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Autore: BBambi    13/10/2011    4 recensioni
"...e sempre lei, senza alcun ribrezzo, aveva preso con cura il suo cuore, restituendoglielo".
Un racconto che potrà apparirvi senza senso :) Enjoy!
Genere: Dark, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Jane/Lisbon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il cuore dell’uomo



 
 
Marmellata di fragole
Ingredienti:
1kg di fragole     •    1limone     •    700gr di zucchero
Come ogni ricetta, ogni esistenza ha il suo elenco di ingredienti, il suo tempo di cottura, i suoi passi di esecuzione.
Se sbagliamo una quantità rischiamo che il sapore impazzisca, se esageriamo con la cottura potremo finire per mandare in fumo il lavoro di tutta una giornata.
Ma se per un piatto qualsiasi basta seguire le istruzioni su un semplice ricettario, nella vita non è così facile.
Non esiste una ricetta giusta, non esiste una bilancia che pesi le nostre emozioni o le nostre azioni.
Non c’è un modo giusto.

 
Patrick Jane aprì la porta e rimase incastrato nell’ingresso.
La piccola bicicletta rosa con le rotelle gli impediva di spalancare completamente il portone.
Sorrise e si chinò per liberare il passaggio « Sono a casa!» cinguettò.
Lo accolse un odore pungente, acre, che offese subito il suo naso.
La casa era sprofondata nel silenzio e nessuno aveva risposto al suo saluto. Si allarmò.
Abbandonò il cappotto sul divano e attraversò a grandi passi l’ingresso fino a scorgere un filo di luce dorata  che trapelava dalla porta semichiusa della cucina. Patrick la spalancò.
« Ah, eccovi qua!» sorrise, accolto da risolini soffocati « Volevate giocare a nascondino con me?»
Sui fornelli accesi fumava una pentola priva di coperchio. Patrick non ispezionò il contenuto, ma notò che era piena fino all’orlo.
« Papà!» una piccola creatura dai capelli dorati si aggrappò alla sua gamba. Quando alzò il viso rotondo verso di lui rivelò le due grandi pietre d’acquamarina incastonate tra le ciglia bionde.
Lui la sollevò, era incredibilmente leggera, inconsistente, come una nuvola di fili d’oro che si lasciava volteggiare in aria.
« Prepariamo la marmellata di fragole, papà!»
« Ma davvero?» la posò a terra, avvicinandosi alla donna che li guardava sorridendo dietro il piano cottura.
« Bentornato» la voce della donna era musicale, aveva il suono delle note di un pianoforte. Lui le cinse la vita e la baciò.
Mentre scioglieva la donna dal’abbraccio, gli parve di essere stato via da casa così tanto, benché si fosse allontanato solo per qualche ora.
« Papà, papà, devi comprare gli ingredienti per la marmellata!» cinguettò la bambina saltellandogli attorno.
« Ma sono appena rientrato, tesoro» le sorrise lui stancamente.
Aveva voglia di rimanere lì, di guardarle cucinare, danzare e cantare nella cucina, mentre cresceva dentro di lui la strana inquietudine che se fosse uscito tutto sarebbe scomparso. Assurdo. 
Le piccole labbra imbronciate della bambina gli fecero cambiare idea e decise di accontentarla.
Si inginocchiò per poterla guardare direttamente nel viso rosaceo « Allora dimmi, di cosa hai bisogno?»
Come un’esplosione di sole un grande sorriso si aprì nella faccia rosa « Mamma, mamma, cosa ci serve?»
 La donna portò l’indice verso il mento e guardò verso l’alto, inscenando un’aria pensosa « Vediamo…Un pacco di zucchero…un paio di limoni e…sì, beh..»
« Le fragole!» gridò la bambina abbracciandolo.
« Va bene, va bene!» disse sorridendo.
Prese il cappotto ed uscì, lasciandosi alle spalle la cucina illuminata.
Fuori il cielo era una lastra marmorea che rimandava un chiarore fastidioso. Il sole si nascondeva oltre il nembostrato.
Si ritrovò in macchina, la radio spenta, la strada semideserta.
Il cellulare squillò nel suo taschino e sul display comparve un numero in chiaro, non presente nella sua rubrica.
« Pronto?» domandò interrogativo, manovrando il volante con la mano destra.
« Parlo con Patrick Jane?» esordì una voce femminile al telefono. Le sembrava familiare, ma non ne era sicuro.
« Sì, chi parla?»
« Sono l’agente Teresa Lisbon, del California Bureau of Investigation, avrei bisogno di farle qualche domanda!»
Il cuore di Jane sussultò, era al telefono con un rappresentante delle forze dell’ordine e non aveva idea di cosa volessero da lui, ma quando c’era di mezzo la legge poteva significare una cosa sola: problemi.
« A che proposito?»
« Sarebbe meglio parlare di persona, signor Jane» la donna fece una breve pausa « La aspetto al CBI!» il tono sembrava non accettare repliche.  Si trovò talmente colto alla sprovvista che non poté rifiutare.
Avrebbe sempre potuto decidere di non presentarsi, accampare un pretesto, ma, pensò, comunque lo avrebbero rintracciato, prima o poi.
Decise così di avviarsi al CBI. Guidò la macchina fino al grande edificio, non c’era mai entrato.
Scese dalla macchina e spolverò il panciotto grigio con la mano destra, quindi si avviò.
Prese l’ascensore e le porte si aprirono su un ampio corridoio costellato da uffici. Il silenzio che regnava era surreale, le scrivanie vuote, le porte degli studi chiuse, l’aria immobile. Continuò a camminare finché non scorse una porta aperta.
Si avvicinò e scrutò all’interno.
In quell’edificio immobile, dominato dalla quiete, il suono del respiro della donna seduta alla scrivania dava finalmente un ritmo al tempo, apparentemente congelato. Guardandola si sentì riempire da una strana sensazione di sicurezza.
Quando lei parve accorgersi di lui, fermo sulla soglia, lo accolse con un semplice cenno della testa. Non sapeva bene per quale motivo, ma si aspettava un sorriso.
« Mi scusi, sto cercando…»
« Si accomodi!» la donna lo interruppe e gli indicò una sedia oltre la scrivania.
« Scusi…?»
 « Sono l’agente capo Teresa Lisbon, la stavo aspettando signor Jane» gli tese la mano e lui ricambiò il gesto.
Cercò di leggere quella donna, di capire cosa realmente voleva da lui, infondo era il suo mestiere, leggere le persone e dar loro quello che tacitamente cercavano.
Le truffava, era vero, ma permetteva anche loro di aggrapparsi ad una speranza fittizia. Una speranza che dava loro la possibilità di affievolire i propri dolori e di continuare a vivere con un briciolo di dignità in più.
Ma quando tentò di analizzare quella mente sconosciuta si trovò a scontrare quegli occhi smeraldini, che sortirono lo stesso effetto di una porta a vetri. Ci sbatté rovinosamente contro, senza riuscire ad entrare.
« Stiamo investigando su un caso nel quale è coinvolta una sua probabile ex paziente».
« Di chi stiamo parlando, agente Lisbon?» il mentalista cercò di tastare il terreno.
« Purtroppo non conosciamo ancora il nome delle vittime ma…»
« Vittime?» domandò l’uomo, poi si riprese « In quale modo sapete che è stata una mia cliente se non ne conoscete l’identità?»
L’agente aprì il fascicolo adagiato sulla scrivania. Sopra una decina di documenti in bianco e nero c’era una polaroid che doveva essere stata scattata sul luogo del delitto « Abbiamo rinvenuto il suo biglietto da visita in una delle tasche» nello scatto era stato immortalato il cartoncino con i suoi recapiti « E’ l’unico oggetto che è stato trovato sul corpo. L’unica traccia che abbiamo. Vorrei mostrarle una foto della donna per il riconoscimento, se la sente?»
Patrick deglutì e assentì col capo « Se può essere d’aiuto…» lasciò cadere la frase a metà. Non aveva nessuna voglia di vederla in realtà.
Lisbon sfilò la polaroid da sotto i fogli bianchi del dossier e gliela porse. Lui la esaminò, ma quello che vide era qualcosa di sfuocato, impercettibile, il corpo sembrava immerso in una nube di luce soffusa e non riusciva a cogliere alcun tratto familiare in quel visto annebbiato e stravolto dalla morte.
«No, mi spiace» disse rendendo indietro la fotografia.
La donna sembrò lasciarsi sprofondare nella poltrona « Maledizione!» imprecò fra i denti « Un altro vicolo cieco!».
Ebbe una strana voglia di aiutarla, sentiva che doveva aiutarla, ma quello che fece fu stringerle la mano ed uscire da quell’ufficio.
Appena varcata la soglia, lontano da quella donna, si sentì nuovamente un po’ smarrito, un po’ meno protetto. Non capì.
Si ritrovò in macchina, una busta bianca della spesa sul sedile passeggero a fargli compagnia lungo il tragitto.
Intravide la grande vetrata buia che dava sul salotto di casa. Parcheggiò l’auto ed entrò, inciampando ancora una volta nella bicicletta « Charlotte!» sospirò, zoppicando.
Entrò in cucina dove lo stavano aspettando. La bambina corse verso di lui e si appropriò immediatamente del sacchetto, ridendo.
La donna sorrise al suo indirizzo e una strana malinconia lo soffocò per un secondo.
« Avanti abbiamo un sacco di lavoro da fare» la bambina lo strattonò per i pantaloni.
Lavarono le fragole, le tagliarono ed aggiunsero lo zucchero ed il limone. Lavorarono tutti e tre insieme, sorridendo. Sembravano una di quelle famiglie dei telefilm degli anni ’90. Sembravano una fotografia.
« Ora dobbiamo lasciare macerare tutto fino a domani» sorrise Angela e accarezzò il viso dell’uomo che le stava accanto.
La grande pentola di metallo era ancora sui fornelli, notò Jane, un vapore denso esalava dalla cima. Si accorse che il livello del contenuto era calato. Ma non vi prestò troppa attenzione.
La luce si spense nella cucina.
 
Jane era di nuovo in auto, il cellulare all’orecchio, la voce di Teresa Lisbon dall’altra parte del ricevitore.
« Il direttore Bertram ha richiesto la sua consulenza per il caso della donna non identificata. Sarebbe disposto ad affiancare la mia squadra nell’indagine?» sentì una punta di scetticismo, mista a stizza nel tono della donna.
Si ritrovò ad accettare, senza che lo desiderasse realmente.
Lisbon gli diede appuntamento ad un indirizzo di Sacramento.
Si incontrarono davanti ad una grande villa, immersa in una collina verdeggiante, lontano da altre abitazioni.
« La casa è disabitata» disse Lisbon, facendogli strada all’interno dell’abitazione « è qui che sono state ritrovate le vittime» salirono una rampa di scale e si trovarono dinanzi ad una porta bianca « Ecco».
Lisbon sospinse la porta.
La stanza era completamente vuota, nessun quadro, nessun mobile, nessuna tappezzeria. Le pareti erano state pitturate di bianco.
Ma ora informi graffiti di sangue decoravano il candido intonaco.
Il pavimento era un orribile Picasso a pennellate di emoglobina. Jane si portò una mano alla bocca  e soffocò il conato.
Lui lavorava coi vivi, faceva credere di parlare coi morti, ma era con le persone in carne ed ossa che interagiva. Non era abituato a tutto questo. L’odore alacre del sangue lo fece indietreggiare verso l’uscita.

« Tutto bene, Jane?».
Il tempo si fermò.

Lui la guardò e si sentì fluttuare in un dejà vu.
« Tutto bene» rispose voltandosi verso la rampa di scale, che scendeva al primo piano,
« Mi scusi, ma mi hanno riferito che era un sensitivo» l’uomo colse una nota di sarcasmo nella sua voce « e pensavo che sarebbe stato utile portarla sulla scena del ritrovamento nel caso…» si interruppe, soffocando un sorriso.
« Nel caso?» la esortò.
« Nel caso avesse potuto avere un contatto…una visone…insomma come le chiamate voi del mestiere?» sorrise e anche i suoi occhi vennero coinvolti in quell’espressione.
Lui ricambiò il sorriso. Era tutto così strano.
Il cellulare di Lisbon squillò mentre lei iniziava a scendere le scale e gli faceva cenno di seguirla.
Annuì un paio di volte al suo interlocutore e riattaccò.
« Venga, abbiamo un uomo da interrogare» taglio corto.
« Abbiamo?» le sopracciglia di Jane si inarcarono in un’espressione stranita « Come sarebbe a dire abbiamo
« Qui le domande le faccio io» gli sorrise e fu costretto a seguirla sulla sua auto.
Arrivarono di fronte ad una villetta in stile coloniale, affrescata di giallo.
Attraversarono il piccolo portico e, varcata la porta d’ingresso socchiusa, si ritrovarono in una cucina pulita e luminosa.
La tavola, coperta da una tovaglia a quadri rossi e bianchi, era apparecchiata con un piatto, un bicchiere ed una bottiglia di vino. Un uomo era seduto alla mensa e rigirava la forchetta nel piatto, raccogliendo gli spaghetti al sugo.
Lisbon gli si avvicinò e sedette al tavolo, senza che l’uomo le facesse alcun cenno o la degnasse di saluto.
L’uomo continuò a portare la forchetta alla bocca. Masticava con ingordigia e il sugo si rapprendeva attorno alla sua bocca.
Jane rimase in piedi dietro alla donna, mentre il padrone di casa sembrava ignorarlo.
« E’ lei Timothy Carter?» un brivido corse lungo la schiena di Patrick mentre Teresa pronunciava quel nome.
L’uomo assentì col capo, ma non smise di mangiare, anzi, cominciò ad imboccarsi compulsivamente, masticando rumorosamente, macchiandosi gli abiti.
« Siamo qui per interrogarla su un duplice omicidio!»
L’uomo rispose qualcosa ma Jane non riuscì a comprendere, perché tutto il cibo che gli riempiva la bocca impediva di comprendere le parole che ne uscivano.
Lisbon annuì comunque e Jane la osservò incuriosito ed affascinato. Stare dietro di lei lo rassicurava. Si sentiva al sicuro.
L’improvviso rumore della forchetta contro la porcellana lo fece trasalire, Carter continuava a rigirare la posata nel piatto ormai vuoto e aveva fissato ora il suo sguardo su Patrick. I suoi piccoli occhi scuri spuntavano al di sopra delle lenti spesse, incastonate in una montatura ovale di plastica marrone. La fronte stempiata e spaziosa dava un aspetto ancora più folle a quel viso teso e macchiato di salsa. Le labbra sottili si aprirono in un ghigno malefico, mentre l’essere bestiale continuava masticare e a fissarlo.
Lo stesso odore pungente che aveva percepito nella villa abbandonata tornò a pizzicargli il naso.
Ben presto Jane si rese conto che il mento e le vesti dell’uomo non erano macchiate di sugo, ma di sangue.
Si sentì mancare.
Stava per crollare a terra, quando Lisbon lo afferrò prontamente « Jane» quella voce arrivò ovattata « Andrà tutto bene!»
Ma poi quel viso sparì nel nulla.
 
Si risvegliò nel divano del salotto di casa, al buio.
Un dolce aroma fruttato proveniva dalla cucina.
Si alzò e si avviò verso lo spiraglio di luce « Ben svegliato!» la donna lo accolse con calore.
Angela stava adagiando una casseruola di rame sul piano cottura « La marmellata è quasi pronta!» la sua voce era inspiegabilmente venata di malinconia.
Patrick le si avvicinò ed appoggiò il mento nell’incavo del suo collo. Sentiva solo il profumo delle fragole.
« Ma dov’è Charlotte?» domando cingendo la donna in un morbido abbraccio « Non può perdersi proprio la parte più bella».
Lei posò una mano sulle sue braccia, trattenendo quell’abbraccio « Lasciala, sta già riposando. Aiutami a mettere la confettura nei barattoli».
Le baciò il collo bianco e gli venne da piangere.
Lei era lì, tra le sue braccia. Eppure ne sentiva tremendamente la mancanza.
« Patrick, forza…» lo esortò lei.
Sciolse l’abbraccio e iniziarono a preparare i vasetti, ma non sorridevano più come il giorno prima.
Quando ebbero finito riposero i contenitori di vetro nella credenza.
Patrick lanciò uno sguardo al pentolone sui fornelli. Il vapore bianco usciva ancora in dense volute, mentre il liquido vischioso si era ridotto drasticamente.
Dalla superficie - increspata da mille bolle di calore che si formavano ed esplodevano – emergeva la sommità scura e levigata di un oggetto immerso nella brodaglia. Non avrebbe saputo dire di cosa si trattasse. E non vi badò.
Ogni dettaglio in quella casa scivolava attraverso la sua mente senza lasciare segno, senza destare questioni o interrogativi.
Angela pulì la superficie sulla quale avevano lavorato fianco a fianco pochi minuti prima.
« Io ho finito qui, Patrick». Lui non capì.
 
Si risvegliò su un comodo divano di pelle. Non era quello di casa.
Guardò il soffitto, una macchia a forma di Elvis lo guardava dalla sommità dell’ufficio.
Sentì un rumore di passi tutto intorno a lui. Gli agenti del CBI lavoravano freneticamente, senza degnarlo di uno sguardo.
Si alzò, doveva tornare a casa, tornare da Angela e Charlotte. Mangiare la marmellata con loro.
Prese l’ascensore e corse a recuperare la macchina nei parcheggi antistanti l’edificio.
Le strade si erano ripopolate.
Vide la vetrata buia di casa. Abbandonò l’auto nel vialetto e corse. Non sapeva perché, aveva fretta.
Aprì la porta con foga e il legno risuonò all’urto con il manubrio della bicicletta.
« Sono tornato» gridò, ma l’unica risposta che ottenne fu l’eco della sua voce.
Si lanciò lungo il salotto, verso la cucina. La luce era accesa.
Entrò.
La stanza era completamente deserta.
Vicino ai fornelli, al centro di un piatto bianco, una fetta biscottata velata di marmellata rossa alle fragole e guarnita da un ricciolo di panna.
Tua figlia sapeva di sudore e di fragole con panna”.
Quelle strane parole rimbombarono violentemente nella sua testa, mentre brividi gelidi percorrevano la sua pelle.
La pentola sui fornelli attirò tutta la sua attenzione.
Si affacciò sul bordo del calderone che ora appariva profondissimo.
Il liquido era completamente evaporato.
Sul fondo della pentola due polaroid ed un cuore.
Allungò il braccio e prese gli oggetti tra le mani.
Il cuore era caldo e batteva, piano, come un leggero sfarfallio d’ali. Lo ripose nel recipiente metallico.
Prima che potesse esaminare le fotografie una voce alle sue spalle lo fece sobbalzare « Andrà tutto bene» disse Lisbon, immobile sulla soglia.
L’uomo scrutò le polaroid con le mani tremanti.
La prima era quella che Lisbon gli aveva mostrato al CBI, solo che ora era nitida e riusciva a cogliere chiaramente il volto della donna, privo di vita. Le lacrime rotolarono giù per il suo viso distrutto.
Non ebbe il coraggio di guardare l’altra polaroid, sapeva che ci avrebbe trovato una nuvola di capelli dorati.
Si aggrappò al mobile accanto a lui, scivolando giù, crollando sulle ginocchia, sopraffatto dalla forza di gravità e dal peso del dolore.
Il pavimento sembrava cosparso di spine, sentì ogni centimetro del suo corpo trafitto da quegli aculei.
Ogni volta che se n’era andato il pentolone si era svuotato, ogni volta che se n’era andato aveva portato via un po’ di amore e un po’ di vita da quella casa.
Ed ora ecco cosa restava, un cuore marcio e due ricordi macchiati di sangue.
La donna con la giacca nera gli si avvicinò e si affacciò prima sulla pentola, poi si chinò su di lui.
Quel cuore che stringeva tra le mani ora sembrava ancora più piccolo e rinsecchito.
Una piccola prugna scura. Ma lei lo reggeva come fosse stata la pietra più preziosa su quella terra.
Glielo porse e lui accettò quella piccola cosa secca.
Si sentì immediatamente al sicuro nell’ombra di quell’esile donna.
La cosa tra le sue mani iniziò a pulsare, di nuovo.
E capì.
Si sentiva a casa.
Era nuovamente a casa.
 
 
 
 
 
 
 

***

Aprì gli occhi. Per l’ennesima volta, gli parve.
Pensò di essere morto a quel punto.
Il soffitto era bianco, i muri intorno erano bianchi ed era disteso, vestito di bianco.
Ci siamo, sono morto!”, l’unica cosa che non gli tornava era che si aspettava di ritrovarsi in un luogo molto più lugubre, pieno di fiamme ed eterne punizioni.
Lasciò vagare lo sguardo intorno a sé.
Il suono ritmico ed elettronico di un macchinario scandiva il tempo.
Si voltò alla ricerca della sorgente da cui proveniva il rumore.
Il suono scandiva il battito del suo cuore.
« Jane»
L’uomo alzò lo sguardo e ritrovò quel volto, più pallido, più stanco. Non riuscì neanche ad emettere un suono tanto la sua gola era riarsa.
La donna strinse la croce che portava al collo e chiuse gli occhi, rendendo grazie per chissà quale silenziosa preghiera.
« Lisbon…» il suono della sua voce era gracchiante, graffiato.
« Vado a chiamare il dottore…Vado a chiamare glia altri…» le parole della donna si accavallavano l’une sulle altre, come le lacrime sulle sue guance che cercava di cancellare con la manica della giacca.
« Lisbon…»
« Non affaticarti…sei rimasto in stato comatoso per un settimana circa….» la donna sorrise, un sorriso familiare che ora riconosceva del tutto « Sono felice che sei di nuovo tra noi!»
Lisbon scomparve dietro la porta della stanza d’ospedale.
E così era stato tutto un sogno, pensò Jane tra sé.
Un sogno che si era consumato come l’acqua di un pentola.
Un sogno che gli aveva reso la ricetta amara della sua vita.
Si rese conto che aveva avuto tra le mani tutti gli ingredienti per un piatto perfetto e aveva lasciato che tutto andasse in fumo.
Non ricordava come e perché era finito su quel letto, ma per un bislacco scherzo del destino era ancora vivo.
Chiuse gli occhi, sperando di ritrovare la strada per quel vialetto, la luce in quella cucina.
Ripensò ad ogni particolare di quell’allucinante visione.
Capì perché era stato sempre così arrendevole, perché i dettagli non destavano la sua attenzione.
Era accaduto tutto nella sua stessa mente e non c’era bisogno di analizzare niente. Sapeva benissimo cosa avrebbe trovato, come sarebbe finita.
Gli venne da piangere, ma soffocò le lacrime.
I suoi occhi caddero sulla sedia vuota accanto al suo letto. Lisbon.
Si accorse che, in tutto quel viaggio mentale, lei gli era stata vicina, sempre, incondizionatamente.
Senza chiedergli niente, ne aspettarsi niente da lui.
Lei lo aveva accompagnato durante la sua incoscienza lungo una bizzarra trasfigurazione della sua vita e sempre lei, senza alcun ribrezzo aveva preso con cura il suo cuore, restituendoglielo.
Proprio come nella realtà.
Jane non credeva ai fantasmi, né agli spiriti, né ai loro messaggi.
Ma credeva nel raziocinio e nei meccanismi mentali.
E la sua coscienza di certo gli aveva mandato un messaggio.
Lisbon rientrò nella stanza, al seguito del medico in camice bianco.
La donna sorrise.
Sentì quella piccola cosa nera infondo a lui pulsare.
E finalmente sapeva che ora era a casa.
Infondo ciò che rende libera ogni creatura è avere un luogo a cui fare ritorno





Note:
¹cit. Kazuya Minekura, Gensomaden Saiyuki.


 
 
 
 
Ok, questa era in cantiere insieme a PiGreco e ormai dovevo finirla e postarla.
Due in botto, ma sì dai =)
A me non piace essere tradizionale, mi piacciono le stranezze, le bizzarrie della mente, l’irrazionale.
Mi piace stravolgere il mondo. Mi sono divertita a creare una sorta di Jane nel paese delle meraviglie (o degli orrori?).
Il risultato è bislacco. La narrazione può sembrare senza senso logico ne cronologico fino alla fine, lo capisco. Così come le azioni sembrano prive di senso, ma del resto è quello che accade nei sogni: la notte si alterna al giorno senza logica, le azioni non hanno bisogno di motivazioni e…bah bando alle ciancie =) ho ciarlato anche troppo =)
Spero di non avervi annoiato troppo.
L’ispirazione mi ha abbandonata, quindi mi ritiro =) Vi ho rotto anche troppo le scatole nel giro di così pochi giorni!

Spero tanto di poter leggere le vostre recensioni. cari Lettori silenziosi…=)
Saluti
BB
  
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