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Autore: Melian_Belt    13/10/2011    2 recensioni
Una versione alternativa della fuga di Marco ed Esca verso il vallo di Adriano. Friendship! :)
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Esca si girò a controllare alle loro spalle. Marco riusciva a stento a rimanere in piedi e toccava a lui guidarli e far sì che non venissero catturati. Sentì il Romano scivolare dalla sua presa e gli strinse un braccio intorno alla vita per fargli sorpassare un piccolo dosso. Il respiro di Marco si fece spezzato, ma non potevano fermarsi.
Udì il latrato dei cani da caccia. Ma stavolta non era il vento a farli sembrare più vicini: li avevano quasi raggiunti. Esca conosceva quella zona, non bene come quella dove aveva passato la sua infanzia, ma ricordava il fiume che scorreva poco distante. Con il freddo e la pioggia non era una scelta che avrebbe fatto in circostanze più favorevoli, ma non vedeva alternative. Per la fretta di nascondersi quasi rotolarono giù per il fosso e l’acqua gelida fu come una lama sulla pelle. Si riprese subito dallo shock e tirò Marco per la maglia, appiattendosi più possibile contro le rocce.
Poggiò la testa di Marco sulla sua spalla, per permettergli di respirare senza problemi. Tremava, probabilmente sia per il freddo che per il dolore. Lo strinse contro di sé, anche se sapeva di non essere molto d’aiuto. Rimasero in silenzio, trattenendo il respiro quando sentirono gli Uomini Foca appena sopra di loro. I cani non potevano percepire il loro odore nell’acqua ed Esca tirò un lieve sospiro quando i cacciatori si furono allontanati. “Dobbiamo risalire il fiume” disse. “Torneranno indietro”.
La loro fuga proseguì tra rotolamenti e inciampi, l’avrebbe trovato ridicolo se la situazione non fosse stata così critica. Marco appoggiava sempre più il peso su di lui. Esca era molto più minuto, ma era forte e riuscì a farli procedere almeno un mezzo chilometro. Fino a che ogni colore sembrò scomparire dal viso di Marco ed il Romano non crollò a terra. Lo tirò su un poco, ma era evidente che non poteva continuare. “Fermiamoci, devi riposare”. Marco scosse il capo: “Non possiamo”. Cercò di rialzarsi, ma la gamba ferita cedette e Marco cadde di nuovo. “Devi riposare”. Marco fece un cenno di diniego, con fermezza quasi delirante: “No, no”. Il figlio di Cunoval si inginocchiò e prese il viso dell’altro tra le mani, guardandolo negli occhi: “Ascoltami bene, testardo di un Romano. Devi fidarti di me”. Marco aveva gli occhi lucidi e le labbra stavano prendendo una preoccupante tonalità viola. La voce uscì in un mormorio sbiascicato: “M-mi  fido di te”. Esca annuì, lo sguardo di pietra determinato come sempre. Individuò un punto asciutto e vi trascinò Marco: “Forza”. Il romano si abbandonò per terra, respirando a grandi boccate. Esca si chinò ad esaminare la ferita: aveva perso molto sangue. Vi applicò una seconda fasciatura, era il minimo che potesse fare. “Esca”. Alzò lo sguardo in quello di Marco. “Cosa?”. Il romano sollevò l’aquila d’oro, che fino ad allora aveva tenuto stretta contro il petto: “Vattene. Prendila, fa si che torni a Roma. Io…ti affido il mio onore, quello della mia famiglia…”. Esca rimase impassibile. Come poteva chiedergli una cosa del genere? Aveva promesso di proteggere quell’uomo, gli doveva la vita ed Esca, figlio di Cunoval, signore di 500 lance, non mancava mai alla parola data. Se Marco fosse rimasto lì, sarebbe morto di certo. “No. Ho fatto una promessa: che non ti avrei abbandonato”. Le braccia di Marco tremavano sotto il peso del pesante idolo, ma con uno sforzo le tese ancora di più verso di lui. “Ti prego”. Esca strinse la bocca in una linea sottile. Con un gesto secco mise la mano dietro al collo di Marco e poggiò la fronte contro la sua. “Ho promesso. Non ti lascio qui”. Sentì Marco mormorare un secondo “ti prego”, poi tacere. Se fosse svenuto o addormentato, il Britanno non poteva dirlo. Si poggiò con la schiena contro la roccia umida e strinse Marco contro il petto, cercando di dargli un po’ di calore. La pioggia continuava a scendere fitta e il corpo tra le sue braccia era sempre più freddo. Scostò i capelli dalla fronte di Marco, scoprendo la pelle pallida.
Rimasero così per ore. Esca sapeva che era suicida restare lì, ma non poteva lasciare Marco a morire in quella pozza di fango. Prima fu un movimento lieve, poi Marco si drizzò a sedere, nascondendo il volto nel collo di Esca: “Ti fa male?”. Quell’orgoglioso non disse nulla ed Esca non chiese di nuovo, accontentandosi di tracciargli lunghe carezze sulla schiena. Sentì Marco maneggiare con qualcosa, poi un oggetto freddo gli venne messo in mano. Era il coltello di suo padre, il simbolo della schiavitù che lo legava a Marco. Corrugò la fronte, guardando il Romano interrogativamente. Marco fece un tenue sorriso, chiudendogli le dita intorno al piccolo pugnale: “Sei libero, amico mio”. Poi la testa gli ricadde sul petto di Esca. Il Britanno strinse la mano a pugno e sentì la piccola lama pungergli il palmo. Con un gesto rigido poggiò le labbra sulla fronte gelida del Romano. “Non morire, Marco. Non morire, hai capito?”. Lo circondò con le braccia, stringendolo in un goffo abbraccio. “Resta con me. Amico mio, resta qui”.
Si irrigidì quando vide delle figura farsi strada nella nebbia. Non aveva sentito i cani, si era distratto. Portò una mano alla spada appesa alla cintura e quasi gridò di gioia quando riconobbe gli uomini in avvicinamento. Non era mai stato così felice di vedere degli scudi Romani in vita sua.   
  
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