteva ogni volta.
Il punk si girò, urlando con tutto il fiato che aveva in corpo, per intimorirla: forse non conosceva il modo di dire “can che abbaia non morde”. Altre falcate, altre urla unite in una sola… il suo respiro sincronizzato al battito cardiaco.
Sangue nelle vene.
Adrenalina nel corpo.
Schivò un pugno che quell’uomo voleva tirarle in faccia, probabilmente per spaccarle il naso; gli bloccò un polso, seguito da un calcio che gli lasciò un bel livido violaceo sulla guancia. Quando lo vide barcollare, infine, decise di assestargli un colpo alla schiena, così forte che lo fece crollare fuori dal quadrato di gioco.
Non era giusto tirarla per le lunghe…
Non era giusto mettere un principiante contro una veterana.
Le sue amiche lanciarono urla di vittoria assieme al pubblico, un boato che la richiamò alla realtà, mentre Zabuza, sorridente, alzava il bicchiere verso quella ragazza dai capelli tricolore, intenta a scendere per reclamare i soldi.
Sì, su quella purosangue poteva scommetterci qualsiasi cifra…
Perché il ring era casa sua…
E mai avrebbe perso.
Il ragazzo decise di offrire a quel gruppo da bere: un premio, assieme al denaro, per la vittoria.
Alissa parlò assieme alle gemelle Johnson del più e del meno, soprattutto di ragazzi e vacanze tanto agogniate, mentre Keira contava con Lara i soldi e le percentuali, tutte uguali: a nessuna doveva toccare un solo centesimo in più, tutto doveva essere equo.
La castana chiara finì il suo mojito, contando infine la mazzetta che spettava a lei.
-Con questi soldi mi pago una bella vacanza di una settimana.-
-Anche io, finalmente riposo.-
Disse Keira, lasciandosi sfuggire un sospiro di sollievo: da tanto tempo speravano di farsi un viaggetto o, comunque, soggiornare in un centro benessere. L’unica che sembrava fregarsene era Lara… una statua, forse, sarebbe stata più espressiva, più emotiva, ma lei era fatta così, e loro lo sapevano.
Alissa guardò la capo squadra.
-Lara, perché non vieni con noi? Abbiamo trovato un…-
-No.-
-Ma perché?-
La mora bevve un sorso di cuba libre, rispondendo che ancora non ne sentiva il bisogno: non si vedeva immersa in una vasca ad idromassaggio o intenta a fare i fanghi… non era da lei non fare niente tutto il giorno.
Proprio lei che, per quasi ventiquattro ore su ventiquattro, non faceva altro che allenarsi.
Kelly, Rebecca e Alissa scesero in pista, seguendo il ritmo della musica e unendosi alla folla danzante, mentre Lara era andata a riportare i bicchieri, ormai vuoti, al bancone. Tempo di girarsi che sentì un braccio avvolgerle la vita e trascinarla in un angolo buio; sospirò, prima di incrociare le braccia e guardare severa il suo “sequestratore”.
-Dovevi proprio prendermi stile maniaco Momochi?-
Il castano la guardò, abbozzando un sorriso leggermente maligno.
-Ti voglio tra le mie file, nella mia scuderia Lara… sei un diamante in mezzo a delle pietre di scarso valore. Con me non devi preoccuparti di pagare affitto, bollette… niente di tutto questo.-
La tentazione era tanta: in certi periodi non aveva il becco di un quattrino e si ritrovava senza acqua calda, oppure la corrente saltava all’improvviso; le sarebbe piaciuto sistemarsi in un appartamento più carino e confortevole, e l’offerta del castano era una delle più allettanti… ma se lei si univa alla banda di Zabuza poteva dire addio alla libertà che aveva.
E lei amava quella libertà…
Che fosse povera, misera… era pur sempre libertà.
Piantò le sue iridi smeraldine in quelle scure del ragazzo, sillabando con freddezza un “no”, secco e deciso. Lui non si scompose: era l’ennesima volta che quella ragazza declinava la sua offerta, non avrebbe continuato così, il suo sesto senso gli diceva che presto avrebbe avuto quel diamante nella sua collezione.
Accennò un ghigno sbarazzino, per poi alzarle il mento con due dita e avvicinarsi al volto diafano.
-Va bene Scarlett, vedremo se continuerai a dire di no… ottimo scontro, come sempre.-
Le sussurrò, prima di confondersi tra la folla e sparire come un fantasma. La ragazza sbuffò sonoramente, sillabando appellativi poco carini per lo scommettitore incaponito: una delle cose che odiava di quel falso ricco, e ce ne erano tante portafoglio escluso, era il suo carattere, la sua “smania di potere”… ma perché si era fossilizzato su di lei!?
C’erano tantissimi lottatori in quel quartiere, altri anche più forti e conosciuti… perché proprio lei? Aveva pensato a tutte le opzioni possibili, da quelle riguardanti i soldi fino a giungere all’interesse fisico: ogni volta che le parlava sembrava prossimo a sbranarle i vestiti.
Sospirò rassegnata.
-Uomini… tutti uguali.-
Disse, prima di recuperare le sue amiche ed uscire.
Kelly e Rebecca salutarono il gruppo quando giunsero nel loro piccolo angolo di paradiso, come erano solite chiamare il luogo dove abitavano: un appartamento con un terrazzino che sporgeva sul campo da basket, occupato dalla mattina alla sera dai ragazzi intenti ad allenarsi per qualche partita.
Che dire… beate loro!
-Allora domani riposo Lara?-
Domandò Rebecca, ottenendo un cenno d’assenso dalla mora: era stanca di dover combattere contro delle mezze cartucce, doveva riposarsi in quello squallido bilocale più freddo della proprietaria della palazzina, una vecchia risalente al Triassico come minimo.
Dopo le gemelle fu il turno di Alissa, quella che nel gruppo aveva alzato un po’ troppo il gomito. Traballava così tanto che Keira fu costretta ad accompagnarla fino alla porta dell’appartamento; Lara attese a braccia conserte, appoggiata al muro del palazzo. Sentì con fin troppa chiarezza l’amica castana urlare in onore della loro vittoria, e mai come in quel momento si vergognò così tanto; Keira si affacciò, richiamandola con un fischio deciso.
-Sta male Lara, resto con lei stanotte.-
-Va bene, avvertimi quando si riprende quella sciagurata.-
L’amica rise divertita.
-Parla la cocca del falso ricco!-
-Lara devi scopartelo! Ha tutto! Soldi, fisico e pacco!-
La mora sospirò rassegnata, mentre l’altra rimase leggermente scandalizzata dalle parole della castana delirante: va bene esser dirette e schiette, ma Fire stava esagerando. La capo gruppo si massaggiò la tempia destra, rivolgendo lo sguardo verso la finestra.
-Vai a dormire Alissa e fatti passare la sbronza. Ci vediamo domani.-
Keira annuì, augurandole, assieme all’altra, una buonanotte.
Come se potesse esserlo.
In quei posti, la notte non era mai buona.
Giunta a casa, decise di farsi una doccia, quanto bastava per togliersi di dosso l’odore del locale.
Del sudore.
Dell’alcool…
L’odore dei bassifondi.
Si sciolse la coda di cavallo e si avvolse un asciugamano attorno al corpo, prima di entrare nella doccia ed accendere il getto.
Le sembrò di esser colpita da una scarica di cubetti di ghiaccio: la signora Dawson le aveva nuovamente tolto l’acqua calda, l’ennesima carognata in quel mese. Percepì il trucco nero colarle sul volto pallido, i muscoli tremare per l’improvvisa cascata di acqua gelida, la sua pazienza vacillare ogni secondo di più… era troppo.
Si avvolse nuovamente l’asciugamano intorno al corpo, uscendo con decisione dall’appartamento e bussando con gran forza a una porta candida come la neve.
-SIGNORA DAWSON! PORCA PUTTANA MI RESTITUISCA L’ACQUA CALDA!-
-Te lo scordi teppistella! Devi pagare ben due bollette! E LASCIAMI DORMIRE ADESSO!-
Come se il sonno avesse potuto rimediare a quell’acidità e al suo aspetto da gelatina flaccida, pensò irritata.
Non voleva più sprecare voce con quel fossile: era come parlare ad un muro.
Sotto lo sguardo degli altri inquilini, tornò nel bilocale, lottando con tutta sé stessa per non urlare le peggio bestemmie sotto la doccia: in fondo cos’era un può di acqua gelida per una che, come lei, metteva K.O degli armadi a due ante?
Bhè… una rottura di coglioni in più!
Un ulteriore segno della sua sfortuna!
Maledisse sé stessa, maledisse la signora Dawson, la società intera: era questo il prezzo per la sua libertà? Era questa l’umiliazione che doveva sempre ricevere? Aveva vinto una somma cospicua quella sera, poteva pagare ambedue le bollette, però quella racchia sembrava non volerne saper più di lei.
Tutto il mondo sembrava contro di lei.
-Che si attacchi al tram. Sono troppo stanca per mandarla a quel paese.-
Forse quella stanchezza non derivava dalle litigate con la Dawson.
Si sentiva sempre più soffocata, stritolata dalla sua stessa routine: cosa doveva fare?
Accettare la proposta di Zabuza e diventare un cane addestrato, pronto a mangiare un biscottino o mordere il nemico al minimo segnale?
Oppure continuare a lottare e vivere la sua libertà? Quella libertà che odorava di alcool, lotta, sangue… di bassifondi?
Il ceffone che si tirò sulla guancia sinistra la fece ridestare da quello stato confusionale: col cazzo che si sarebbe venduta a quel falso ricco!
Col cazzo che avrebbe rinunciato a tutto quello che aveva, seppur poco.
-Niente al mondo mi farà accettare la proposta di Zabuza… amo la mia libertà, con i suoi alti e bassi… non sarò mai un suo scagnozzo, mai farò parte della sua “scuderia”.-
Disse, prima di stendersi sotto le coperte, ignorando i vicini che giocavano alla playstation o quelli che, troppo sbronzi, non capivano nemmeno dove fossero.
Il suo cellulare trillò, costringendola ad alzarsi sui gomiti e leggere il messaggio.

 
“Alissa dorme sodo dopo una buona dose di caffè espresso.
Non tormentarti, ci servi come capo squadra Furia Scarlatta ;-)!!! Se continuiamo così riusciremo ad uscire da questa gabbia, in fondo… non è il nostro sogno?
 
P.s: Anche se Alissa ha ragione su Mr. Ti sto attaccato come una sanguisuga… Quella camicia gli stava da dieci! XD.”

 
Sospirò rassegnata, prima di rispondere al messaggio e a quel post scriptum che le aveva fatto passare il sonno: le sue amiche erano delle pervertite… sapeva, però, che non le avrebbe mai cambiate con nessun altro, che tutte loro erano speciali.
Ognuna era un tassello del puzzle che andavano a comporre quando erano unite: un puzzle unico che sarebbe andato distrutto se anche una sola di loro fosse mancata.
Questa era la loro amicizia: un gioco ad incastro.


Angolo autrice: ...Andiamo! Lo sapete come sono fatta, quindi non importa che lo dica! Ho avuto questa idea ascoltando una canzone dei Within Temptation (da qui il titolo) e leggendo un possibile argomento per la tesina di quinta.
Spero vi piaccia!
Bacioni!
Nebula216

   
 
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